1. Premessa
Con la sentenza in commento, la Prima Sezione Civile della Corte di cassazione risolve il nodo della disciplina intertemporale del cd. decreto sicurezza dl n. 113/2018, convertito con modificazioni nella legge n. 132/2018, con riferimento alla sorte della protezione umanitaria.
La questione è forse nota, ma è utile ripercorrere brevemente l’evoluzione normativa sul punto, sì da comprendere la posizione espressa dalla recente pronuncia della suprema Corte.
In particolare, il dl 113/2018 è intervenuto in una duplice direzione rispetto all’istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, disciplinato dall’art. 5, 6 comma del d.lgs n. 286/1998 (TU immigrazione), il quale, prima del 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del dl 113/2018, contemplava la possibilità di rilascio del permesso di soggiorno in presenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali».
Il cd. decreto sicurezza ha eliminato tale ampia possibilità di rilascio del permesso di soggiorno, conseguentemente modificando anche l’art. 32, comma 3 d.lgs 25/2008, il quale non prevede più, evidentemente, la possibilità che la Commissione territoriale trasmetta gli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno nei casi di cui al citato art. 5, comma 6 TU, residuando la possibilità di tale trasmissione unicamente con riferimento alle ipotesi menzionate ora dall’art. 19, commi 1 e 1.1. del TU, che riguardano sostanzialmente le ipotesi di protezione internazionale cd. maggiori (status di rifugiato e protezione sussidiaria) [1], ostacolate dalle cause di esclusione.
A fianco di tale intervento, ha introdotto tre diversi casi speciali di permesso di soggiorno: «per cure mediche» (art. 19, comma 2, lett. d-bis), «per calamità» (art. 20-bis) e «per atti di particolare valore civile» (art. 42-bis), che si sono andati ad affiancare ai già esistenti casi speciali, non abrogati, «per le vittime di violenza domestica» (art. 18-bis TU) e per «ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo» (art. 22, comma 12-quater, TU).
La pronuncia in commento, e si tornerà in seguito sul punto, evidenzia da subito come tale impostazione legislativa si ponga in termini di rilevante diversità rispetto al modello precedentemente accolto di protezione umanitaria, venendo abbandonata «la clausola generale dei seri motivi di carattere umanitario, da individuare, secondo un catalogo “aperto” determinabile alla luce dell’evoluzione del quadro complessivo dei diritti umani desumibili dal sistema costituzionale interno, da quello convenzionale e dagli obblighi internazionali ai quali il nostro ordinamento è vincolato».
Tale scelta legislativa si pone in distonia con quanto sostenuto dalla migliore dottrina in ordine alla funzione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la quale ne aveva valorizzato proprio il carattere aperto e flessibile e la capacità futuribile dell’istituto oggi abrogato, idoneo a fronteggiare le mutevoli sfaccettature delle ragioni sottese al recente fenomeno migratorio [2].
Già la stessa Corte di cassazione aveva positivamente considerato il carattere aperto della norma oggi abrogata, sostenendo, rispetto alla protezione umanitaria, come «non siano integralmente tipizzabili le condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt'ora oggetto di ampio dibattito» [3].
Ciò posto, il problema che viene all’esame della suprema Corte attiene alla disciplina intertemporale da applicare, segnatamente, alle ipotesi di procedimenti in itinere dinanzi alle Commissioni territoriali o ai giudizi in corso a seguito del provvedimento, di accoglimento o diniego, dell’organo amministrativo.
In tal senso infatti, il dl 113 ha dettato unicamente norme transitorie volte a disciplinare l’ipotesi di permesso di soggiorno per motivi umanitari già rilasciato alla data di entrata in vigore del decreto (comma 8) e l’ipotesi di provvedimento della CT che avesse rigettato la domanda di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria), ma ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari “generico”, non ancora rilasciato (comma 9).
