1. Il tema del “dialogo tra le Corti”, cioè dei rapporti tra le Corti nazionali (Corte costituzionale, Corte di cassazione) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), è tornato di grande attualità nel dibattito tra gli studiosi e gli operatori a seguito della pronuncia della Corte costituzionale[1] sulla questione di legittimità costituzionale concernente la confisca urbanistica e la sua asserita applicabilità in assenza di condanna.
2. Com’è noto, la confisca in esame è contemplata dall’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, che stabilisce: “La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite”.
Secondo il tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, la confisca in esame ha natura di sanzione amministrativa reale e il giudice penale è tenuto a disporla anche quando debba dichiarare prescritto il reato di lottizzazione abusiva, assumendo come requisito sufficiente l’accertamento della mera materialità dell’illecito, ossia dell’oggettiva abusività del manufatto edilizio (con la sola eccezione, dunque, dell’ipotesi di assoluzione per insussistenza del fatto).
Tale indirizzo ermeneutico entra in crisi a partire dalla sentenza Sud Fondi contro Italia[2], con la quale la Corte EDU ha riconosciuto la natura di pena ai sensi dell’art. 7 della Convenzione alla confisca urbanistica in esame; su tale presupposto, la Corte EDU ha affermato che per disporre la confisca urbanistica – così come ogni confisca e sanzione “intrinsecamente punitiva” – è indispensabile la formulazione di un giudizio di colpevolezza, ovvero la necessità di un’imputazione soggettiva (dolosa o colposa) del fatto.
La Corte di cassazione non resta insensibile alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo: si assiste, infatti, ad una progressiva evoluzione del diritto vivente interno, nel senso di continuare ad ammettere la confisca anche in assenza di una sentenza di condanna del soggetto proprietario della res, ma a condizione che venga comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (oggettivo e soggettivo)[3].
Dunque, dopo la sentenza Sud Fondi, la Corte di cassazione prova a “dialogare” con la Corte EDU, invertendo la rotta rispetto alla sua ventennale giurisprudenza mediante una interpretazione dell’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, diretta a salvaguardare il principio di personalità della responsabilità penale.
Ma nella successiva sentenza Varvara contro Italia[4], la seconda sezione della Corte EDU estende l’orientamento manifestato con la sentenza Sud Fondi, giungendo a ritenere non conforme alla Convenzione anche l’applicazione della confisca urbanistica mediante una sentenza che dichiari estinto il reato per prescrizione. Se la confisca è una pena, allora la sua applicazione presupporrà necessariamente una formale dichiarazione di responsabilità a carico del suo autore, e dunque una sua condanna.
Questa decisione della Corte EDU prende in contropiede la Corte di cassazione, che a questo punto non può più glissare sulla differente collocazione, nella gerarchia dei valori, che la Convenzione, come interpretata dalla Corte EDU, e la Costituzione, danno al diritto di proprietà.
La Corte EDU riconosce il diritto di proprietà privata come un diritto fondamentale ed assoluto, la Costituzione, invece, riconosce il diritto di proprietà privata non come valore assoluto ma che esiste secondo la previsione della legge. La legge, infatti, al fine di assicurarne la funzione sociale, potrebbe anche comprimerla, riducendola ad un nucleo essenziale.
Di qui, il ricorso della Cassazione alla Corte costituzionale.
3. In realtà, le questioni di legittimità costituzionale proposte all’attenzione della Consulta sono due. L’una, sollevata dalla terza sezione penale della Corte di cassazione, basata sull’asserita illegittimità dell’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte EDU, tale disposizione “non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi”. In sostanza, la Cassazione parte dal presupposto secondo il quale l’interpretazione seguita dalla Corte di Strasburgo avrebbe modificato il contenuto della norma interna, travolgendo il diritto vivente che si era formato su di essa.
Tale rilettura ermeneutica dell’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, imposta dalle decisioni della Corte EDU, si pone in contrasto con le norme costituzionali di salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente e della salute, privilegiando rispetto ai predetti valori la tutela del diritto di proprietà, che la nostra Costituzione riconosce soltanto nei limiti della sua “funzione sociale”.
