Magistratura democratica
Magistratura e società

Il “trattenimento” del migrante irregolare nei «punti di crisi» ex art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998 nel prisma della convenzione europea

di Fabio Cassibba
professore associato di Diritto processuale penale, Università di Parma
Pubblichiamo il testo della relazione svolta al convegno Ripensare le migrazioni forzate. Teorie, prassi, linguaggi e rappresentazioni, organizzato da Escapes – Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate (Parma, 8-9 giugno 2017)

1. «La diagnosi di Hannah Arendt, secondo cui il simbolo di questo secolo sarebbero stati i senza patria, i diseredati e i profughi, ha trovato conferme spaventose»[1].

Bastino pochi dati bruti: solo negli ultimi due anni sulle coste italiane sono sbarcate circa 334.000 persone; gli arrivi ammontano a 27.000 unità nell’ottobre 2016 e a 4.200 nel gennaio 2017, nonostante le condizioni meteorologiche particolarmente avverse; oltre 5.000 sono i morti o i gli scomparsi nel 2016[2].

È vero che nessuna norma dell’Unione europea o sistema convenzionale fonda un diritto del migrante ad entrare e risiedere in uno degli Stati membri. Questi, anzi, sono legittimati ad espellere lo straniero che abbia fatto ingresso irregolarmente nel territorio dello Stato o che vi si trovi comunque in posizione irregolare[3]. Ciò non toglie che, in forza dell’inviolabilità della libertà personale e dell’assoluta intangibilità della dignità dell’individuo, la condizione del migrante reclami un forte bisogno di tutela da parte di un ordinamento a lui alieno, in rapporto – per ciò che qui maggiormente preme – alle eterogenee forme di trattenimento e detenzione amministrativa, applicabili in vista dell’espulsione o del respingimento oppure del riconoscimento dello status di soggetto meritevole di protezione internazionale.

Un robusto intreccio di norme costituzionali (si pensi agli art. 3, 10, 13 e 24 Cost.) e sovranazionali (si pensi agli art. 3, 5, 8 e 13 Conv. eur dir. uomo e all’art. 8 comma 1 Direttiva 2013/32/UE) forma un autentico “cordone sanitario” attorno al migrante, già di per sé soggetto particolarmente vulnerabile[4]: ovvio che la privazione in via amministrativa della libertà personale non faccia altro che amplificarne la condizione di vulnerabilità[5], in un contesto assai delicato com’è quello in cui si trova il migrante irregolare nei momenti immediatamente successivi al rinvenimento sul territorio nazionale o, ancor più, al soccorso in mare.

Proprio in tale frangente, in attesa dell’identificazione del migrante e del primo, spesso decisivo, contatto con l’autorità amministrativa, chiamata a valutarne lo status in vista dell’espulsione o del respingimento oppure della ricollocazione in altre strutture in quanto soggetto destinatario della protezione internazionale, il rischio di condotte arbitrarie e lesive della dignità umana ad opera dei pubblici poteri è particolarmente elevato[6]. Da qui, la necessità di «stringent[i] meccanism[i] di monitoraggio al fine di prevenire un possibile vulnus al sistema dei diritti fondamentali sanciti dalle normative nazionali e internazionali»[7]: l’attenzione dei vari attori istituzionalmente preposti a vigilare sul grado di effettività nella tutela dei diritti fondamentali dei migranti ne attesta, del resto, l’estrema fragilità[8].

Emergono, così, i primi concetti-chiave, fra loro intimamente avvinti e, non a caso, al centro della costante elaborazione della Corte europea: la vulnerabilità dello straniero in stato di detenzione amministrativa e l’esigenza di evitare l’arbitrio dell’autorità pubblica.

2. Ecco il punto: le legittime rivendicazioni, avanzate da chi oltrepassi le frontiere dell’Unione europea, di godere di una tutela giuridica effettiva è posta ai margini, per un verso, da vari fattori d’insicurezza sociale (crisi economica e del welfare state, terrorismo internazionale e criminalità comune), che, peraltro, condizionano le linee di politica legislativa in materia; per altro verso e soprattutto, dalla stessa “qualità” della normativa nazionale.

