SOMMARIO
1 SEQUESTRABILITA’ DELLA PARTECIPAZIONE SOCIETARIA
1.1 L’evoluzione giurisprudenziale.
1.2 La modifica del quadro normativo.
1.2.1 Le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.
1.2.2 Le disposizioni del codice civile.
1.2.3 Le disposizioni del d.lgs. 159/11.
1.2.4 Le disposizioni del d.lgs. 231/01.
2 La gestione della partecipazione, sottoposta a sequestro: ESERCIZIO DEI DIRITTI AMMINISTRATIVI PRINCIPALI.
2.1 Premessa.
2.2 Sulla applicabilità dell’art. 2352 c.c.
2.3 La gestione della partecipazione in occasione delle delibere assembleari .
2.3.1 Il diritto di voto.
2.3.2 Diritto di partecipare ed altre facoltà connesse all’esercizio del diritto di voto e di partecipazione alla assemblea.
2.3.3 Diritto di chiedere la convocazione della assemblea.
2.3.4 Diritto di impugnare la delibera assembleare.
1. SEQUESTRABILITA’ DELLA PARTECIPAZIONE SOCIETARIA
Tema di queste note[1] è l’assoggettabilità a sequestro preventivo della partecipazione azionaria e l’esercizio dei diritti amministrativi sociali correlati alla partecipazione societaria, quando quest’ultima sia oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
Attesa la complessità della questione, l’attenzione sarà focalizzata sul tema del sequestro della partecipazione azionaria e, più in particolare, della partecipazione nella società per azioni (di seguito ad essa, salvo che sia diversamente specificato, ci si riferirà con la locuzione partecipazione societaria).
Che la partecipazione societaria possa essere oggetto di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ed, in generale, di un sequestro preventivo o di un sequestro di prevenzione è oggi acquisito, sia in base al vigente ed esplicito quadro normativo sia, ancor prima, nell’evoluzione giurisprudenziale
Infatti il dato normativo oggi considera, anche espressamente e direttamente, l’eventualità che la partecipazione societaria sia oggetto di sequestro.
1.1 L’evoluzione giurisprudenziale
In precedenza, tuttavia, anche in giurisprudenza non erano mancate pronunzie volte a escludere l’ammissibilità del sequestro della partecipazione.
Per vero la giurisprudenza civile aveva mostrato pochi tentennamenti ed aveva in genere riconosciuto la possibilità di disporre sequestro giudiziario della partecipazione[2] (pur residuando maggiori -sebbene non prevalenti- perplessità per gli altri casi).
Significative incertezze si erano, invece, manifestate nella giurisprudenza che si era occupata del sequestro penale della partecipazione.
La Corte di Appello di Genova il 18.01.1962[3] ebbe a ritenere che presupposto per l’adozione del sequestro penale di un bene fosse la sua corporalità, pervenendo così a dichiarare inesistente un sequestro disposto ex art.337 del c.p.p. del 1930 sulle quote di una s.r.l., in base al rilievo che queste ultime, essendo beni immateriali, non potevano essere oggetto di sequestro il quale, appunto, può cadere soltanto su oggetti o entità corporali aventi un’esistenza nel mondo fisico. Ammetteva, di contro, la Corte ligure che fosse “concepibile il sequestro penale della azione, in quanto questa è costituita da un documento, titolo di credito, il cui possesso implica necessariamente ed in modo esclusivo la titolarità e la possibilità di esercitare il diritto letterale ed autonomo che vi è menzionato”.
In giurisprudenza, la tesi espressa dalla Corte di appello ligure risulta, tuttavia, da tempo superata da un ampio orientamento che ammette che tutti i beni possano essere oggetto di sequestro “penale” e di prevenzione, incluse le partecipazioni societarie.