Con riferimento alla prima ipotesi, il dl prevede che il permesso mantenga validità fino alla sua scadenza naturale, laddove, in sede di rinnovo, potrà essere rilasciato unicamente il permesso di soggiorno se la CT dovesse ritenere sussistenti i presupposti di cui ai citati commi 1 e 1.1. dell’art. 19, del TU, determinando così la applicazione della nuova disciplina dettata dall’art. 32, comma 3 d.lgs 25/2008 come novellato.
Quanto alla seconda ipotesi, il comma 9 dispone che venga rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari rispetto al quale la CT aveva già ritenuto sussistenti i presupposti, indicando tuttavia la dicitura «casi speciali», della durata di due anni, con applicazione poi, alla scadenza, della disciplina descritta dal citato comma 8.
2. La posizione di Cass. Civ., Sez. I, 19 febbraio 2019, n. 4890
Così brevemente riassunto il thema decidendum, la sentenza in commento ha escluso che il dl 113/2018 possa applicarsi ai procedimenti amministrativi già iniziati davanti alle CT o ai giudizi in corso avverso i provvedimenti di accertamento o diniego del diritto, escludendo, in particolare, che il comma 9 citato possa interpretarsi nel senso di precludere l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria se la CT non l’avesse già riconosciuto alla data della entrata in vigore del decreto, in adesione peraltro alla prevalente giurisprudenza di merito e alle conclusioni espresse dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione [4].
Sul punto, in particolare, il ragionamento della Corte muove dal contenuto dell’art. 11 delle Preleggi e dal divieto di irretroattività della legge, evidenziando come l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale (riferendosi in particolare al parametro del cd. fatto compiuto), abbiano chiarito che detto principio trova applicazione non solo con riferimento ai cd. diritti quesiti, e quindi alle situazioni integralmente esaurite al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, bensì anche alle «situazioni giuridiche soggettive sottoposte ad un procedimento di accertamento ove la nuova disciplina legislativa modifichi il fatto generatore del diritto o le sue conseguenze giuridiche attuali e future».
Se così è allora, la Corte richiama la propria consolidata giurisprudenza al fine di comprendere se il diritto alla protezione umanitaria rientri in tale ipotesi coperta dal principio di irretroattività, concludendo in senso positivo.
A tal proposito infatti, la sentenza in esame ricorda come la situazione giuridica soggettiva in esame abbia «la qualificazione giuridica di diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale», richiamando il costante orientamento per cui «il diritto d’asilo costituzionale è integralmente compiuto attraverso il nostro sistema pluralistico della protezione internazionale, anche perché non limitato alle protezioni maggiori ma esteso alle ragioni di carattere umanitario, aventi carattere residuale e non predeterminato, secondo il paradigma normativo aperto dell’art. 5, c. 6 d.lgs. n. 286/1998».
Posta tale premessa qualificatoria in punto di diritto sostanziale, la conseguenza, sul piano processuale, non può che essere quella della «natura meramente ricognitiva dell’accertamento da svolgere in sede di verifica delle condizioni previste dalla legge», imponendosi la natura dichiarativa della pronuncia anche alla luce dell’intima connessione tra il diritto alla protezione umanitaria e il diritto d’asilo costituzionale ex art. 10, comma 3 Cost.
E allora, nell’ultimo tassello del ragionamento, la Corte conclude che «il diritto soggettivo, nella specie, è preesistente alla verifica delle condizioni cui la legge lo sottopone» e «il risultato positivo o negativo dell’accertamento, dipende dal quadro allegativo e probatorio posto a base della domanda ma non incide sulla natura giuridica della situazione giuridica soggettiva azionata (…)».
Tali conclusioni cui giunge la Corte, confermano le considerazioni già avanzate dalla più attenta dottrina sul punto, la quale, all’argomentazione ampiamente espressa dalla Cassazione, aveva altresì affiancato quella ulteriore dell’interpretazione “adeguatrice” a Costituzione della novella e, segnatamente, di quella transitoria di cui al citato comma 9, in particolare sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost. in punto di proporzionalità dell’intervento legislativo, di ragionevolezza e anche di uguaglianza in senso stretto, posto che si «determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento fra soggetti ugualmente titolari del diritto, disparità che potrebbe dipendere dai ritardi o dalle errate valutazioni della Commissione» [5], che peraltro, in qualche forma, vengono altresì riprese dalla sentenza in esame.