Emerge, anzitutto, la pretesa contrapposizione fra il diritto dei migranti alla «libertà» ed alla «sicurezza», secondo la stringente formula che compare nella rubrica dell’art. 5 Conv. eur. dir. uomo e la domanda di sicurezza avanzata dalla collettività, che sul piano nazionale si concretizza, emblematicamente, nei più recenti prodotti legislativi: nei dl n. 13 e 14 del 2017[9] il Governo accosta politiche criminali “di prossimità”, all’ulteriore regolamentazione (e repressione) del fenomeno migratorio, a protezione dei confini esterni (e interni) dell’Unione europea.

La contrapposizione non è azzardata e, anzi, ben evidenzia gli equivoci lessicali e le torsioni semantiche che la strumentalizzazione del fenomeno migratorio porta con sé: qui, la dimensione della tutela della sicurezza individuale è destinata a cedere a fronte d’istanze collettive di sicurezza, in forza delle quali quest’ultima diviene un generico concetto «pigliatutto», tranquillizzante per l’opinione pubblica[10]. In breve, il «tema della sicurezza diviene… emblematico dei tanti problemi che i sistemi giuspolitici avanzati non riescono più a gestire», come i «flussi migratori: di fronte a problemi così, la tentazione di ricorrere a misure simboliche… diviene troppo forte»[11].

In realtà, la prospettiva è tutt’altra. La «libertà» e la «sicurezza» di ogni individuo privato della libertà personale contro l’arbitrio dello Stato, protette dall’art. 5 Conv. eur dir. uomo, rivestono un ruolo di primaria importanza in una società democratica perché si atteggiano alla stregua di un «diritto fondamentale»[12], derogabile solo nelle eccezionali situazioni contemplate dall’art. 15 Conv. eur. dir. uomo[13]. Qui, la libertà e la sicurezza individuali non sono affatto antitetiche: costituiscono, semmai, un’«endiadi[14], perché la sicurezza rafforza il concetto d’inviolabilità della libertà personale, ponendo l’accento sull’ineludibile necessità che la detenzione non possa mai risultare arbitraria[15], con riguardo ai profili sostanziali e a quelli procedimentali della disciplina[16]. Si comprende, dunque, perché le ipotesi di privazione della libertà personale elencate dall’art. 5 comma 1 Conv. eur. dir. uomo integrino deroghe tassative al diritto fondamentale in parola e debbano essere oggetto di rigorosa interpretazione[17].

3. È questa la robusta cornice concettuale entro la quale occorre muoversi nell’analisi delle molteplici forme di compressione della libertà personale del migrante, attuate in via amministrativa e assistite (come subito si vedrà, neppure indefettibilmente) da deboli controlli giurisdizionali.

Sono queste, poi, le ragioni profonde per le quali la materia affrontata in questo Convegno – ove maggiormente s’acuisce il conflitto fra il bisogno di tutela dell’inviolabilità della libertà personale e il potere dello Stato di comprimerla – non può sfuggire all’analisi dello studioso del sistema processuale penale[18], se è vero che la procedura penale rappresenta una sorta di diritto costituzionale applicato[19].

A dispetto delle enunciazioni di principio, costantemente volte a porre al centro la natura inviolabile della libertà personale, che l’«uso della detenzione amministrativa dell[o straniero] irregolare rivest[a] un ruolo anche simbolicamente centrale»[20] è reso palese dalla nuova ipotesi di “trattenimento” nei cd. «punti di crisi» prevista dall’art. art. 10-ter d.lgs 286/1998, introdotta dall’art. 17 dl n. 13 del 2017, conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46, applicabile ai soggetti irregolarmente entrati nel (o trovati sul) territorio nazionale ed ai soggetti soccorsi in mare, che potrebbero essere legittimati a presentare una domanda di protezione internazionale[21].