La giurisprudenza ha ammesso il sequestro, anche di prevenzione, della partecipazione sia nei casi in cui si è occupata ex professo della questione dell’ammissibilità del vincolo (ex plurimis cfr. Tribunale Napoli -14/03/1986 in Foro it. 1987, II,365 secondo cui “Se l'attività che determina la formazione e la consistenza del patrimonio di una società risulta "inquinata", in quanto esercitata con metodo camorristico o di esso intrisa, anche le quote sociali o azioni, indipendentemente dal modo del loro acquisto iniziale, vengono ad essere inquinate, in quanto frutto, nella loro attuale consistenza, di attività illecita e sono perciò sottoponibili a confisca ai sensi dell'art. 2 ter legge n. 575 del 1965 (in applicazione del predetto principio, è stata nella specie disposta la confisca, in danno dell'imprenditore avellinese Sibilia, di quote sociali di società di costruzioni edilizie e di azioni della società "unione sportiva Avellino" e Corte appello di Napoli, 07/01/1987, Foro it. 1987, II,359. secondo cui “Il sequestro e la confisca di beni di provenienza illecita non sono conseguenze automatiche della dichiarazione di pericolosità qualificata, ma possono esser disposti soltanto in presenza di sufficienti indizi, atti a far ritenere che i beni siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; ne consegue che l'origine lecita di quote sociali ed azioni non può venir meno per sopravvenuta scelta di vita ed imprenditorialità camorristica ove non si dimostri, in base ad una analisi delle gestioni sociali, che le predette quote ed azioni siano divenute frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (nella specie, la Corte ha pertanto revocato la confisca e disposto il dissequestro di quote sociali di due società edilizie a responsabilità limitata, e di azioni dell'"Unione sportiva Avellino" confiscate e sequestrate ai danni dell'imprenditore Sibilia nel procedimento di prevenzione di primo grado)”) ” sia incidenter tantum, ovvero nei casi in cui era chiamata ha pronunziarsi su altri profili correlati tuttavia a fattispecie in tema di misure di prevenzione patrimoniali applicate su partecipazioni sociali: p.es. Tribunale Palermo, 08/10/1983, Foro it. 1983, II,530, secondo cui : “Al soggetto indiziato di appartenere ad associazione di tipo mafioso, che rivesta una posizione di vertice in seno all'organizzazione criminosa, va applicata, unitamente alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, la confisca dei beni (consistenti in immobili e quote sociali), ove risulti assoluta sproporzione - non smentita da prova contraria - fra l'ammontare dei redditi sociali annualmente percepiti, da un lato, e quello relativo alle acquisizioni patrimoniali nel medesimo tempo realizzate, alle quote sociali acquistate e ai finanziamenti in favore di società contestualmente erogati dallo stesso indiziato, dall'altro.”; Cass., VI sez. pen. 21.02.1993, ric. Gentilini, , non dubita in alcun modo della astratta sequestrabilità delle quote di s.r.l. che costituiscano profitto del reato, in quanto “tali quote… sono certamente confiscabili,”ponendo la Corte soltanto un problema di corretta quantificazione del profitto (da intendersi “ nei limiti dell’aumento del valore di scambio connesso all’incremento del patrimonio sociale derivante dalla trasformazione del profitto prodotto dal reato”). Cassazione penale sez. I, 01/02/1985, in Giust. pen. 1985, III,680, pur occupandosi specificamente della azienda e non della partecipazione, afferma il generale principio secondo cui “Dal contesto delle norme di cui alla l. 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni (disposizioni contro la mafia) si rileva il principio che ogni tipo di bene può essere sottoposto a sequestro, sicché una mancata specifica previsione di alcuni tipi di beni (nel caso di specie: aziende commerciali) non può indurre alla conclusione che questi siano esclusi dal sequestro.”
1.2 La modifica del quadro normativo
All’evoluzione giurisprudenziale si sono aggiunte modifiche in più aspetti del dato normativo, sicché il quadro delle norme in tema di ammissibilità del sequestro penale è oggi decisamente più chiaro.
Quattro ambiti disciplinari sono stati interessati da modifiche da considerare rilevanti in punto di affermazione dell’ammissibilità del sequestro (penale e di prevenzione) della partecipazione societaria.
1.2.1 Le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale
Uno di essi è costituto dalle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (di seguito, disp. att.c.p.p.). In particolare:
1) l’art. 2, comma 9, lett.a), della l. 15 luglio 2009, n. 94 ha sostituito l’art. 104[4] L’attuale vigente formulazione prevede, per quanto qui rileva:
“1. Il sequestro preventivo è eseguito: …
d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese;
e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170.