In questa direzione, appare a chi scrive di particolare interesse il richiamo alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che conferma il dialogo tra Corti, nazionali e sovranazionali, che nella materia della protezione internazionale riveste certamente un ruolo centrale [6].
In particolare la Cassazione, nel ricordare come la disciplina di cui all’art. 11 delle Preleggi non goda di copertura costituzionale, richiama tuttavia l’orientamento consolidato della Corte costituzionale in tema di irretroattività della legge e, in particolare, la necessità di salvaguardare gli «interessi costituzionalmente protetti», che possono ben costituire un limite alla retroattività della legge anche per lo stesso legislatore [7].
Le argomentazioni espresse sulla natura sostanziale del diritto alla protezione umanitaria allora non possono che condurre la Corte alla sussunzione di tale diritto nell’alveo di quelli costituzionalmente protetti, così ulteriormente avvalorando la conclusione di irretroattività.
Quanto alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la Cassazione richiama la giurisprudenza europea che, anche recentemente, ha affermato la natura meramente ricognitiva dell’accertamento del diritto alla protezione internazionale, evidenziando in particolare come «pertanto l’accertamento interferisce con il diritto dell’Unione Europea, potendo costituire parte integrante del sistema legislativo della protezione internazionale degli Stati membri. Ne consegue che i principi affermati dalla Corte di Giustizia (…) costituiscono un canone ermeneutico rilevante anche ai fini della corretta applicazione delle norme che si succedono all’interno dei singoli ordinamenti».
Tale ultima argomentazione assume particolare rilievo nell’ambito delle fonti a cui il giudice nazionale e, in particolare, quello del merito della protezione internazionale deve guardare nel dirimere le questioni interpretative che di volta in volta possano sorgere.
La Corte aveva già ricordato, proprio in tema di protezione umanitaria, come «pur non avendo un esplicito fondamento nell'obbligo di adeguamento a norme internazionali o europee, tale forma di protezione è tuttavia richiamata dalla Direttiva comunitaria nr. 115/2008, che all'art. 6, par. 4, prevede che gli Stati possano rilasciare in qualsiasi momento, “per motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura”, un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di una Paese terzo il cui soggiorno è irregolare» [8].
Nella stessa direzione, già in precedenza la Corte, con riferimento alla problematica interpretativa della necessità o meno di audizione in sede giurisdizionale del richiedente asilo in mancanza di videoregistrazione del colloquio in sede amministrativa, aveva chiarito come il limite di riferimento era comunque da rinvenirsi nei principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia, 26 luglio 2017, Moussa Sacko, con particolare riferimento alla non necessità dell’audizione solo in caso di manifesta infondatezza della domanda [9].
3. Spunti interpretativi di rilevanza esterna: il diniego del questore di rilascio del permesso di soggiorno per mancata esibizione del passaporto in seguito al riconoscimento del diritto
Chiarita perciò la portata della decisione con riferimento al problema della retroattività del dl 113/2018, ad avviso di chi scrive la sentenza in commento fornisce, in primo luogo, interessanti elementi di utilità per affrontare una ulteriore problematica che si affaccia all’esame della giurisprudenza di merito.
In particolare, ci si riferisce al rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte del questore, pur se già riconosciuto il relativo diritto da parte della CT o del giudice, in ragione della mancata produzione del passaporto da parte del richiedente.
Tale rifiuto sarebbe giustificato dalla circostanza per cui la protezione umanitaria costituirebbe una forma di protezione prevista esclusivamente dal legislatore nazionale, come tale non riconducibile o equiparabile alla posizione del richiedente asilo, per il quale è normativamente previsto l’esonero dall’esibizione del passaporto o documento equipollente ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.
A fronte di tali provvedimenti, la prima giurisprudenza di merito si è orientata nel senso di ritenere che, una volta accertato il diritto in sede amministrativa o giurisdizionale, in capo al questore non residui alcun margine di apprezzamento circa la posizione giuridica soggettiva del richiedente [10].