Si sa che la prima proposta d’introduzione dei cd. hotspots risaliva alla cd. Agenda immigrazione del 2015 della Commissione europea[22], la cui relativa roadmap indirizzata agli Stati membri era poi stata recepita dal Governo italiano, nello stesso anno, attraverso una circolare del ministero dell’Interno[23]. Il decreto legge 21 febbraio 2017 n. 13 ambiva a far sì che l’espresso riconoscimento in una fonte primaria dei punti di crisi ponesse, così, termine al perpetuarsi di forme di detenzione amministrativa prive di base legale e, dunque, contrastanti con gli art. 10 comma 2 e 13 Cost., nonché con l’art. 5 comma 1 lett. f Cedu. È inequivoca, sul punto, la nota decisione di condanna del nostro Paese resa dalla Grande camera nel caso Khlaifia c. Italia del 2015[24].

4. L’obiettivo è, però, ben lungi dall’essere stato centrato.

La normativa nazionale non individua le «forme» della detenzione, né i «modi» della relativa attuazione (art 13 comma 2 Cost.) e neppure le condizioni affinché siano rispettate le cadenze imposte per la privazione provvisoria della libertà personale ad opera dell’autorità di pubblica sicurezza «nei casi eccezionali di necessità ed urgenza» (art. 13 comma 3 Cost.). In breve, la disciplina di nuovo conio risulta ancora non compatibile con gli elevati standard di garanzia imposti dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 Conv. eur. dir. uomo[25].

In effetti, come ha reiteratamente affermato la Corte di Strasburgo, una tutela dell’inviolabilità della libertà personale «non teoric[a] ed illusori[a], ma concret[a] ed effettiv[a]»[26] implica che la normativa nazionale debba rispondere a stringenti canoni contenutistici, volti ad assicurare la «preminenza del diritto» e, dunque, il «principio generale della certezza del diritto»[27].

Di tutto ciò non v’è alcun riscontro nell’art. 10-ter commi 1 e 2 d.lgs n. 286 del 1998.

Più nel dettaglio, del tutto carente è l’individuazione dei luoghi in cui debba avvenire il “trattenimento” a fini identificativi. L’art. 10-ter comma 1 d.lgs n. 286 del 1998 si limita ad affermare che i punti di crisi sono allestiti «nell’ambito delle strutture» di cui al dl. 30 ottobre 1995 n. 451 (cd. Decreto Puglia), conv. in l. 29 dicembre 1995 n. 563, e di cui all’art. 9 d.lgs 18 agosto 2015 n. 142. Come in gioco di scatole cinesi[28], tuttavia, il rinvio a tali fonti normative è vuoto: né le prime (individuate dall’art. 2 dl. n. 451 del 1995, ossia i «tre centri dislocati lungo la frontiera marittima delle coste pugliesi per le esigenze di prima assistenza a favore dei … gruppi di stranieri» in arrivo dall’Albania) né le seconde (i Centri di Prima Accoglienza – CPA) trovano puntuale regolamentazione nella legge.

Del resto, il dato è – paradossalmente – in piena coerenza con la ratio della creazione degli hotspots.

Com’è stato efficacemente affermato, i punti di crisi rappresentano un «approccio» al fenomeno migratorio[29], più che luoghi destinati al trattenimento dei migranti a fini di fotosegnalamento: vengono introdotti, cioè, come «metodo amministrativo (e non formalizzato dalla legge) di identificazione (di massa) dei migranti e gestione dei flussi migratori»[30], in frizione con le più volte rammentate disposizioni costituzionali poste a tutela dell’inviolabilità della libertà personale. Naturale, dunque, che in una simile cornice concettuale si finiscano col «legittima[re] implicitamente comportamenti extra legem»[31].

Non è, dunque, casuale che il testo dell’art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998, a differenza di altre disposizioni del medesimo provvedimento legislativo, neppure impieghi il vocabolo “trattenimento” per designare la base legale di privazione della libertà personal a fini identificativi ivi prevista.

Un’autentica «detenzione mascherata»[32], che si riflette anche negli usi lessicali. Evocando il titolo dell’odierno Convegno: il “linguaggio” pudico del legislatore non riesce a mascherare la reale “rappresentazione” dei punti di crisi.

