La sentenza, che si segnala, è interessante per le sue riflessioni in tema di concorso e di profitto relativamente ai delitti di cui agli artt. 2 e 8 del D. Lgs. n. 74 del 2000, con le conseguenti ricadute in punto di corretta applicazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.
I punti salienti della pronuncia possono così riassumersi.
Il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero, dispone il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, fino alla concorrenza della somma di euro 14.818,00, a carico di due soggetti, sospettati, nella loro veste di amministratori di una società, di avere emesso fatture per operazioni inesistenti.
Più specificatamente, la suddetta somma corrispondeva a quella evasa da altra società in favore della quale le false fatture erano state emesse.
Gli indagati propongono richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro e il Tribunale, in accoglimento dell'istanza, annulla il provvedimento impugnato.
In particolare, il Tribunale ritiene illegittimo il decreto di sequestro in quanto “disposto in relazione a beni che appartengono a soggetti che, sulla base del reato contestato, risultano estranei al profitto del reato”.
Il Procuratore della Repubblica propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, deducendo la violazione del combinato disposto degli artt. 8 del D. Lgs. n. 74 del 2000 e 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007.
Secondo l'assunto della Procura, l'ordinanza del Tribunale del riesame merita censura in quanto non tiene conto che l'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 “ricomprende nelle ipotesi di confisca per equivalente sia l'articolo 2 e sia l'articolo 8 del d.lgs. numero 74 del 2000”, con la conseguenza che devono ritenersi sequestrabili non solo i beni appartenenti al soggetto che utilizza le fatture emesse per operazioni inesistenti, ma anche i beni appartenenti al soggetto che emette tali fatture[1].
I Giudici di legittimità, però, rigettano il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni.
In primo luogo, la Corte osserva che l'emissione di fatture per operazioni inesistenti consiste in un'operazione che coinvolge due soggetti, che sono, da un lato, colui che emette le false fatture e, dall'altro, colui che utilizza tali fatture “portandole in detrazione, inserendole nella sua contabilità come se fossero operazioni esistenti, con un risparmio d'imposta”.
In secondo luogo, la Corte ricorda che l'art. 9 del D.Lgs. n. 74 del 2000, derogando all'art. 110 c.p., stabilisce che colui che emette le fatture per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, così come colui che utilizza tali fatture non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Per ultimo, la Corte evidenzia che il profitto, corrispondente al risparmio di imposta, che l'utilizzatore delle false fatture consegue, deve tenersi distinto dal profitto che consegue il soggetto emittente, che invece è “pari al prezzo (compenso) per l'emissione delle fatture”.
Orbene, non essendo configurabile un concorso reciproco tra l'emittente e l'utilizzatore e dovendo tenersi rigorosamente separati i profitti dell'uno e dell'altro, secondo la Corte, “l'emittente le fatture non può subire un sequestro preventivo per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture”.
Sicché nei confronti del soggetto che emette le false fatture, il sequestro è possibile soltanto nei limiti del profitto e/o compenso da lui conseguito.
Alla luce di quanto esposto, la Corte giunge ad affermare il principio di diritto secondo cui “in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, non può essere disposto sui beni dell'emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dall'art. 9 del d. lgs. n. 74 del 2000 - escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture e chi se ne avvale - impedisce l'applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo. Il sequestro preventivo, astrattamente consentito dall'art. 143 della legge n. 244 del 2007, nei confronti dell'emittente le fatture per operazioni inesistenti deve essere relativo al solo profitto (prezzo del reato) per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, da dimostrarsi in sede di sequestro relativamente a qualsiasi utilità economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato”.
Il su menzionato principio di diritto è una diretta conseguenza del fatto che le condotte di emissione e di utilizzazione di fatture false sono da considerarsi fra di loro autonome, integrando ciascuna una distinta figura delittuosa, così che, nell'ipotesi in cui tali condotte si realizzino insieme, l'emittente e l'utilizzatore risponderanno ciascuno per il fatto proprio, dovendo escludersi che uno dei soggetti possa concorrere nel fatto proprio dell'altro[2].
In quest'ottica, allora, diventano chiare e decisamente da condividere le ragioni che hanno portato la Corte a rigettare il ricorso.
In sostanza, la Corte rimprovera al ricorrente di non avere dato la prova che gli indagati, che hanno emesso le false fatture, abbiano conseguito un profitto per la loro condotta illecita.
L'unico profitto, accertato nella fattispecie, è consistito nell'imposta evasa dal soggetto che si è avvalso delle false fatture.
Tale profitto, però, come si è visto, deve essere tenuto ben distinto da quello eventualmente conseguito dal soggetto che ha emesso le false fatture.
Concludendo, dal momento che il soggetto emittente delle fatture può essere colpito da sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente solo nei limiti del proprio profitto, poiché in capo agli indagati emittenti, nella fattispecie in esame, non è stato accertato alcun profitto, nessun sequestro poteva essere disposto a loro carico.
Da qui la conferma da parte della Suprema Corte dell'ordinanza con cui il Tribunale ha deciso di annullare il decreto di sequestro.
[1] Come è noto, l'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 è stato abrogato dall'art. 14 del D. Lgs. n. 158 del 2015 e “sostituito, in linea di perfetta continuità normativa”, per usare le parole della stessa Corte Suprema tratte dal suo recente arresto n. 35853/16, “dal D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 12bis, comma 1, come introdotto dal D. Lgs. n. 158 del 2015, art. 10”.
[2] Si vedano, in proposito, gli arresti della Corte Suprema n. 40172/06 e n. 3995/99, pur riferendosi quest'ultima decisione alla giurisprudenza formatasi sulla vecchia normativa, precedente alla riforma introdotta dal D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.