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L’impatto della messa alla prova e del processo in absentia sui processi in corso e, in particolare, sul giudizio di appello

di Simone Perelli
consigliere Corte di Appello Torino
L’impatto della messa alla prova e del processo in absentia sui processi in corso e, in particolare, sul giudizio di appello

§1. Dal 17 maggio, con l’entrata in vigore della legge n. 67 del 28-4-2014, gli interpreti sono chiamati a fornire indicazioni operative sull’applicazione dei nuovi istituti della messa alla prova e del processo in assenza ai processi in corso.

Si tratta di attività delicata che rischia di gettare nel caos il nostro - già gravemente instabile - sistema processuale penale.

Ciò dipende, è bene dirlo subito, dalla presbiopia del nostro legislatore, il quale, preoccupato di dover guardare lontano, ha del tutto trascurato di soffermarsi  su ciò che gli è  vicino.

E ciò che gli è vicino sono le decine di migliaia di processi pendenti che, dal 17 maggio, continuano a celebrarsi, ripartendo dal punto cui sono giunti.

Infatti, in mancanza di norme di diritto intertemporale, come si deve regolare il  giudice di merito che si trova a celebrare un processo che ha già superato la fase processuale indicata dal secondo comma del nuovo art. 464 bis c.p.p., entro la quale può essere formulata, a pena di decadenza, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova?

Può fare finta di nulla, trincerandosi dietro il comodo brocardo del tempus regit actum e proseguire come se quelle norme non fossero mai state introdotte per i processi pendenti nella fase successiva alla formulazione delle conclusioni all’udienza preliminare o (per i processi a citazione diretta) alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado?

O non deve, invece, attesa la portata sostanziale della modifica, che prevede una nuova causa di estinzione del reato inserita nel codice penale e disciplinata agli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater c.p., ritenere ammissibile la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova anche dopo la formulazione delle conclusioni dell’udienza preliminare ovvero la dichiarazione di apertura del dibattimento nel processo a citazione diretta?

Già si è detto che a favore dell’interpretazione estensiva militano argomenti di tipo sostanziale che non possono essere obliterati anche a costo di far storcere il naso ai nostri processualpenalisti ortodossi (peraltro sempre più in crisi a causa delle numerose brecce che la giurisprudenza CEDU è riuscita ad aprire nella geometria del nostro sistema processuale, erodendo finanche la granitica certezza del giudicato, come testimoniano – con sempre maggiore frequenza – le recenti sentenze della Corte di Cassazione: per tutte si veda, da ultimo, le S.U. penali con la sentenza 24-10-13, dep. il 7-5-14 n. 18821, ric. Ercolano).

Ma, una volta ritenuto che il momento indicato dal legislatore come termine ultimo entro il quale formulare la richiesta, non può rappresentare una linea di confine invalicabile per la richiesta della messa alla prova nei processi che, alla data del 17-5-2014, già si trovavano in una fase processuale successiva, nessuna valida ragione può essere opposta alla definizione del processo con messa alla prova  per i giudizi pendenti nella fase di appello.

Dunque, anche nel caso in cui già vi sia stata una sentenza non definitiva di condanna con eventuali statuizioni a favore della parte civile.

In altri termini, non pare per nulla eccentrico ammettere che, alla prima udienza, l’imputato appellante possa formulare richiesta di sospensione del processo con messa alla prova.

D’altra parte, mutatis mutandis, è pacifico in giurisprudenza che l’imputato di guida in stato di ebbrezza possa chiedere l’applicazione del lavoro di p.u. in appello, anche quando la condotta di reato sia stata commessa in epoca anteriore alla modifica normativa che ha introdotto il lavoro di p.u. e pur dopo il giudizio di primo grado che quella sanzione non ha disposto (in ipotesi perché non ancora esistente: sul punto; ex multis vds. C.Cass. sez. IV pen. sent. n.37742 del 28-5-13 RV 256208).

Pertanto, ad avviso di chi scrive, nel periodo transitorio, il giudice di appello, di fronte a una richiesta dell’imputato di sospensione del processo con messa alla prova, non potrebbe esimersi dal dare  applicazione agli artt. 168 bister e quater c.p. attraverso una applicazione, analogica,  degli artt. 464 bisquater, quinquies, septies, octies, novies c.p.p. (eccezion fatta per le disposizioni assolutamente incompatibili con il giudizio di appello).