2. Si applica altresì la disposizione dell’articolo 92”
Si tratta di disposizione che trova applicazione anche in materia di sequestro di prevenzione atteso che ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 159/11 : “1. Il sequestro e' eseguito con le modalità previste dall'articolo 104 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. L'ufficiale giudiziario, eseguite le formalità ivi previste, procede all'apprensione materiale dei beni e all'immissione dell'amministratore giudiziario nel possesso degli stessi, anche se gravati da diritti reali o personali di godimento, con l'assistenza obbligatoria della polizia giudiziaria.”.
Quindi espressamente l’art. 104 disp.att.c.p.p. presuppone l’ammissibilità del sequestro di azioni e quote sociali.
2) l'art. 2, comma 9, lett. b), della l. 15 luglio 2009, n. 94 ha introdotto l’art. 104 bis (recante rubrica “Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo”) il cui testo è il seguente: “1. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia, di cui all’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’Albo di cui all’articolo 2- sexies, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575. Con decreto motivato dell’autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente. “.
Quindi, espressamente l’art. 104 bis disp.att.c.p.p. prevede il caso di sequestro di beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, tra i quali beni può rientrare anche la partecipazione societaria.
1.2.2 Le disposizioni del codice civile
Un secondo ambito disciplinare interessato da modifiche che, in ogni modo, presuppongono o comportano la possibilità di assoggettare a sequestro la partecipazione societaria sono le disposizioni del codice civile in materia di società di capitali:
- l’art.2352 c.c. è stato modificato –nell’ambito della sostituzione dell’intero Capo V relativo alla S.p.a.- dall’art. 1 del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, espressamente includendo il caso della sottoposizione della partecipazione azionaria a sequestro, genericamente indicato .
- anche in materia di partecipazione in s.r.l. il legislatore con lo stesso D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6 ha introdotto una specifica previsione di rinvio al citato articolo 2352 c.c. L’art. 2471 bis recante rubrica “Pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione”recita, infatti: “[I]. La partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Salvo quanto disposto dal terzo comma dell'articolo che precede, si applicano le disposizioni dell'articolo 2352.”
1.2.3 Le disposizioni del d.lgs. 159/11
Al quadro descritto deve aggiungersi anche il d.lgs. 159/11 che prevede:
a) all’art. 36 il contenuto della relazione dell'amministratore giudiziario, ove è anche specificata “l'indicazione delle forme di gestione piu' idonee e redditizie dei beni” con particolare menzione in caso di “sequestro di … partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze previste dall'articolo 2359 del codice civile” ;
b) ulteriori diretti riferimenti alla sequestrabilità e confiscabilità delle partecipazioni societarie negli artt. 41, 48, e 50.
1.2.4 Le disposizioni del d.lgs. 231/01
In maniera non coordinata le disposizioni che hanno interessato il tema del sequestro della partecipazione societaria si sono quindi moltiplicate.
Anche la disciplina della responsabilità degli enti per illecito amministrativo dipendente da reato non ne è rimasta immune se è vero che l’art.12, comma 5-bis, del D.L. 31 agosto 2013, n, 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125 ha introdotto all’art. 53 del d.lgs. 231/01 il comma 1-bis che prevede: “Ove il sequestro, eseguito ai fini della confisca per equivalente prevista dal comma 2 dell'articolo 19, abbia ad oggetto società, aziende ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche se in deposito, il custode amministratore giudiziario ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone all'autorità' giudiziaria. ….”.
La disposizione –non priva di approssimazioni lessicali[5] - offre un ulteriore elemento di conferma della volontà del legislatore di ritenere sottoponibili le partecipazioni societarie a sequestro
2 La gestione della partecipazione, sottoposta a sequestro: ESERCIZIO DEI DIRITTI AMMINISTRATIVI PRINCIPALI
2.1 Premessa
Il sequestro della partecipazione azionaria non è sequestro di una frazione ideale degli elementi attivi o di una quota dal capitale sociale.
Essendo l’azione, come la quota, la misura della partecipazione del socio a tutti i diritti e i doveri di natura amministrativa e corporativa che caratterizzano la status di soci, la gestione del relativo sequestro è, in primo luogo, un problema di esercizio delle menzionate situazioni soggettive.
La partecipazione azionaria sottoposta a sequestro non è, infatti, un bene del quale possa svolgersi una mera attività di custodia, occorrendo una attività di amministrazione.