È, poi, appena il caso di evidenziare come non basterebbe a soddisfare gli standard costituzionali e convenzionali di garanzia in relazione all’individuazione dei punti di crisi quanto affermato dal Considerando n. 25 del Regolamento (UE) 2016/1624[33], secondo cui i punti di crisi consistono in una «zona in cui lo Stato membro ospitante, la Commissione, le agenzie dell’Unione competenti e gli Stati membri partecipanti cooperano allo scopo di gestire una sfida migratoria sproporzionata, reale o potenziale, caratterizzata da un aumento significativo del numero di migranti in arrivo alla frontiera esterna». A maggior ragione, resta irrilevante l’individuazione dei punti di crisi da parte delle «Standard Operating Procedure» applicabili agli hotspots italiani (punto A.3)[34], in quanto tipico strumento di soft law.

Quanto ai modi del “trattenimento”, l’art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998 serba un assoluto silenzio su un profilo essenziale: non si chiarisce se la permanenza nei punti di crisi debba avvenire in strutture aperte, dalle quali lo straniero possa allontanarsi, oppure in luoghi chiusi[35], ove, quindi, si attuerebbe un’autentica ipotesi di privazione della libertà personale[36]. Ovvio che, in tale seconda eventualità, si reclamerebbe ancor più fortemente l’allestimento di un effettivo e tempestivo controllo giurisdizionale sulla legalità della detenzione, invece comunque non contemplato.

D’altra parte, la riforma del 2017 tace anche sulle forme di controllo giurisdizionale sulla detenzione, attivabili su impulso del detenuto, ex art. 5 comma 4 Conv. eur. dir. uomo: in definitiva, difetta un sistema di rimedi effettivi volti ad assicurare che tale controllo avvenga «al più presto» e nel rispetto di un reale contraddittorio[37]. È ben vero che la Corte europea riconosce che le forme di controllo giurisdizionale in parola possono variare a seconda della materia, dipendendo dal tipo di privazione della libertà personale che viene in gioco (né sarebbe compito dei giudici di Strasburgo individuare il sistema di tutela più appropriato); tuttavia, la via di ricorso dev’essere prevista con un sufficiente grado di certezza, venendo, altrimenti, a mancare le condizioni di accessibilità e di effettività del rimedio[38].

Neppure la durata del trattenimento dello straniero nei punti di crisi a fini identificativi trova regolamentazione nella fonte primaria: la legge non individua alcun termine di durata massima per il completamento delle operazioni d’identificazione e smistamento degli stranieri, prima dell’adozione del formale provvedimento di trattenimento adottato dal questore presso il CPR ai sensi degli art. 10-ter comma 2 e 14 d.lgs n. 286 del 1998.

È ben vero che il fotosegnalamento a fini identificativi[39] deve avvenire al più presto e che, comunque, entro le settantadue ore l’esito dei rilievi dev’essere trasmesso al sistema EURODAC, previsto dal Regolamento UE 603/2013. Ma tale disciplina non costituisce base legale di alcuna forma di trattenimento[40]. D’altra parte, agli stranieri trattenuti in un punto di crisi ex art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998 non è applicabile, di regola, l’art. 349 cpp («identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone»), alla luce della qualità del destinatario delle operazioni ivi previste: la norma scatta solo in presenza di un procedimento penale, quando si tratti di identificare la persona indagata o coloro che possono riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Dunque, i presupposti della previsione codicistica non restano necessariamente integrati per l’identificazione del migrante nei punti di crisi. 

Il d.lgs n. 286 del 1998 tace, poi, anche sugli effetti del mancato rispetto del termine di 72 ore appena rammentato, né è contemplata l’immediata adozione di un provvedimento che giustifichi il trattenimento nel punto di crisi. Così, a dispetto delle intenzioni del legislatore, la permanenza nel punto di crisi, prima dell’adozione del provvedimento del questore di trattenimento (qui il termine è semanticamente pregnante) nel CPR di cui all’art. 10-ter comma 3 d.lgs n. 286 del 1998, può protrarsi, di fatto, anche per vari giorni, in assenza d’una base legale che la giustifichi.