Di particolare interesse ai nostri fini è l’argomentazione espressa da tale orientamento per cui la protezione umanitaria ha la funzione «di clausola di salvaguardia del sistema giuridico sulla condizione della persona straniera, imponendo di derogare alla rigida disciplina dettata in materia di ingresso e permanenza sul territorio e consentire il rilascio di un permesso di soggiorno quando questo sia necessario al rispetto dei diritti fondamentali della persona e all’adempimento degli obblighi gravanti sullo Stato (Corte Cost. sentenza n.202/2013)».
Rispetto a tale problematica, sembra potersi riconoscere come la pronuncia in commento avvalori la soluzione già espressa dalla citata giurisprudenza di merito, poiché essa si impone, a fortiori, in ragione della ampiamente argomentata natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, in ciò non discostandosi in nulla dalle forme di protezione internazionali cd. maggiori. Ma, ancor di più, la riconduzione di esso nell’alveo dei diritti umani e degli interessi costituzionalmente protetti, ribadita a chiare lettere dalla Cassazione, non può che condurre alla conclusione per cui non può imporsi in capo al richiedente asilo un onere ulteriore rispetto a quello previsto per i soggetti beneficiari di permesso di soggiorno per rifugiato o titolare di protezione sussidiaria.
Non si condivide infatti la presunta distinzione, sotto questo profilo, tra le diverse forme di protezione internazionale, le quali tutte, come visto, si inscrivono nel medesimo panorama normativo e, in ultimo, di attuazione del disposto dell’art. 10, comma 3 Cost. e del diritto d’asilo ivi contemplato a favore dello «straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana».
Ciò appare ancor di più confermato dall’ulteriore principio di diritto sancito dalla sentenza in commento, in forza del quale, riconosciuta la non retroattività del dl 113/2018 e la conseguente operatività del previgente art. 5, comma 6 TU, chiarisce che, nel caso in cui il procedimento amministrativo o giurisdizionale pendente alla data di entrata in vigore del decreto si concluda positivamente, il questore debba rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari con la dicitura «casi speciali» e la conseguente applicazione del comma 9 citato.
Nell’affermare tale principio in particolare, la Corte ricorda che «necessitando il permesso di soggiorno di una conseguente e necessaria fase attuativa successiva al provvedimento della commissione territoriale o emesso in sede giudiziale, la stessa non può che esplicarsi sulla base della nuova normativa vigente».
La Corte perciò definisce la fase del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari a seguito del riconoscimento dei presupposti come meramente attuativa, ove non possono essere adottati provvedimenti che incidano sul diritto al rilascio del permesso di soggiorno, in quanto lo stesso è stato già riconosciuto.
Proprio il carattere di tale attività come strumentale e quasi materiale rispetto al diritto sostanziale ha comportato che la pronuncia in commento negasse portata retroattiva alla nuova disciplina. In altre parole, nella fase successiva al riconoscimento del diritto, non possono venire sollevate dall’organo amministrativo eccezioni di fatto che, antecedenti o successive, potrebbero incidere sull’attuazione del diritto già riconosciuto, che, con il materiale rilascio del permesso, ha così la piena possibilità di esplicazione.
Peraltro, a ragionar diversamente, si consentirebbe di interferire con una decisione (amministrativa o giurisdizionale) che, sul punto, ha già statuito e che per essere contestata necessita dell’impugnazione nelle forme di legge.
Nondimeno, appare a chi scrive muovere nella medesima direzione l’ulteriore argomentazione esplicitata dalla Cassazione nella pronuncia qui commentata, che riconosce come non deponga in senso contrario alla soluzione dell’irretroattività del dl quella per cui l’art. 8, comma 3 d.lgs. 25/2008 impone la cd. “valutazione dell’attualità” dei fatti dedotti con la domanda, poiché essa «attiene alla disciplina degli oneri di allegazione della parte e dell’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice e, quindi, alle modalità di conformazione dell’istruttoria, ma non concerne la configurazione giuridica del diritto azionato» [11].