La nomina dell’amministratore giudiziario -in luogo del custode- in caso di sequestro preventivo è necessaria (ex art. 104 disp att cpp) in primo luogo perché si tratta di bene che richiede una attività di gestione.
Ove si trattasse poi di sequestro di prevenzione la nomina dell’amministratore si renderebbe necessaria anche in forza delle specifiche disposizioni di settore, il cui approfondimento esula tuttavia dall’oggetto del presente lavoro.
Con la sottoposizione a sequestro della partecipazione azionaria ha inizio, quindi, un’attività di amministrazione che pone in concreto il problema dell’esercizio delle situazioni soggettive correlate alla partecipazione da parte dell’amministratore/custode e delle relative modalità.
Alla partecipazione azionaria, come già anticipato, ineriscono[6] diritti ed obblighi, che sia l’art. 2346, ultimo comma, che altre disposizioni (non ultimo lo stesso art. 2352 qui più volte richiamato), consentono di distinguere, nel solco di una elaborazione dottrinale ormai consolidata, a seconda che abbiano contenuto patrimoniale, amministrativo o di altro genere.
2.2 Sulla applicabilità dell’art. 2352 c.c.
Si è detto che con la riforma del diritto societario il legislatore ha modificato l’art. 2352 c.c.: in esso non soltanto ha dettato nuove disposizioni per le situazioni già considerate di pegno e usufrutto di azioni, ma ha anche disciplinato –includendolo anche nella rubrica dell’art. 2352 c.c.- il sequestro delle azioni.
Prevale in dottrina l’orientamento per cui il legislatore abbia inteso riferirsi non soltanto ai sequestri cc.dd. civili sicchè il richiamo contenuto nell’art. 2352 c.c. sia certamente da intendere come inequivoca volontà di richiamare anche i sequestri disposti in sede penale o di procedimento di prevenzione.
Ove anche tuttavia si volesse dubitare del fatto che il legislatore del 2003 abbia inteso far riferimento ad ogni tipologia di sequestro che l’ordinamento contempla (essendo piuttosto plausibile che abbia voluto riferirsi ai sequestri disposti in sede civile), certo è che, in assenza di analoghe norme di riferimento generali per le altre tipologie di sequestro e in presenza di disposizioni speciali per specifiche questioni, sussistono i presupposti per ritenere che l’art. 2352 costituisca, per ampiezza terminologica e sedes materiae, norma di riferimento da applicare analogicamente.
2.3 la gestione della partecipazione in occasione delle delibere assembleari.
Occorre a tale proposito distinguere le diverse fasi e le situazioni soggettive che ad esse si connettono:
a) diritto di sollecitare la convocazione della assemblea
b) diritto di essere informato della convocazione della adunanza assembleare e di ricevere la convocazione
c) diritto di partecipare alla assemblea
d) diritto di voto nella assemblea
e) diritto di impugnare la delibera assembleare.
Va subito evidenziato che l’art. 2352 c.c., espressamente e specificamente, si occupa nel primo comma dell’esercizio del diritto di voto in caso di sequestro, mentre nell’ultimo comma si occupa espressamente dei “diritti amministrativi da quelli previsti nel presente articolo”.
E dunque, derogando all’ordine sopra riportato e potendo assumere valore decisivo il dato normativo esplicito e particolare relativo al diritto di voto anche nella analisi delle situazioni soggettive correlate alle altre fasi, occorre preliminarmente occuparsi proprio del diritto di voto.
2.3.1 Il diritto di voto
Nella formulazione precedente alla novella del d.lgs. 6/2003 a proposito del diritto in esame il primo comma dell’atr. 2352 precisava esclusivamente: “«[I]. Nel caso di pegno o di usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. ».
In sostanza, quindi, il caso del sequestro di azioni non era espressamente considerato.
Tuttavia, sempre vigente la precedente formulazione, la giurisprudenza aveva riconosciuto la riferibilità del diritto di voto al custode/amministratore anche con riferimento al sequestro penale.
In particolare, si era affermato che: “ Il sequestro preventivo penale, ex, art. 321 c.p.p., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate” [7].