D’altra parte, ritenere il contrario rischia di dare ingresso a una irragionevole disparità di trattamento tra gli imputati il cui processo risulta pendente in primo grado nella fase anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento, che possono avvalersi di questo nuovo istituto, e gli imputati il cui processo si trova in una fase più avanzata.

Né l’investitura della Corte Costituzionale pare essere l’unica via di uscita, in quanto l’interpretazione che qui si suggerisce, siccome orientata sia costituzionalmente sia convenzionalmente, non rende necessario l’incidente di legittimità costituzionale.

§2. Ma, come accennato, la fase transitoria pone problemi ancora più complessi per il processo in absentia.

La mancanza di una disciplina di diritto intertemporale apre differenti scenari e altrettante soluzioni.

Oltre tutto, la precarietà delle opzioni ermeneutiche rischia di far camminare i processi pendenti su piedi di argilla, con il pericolo di destinarli a un epilogo rovinoso. 

Ma procediamo con ordine.

E’ pacifico che dal 17 maggio 2014 è sparito dal nostro orizzonte processuale penale il processo in contumacia, che tanto imbarazzo ha procurato (per lo più immeritatamente) al nostro sistema in ambito sovrannazionale.

Il suo posto è stato preso dal processo in assenza.

Da un rapido confronto tra il nuovo e il vecchio art. 420 bis del codice di rito è agevole concludere che, nonostante alcuni punti in comune, il processo in assenza implica, quale tratto caratteristico qualificante, la certezza, da parte del giudice, che l’imputato sia a conoscenza del procedimento, ovvero si sia volontariamente sottratto alla conoscenza dello stesso o di atti del medesimo.

In un’ottica finalizzata a favorire la certezza processuale, il legislatore prevede alcuni casi nei quali la conoscenza del procedimento è presunta: quando l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio, quando sia stato arrestato, fermato, sottoposto a misura cautelare, quando abbia nominato un difensore di fiducia ovvero abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza (cfr. il “nuovo” art. 420 bis comma 2 c.p.p.).

Non interessa in questa sede indugiare sull’interpretazione - più o meno rigorosa - di queste presunzioni, problematica che già affanna alcuni interpreti. Una cosa però mi pare chiara: la ratio della modifica normativa è quella di  favorire la celebrazione del processo nei confronti di un imputato consapevole dell’esistenza del processo a suo carico e, conseguentemente, nella condizione di difendersi nel modo in cui ritiene più opportuno (ivi compreso quello di rinunziare a parteciparvi ovvero di rimanere assente).

Qualora non ricorrano i presupposti per procedere in absentia, il nuovo articolo 420 quater c.p.p. prevede la sospensione del processo, dopo un ulteriore tentativo di notifica dell’avviso “personalmente ad opera della polizia giudiziaria” (post fata resurgo: dopo un crescente ostracismo, come l’araba fenice, ritornano le notifiche a mezzo P.g.).

Ciò premesso, per il processo in appello il nuovo comma 5 bis dell’art. 604 c.p.p.  così recita: <>.

Orbene, nulla quaestio per i processi celebrati in primo grado con l’applicazione delle nuove norme; ma che ne è dei processi pendenti nella fase di appello il cui primo grado di giudizio si è celebrato con applicazione delle norme sul processo in contumacia con imputato irreperibile?

Più esattamente, nessun problema si pone qualora dagli atti del processo emerga, con certezza, che il giudizio contumaciale di primo grado si è celebrato nei confronti di un imputato che era a conoscenza del procedimento, o che si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.

Ma che ne è dei processi nei quali tale certezza non è dato evincere o, peggio ancora, nei quali vi è la certezza che l’imputato non era a conoscenza del processo, in ipotesi, perché irreperibile e notificato presso il difensore d’ufficio?

In mancanza di norme di diritto intertemporale si possono profilare diverse opzioni interpretative.

Una interpretazione (quella più rigorosa) porta ad affermare che, in virtù del tempus regit acutum (consacrato nell’art.11 preleggi), essendosi celebrato il giudizio di primo grado nel pieno rispetto delle norme processuali che lo regolavano, la sentenza pronunziata al termine di quel giudizio mai potrebbe essere dichiarata nulla dal giudice di appello, in conformità al “nuovo” art. 604, comma 5 bis c.p.p., pacificamente relativo ai processi di primo grado celebrati nella vigenza delle nuove norme sul processo in absentia.