Dunque, la Cassazione chiede alla Corte costituzionale di opporsi alla penetrazione del diritto di Strasburgo nel nostro ordinamento, in nome della salvaguardia di principi e valori costituzionali prevalenti rispetto all’obbligo, previsto dall’art. 117, 1° co., Cost., di osservanza dei vincoli sovranazionali discendenti dall’adesione dell’Italia alla CEDU.
La seconda questione di legittimità (in ordine cronologico) è stata proposta dal Tribunale di Teramo, muovendo da una prospettiva esattamente contraria a quella della Cassazione, quella cioè di adeguare la legge italiana alle decisioni della Corte EDU. In particolare, il giudice italiano di merito dubita della legittimità costituzionale dell’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, nell’estensione assegnatagli dal diritto nazionale vivente, per contrasto con l’art. 117, 1° co., Cost., in relazione all’art. 7 CEDU (così come interpretato dalla sentenza Varvara), nella parte in cui consente che l’accertamento della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, quale presupposto dell’obbligo per il giudice penale di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, possa essere contenuto anche in una sentenza che dichiari estinto il reato per prescrizione.
4. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili entrambe le questioni.
La decisione, però, è ricca di indicazioni interpretative sia sul rapporto tra diritto nazionale e diritto di Strasburgo, che sulla specifica materia della confisca urbanistica senza condanna.
In via di estrema sintesi, va segnalato come in relazione al primo aspetto la sentenza n. 49 del 2015 abbia introdotto un elemento di novità che pone a carico del giudice nazionale un compito particolarmente ostico.
Più precisamente, dopo aver ribadito in linea di principio l’obbligo per il giudice interno di interpretazione conforme al diritto della CEDU, obbligo che assume come punto di riferimento le norme della Convenzione così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, la Corte costituzionale si sofferma sui rischi di un uso arbitrario e selettivo dei precedenti, fornendo indicazioni all’interprete per gestire correttamente la giurisprudenza di Strasburgo.
La chiave di volta è rappresentata dalla distinzione tra la “giurisprudenza consolidata” della Corte EDU, e singole pronunce ancora isolate, o comunque espressive di un orientamento non univoco ed incontrastato. Nei confronti di queste ultime, osserva la Consulta, il giudice nazionale non è tenuto ad interpretare la legge italiana in conformità al principio di diritto affermato dalla Corte di Strasburgo.
Dunque, si attribuisce al giudice interno il difficile compito di scandagliare le decisioni della Corte EDU alla ricerca di una “giurisprudenza consolidata”, che sola sarebbe vincolante per l’interprete italiano[5].
Le conseguenze di tale affermazione sono presto individuate.
Il giudice interno che condivide un principio affermato dalla Corte EDU in una pronuncia isolata o, comunque, disatteso in altre decisioni, conserva la possibilità di accedere ad una interpretazione della norma italiana conforme a tale pronuncia, ma non è vincolato dalla stessa[6].
Ove il giudice nazionale ravvisi un contrasto non risolvibile in via ermeneutica tra la norma interna e il principio giurisprudenziale europeo in attesa di consolidamento (come accaduto al Tribunale di Teramo nell’interpretazione della norma sulla confisca urbanistica), non potrà impugnare la prima innanzi alla Corte costituzionale in forza dell’art. 117, 1° co., Cost., poiché la norma interposta (ovvero, il diritto della Convenzione per come vive nella giurisprudenza europea) non si è ancora consolidata.
A maggior ragione, di fronte ad una giurisprudenza europea non consolidata, il giudice interno che sospetti l’incompatibilità dei principi enunciati dalla Corte EDU con la Costituzione italiana (come accaduto alla terza sezione penale della Cassazione), non deve sollevare la questione di legittimità costituzionale: non essendo qui tenuto ad un’interpretazione conforme alla giurisprudenza europea, egli dovrebbe attenersi al canone dell’interpretazione conforme a Costituzione, che comunque prevale su quello dell’interpretazione conforme alla Convenzione.
5. La situazione cambia completamente in caso di contrasto tra il diritto interno e la giurisprudenza consolidata di Strasburgo.