Tocca appena notare che non può ovviamente rendere regolare il trattenimento presso il punto di crisi il provvedimento del questore, emesso “ora per allora”. Tale provvedimento, emanato successivamente all’identificazione del migrante o in pendenza delle operazioni d’identificazione (sull’evanescente presupposto che il migrante rifiuti di essere identificato), costituisce solo il titolo per il trattenimento presso un CPR, fatta salva la sua convalida da parte dell’autorità giurisdizionale competente, ma non può legittimare a posteriori una detenzione amministrativa geneticamente priva di base legale. Significativo che, già nel caso Khlaifia contro Italia, la Corte di Strasburgo avesse, comunque, escluso che il legittimo trattenimento nel CIE (oggi CPR) in vista dell’espulsione contemplato dall’art. 14 d.lgs. n. 286 del 1998 potesse costituire la base legale della permanenza negli hotspots[41].

I profili di contrasto, già di per sé di estremo rilievo in uno stato di diritto, con la normativa costituzionale e sovranazionale non si esauriscono qui.

Molte sono le criticità in rapporto ai profili della condizione giuridica dello straniero destinati a ricadere sotto il disposto dell’art. 5 comma 2 Conv. eur. dir. uomo, che reclama l’assolvimento di puntuali obblighi di informazioni in favore del detenuto sulle ragioni della detenzione.

Senza invadere lo spazio riservato ad altre relazioni, basti porre in luce che le modalità dall’accertamento delle condizioni soggettive di vulnerabilità del migrante e la qualità degli obblighi d’informazione e di assistenza culturale e linguistica in favore del soggetto trattenuto nel punto di crisi sono per larga parte regolate da strumenti di soft law (come le già rammentate Standard Operating Procedure). In breve, le novelle del 2017 rafforzano sì, anche sul versante dell’impegno di spesa, gli strumenti di assistenza al migrante, ma questi sfuggono ancora alla compiuta regolamentazione ad opera della fonte primaria: la loro effettività resta, in definitiva, rimessa alle “buone prassi” degli operatori[42].

Eppure, si tratta di profili decisivi e – come appare intuitivo – intimamente avvinti da un nesso di strumentalità: la valutazione individualizzata delle condizioni di vulnerabilità del migrante è propedeutica alla somministrazione di un’adeguata informazione sui diritti dello straniero in rapporto, ad esempio, all’eventuale richiesta di protezione internazionale. Si fa, così, concreto il rischio che la sorte del migrante sia decisa in un breve, quasi concitato frangente e che l’esito sia fortemente condizionato dal contenuto cd. foglio notizie redatto dai funzionari dell’ufficio immigrazione in sede di pre-identificazione del migrante[43].

5. In conclusione, la complessiva disciplina del trattenimento del migrante presso i punti di crisi ex art. 10-ter d.lgs n. 286 del 1998 non soddisfa l’esigenza di conoscibilità e prevedibilità della base legale che sempre deve sorreggere e giustificare la privazione della libertà personale, posta dalla Corte europea al centro delle garanzie tipiche dello Stato di diritto[44].

La detenzione amministrativa nei punti di crisi non può costituire una “no man’s land”, in cui la gestione del trattenimento del migrante è affidata alla «discrezionalità delle forze di polizia»[45], solo blandamente guidata da strumenti di soft law. Né – è appena il caso di notarlo – la breve durata della detenzione (o, meglio, la sua pretesa breve durata, comunque non predeterminata per tabulas) può giustificare l’aggiramento dell’esigenza d’una base legale. Non si dimentichi che il principio di legalità non è di esclusiva pertinenza della materia penale: caratterizza pure l’azione amministrativa, tanto più quando vengano in gioco atti privativi della libertà personale[46].