In sostanza, si tratta dell’affermazione di un principio di carattere generale che riguarda tutti i diritti relativi alla partecipazione, con la conseguenza che “il diritto di intervento e di voto nelle assemblee, anche in ordine all'eventuale nomina e revoca degli amministratori, spetta al custode designato in sede penale”: ciò conseguiva quale “effetto naturale della misura cautelare in questione, in rapporto alla sua funzione tipica di evitare che la "libera disponibilità" di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato medesimo, oppure agevolare la commissione di altri reati. “
La motivazione imperniava l’esclusione del socio dall’esercizio del diritto di voto sulla natura e finalità stessa del sequestro preventivo, osservando che “nel caso delle azioni/quote sociali, la libera disponibilità consiste proprio nell'esercizio dei diritti e delle facoltà ad esse inerenti, tra cui, anzitutto, i cosiddetti diritti amministrativi (o corporativi) del socio”.
Conseguentemente “L'attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l'annullamento ex art. 2377 c.c.”. Sottolineava la Suprema Corte la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà.)
Si tratta di orientamento consolidato volto ad affermare il principio per cui “Il sequestro preventivo, previsto dall'art. 321 c.p.p., delle quote o delle azioni sociali, in quanto idoneo ad impedire la commissione di ulteriori reati, pur se in maniera mediata e indiretta, per natura sua - salva espressa indicazione contraria nel provvedimento - priva i soci dei diritti relativi alle quote, con la conseguenza che “la partecipazione alle assemblee e il diritto di voto, anche in ordine all'eventuale nomina e revoca degli amministratori, spettano al custode designato in sede penale” [8]. Anche in questo caso “l'affidamento delle azioni sequestrate al custode ha la sua ragion d'essere nell'esigenza di sottrarre al socio la possibilità di continuare a gestire dette azioni esercitando i diritti e le facoltà in esse incorporati, e primi tra tutti i cd. diritti amministrativi (o corporativi) del socio, ivi compresi il diritto d'intervento e di voto in assemblea” sicchè “Il conferimento al custode - chiamato a gestire la complessa posizione giuridica facente capo al titolare delle azioni sequestrate - del potere-dovere di intervenire in assemblea e di esprimervi il voto necessariamente implica che soltanto a lui sia riservata la legittimazione ad impugnare ex, art. 2377 c.c. la deliberazione assembleare illegittima dalla quale abbia dissentito (o rispetto alla quale non abbia concorso)
Nella formulazione vigente del primo comma dell’art. 2352 si legge: “[I]. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.”
Sulla base dell’indicato dato normativo è possibile affermare che senza distinzione alcuna tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria, il diritto di voto deve essere esercitato dall’amministratore.
La norma non fa riferimento né per un verso ad alcuna limitazione sostanziale o procedimentale a carico del custode né, per altro verso, ad alcun diritto né ad alcuna facoltà che residui in tema di esercizio del diritto di voto in capo al titolare della partecipazione azionaria: in generale, pertanto, l’esercizio del diritto di voto è attribuito nella massima ampiezza al custode, il quale, peraltro, non è in alcun modo vincolato alle eventuali indicazioni del socio né a richiedere preventivamente né ad attenersi ad esse sia nel caso in cui, richieste, siano state formulate, sia nel caso in cui siano state formulate indipendentemente dalla richiesta del custode.
Non è previsto che l’amministratore debba specificamente essere autorizzato dal Tribunale per partecipare alla assemblea e per esercitare il diritto di voto.
La legittimazione ad intervenire discende direttamente dal sistema (in applicazione diretta o analogica dell’art. 2352 c.c.) e non richiede alcun provvedimento ulteriore, la cui mancanza quindi non rende aggredibile la delibera, quand’anche adottata con il voto decisivo del custode.
E’, tuttavia, possibile che con il provvedimento di sequestro il Tribunale disponga in senso delimitativo del potere attribuito all’amministratore.
E’, pertanto, possibile disporre nel senso che:
a) per alcune delibere il diritto di voto sia attribuito al socio e per altre al custode;
b) per alcune delibere l’amministratore debba richiedere istruzioni al tribunale;
c) per alcune delibere l’amministratore sia preventivamente ed in via generale vincolato dal Tribunale;
Ovviamente la legge non predetermina, né potrebbe farlo, il contenuto del voto che si deve esprimere, ma certamente è possibile individuare la direzione nella quale il voto deve essere espresso alla luce degli obiettivi della gestione.