Posto in tal caso il vincolo per i giudici nazionali ad un’interpretazione della norma interna conforme al diritto consolidato della Corte EDU, nel caso di antinomia non superabile in via interpretativa, il giudice dovrà sottoporre la questione di legittimità della norma medesima – ai sensi dell’art. 117, 1° co., Cost. - alla Corte costituzionale, la quale dovrà per l’appunto – verificata la sussistenza dell’antinomia – espungere la norma dall’ordinamento con effetto erga omes.
Ove invece si verifichi il caso (raro) in cui la norma della CEDU, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, si ponga essa stessa in contrasto con la Costituzione, il giudice interno impugnerà per illegittimità costituzionale la legge di adattamento della Convenzione (legge 4 agosto 1955, n. 848), nella parte in cui consente l’ingresso nell’ordinamento di una norma, appunto, incostituzionale[7].
6. Riguardo al tema specifico della confisca urbanistica, la Corte costituzionale non ritiene di inquadrare nella nozione di giurisprudenza consolidata il principio di diritto enunciato nella sentenza Varvara.
In via di estrema sintesi, secondo la Consulta per poter disporre legittimamente la confisca urbanistica, avente natura intrinseca di pena ai sensi dell’art. 7 della CEDU, è necessario il pronunciamento di un giudice che abbia “sostanza” di condanna; in altri termini, la confisca è compatibile con un esito processuale diverso dalla condanna in senso formale, purché il provvedimento definitorio contenga un accertamento incidentale delle condizioni necessarie per applicare una pena, cioè un accertamento della colpevolezza (e quindi della responsabilità) del soggetto.
È questo, ad avviso della Corte costituzionale, il profilo che interessa al giudice europeo.
In realtà, il ragionamento seguito dalla Consulta non sembra tener conto di un altro aspetto della questione sul quale la Corte EDU appare particolarmente sensibile, consistente nella considerazione che in assenza di una condanna in senso “formale” persiste e va garantita la presunzione di innocenza di cui all’art. 6, 2° co., CEDU.
In mancanza di una decisione di condanna, la giurisprudenza della Corte EDU sembra propendere per l’orientamento garantista che mira a salvaguardare il soggetto prosciolto da qualsiasi conseguenza negativa che possa fargli residuare un’ombra di colpevolezza[8].
Dunque, l’applicazione della confisca urbanistica in base all’indirizzo avallato dalla Corte costituzionale, pur presentando indubbi aspetti di garanzia in punto di accertamento della effettiva colpevolezza del reo, finirebbe per profilare un contrasto ancora più marcato con la presunzione di innocenza, che permane intatta – nell’impostazione della Corte EDU – a seguito della decisione di proscioglimento; e che risulterebbe seriamente compromessa da una decisione che accerta il reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (oggettivo e soggettivo), pur senza concretizzarsi in una condanna formale.
7. Occorre a questo punto chiedersi se, allo stato, la confisca urbanistica possa essere ancora disposta mediante una sentenza che dichiari estinto il reato per prescrizione.
La risposta è indubbiamente positiva perché il giudice interno non è tenuto ad interpretare l’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, in modo conforme al principio di diritto affermato nella sentenza Varvara.
Nondimeno, la legittima applicazione della confisca urbanistica presuppone un accertamento della colpevolezza dell’imputato secondo lo standard probatorio richiesto per la sua condanna (ossia “al di là di ogni ragionevole dubbio”), e in grado di essere compiutamente vagliato nella sua fondatezza e coerenza logica nei successivi gradi di giudizio.
Inoltre, il rispetto delle garanzie del “giusto processo” dovrebbe imporre che tale accertamento avvenga nella pienezza del contraddittorio tra le parti.
Sul piano processuale, si pone il problema circa l’incompatibilità del giudizio di colpevolezza e della necessaria attività istruttoria su cui lo stesso si basa rispetto all’obbligo di immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
In particolare, non è chiaro se l’ordinamento processuale penale, a fronte di quest’ultimo obbligo, imponga ai fini della confisca solo l’approfondita valutazione del materiale probatorio fino a quel punto acquisito, ovvero consenta al giudice di esercitare ulteriori poteri istruttori, ad esempio, assumendo le testimonianze indicate dalle parti, o persino esercitando i poteri di iniziativa probatoria d’ufficio di cui all’art. 507 c.p.p.[9]
Nella giurisprudenza di legittimità si registra un indirizzo ermeneutico che farebbe propendere per la soluzione positiva, poiché si è ripetutamente affermato che in caso di estinzione del reato il giudice dispone di poteri di accertamento del fatto-reato al fine di ordinare la confisca delle cose confiscabili[10].
