La consiliatura 2006-2010 è stata caratterizzata dall’entrata in vigore nel 2007 della riforma dell’ordinamento giudiziario, che comportò per quel Consiglio la riscrittura di tutta la normativa secondaria in attuazione del nuovo dato normativo.
Dopo tanti anni finalmente (avremmo detto allora, oggi un po’ meno) veniva abolita l’anzianità come parametro di valutazione per l’accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi, che diveniva mero parametro di legittimazione rispetto ai criteri del merito e delle attitudini e si introduceva la temporaneità degli stessi, fissata nel termine massimo di otto anni, con una valutazione intermedia (il nuovo istituto della conferma) trascorsi i primi quattro.
Erano gli anni in cui diveniva realtà una richiesta storica della magistratura associata, anche se il Legislatore la modulava in forma diversa da quella auspicata. Infatti, mentre l’associazionismo ha sempre chiesto la temporaneità effettiva delle funzioni direttive, il legislatore ha dato vita a un vero e proprio circuito dirigenziale: dal 2007 per mantenere le funzioni direttive al termine degli otto anni basta cambiare sede.
Risale a quel contesto l’incontro con l’avv. Vincenzo Maria Siniscalchi, con cui ho condiviso tre anni di lavoro nella V commissione (deputata al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi) di cui Vincenzo il primo anno è stato il presidente, un anno, l’ultimo, nella VI commissione (deputata a rendere al Ministro della Giustizia i pareri e le proposte ex art 10 legge 24 marzo 1958, n. 195) e tutti e quattro gli anni nella seconda commissione (quella “regolamento”).
Di Vincenzo, fin dal primo momento, colpiva l’empatia, la gentilezza e il garbo della persona, la signorilità con cui entrava in contatto con i suoi interlocutori, dai consiglieri al personale, l’efficacia del suo eloquio colto ma mai spinto a creare distanze e fratture, il sorriso che abbracciava e includeva, anche nei momenti di tensione che quei ruoli di responsabilità inevitabilmente comportavano.
La quotidianità lavorativa vissuta per tre anni nella V commissione è divenuta ben presto condivisione di obiettivi di efficienza ed efficacia dell’azione consiliare essendo entrambi consapevoli, così come gli altri componenti della commissione, che la corretta attuazione della riforma Castelli-Mastella ne era precondizione. L’apporto che l’avv. Vincenzo Siniscalchi ha dato, quale componente laico o, come meglio amava definirsi, “diversamente togato”, è stato particolarmente significativo, cogliendo Lui per primo la scommessa che il passaggio dell’anzianità quale parametro di valutazione a mero requisito di legittimazione avrebbe comportato per la magistratura, che da un lato si portava sulle spalle la responsabilità di non aver nominato Giovanni Falcone dirigente dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo preferendo il più anziano Antonino Mele, dall’altro perché in futuro i magistrati e il Consiglio superiore avrebbero dovuto dimostrarsi in grado di reggere la sfida che sul versante della professionalità la riforma proponeva, ampliando fortemente gli spazi di discrezionalità affidati al Consiglio.
Le prime avvisaglie non erano state positive se si pensa che l’attuazione della temporaneità della funzione direttiva era stata da subito osteggiata dagli stessi magistrati, titolari di incarichi da oltre otto anni, che misero in campo una forte reazione di resistenza all’operato del Consiglio, impugnando tutti i bandi con cui i posti direttivi erano stati prontamente pubblicati, non accettando di doverli concludere.
Senza dimenticare l’apporto al dibattito plenario sempre significativo e puntuale che Vincenzo Siniscalchi forniva, dalle grandi questioni teoriche fino alle nomine concrete per la valenza che esse avevano sul piano dell’amministrazione della giurisdizione, come nella seduta svoltasi a novembre 2008, presieduta dal Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano, in occasione della nomina del Procuratore Generale della Cassazione, in cui Vincenzo Siniscalchi intervenne a sostegno della proposta in favore di Salvatore Senese, risultato soccombente dopo la votazione. Una pagina intensa nonostante l’esito amaro della votazione finale.