Tale considerazione chiarisce come l’istruttoria entro la quale assume rilievo la valutazione dell’attualità dei fatti è quella amministrativa nanti le CT o quella giurisdizionale, organi deputati a valutare la sussistenza o meno del diritto, non certo l’attività del questore successiva al riconoscimento di detto diritto, il quale è tenuto unicamente a dare attuazione al provvedimento amministrativo o giurisdizionale rilasciando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e non potendo addurre motivazioni, di qualsivoglia sorta, che impediscano l’esercizio del diritto riconosciuto.
Per dirla con parole diverse, la valutazione in ordine al riconoscimento del richiedente la protezione internazionale, non rilevando la forma di essa che venga riconosciuta, sufficiente ai fini dell’accertamento del diritto, viene svolta dalla CT o dal giudice, non potendo poi essere rimessa in discussione dal questore nella fase esecutiva del provvedimento che il diritto ha riconosciuto.
4. Conclusioni in punto di legittimità costituzionale, ovvero quel che resta della protezione umanitaria
La Corte di cassazione, con la sentenza esaminata, ci consegna così l’arco temporale di vigenza dell’istituto della protezione umanitaria per come l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale l’aveva ricostruito.
Tuttavia, pur senza avere la capacità di dilungarsi sul punto, è noto come gli interpreti si stiano interrogando sulla compatibilità costituzionale dell’intervento novellatore e, in tema, sembra a chi scrive che la suprema Corte non abbia fugato i dubbi di costituzionalità.
In tal senso infatti, la Corte ha rimarcato, come detto, l’ascrizione del diritto alla protezione umanitaria nell’alveo dei diritti umani, di matrice costituzionale, evidenziandone, ancora una volta, l’intimo legame che intercorre con l’art. 10, comma 3 Cost.
Sul punto, la più recente dottrina ha ipotizzato due possibili direzioni di analisi del problema: in primo luogo, ritenere la compatibilità costituzionale del sistema, sulla base della riconosciuta immediata precettività dell’art. 10, comma 3 Cost. e, quindi, sostanzialmente ritenere ancora possibile la rilevanza di circostanze fattuali ulteriori e diverse da quelle considerate dalle norme in tema di rifugiati, protezione sussidiaria e permessi umanitari “speciali”, che sarebbero idonee a riconoscere il diritto d’asilo con applicazione diretta della norma costituzionale.
La seconda direzione, muove dalla distinzione che può evincersi dalla lettura del previgente art. 5, comma 6 TU, che separava con la particella disgiuntiva «o» i «seri motivi, in particolare di carattere umanitario» da quelli «risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». In tal senso perciò, tale dottrina ritiene che risulterebbe per tabulas l’incostituzionalità del secondo inciso, per violazione degli artt. 2 e 10 Cost., nonché 117 Cost. rispetto alla norma interposta dell’art. 8 Cedu, laddove maggiori perplessità sorgerebbero con riferimento al primo inciso, che rivelerebbe casi di permesso umanitario non direttamente attuativi del diritto d’asilo costituzionale [12].
Volendo seguire tale impostazione della questione, quanto all’immediata precettività dell’art. 10, comma 3 Cost., si deve rilevare come la giurisprudenza consolidata della stessa Corte di cassazione abbia affermato come «questa Corte, che ritiene di superare la giurisprudenza di cui a Cass. 18940 del 2006, per la quale il diritto di cui all'art. 10 Cost., comma 3 degraderebbe a mera posizione processuale o strumentale (propria di chi ha diritto all'esame della sua domanda alla stregua delle vigenti norme sulla protezione), ha già affermato, ed il Collegio qui ribadisce, che il diritto di asilo è oggi (e quindi dopo la menzionata pronunzia) interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 sì che non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale» [13].