Come è noto, al fine di stabilire i limiti temporali della normativa sopravvenuta, due sono i canoni da seguire: da un lato, la non retroattività della nuova legge processuale, sicché gli atti compiuti mantengono la propria efficacia anche sotto l'impero di una diversa legge processuale; e, dall'altro, l'efficacia immediata della novella, di talché tutti gli atti successivi rispetto all'entrata in vigore della nuova norma devono essere compiuti secondo i presupposti richiesti dalla modifica normativa.

Nondimeno, la difficoltà è correlata alla esatta individuazione dell’ “actum” e del “tempus” cui fare riferimento.

Secondo i principi fissati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione occorre distinguere tra gli atti a struttura monofasica e gli atti a struttura plurifasica.

Invero, non tutti gli atti processuali hanno un procedimento formativo che si esaurisce contestualmente al loro compimento. Alcuni hanno una struttura plurifasica, il cui iter formativo è destinato a protrarsi nel tempo e nel quale ogni sequenza è legata alla successiva da uno stretto vincolo di interconnessione strumentale e funzionale.

L’esatta individuazione del "tempus" e dell’ "actum" è agevole  quando si tratta di fattispecie che si esaurisce "uno actu" ed "uno tempore" (es. un'impugnazione proposta oltre il termine stabilito dalla legge che regge l’atto è inammissibile anche se quel termine, ormai scaduto, è stato ampliato da una legge sopravvenuta).

Non altrettanto è a dirsi, invece, per l’atto o l'attività a struttura plurifasica, nella quale il vincolo di interconnessione strumentale e funzionale che avvince una fase all'altra, oltre a snodarsi nel tempo, si compendia nel risultato finale che ciascuna fase, e tutte nel loro insieme, concorrono finalisticamente a produrre.

Come si legge nella Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (redattori Piccirillo e Silvestri), in tali casi, ove la regola del “tempus regit actum” sia riferibile ad un segmento di attività da compiersi dopo l’entrata in vigore della nuova legge, con tale realtà ci si dovrà misurare (così, testualmente, fra le altre: Sez. Un., sent. n. 10086 del 13 luglio 1998 (dep. 24 settembre 1998) Citaristi, Rv. 211192 e, soprattutto, in motivazione; in senso conforme, Sez. Un., sent. n. 4265 del 25 febbraio 1998 (dep. 7 aprile 1998), Gerina, Rv. 210199).

Di recente le S.U. della Corte di Cassazione sono tornate sull’argomento affermando (sent. n. 27919 del 31 marzo 2011, dep. 14 luglio 2011, P.M. in proc. Ambrogio, Rv. 250195 e in motivazione):  “non è in discussione il canone tempus regit actum (…) anzi, la vitalità del principio deve essere ribadita ed ulteriormente esplicitata.  L'antica regola costituisce la traduzione condensata dell'art. 11 delle preleggi. Essa enuncia che la nuova norma disciplina il processo dal momento della sua entrata in vigore; che gli atti compiuti nel vigore della legge previgente restano validi; che la nuova disciplina, quindi, non ha effetto retroattivo (,,,). Di solito non emergono questioni problematiche quando l'atto si compie e si esaurisce istantaneamente. I problemi possono più facilmente insorgere, invece, quando il compimento dell'atto, o lo spatium deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendono nel tempo: un tempo durante il quale la norma regolatrice muta. Basti pensare alle norme sulla competenza, sulle impugnazioni, sulla disciplina delle prove, sulle misure cautelari, appunto. In taluni casi, alle tradizionali logiche di carattere tecnico-formale si sovrappongono tematiche valoriali, assiologiche (…).

In breve, si pongono problemi diversi l'uno dall'altro, ben presenti nell'esperienza giuridica, rispetto ai quali la logica atomistica (un atto, una norma) può in alcuni casi risultare di difficile applicazione o apparire insufficiente, inappagante. I problemi in questione, sebbene rinvengano una comune, vaga matrice nel susseguirsi di norme differenti entro un medesimo campo d'azione, presentano solitamente tratti distintivi irriducibili in relazione ai diversi istituti.