Come efficacemente suggerisce il titolo dell’odierno Convegno, occorre “ripensare” l’approccio al tema delle migrazioni forzate, riportando al centro della scena la tutela della dignità dell’individuo e favorire forme di rimpatrio volontario del migrante, che – a dispetto della preminenza rivestita nel diritto dell’Unione europea – è applicato, oggi, per un esiguo numero di stranieri.

Del resto – non sembri una provocazione – il momento per attuare un simile ripensamento appare propizio: proprio il significativo flusso migratorio ha indotto l’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia a suggerire che, in tempi di emergenza umanitaria come quella in atto, il Regolamento di Dublino III non dovrebbe trovare applicazione per quanto concerne la necessaria legittimazione dello Stato di primo approdo a decidere sulla richiesta di asilo avanzata dal migrante trattenuto nei punti di crisi[47], con la conseguenza di non sovraccaricare tali Stati nella complessiva gestione dei migranti. Presa di posizione assai autorevole, questa, tanto più significativa perché destinata a cadere nel dibattito relativo alla riforma del diritto di asilo, attualmente in stato di avanzata discussione di fronte al Parlamento europeo[48].

Così come fra più interpretazioni del dato positivo occorre sempre privilegiare quella che garantisce la massima espansione della libertà personale, la cui tutela è pietra angolare in una società democratica[49], dovrebbe essere pienamente interiorizzata l’idea che nel bilanciamento fra libertà e sicurezza dell’individuo (nonché di tutela della sua dignità), da un lato, e tutela della collettività, dall’altro, il punto di equilibrio dovrebbe sempre cadere in favore delle prime. Anche qui, non si dimentichino le conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di giustizia secondo cui gli Stati membri devono rilasciare un visto per ragioni umanitarie quando sussistono fondati motivi per ritenere che un rifiuto esporrà le persone richiedenti la protezione internazionale alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti[50]. Un felice punto di incontro in vista dell’innalzamento degli standard di garanzia e di protezione internazionale di ogni individuo, fra il diritto dell’Unione europea e la consolidata giurisprudenza della Corte europea[51].

Occorre, dunque, valorizzare al massimo grado il ruolo propulsivo della Corte di Strasburgo nella tutela dei diritti fondamentali, che si concretizza in un autentico «humanisme processuel»[52], tanto più a fronte di un diritto dell’Unione europea maggiormente connotato dal soddisfacimento di istanze di difesa sociale[53].

Si sa che la Corte europea si muove su un terreno già sdrucciolevole a causa della recrudescenza della criminalità di matrice terroristica[54], reso ancor più insidioso dalla crisi delle istituzioni sovranazionali: la tutela dei diritti fondamentali tende ad arretrare in rapporto alla prioritaria istanza d’una “repressione efficiente” propugnata da Stati nazionali sempre meno inclini a cedere porzioni di sovranità.

Nondimeno, le numerose condanne di vari Paesi della Grande Europa da parte della Corte di Strasburgo per violazione della legalità della detenzione amministrativa, della dignità della persona trattenuta, della necessaria previsione di rimedi interni effettivi, del divieto di non-refoulement devono rappresentare il faro nell’attuale, buio cammino della Piccola Europa.



[1] J. Habermas, Morale, Diritto, Politica (1986), Einaudi, Torino, 2001, p. 126.

[3] Cfr., per tutte, Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, § 112; Grande camera, sent. 15 dicembre 1996, Chahal c. Regno Unito, § 73.

[4] Cfr., per tutte, da ultimo, Corte eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 14 marzo 2017, Ilias e Ahmed c. Ungheria, § 84 ss.

[5] Corte eur. dir. uomo, sez. V, sent. 26 novembre 2015, Mahamed Jama c. Malta, § 100.

[6] Corte eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 14 marzo 2017, Ilias e Ahmed c. Ungheria, § 64.

[7] Cfr. la Relazione al Parlamento 2017 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o

private della libertà personale, cit., p. 92.

[9] Entrambi approvati dal Consiglio dei ministri il 21 febbraio 2017.