Ovviamente, l’accertamento incidentale finalizzato all’applicazione della confisca presuppone che la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva sopraggiunga dopo l’esercizio dell’azione penale, poiché solo nella fase processuale è assicurata la piena partecipazione all’accertamento del destinatario della misura ablativa nel rispetto delle garanzie del “giusto processo”[11].
Viceversa, se il reato di lottizzazione abusiva si prescrive prima dell’esercizio dell’azione penale, è escluso che l’autorità giudiziaria possa disporre legittimamente la confisca di cui all’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001.
8. In conclusione, dal confronto ermeneutico dei giudici nazionali con la Corte EDU sul tema della confisca urbanistica senza condanna sembra derivare una situazione di incertezza sul livello di protezione dei diritti e dei valori fondamentali coinvolti.
Si è visto, infatti, come la sentenza della Corte costituzionale abbia sostanzialmente lasciato ai giudici nazionali il compito di decidere se accedere o meno ad una lettura convenzionalmente orientata dell’art. 44, 2° co., d.p.r. n. 380/2001, secondo il principio di diritto affermato nella sentenza Varvara.
Il che lascia intravedere, in presenza di una dichiarazione di prescrizione della lottizzazione abusiva, una futura giurisprudenza domestica non lineare, oscillante tra interpretazioni difformi dalla sentenza Varvara, dirette a privilegiare la tutela di beni di rango costituzionale quali quelli sottesi alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, dell’ordinato assetto del territorio, ed interpretazioni conformi alle indicazioni della Corte EDU, che privilegiano l’esigenza di tutela effettiva e concreta della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, 2° co., CEDU, quantomeno allo scopo di evitare una pronuncia che, con ogni probabilità, sarà in seguito destinata ad essere censurata a Strasburgo.
Tutto ciò ovviamente a scapito di uno stabile assetto interpretativo idoneo a garantire la certezza del diritto.
[1] Corte cost., sent., 26 marzo 2015, n. 49.
[2] Corte e.d.u., 20 gennaio 2009, Sud Fondi e altri c. Italia.
[3] Cass., Sez. III, 13 luglio 2009, n. 39078, in CED Cass., n. 245347; conf. Cass., Sez. III, 4 febbraio 2013, n. 17066, in CED Cass., n. 255112;
[4] Corte e.d.u., 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, in Cass. pen., 2014, 1392.
[5] La Consulta non enumera indicatori che possano consentire al giudice ordinario di comprendere quando ci si trovi dinnanzi ad una “giurisprudenza consolidata”. Nondimeno, richiama una serie di indici che possono orientare il giudice italiano nel suo percorso di discernimento, nel senso di escludere l’obbligo da parte dello stesso di condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU per decidere il caso concreto: la creatività del principio affermato rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo o persino di contrasto nei confronti di altre pronunce della Corte EDU; la ricorrenza di opinioni dissenzienti; la circostanza che la decisione promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano.
[6] F. Viganò, La consulta e la tela di Penelope, in www.penalecontemporaneo.it
[7] F. Viganò, La consulta e la tela di Penelope, cit.
[8] V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it
[9] Sembra propenso ad ammettere tale possibilità M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, Cedu e diritto vivente, in www.penalecontemporaneo.it
[10] Cass., Sez. II, 25 maggio 2010, n. 32273, in CED Cass., n. 248409; conf. Cass., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, in CED Cass., n. 251195; Cass., Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, in CED Cass., n. 254077; Cass., Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 31957, in CED Cass., n. 255596.
[11] Cfr. V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, cit., secondo il quale la tutela dei terzi acquirenti dei beni lottizzati impone, ai fini della legittimità della misura ablativa, non il mero accertamento negativo della insussistenza di elementi da cui possa escludersi lo stato di buona fede, bensì la prova positiva della loro responsabilità.
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