Più in generale, avendo riguardo ai diversi sequestri che in ambito penale possono essere disposti, va evidenziato che -sebbene la titolarità della partecipazione resti, finchè al sequestro non subentra la confisca, in capo al socio-, il custode-amministratore esercita il diritto di voto avendo come riferimento primario la tutela dell’esigenza in forza della quale il sequestro è stato disposto e come riferimento secondario la conservazione della partecipazione. Ne discende che se il sequestro è finalizzato ad evitare la commissione di ulteriori reati la decisione sulla votazione deve essere calibrata sulla possibilità che la delibera che si vota possa favorire/impedire/ostacolare la commissione di detti ulteriori reati..
Soddisfatti gli obiettivi della gestione, secondariamente l’amministratore dovrà astenersi da comportamenti che possano arrecare danno (che, per comportamenti non ispirati al raggiungimento degli obiettivi della gestione, sarebbe da considerare ingiusto) al socio.
2.3.2 Diritto di partecipare ed altre facoltà connesse all’esercizio del diritto di voto e di partecipazione alla assemblea
Spettano, conseguentemente, all’amministratore tutte le facoltà connesse al diritto di voto.
In primo luogo quella di cui al primo comma dell’art. 2370 (in tema di “Diritto d'intervento all'assemblea ed esercizio del voto): “ Possono intervenire all'assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto.”
Parimenti, spettano al custode/amministratore le facoltà attribuite normalmente al socio che partecipi alla assemblea:
- in caso di assemblea totalitaria non preceduta dalle “formalità previste per la convocazione” può “opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato” ai sensi del quarto comma dell’art. 2366 c.c;
- può chiedere (se, da solo o unitamente ad altri intervenuti, riunisce un terzo del capitale rappresentato nell'assemblea) ai sensi dell’art. 2374 “che l'assemblea sia rinviata a non oltre cinque giorni” ovviamente “se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione”;
- può chiedere ai sensi dell’art. 2375 primo comma ultima parte , che il verbale riassuma “le loro dichiarazioni pertinenti all'ordine del giorno”.
2.3.3 Diritto di chiedere la convocazione della assemblea
In quanto titolare del diritto di voto, il custode amministratore (se il sequestro riguardi una partecipazione che, da sola o unita a quella di altri richiedenti, rappresenti “almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il decimo del capitale sociale nelle altre o la minore percentuale prevista nello statuto”) può esercitare il diritto di chiedere la convocazione della assemblea, in particolare così ottenendo che, ai sensi dell’art. 2367 c.c., gli amministratori o il consiglio di gestione convochino senza ritardo l'assemblea
Anche in questo caso, non sono individuabili limitazioni diverse da quelle fissate dalle norme di carattere generale ovvero lo stesso primo comma dell’art. 2367 c.c. (“nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare”) e il terzo comma (“[III]. La convocazione su richiesta di soci non è ammessa per argomenti sui quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta.”).
Nel caso di diniego o di inerzia da parte degli amministratori, discende dalla attribuzione del diritto di chiedere la convocazione anche il diritto ad attivare il procedimento di cui al secondo comma dell’art. 2367 c.c. richiedendo al Tribunale di ordinare “sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato,” “con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona che deve presiederla.”
Se alla richiesta presentata a norma dell’art. 2367 c.c. consegue un obbligo degli amministratori di procedervi, rientra parimenti nelle attribuzioni dell’amministratore giudiziale di sollecitare la convocazione della assemblea.
2.3.4 Diritto di impugnare la delibera assembleare
L’attribuzione del diritto di voto comprende anche il diritto di impugnare la delibera assembleare.
Ciò vale in primo luogo ed in via generale “nei casi di mancata convocazione dell'assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell'oggetto” (incluse in esse le “deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili”) poiché si tratta di deliberazioni che possono essere impugnate “”da chiunque vi abbia interesse”.