Dunque, piuttosto che cercare soluzioni di carattere generale, conviene considerare che il superamento di alcuni problemi può essere favorito da una attenta disamina della complessiva disciplina legale della materia cui ci si interessa e dall'individuazione del concreto, reale ruolo che la nuova norma è chiamata a svolgervi alla luce delle diverse possibili soluzioni dei problemi di diritto intertemporale..” .

Dunque, applicando i principi appena indicati e cercando di tirare le fila del discorso senza alcuna pretesa di esaustività, paiono prospettabili due differenti soluzioni.

Si può ritenere che la verifica della regolare costituzione delle parti, che si conclude con la eventuale dichiarazione di contumacia dell’imputato, sia un’attività che si compie e si  esaurisce istantaneamente.

Potrebbe quindi ritenersi che la verifica, da parte del giudice di primo grado, della regolarità della costituzione delle parti è un’attività che si è compiuta ed esaurita nel momento processuale nel quale, quel giudice, ha dichiarato (eventualmente) la contumacia dell’imputato.

A questa stregua dovrebbero ritenersi non applicabili le nuove norme ai processi pendenti per i quali la verifica della regolare costituzione delle parti sia già stata compiuta e la dichiarazione di contumacia sia già stata emessa.

Ma come deve regolarsi il giudice di appello nella celebrazione di quei processi?

Può continuare a celebrare il giudizio di appello in absentia nei confronti dell’imputato irreperibile (o dell’imputato nei confronti del quale il giudizio contumaciale di primo grado si è celebrato senza la prova della conoscenza del procedimento) notificato, in ipotesi, presso il difensore d’Ufficio?

Pare arduo sostenere, in via interpretativa, che, a parte l’accortezza di non dichiarare la contumacia dell’imputato e procedere alla celebrazione del processo di appello in absentia, il processo possa essere celebrato come se nessuna modifica normativa fosse intervenuta.

Non a caso, tra alcuni interpreti, si è affacciata la tesi di dare applicazione – anche nel giudizio di appello – ai nuovi artt. 420 quater e 420 quinquies  c.p.p., giungendo a ipotizzare la sospensione del processo – anche – in appello.

Ma questa soluzione, pur facendosi meritoriamente carico dell’esigenza di non celebrare il giudizio di secondo grado nei confronti di un imputato che non ha avuto conoscenza del processo, pone non piccoli problemi di ordine sistematico.

Paradossalmente, l’incompatibilità di queste norme con il giudizio di appello risulta conclamata nei casi in cui l’ordinanza di sospensione debba essere revocata ai sensi dell’art. 420 quinquies, 2° comma c.p.p.

Infatti, nei casi in cui il processo debba riprendere il suo corso, l’ultimo comma della norma citata prevede, tra l’altro, che l’imputato possa formulare richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento.

Ma è evidente che questa richiesta  è coerente e ammissibile solamente nel giudizio di primo grado, nel quale non è stata ancora pronunziata una sentenza, mentre non può ritenersi ammissibile nel giudizio di appello chiamato a confrontarsi con una sentenza di primo grado già validamente pronunziata (a meno di giungere ad affermare che il giudice di appello può addivenire, in via interpretativa, a riformare la sentenza di primo grado, in ipotesi, mediante applicazione di pena concordata tra imputato e P.G.).

Si potrebbe allora sostenere che le nuove norme relative al processo in absentia, dettate per il primo grado di giudizio, possano applicarsi al giudizio di appello in quanto compatibili e, conseguentemente, che l’ultimo comma dell’art. 420 quinquies c.p.p., non essendo compatibile con il giudizio di appello, non possa essere applicato senza per questo far venir meno l’applicazione della restante disciplina.

Ma, a ben vedere, questa opzione finisce per autorizzare – nel periodo transitorio – la celebrazione di un giudizio meno garantito di quello contumaciale celebrato sino al 16-5-2014.

Invero, l’art.11 comma 2 della legge 67/14 ha abrogato il comma 4 dell’art. 603 c.p.p., sicché oggi non è (più) possibile disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando l’imputato irreperibile, contumace in primo grado, compaia per il giudizio di appello.

Dunque, non potendosi più applicare una norma appena abrogata, per una sorta di eterogenesi dei fini, si finisce per celebrare un giudizio di appello – nei confronti dell’irreperibile già contumace – meno “equo” di quello vigente prima dell’entrata in vigore della novella.