Ne consegue che la stessa Corte di cassazione, alla luce di tali argomentazioni, parrebbe dover essere costretta a riesaminare il proprio orientamento alla luce dell’abrogazione del permesso umanitario generico, chiarendo se, per tale via, si scorga nuovamente un margine di residuale diretta applicazione dell’art. 10, comma 3 Cost. o meno, anche alla luce della permanenza comunque, nel nostro ordinamento, dei casi di permesso di soggiorno per motivi umanitari “speciali”.
Sul punto, ci appare preferibile considerare come, pur se dotato di immediata precettività, non possa considerarsi l’art. 10, comma 3 Cost. come direttamente applicabile nell’attuale sistema normativo, poiché quest’ultimo non appare di per sé carente, contemplando un ampio spettro di strumenti atti a garantire il diritto d’asilo (status di rifugiato, protezione sussidiaria e casi speciali di permessi di soggiorno per motivi umanitari).
Ciò che appare dover essere invece valutato è se la tecnica legislativa della determinazione dei casi di protezione umanitaria secondo una descrizione tipica di essi sia realmente compatibile con una norma costituzionale che garantisce la tutela di quelle situazioni giuridiche soggettive che siano riconducibili al libero esercizio delle attività democratiche. In altre parole, non sembra a chi scrive che si debba parlare di mancata attuazione dell’art. 10, comma 3 Cost., il che aprirebbe la strada ad una sua diretta applicazione, bensì di una sua possibile violazione, poiché è necessario che lo strumento attuativo sul piano della legislazione ordinaria, proprio per le caratteristiche del diritto, non sia caratterizzato da fattispecie chiuse.
D’altronde, posto che l’art. 10, comma 3 Cost. richiama il necessario rispetto delle condizioni stabilite dalla legge, sarebbe ben difficile comprendere quale provvedimento l’autorità amministrativa dovrebbe rilasciare nell’ipotesi di riconoscimento di un diritto all’asilo direttamente discendente ex art. 10 Cost, nell’ambito dei diversi riconosciuti dalla legislazione ordinaria. Ciò a conferma della circostanza per cui l’immediata applicabilità della norma dovrebbe attenere all’ipotesi di vuoto legislativo, non già di disciplina esistente, della cui costituzionalità è tuttavia lecito dubitare in ragione della tecnica utilizzata al fine di dare attuazione al diritto in esame.
E allora, in tal senso e venendo alla seconda opzione interpretativa sopra prospettata, non sembra assumere rilevanza la distinzione tra il permesso per motivi di carattere umanitario e quello risultante da obblighi costituzionali o internazionali, poiché entrambe le ipotesi sono essenziali a che la disciplina legislativa ordinaria sia idonea ad attuare il diritto d’asilo costituzionale, come emerso nella giurisprudenza consolidata.
Perciò, può prospettarsi come il nodo gordiano realmente da sciogliersi attenga alla necessità o meno che, per potersi parlare di diritto alla protezione umanitaria, la disciplina legislativa utilizzi la tecnica della clausola generale aperta, da riempirsi con le più disparate vicende della vita concreta da parte degli operatori, amministrativi o giurisdizionali, che si trovino a conoscerla, o sia sufficiente l’elencazione di ipotesi oggi proposta dal legislatore [14].
Ed è in questo senso che la stessa sentenza qui commentata sembra fornire una indicazione in senso negativo rispetto a quest’ultima ipotesi, laddove richiama il carattere non predeterminato delle ragioni che possono giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Come già anticipato in apertura, la dottrina si era già espressa in termini favorevoli ad un inquadramento aperto delle fattispecie concrete che possano giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, evidenziando che la definizione di un pur approssimativo catalogo di situazioni rilevanti rischierebbe di determinare la negazione di diritti di rilievo costituzionale, ai sensi dell’art. 2 Cost. [15].
Tale impostazione appare in realtà condivisibile e financo idonea, perciò, a far sorgere dubbi in ordine alla compatibilità costituzionale del modello del permesso umanitario per «fattispecie chiuse» adottato dal dl 113, con riferimento agli artt. 2, 3 e 10, comma 3 Cost.