Mi sarebbe piaciuto chiedere a Vincenzo Siniscalchi, che nel 2010 scrisse per la Rivista[1] un bilancio dei suoi quattro anni al Consiglio, una riflessione su quanto è accaduto nell’ultimo decennio, su come la magistratura ha interpretato concretamente la riforma, quella su cui ci eravamo spesi nel 2007 credendo nelle sue potenzialità, creando il terreno fertile che ha nutrito gli scandali romani e messo a dura prova la credibilità del Consiglio superiore della magistratura, che ancora oggi non riesce a recuperare l’indispensabile clima di fiducia verso le sue decisioni, con cadute evidenti nel rispetto degli “indicatori”, limite che lo stesso organo si è dato per un corretto esercizio della discrezionalità, e con la sterilizzazione delle conferme quadriennali, perno fondamentale della riforma del 2007.
Sono certa che avrebbe ragionato da spirito libero quale era, senza fare sconti a nessuno e indicando con lucidità gli spazi politici da perseguire per restituire al Consiglio la credibilità necessaria. D’altra parte già nell’articolo scritto per la Rivista alla conclusione dei quattro anni di attività Vincenzo Siniscalchi ricordava «le ombre sinistre della “questione morale” che pure negli ultimi mesi ha investito il Consiglio dovrà essere affrontata con la forza di un organismo che è risorsa insostituibile della Repubblica».
Ne avrebbe ragionato con tutti, laici e togati, senza costruire steccati ma agendo con la determinazione e la trasparenza necessaria, individuando un percorso utile a costruire quel cambio di passo che oggi in tanti auspichiamo.
Forse come me, di fronte alla caduta etica che questi ultimi anni ci hanno restituito, avrebbe ammesso che abbiamo confidato troppo sia nella capacità della magistratura e del Consiglio di resistere alle logiche della «carriera» e delle «nomine per appartenenza» sia in quella dei consiglieri laici di sapersi sottrarre alla spinta volta a favorire il magistrato «gradito».
L’autorevolezza di Vincenzo Siniscalchi è stata evidente soprattutto nel lavoro svolto nella sesta commissione, dove ha potuto mettere a frutto la sua esperienza di avvocato e parlamentare, contribuendo alla stesura dei pareri più importanti presentati per la validazione al Plenum con interventi sempre efficaci e dialetticamente pungenti. Ancora oggi su radio radicale è possibile ascoltare gli interventi a sostegno dei pareri resi in tema d’immigrazione e sicurezza, sul Processo Breve, sul d.d.l. in materia di intercettazioni e, a proposito della imparzialità dei magistrati, sulle candidature dei magistrati agli enti locali.
Ma Vincenzo Siniscalchi era anche un critico cinematografico, amico di tanti attori, anche di teatro. Indimenticabile resta per me la serata, che organizzò quando, con un gruppo di consiglieri, andammo a vedere a Roma uno spettacolo di Gigi Proietti a cui seguì l’incontro con l’attore nel suo camerino personale. Una serata allegra e molto piacevole, che solo Vincenzo poteva proporci per allentare le tensioni che l’attività consiliare quotidianamente creava, rinforzando quei rapporti umani che sono la precondizione per fecondi e rispettosi rapporti professionali, pur nel confronto aspro e combattivo che caratterizza i lavori del Consiglio superiore della magistratura.
Non so se queste poche parole su Vincenzo Siniscalchi, mancato il 12 febbraio 2024, sul suo essere un uomo poliedrico, un avvocato, un giurista, un politico, un critico culturale, sono sufficienti a descriverlo. Tante altre cose sicuramente potrebbero essere aggiunte.
Questi sono solo alcuni dei miei ricordi che mi riportano a quel quadriennio così faticoso ma anche così ricco d’incontri importanti, come è stato quello con l’avvocato Vincenzo M. Siniscalchi, un consigliere «diversamente togato».
Ciao Vincenzo.
[1] Vincenzo Maria Siniscalchi, Quattro anni al CSM: Ri/epilogo, in questa Rivista cartacea, n. 4 del 2010, pp. 25/35, Franco Angeli, Milano.