Ma vale altresì anche per le altre deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto rispetto alle quali il custode/amministratore risulti assente, dissenziente od astenuto, a mente dell’art. 2377 c.c., sempre che la partecipazione sottoposta a sequestro sia qualificata ai sensi del terzo comma dell’art. 2377 (“rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre” ovvero la minore percentuale fissata dallo statuto). Ove tale percentuale non sia raggiunta potrà esercitare comunque il “diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto.”
Alla lettura sistematica che impone di riconoscere effettività al diritto di voto, attribuendo a colui che lo esercita anche il diritto di impugnare le delibere che non abbia votato, si aggiunge il dato testuale già richiamato dell’ultimo comma dell’art. 2352.
Esso oggi prevede che: “[VI]. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode.”
Atteso che il diritto di proporre l’impugnazione rientra tra i diritti amministrativi e non trova disciplina specifica in nessuno dei precedenti commi, deve concludersi che al custode spetta il diritto di presentare impugnazione.
Sicchè oggi a ragioni sistematiche si aggiunge anche l’espressa previsione di cui all’art. 2352, ultimo comma, c.c.
[1] Il testo ha ad oggetto uno dei profili trattati nella relazione “Il sequestro preventivo funzionale alla confisca” tenuta nell’ambito del corso P14076 organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura sul tema “La giustizia patrimoniale e i nuovi strumenti di contrasto della criminalità di impresa”.
[2] Cfr. per la giurisprudenza di merito, Tribunale di Napoli, 01.10.1945, in Riv.dir. proc. , 1946, II, p. 197e ss (ove tuttavia si esclude l’esercizio del diritto di voto da parte del custode). Cassazione civile sez. I-26/05/2000- 6957- Penna C. Soc. Turistica Mediterranea immob. In Giust. civ. Mass. 2000, 1122 , Società 2000, 1331 (nota di: COLLIA), Giur. it. 2000, 2309: “La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 c.c., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, giacché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti e non come un mero diritto di credito; ne consegue che le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata possono essere oggetto di sequestro giudiziario e, avendo il sequestro ad oggetto i diritti inerenti la suddetta quota, ben può il giudice del sequestro attribuire al custode l'esercizio del diritto di voto nell'assemblea dei soci ed eventualmente, in relazione all'oggetto dell'assemblea, stabilire i criteri e i limiti in cui tale diritto debba essere esercitato nell'interesse della custodia”
[3] Corte di Appello di Genova, decreto 18.01.1962, in F.I., 1962, I, col 775 e ss.
[4] Il cui testo precedente recitava: «Norme applicabili al sequestro preventivo - 1. Per il sequestro preventivo si applicano le disposizioni relative al sequestro probatorio contenute nel capo VI. Si applica altresì la disposizione dell'articolo 92.».
[5] Come p.es. con riguardo alla locuzione “sequestro di società” già incontrata nell’art. 104 bis disp. Att.c.p.p.
[6] Così l’art. 2354 in tema di titoli azionari
[7] Cass. Civ. sez. I- 11.11.2005- n. 21858- Soc. Gestione per il realizzo C. Soc. Agricola immob. Interconsorziale Mezzogiorno. Sebbene successiva alla riforma, la Corte esamina un caso in cui non era applicabile, "ratione temporis", il nuovo testo dell'art. 2352, ultimo comma, c.c., introdotto dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6 e segnatamente un caso in cui –avendo l'assemblea di una società per azioni deliberato, con il voto favorevole del custode giudiziario, l'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore unico- l'amministratore unico aveva impugnato la deliberazione, unitamente al socio titolare delle azioni sequestrate, deducendo, tra l'altro, la carenza del diritto di voto in capo al custode
[8] Cassazione civile sez. I - 18.06.2005 n. 13169 - Frosina C. Soc. Sagrim agr. immob. e altro. Anche in questo caso la data della sentenza non deve trarre in inganno atteso che la Suprema Corte decideva in relazione ad un caso cui "ratione temporis" è applicabile la disciplina anteriore alle modifiche recate al codice dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6. In particolare, era avvenuto che nell'assemblea della società per azioni, con il voto favorevole del custode giudiziario, non era stato approvato il bilancio d'esercizio ed era stato autorizzato l'esperimento dell'azione sociale di responsabilità nei confronti dell'amministratore,
L’amministratore si era quindi visto revocare dalla carica ai sensi dell'art. 2393, comma 5, c.c. .