[10] Così, R. Cornelli, Decreto sicurezza, un concetto pigliatutto poco mirato sui diritti, in Guida dir., 2017, n. 13, pp. 10-11, riprendendo un’efficace espressione di Massimo Pavarini. Ampiamente, sul tema, vds. già, per tutti, M. Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, Il Mulino, 2008, passim.

[11] M. Barberis, Non c’è sicurezza senza libertà. Il fallimento delle politiche antiterrorismo, Il Mulino, 2017, pp. 107-108.

[12] Così, testualmente, proprio in relazione alla tutela della libertà personale dei migranti, Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 88. In generale, anche per ulteriori riferimenti, F. Zacchè, § 1. Premesse terminologiche, in S. Longo, F. Zacchè, Art. 5 – Diritto alla libertà e alla sicurezza, in Aa.Vv., Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 97 ss. Con più specifico riguardo alla tutela della libertà personale dei migranti irregolari vds, da ultimo, N. La Rocca, La “regolarità” della detenzione per i migranti ristretti nei centri di identificazione ed espulsione, in Arch. pen., 2016, n. 3, pp. 889 ss.

[13] Sul tema, per tutti, S. Buzzelli, Art. 15 – Deroga in stato d’urgenza, in Aa.Vv., Corte di Strasburgo e giustizia penale, cit., pp. 320 ss.

[14] Così, O. Mazza, La libertà personale nella Costituzione europea, in Aa.Vv., Profili del processo penale nella Costituzione europea, a cura di M. G. Coppetta, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 47.

[15] Cfr., fra le molte, testualmente, Corte eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 30 novembre 2010, Hajduová c. Slovacchia, § 54.

[16] Cfr., per tutte, Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 88.

[17] Così, ancora, Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 88.

[18] Sulle profonde relazioni fra la condizione giuridica dello straniero irregolare e la necessità di assicurare una effettiva tutela dei diritti fondamentali, nell’ambito della letteratura processualpenalistica, G. Varraso, voce Immigrazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali, III, Giuffré, 2010, pp. 597 ss. e spec. pp. 604 ss.

[19] Cfr., tra gli altri, G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Giuffrè, 2017, p. 20.

[20] L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, in Dir. pen. cont., 19 marzo 2017.

[21] Sul tema, cfr. l’articolata analisi di C. Leone, Il nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: la disciplina (o la mancata disciplina) degli Hospot, in corso di pubblicazione su Dir. imm. citt., 2017 (a cui si rinvia anche per ampi richiami alla letteratura in materia).

[22] Cfr. Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM (2015) 240 final.

[23] Cfr. Ministero dell’Interno - Roadmap italiana del 28 settembre 2015 e successiva Circolare n. 14106 del 6 ottobre 2015.

[24] Sulla portata della pronuncia, P. Bonetti, Khlaifia contro Italia: l’illegittimità di norme e prassi italiane sui respingimenti e trattenimenti degli stranieri, in Quad. cost., 2017, n. 1, pp. 176 ss.; A. Gilberto, La pronuncia della Grande camera della Corte Edu sui trattenimenti (e in conseguenti respingimenti) di Lampedusa nel 2011, in Dir. pen. cont.., 23 dicembre 2016.

[25] Come puntualmente evidenziato in dottrina, già all’indomani dell’entrata in vigore del dl n. 13 del 2017: cfr. C. Leone, Il nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: la disciplina (o la mancata disciplina) degli Hospot, cit.

[26] Cfr., per tutte, Corte eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 7 luglio 2015, Cestaro c. Italia, § 207 ss.

[27] Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 98 ss.

[28] L. Masera I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, cit.

[29] Sul tema, prima delle novelle del 2017, anche per ulteriori riferimenti, A. Mangiaracina, Hotspot e diritti: un binomio possibile?, in Dir. pen. cont., 9 dicembre 2016, pp. 1 ss.; E. Gornati, Le nuove forme di trattenimento dello straniero irregolare in Italia: dall’evoluzione dei CIE all’introduzione dei c.d. hotspot, in Dir. umani dir. int., 2016, pp. 472 ss.; nonché, la Relazione al Parlamento 2017 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, cit., p. 99.