In conclusione, non pare fuor di luogo richiamare i mai troppo rimpianti insegnamenti di Stefano Rodotà, il quale nel porsi la domanda «troppi stranieri ci accompagnano. Come affrontare il compito di amarli?», si rispondeva «l’eguaglianza ha nell’accettazione piena delle diversità un elemento fondativo, e proprio nel suo congiungersi con la solidarietà definisce la condizione dell’inclusione» [16].
[1] Art. 19 TU immigrazione: «1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. 1.1. Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani».
[2] Cfr. M. Acierno, La protezione umanitaria nel sistema dei diritti umani, in Questione Giustizia trimestrale, fasc. 2/2017, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/la-protezione-umanitaria-nelsistema-deidiritti-umani_536.php, ove si sottolinea altresì come «le libertà democratiche che già ad una lettura originalista del testo costituzionale si manifestano come un catalogo non predeterminato, sono esposte ad un grado di vulnerabilità ben superiore a quello relativo al periodo nel quale la nostra Costituzione è stata composta, all’interno della vastità del fenomeno migratorio più recente».
[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455, in questa Rivista on-line, 14 marzo 2018, con nota di C. Favilli, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018, http://questionegiustizia.it/articolo/la-protezione-umanitaria-per-motivi-di-integrazion_14-03-2018.php, 14 marzo 2018.
[4] Le conclusioni del Procuratore generale possono essere lette in http://questionegiustizia.it/doc/requisitoria_proc_gen_cass.pdf e la giurisprudenza di merito può essere consultata al seguente link: http://questionegiustizia.it/articolo/quale-sorte-per-il-permesso-di-soggiorno-umanitario-dopo-il-dl-1132018-_21-11-2018.php.
[5] Cfr. C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, in questa Rivista on-line, http://questionegiustizia.it/articolo/quale-sorte-per-il-permesso-di-soggiorno-umanitario-dopo-il-dl-1132018-_21-11-2018.php, 21 novembre 2018.
[6] Sul tema in generale vds. A. Ruggeri, Dialogo tra le Corti, tutela dei diritti fondamentali ed evoluzione del linguaggio costituzionale, in www.federalismi.it.
[7] Sul tema della irretroattività della legge vds. F. Satta, Irretroattività degli atti normativi, in Enc. Giur., XVII, Roma, 1989, 1; R. Caponi, La nozione di retroattività della legge, in Giur. Cost., 1990, 1332 ss.; con specifico riferimento al tema dei limiti costituzionali vds. F. Pagano, Legittimo affidamento e attività legislativa nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle Corti sovranazionali, in Dir. Pubbl., 2014, p. 585. Con riferimento alla giurisprudenza costituzionale cfr. ad es. Corte Cost. 1 aprile 2014, n. 64, in www.cortecostituzionale.it, che ha avuto modo di ribadire che «nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» e Corte Cost., 11 giugno 2010, n. 209, in www.cortecostituzionale.it, che individua i limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario».
[8] Cfr. Cass. Civ., n. 4455/2018 cit.
[9] Sia consentito il rinvio a Cass. Civ., Sez. I, 5 luglio 2018, n. 17717, in questa Rivista on-line, http://questionegiustizia.it/articolo/mancanza-di-videoregistrazione-del-colloquio-dinan_13-09-2018.php. 13 settembre 2018, con nota di G. Serra, Mancanza di videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale e obbligatorietà dell’udienza di comparizione delle parti nel giudizio di protezione internazionale: la posizione della Corte di Cassazione, ove la Corte spiega che «gli articoli 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/Ue, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vanno interpretati nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva».
