1.- Uno dei nodi interpretativi più delicati e controversi della riforma in materia di socio lavoratore di cooperativa dettata dalla legge 142/2001, riformata dalla legge 30/2003, riguardava l’intreccio degli aspetti sostanziali e processuali legati alla vicenda esclusione-licenziamento. Ai sensi della discussa riforma (avvenuta per opera dell’art. 9 della l. 30/2003) il rapporto di lavoro del socio di cooperativa si estingue ex lege, automaticamente, con il venir meno del rapporto sociale, a seguito della delibera di esclusione.
Il legislatore del 2003, modificando con l’art. 9 della legge n.30 l’art.5 della legge 142/2001 ha stabilito infatti che “Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto della previsioni statutarie e in conformità agli articoli 2526 e 2527 c.c.” (recte 2532 e 2533 c.c.). Quindi oggi lo scioglimento del vincolo sociale determina automaticamente ope legis l’estinzione del rapporto lavorativo, quale che sia la natura di quest’ultimo (subordinata, parasubordinata, autonoma) e non richiede alcun ulteriore atto risolutivo; nel caso di rapporto di lavoro a carattere subordinato non è necessaria l’intimazione di un licenziamento.
2.- Secondo l’importante ordinanza della Corte di Cassazione n.24917 del 21.11.2014, resa in sede di regolamento di competenza, in caso di esclusione del socio lavoratore di cooperativa ai sensi della legge 142/2001, è il giudice del lavoro che deve farsi carico della causa, secondo il regime di competenza in vigore. E giudicare quindi tanto la lite societaria, tanto quella lavoristica che sono implicate in ogni caso di risoluzione dei due contratti (appunto il contratto sociale e il contratto di lavoro), che pur compongono il complesso rapporto giuridico di cui si tratta, ai sensi della legge 142/2001.
3.- Si tratta di una pronuncia attesa che, adoperando un lessico ed una impostazione sensibile ai valori costituzionali, costruisce una solida risposta su una questione resa incerta da un vero e proprio puzzle normativo (art. 5 legge 142/2001 come riformato dalla legge 30/2003; gli artt. 40 e 409 c.p.c.; l’art. 2 d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. in legge n. 27/2012 ). Un intreccio che secondo i più aveva – pervicacemente - finito per sottrarre dal perimetro di competenza del più naturale giudice del lavoro, ed a beneficio del c.d. tribunale dell’imprese, la cognizione di vicende che di societario hanno il più delle volte poco o niente. E che in ogni caso portano sempre e comunque alla risoluzione del rapporto di lavoro.
4.- La pronuncia attiene ad un caso in cui due soci lavoratori erano stati esclusi dalla cooperativa, oltre che per motivi afferenti alla prestazione mutualistica, anche per un motivo prettamente lavoristico (essendo venuto meno il loro posto di lavoro). Ma le motivazioni attraverso cui i giudici di legittimità pervengono all’attribuzione della causa alla competenza del giudice del lavoro, annullando l’ordinanza declinatoria del giudice di merito, vanno aldilà della vicenda reale in cui si inserisce la risoluzione del rapporto di lavoro nel caso concreto oggetto del giudizio.
5.- Le affermazioni di principio effettuate dalla Corte sono infatti suscettibili di estese applicazioni in ogni ipotesi di esclusione dalla cooperativa che sempre conduce (anche semplicemente ex lege) alla risoluzione comunque dell'ulteriore rapporto di lavoro (secondo l’art.1 comma 3 della legge 142/2001) .
La premessa di questo giusto percorso interpretativo e' che ogni esclusione del socio-lavoratore dalla cooperativa porta sempre con sé un intreccio di questioni sostanziali (la risoluzione dei due rapporti) che si tramuta sul terreno processuale in una connessione di cause per pregiudizialità logica e giuridica. Pertanto anche impugnando soltanto l'unica delibera di esclusione la connessione (per pregiudizialità) tra l’una e l’altra questione conduce alla competenza del giudice del lavoro ex art. 40,3 comma c.p.c. idonea ad incidere su entrambi i rapporti anche soltanto ripristinandone uno (quello associativo).
La prevalenza del giudice del lavoro, secondo la Corte di Cassazione, è un riflesso di valori sostanziali superiori che attraversano il rapporto di lavoro ricostruito nel prisma dei principi desumibili dalla Carta Costituzionale. E che sul terreno processuale consentono di attribuire all’art. 40, 3° comma c.p.c. il valore “di una regola a cui deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire”.
E tale prevalenza opera anche nei riguardi della norma (art. 2 d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. in legge n. 27/2012) che ha disegnato la competenza del c.d. tribunale dell’imprese stabilendo che essa si estenda alle controversie in materia di rapporti societari e cause connesse.
6.- L’ampiezza dei principi posti dalla Corte a fondamento della pronuncia consente anzi di formulare ulteriori implicazioni che attengono al rapporto tra questioni societarie e questioni di lavoro in generale, e che vanno oltre la speciale questione della lite relativa alla risoluzione del rapporto del socio lavoratore di cooperativa. Implicazioni doverose, che si impongono tutte le volte in cui esista una connessione qualificata tra domande societarie e domande lavoristiche. In tutti questi casi la palla passa di nuovo ai giudici del lavoro secondo questa giusta soluzione della Cassazione che da alla regola della prevalenza del giudice del lavoro di cui all'art.40c.p.c.il valore di un principio generale, non derogabile dalla legge sul tribunale dell'imprese, di cui anzi costituisce “limite di competenza” .