In definitiva, pur nella consapevolezza dell’impossibilità di giungere alla cd. quadratura del cerchio, mi pare che la soluzione più coerente con il sistema e rispettosa della ratio della novella sia quella di dare immediata applicazione all’art. 604 comma 5 bis c.p.p. e, quindi, di dichiarare la nullità della sentenza e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado, nei casi in cui si sia celebrato il processo a carico di irreperibile che, secondo le nuove norme, avrebbe richiesto la sospensione del processo.

Si badi, non si tratta di interpretazione necessariamente in conflitto con l’art. 11 delle preleggi.

Infatti, come adombra Pietro Silvestri nella relazione dell’Ufficio del Massimario (cit.), si potrebbe sostenere che, se è vero che la fase della costituzione delle parti si esaurisce con la eventuale dichiarazione di contumacia, è altrettanto vero che la situazione è sì perfezionata, ma non anche consolidata, nel senso che gli effetti dell’atto non si consumano in un singolo momento, ma si producono nel corso dell’intero processo.

Si tratta di una opzione interpretativa in cui, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte, “alle tradizionali logiche di carattere tecnico-formale si sovrappongono tematiche valoriali, assiologiche….” (cosi, Sez. Un., sent. n. 27919 del 31 marzo 2011, dep. 14 luglio 2011, P.M. in proc. Ambrogio, Rv. 250195, di cui già si è detto).

Potrebbe peraltro sostenersi che una tale interpretazione sarebbe costituzionalmente e convenzionalmente orientata, immediatamente attuativa delle esigenze e delle finalità sottese alla nuova normativa.

§3. Mentre scrivo queste minime considerazioni, la piazza virtuale mi informa che è stata presentata (d’iniziativa dei deputati Ermini e Ferranti) una proposta di legge destinata a dettare una norma transitoria per il capo III della legge 28-4-2014 n. 67.

Questa proposta di legge prevede l’introduzione dell’art. 15 bis, secondo il quale le nuove norme del processo in absentia si applicano anche ai procedimenti in corso, a condizione che nei medesimi non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado.

E’ poi prevista, al secondo comma, una eccezione a questa regola, destinata a conferire ultrattività al processo contumaciale nei confronti dell’imputato contumace non irreperibile.

Secondo questa proposta di legge la norma reciterebbe così:

<< art. 15 bis (Norme transitorie).

  1. 1.  Le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado.
  2.  In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità>>.

Pur trattandosi di procedimento legislativo ancora allo stadio embrionale, è comunque positivo il fatto che nelle aule parlamentari si sia presa coscienza del problema e si cerchi (ancorché tardivamente) di porvi rimedio.

Se tale proposta di legge dovesse essere approvata dal Parlamento, non vi è dubbio che verrebbe definitivamente sancita - addirittura in via normativa -  la validità della prima opzione interpretativa di cui ho cercato di dar conto.

Dunque, le nuove norme sul processo in assenza si applicherebbero soltanto ai processi nei quali ancora non sia stata dichiarata la contumacia dell’imputato o, in caso di imputato (anche) irreperibile, nei procedimenti nei quali ancora non sia stata pronunziata la sentenza di primo grado.

In tutti gli altri casi (stando al secondo comma dell’art. 15 bis) “le disposizioni vigenti prima della entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai processi in corso…”.

A parte l’anomalia di far rivivere, con l’entrata in vigore della legge in gestazione, norme già abrogate (infatti dal 17 maggio scorso, data di entrata in vigore della legge n. 67, quelle norme sono state abrogate, sicché vi è il rischio di aprire una finestra temporale nella quale le vecchie regole non sono più applicate, in quanto abrogate, nella quale si dà applicazione alle nuove norme, per poi tornare ad applicare vecchie norme fatte rivivere dalla legge in gestazione), nell’attesa di una disciplina normativa - che si auspica possa sopraggiungere velocemente  -  l’unico  suggerimento operativo che mi sentirei di fornire a chi deve formare i ruoli di udienza dei processi in appello sia quello di prendere tempo e di postergare i processi a carico dei soggetti contumaci-irreperibili in attesa di momenti meno confusi.   

 

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LEGGI ANCHE: Raffaello Magi, Quale regime transitorio per le modifiche in tema di contumacia e irreperibilità? 

 

20/05/2014
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