[30] C. Leone, Il nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: la disciplina (o la mancata disciplina) degli Hospot, cit.

[31] Impiegando qui un’efficace espressione di S. Allievi – G. Dalla Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, Laterza, Bari-Roma, 2016, p. 138.

[32] Secondo l’efficace espressione di A. Mangiaracina, Hotspot e diritti: un binomio possibile?, cit., pp. 7 ss.

[33] Del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2016, istitutivo della guardia di frontiera e costiera europea.

[34] SOP - Procedure Operative Standard, redatte nel marzo 2016 dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e Dipartimento della Pubblica Sicurezza (consultabili su: http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it).

[35] L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, cit.

[36] Cfr. Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 97 ss.

[37] L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, cit.

[38] Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 129-130.

[39] Regolamentato dagli art. 5 comma 2-bis e 4-bis d.lgs  n. 286 del 1998 e 6 comma 4 T.U.I.

[40] C. Leone, Il nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: la disciplina (o la mancata disciplina) degli Hospot, cit.. Sul tema vds. anche la Relazione al Parlamento 2017 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, cit., p. 99.

[41] Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 98 ss.

[42] Cfr. già la Relazione al Parlamento 2017 del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, cit., spec. pp. 100-101.

[43] Cfr. C. Leone, Il nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: la disciplina (o la mancata disciplina) degli Hospot, cit.

[44] Cfr. Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, § 204; vds. anche Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, § 88 ss., e, da ultimo, sez. IV, sent 14 marzo 2017, Ilias e Ahmed c. Ungheria, § 58 ss.

[45] L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, cit.

[46] In generale, cfr., per tutte, Corte eur dir. uomo, Grande camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia.

[47] Cfr, le Conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston, presentate l’8 giugno 2017, nelle cause C-490/16 e C-646/16, A.S. c. Repubblica di Slovenia e Jafari c. Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl, come da Comunicato stampa n. 57/17 della Corte di giustizia dell’Unione europea.

[48] Cfr. il monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori promosso da ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione (Comunicato stampa del 27 marzo 2017).

[49] Cfr. C. cost. n. 89 del 1998; per la Corte europea, fra le altre, vds. le pronunce richiamate supra, nota 44.

[50] Cfr. le conclusioni dell’Avvocato generale Mengozzi, presentate il 7 febbraio 2017 nella causa C-638/16 PPU X e X / État belge, come da Comunicato stampa n. 11/17 della Corte di giustizia dell’Unione europea.

[51] Secondo cui, com’è noto, viola l’art. 3 Conv. eur. dir. uomo, l’espulsione di un soggetto verso un Paese in cui sarebbe esposto al rischio di trattamenti contrari con il canone convenzionale in parola: cfr., per tutte, Corte eur. dir. uomo, Grande camera, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia. In dottrina, per tutti, di recente, A. Colella, Art. 3 – Proibizione della tortura, in Aa.Vv., Corte di Strasburgo e giustizia penale, cit., pp. 81 ss. 

[52] Si riprende qui il titolo dell’opera collettanea a cura di S. Guinchard, Justice et droit du procès. Du lègalisme procedural à l’humanisme processuel, Dalloz, 2010.

[53] Sia pure con riguardo alla disciplina processuale penale, la contrapposizione è ben messa in luce da O. Mazza, Cedu e diritto interno, in Aa.Vv., I princìpi europei del processo penale, a cura di A. Gaito, Dike, Roma, 2016, p. 4.

[54] Cfr., ad esempio, l’elaborazione del cd. Ibrahim-test (per opera di Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 13 settembre 2016, Ibrahim e altri c. Regno unito) in materia di violazione del diritto di difesa ex art. 6 comma 3 lett. c Conv. eur. dir. uomo e di vaglio sul rispetto dell’equità processuale complessiva, in termini maggiormente restrittivi per l’accertamento della violazione del fair trail in ambito penale rispetto a quanto in precedenza affermato da Corte eur. dir. uomo, Grande camera, sent. 27 novembre 2008, Salduz c. Turchia.

24/07/2017
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