[10] Cfr. Trib. Cagliari, Sez. I, 3 dicembre 2018, in causa RG 4861/2018, inedita, che afferma che «nel caso in cui la Commissione Territoriale accerti la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario trasmette gli atti alla Questura competente ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, al quale non residua alcun margine di apprezzamento in ordine alla posizione dello straniero trattandosi di un compito di mera attuazione dei deliberati assunti dalla Commissione stessa (Cass. S.U., ordinanza 21 aprile 2009, n. 11535; Cass. n. 26481/2011; Cass. n. 16221/2012)», e che quindi «all’esito del procedimento, se viene riconosciuta la protezione umanitaria deve essere rilasciato il permesso per tale motivo. Nessuna norma richiede che in questo caso debba essere esibito il passaporto, e d’altra parte questa fase costituisce soltanto un segmento del complessivo procedimento accertativo cominciato per effetto della richiesta di protezione internazionale, nel corso del quale si verificano plurime identificazioni del richiedente, da parte della stessa Questura e da parte della Commissione territoriale». Cfr. altresì Trib. Palermo, Sez. I, in causa RG 15122/2017, inedita.
[11] In ordine all’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice vds., ad es., Cass. Civ., Sez. unite, 17 novembre 2008, n. 27310, in Giust. Civ., 2009, 2, p. 324: «Nel giudizio per il riconoscimento dello status di rifugiato le norme interne in materia di onere della prova dovevano essere interpretate, anche prima dell'entrata in vigore dei d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 e 28 gennaio 2008 n. 25 di recepimento delle direttive comunitarie, rispettivamente, n. 2004/83/Ce e n. 2005/85/Ce, alla stregua delle dette direttive, chiaramente ispirate al superamento del comune principio dell'onere della prova; deve, pertanto, essere cassata con rinvio la sentenza del giudice del merito che, in applicazione rigorosa dell'art. 2697 cc, omettendo ogni indagine ufficiosa e dichiarando inammissibile, per difetto di articolazione in capitoli, la prova testimoniale dedotta dall'interessato, abbia violato il dovere di cooperazione nell'accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status richiesto». In dottrina vds. M. Flamini, Il ruolo del giudice di fronte alle peculiarità del giudizio di protezione internazionale, in Questione Giustizia trimestrale, fasc. 2/2017, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/il-ruolo-del-giudice-di-fronte-alle-peculiarita-del-giudizio-di-protezione-internazionale_544.php; M. Acierno, M. Flamini, Il dovere di cooperazione del giudice, nell’acquisizione e nella valutazione della prova, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, fasc. 1/2017, pp. 11 ss e p. 17.
[12] Cfr. C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, cit.
[13] Cfr. Cass. Civ., Sez VI, 26 giugno 2012, n. 10686, in Giust. civ. Mass. 2012, 6, 848.
[14] In ordine alla funzione delle clausole generali e all’inidoneità del diritto positivo a disciplinare ogni aspetto della vita vds., di recente, N. Lipari, Ancora sull’abuso del diritto. Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, in Questione Giustizia trimestrale, fasc. 4/2016, ove si legge «nel quadro di una realtà in continua velocissima evoluzione appare sempre difficile immaginare in funzione di quale criterio sia possibile ricostruire in astratto, e quindi prescindendo dalle peculiarità, sempre variabili, del singolo caso, i presupposti in base ai quali sia stato individuato un interesse al momento del conferimento», http://questionegiustizia.it/rivista/2016/4/ancora-sull-abuso-del-diritto-riflessioni-sulla-creativita-della-giurisprudenza_396.php; più compiutamente Vds. altresì compiutamente ID., Il diritto civile tra legge e giudizio, 2017.
[15] Cfr. N. Zorzella, La protezione umanitaria nel sistema giuridico italiano, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, fasc. 1/2018, p. 15. L’A. sostiene altresì che «nel mondo giuridico questa attenzione, imprescindibilmente laica, può tradursi in un catalogo aperto di situazioni ritenute meritevoli di considerazione per motivi ritenuti socialmente compassionevoli che, più correttamente, vanno riferiti all’inviolabilità dei diritti umani – da chiunque violati – e all’obbligo di solidarietà espressi dall’art. 2 Cost., come avviene, ad esempio, nell’ambito della tutela umanitaria inserita nel sistema della protezione internazionale, laddove le violenze subite in Libia solo in quanto migranti sono state ritenute presupposto per il riconoscimento della protezione ex art. 5, co. 6 TU 286/98».
[16] Cfr. S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, 2014, pp. 86-88.