1. Ai primi di febbraio, ho iniziato la giornata con la prima tazza di caffè e un rapido sguardo alle email in arrivo, come faccio ogni mattina, come molte persone fanno ovunque. Mentre scorrevo le email, la scoperta di una convocazione ufficiale per un’audizione alla Commissione Istruzione, Cultura e Sport della Knesset mi ha lasciato scioccato. L’audizione era intitolata “Pregiudizio politico e censura nel mondo accademico”. L’audizione era iniziativa di Im Tirzu, una ONG della destra radicale attiva nei campus universitari israeliani, conosciuta per le sue inclinazioni fasciste o protofasciste. Il giorno prima, questa organizzazione aveva inviato, al rettore e al presidente della mia università, una lettera indignata che mi accusava di utilizzare il mio corso per fare il lavaggio del cervello [agli studenti] e indottrinar[li] politicamente. La convocazione presso la commissione parlamentare riguardava una lezione che avevo dato nel mio corso, “Diritto, Società e Giustizia in Medio Oriente”. Mi ci è voluto un momento per valutare la convocazione e decidere di non comparire di fronte alla commissione. Il titolo della discussione e il contesto politico rendevano manifeste le intenzioni dei promotori, ovvero, mettere in scena uno spettacolo maccartista volto a terrorizzare gli accademici. Sentivo che il mio rifiuto di apparire di fronte alla commissione avrebbe mandato un messaggio necessario sulla libertà accademica nel contesto di un nuovo governo radicale i cui piani sconvolgenti erano stati rivelati alcune settimane prima.
2. Nella lezione che aveva suscitato l’ira del parlamentare del Likud che presiedeva la commissione e dei suoi compagni, avevo illustrato la proposta di legge sulla riforma della giustizia, o “riforma del sistema giudiziario”, come l’ha definita il governo. Avevo basato la mia analisi sui dettagli che il Ministro della Giustizia Yariv Levin aveva reso noti in una conferenza stampa e sulle reazioni di eminenti professori di diritto israeliani. Come faccio in tutti i miei corsi, avevo evitato ogni indottrinamento e avevo lasciato che i miei studenti si formassero un’opinione basata sui fatti e sull’analisi critica.
In quella lezione, avevo presentato i fatti. In particolare, avevo descritto le specificità della proposta di legge e il cambiamento radicale che quelle specificità avrebbero comportato. E’ vero, avevo proposto le mie osservazioni circa le possibili conseguenze catastrofiche in termini di obblighi democratici, tirannia della maggioranza, e potenziale smantellamento dello Stato di diritto. Ciò era mio dovere ed obbligo, come professore universitario in un Paese democratico. Tuttavia, nell’attuale contesto politico israeliano, caratterizzato dalla manipolazione e da notizie false, una banale discussione a lezione come quella era diventata uno scandalo politico, trasformatosi poi in una assurda discussione parlamentare. Fortunatamente, la libertà accademica è ancora in Israele un diritto robusto giudizialmente protetto. Ho anche potuto contare sul sostegno senza riserve da parte del rettore della mia università, Prof. Haim Hames, e del suo presidente, prof. Daniel Chamovitz. Mi hanno dato forza i molti colleghi e studenti preoccupati da queste inequivocabili avvisaglie di una possibile persecuzione politica. Un editoriale su Haaretz avvertiva: «Rubin ha descritto adeguatamente lo spirito dei tempi. Il governo non esita ad utilizzare tutti i poteri a sua disposizione per sopprimere la protesta contro le sue mosse radicali e per mettere il bavaglio a coloro che non rigano dritto». In quel momento, stava appena iniziando a formarsi un incredibile movimento di protesta di massa. Da allora, manifestazioni imponenti, senza precedenti per dimensioni e contenuti, hanno scosso la società israeliana.
3. Negli ultimi tre mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno manifestato ogni settimana nelle città di tutto il Paese. Una protesta spontanea di 20.000 persone, svoltasi in Tel Aviv il 7 gennaio 2023, è diventata un evento settimanale da 160.000 partecipanti, al quale si sono accompagnate, parallelamente, proteste in altre parti del Paese. Ad un certo punto, i piloti militari e i soldati delle forze di riserva hanno dichiarato che non avrebbero più seguito gli ordini se la legge fosse stata approvata, poiché si rifiutavano di servire un regime non democratico. Le compagnie hi-tech israeliane (considerate il motore dell’economia della nazione) si stanno trasferendo all’estero. Molti professionisti e accademici stanno seriamente vagliando la possibilità di lasciare il Paese qualora non si riuscisse a fermare questo assalto alla democrazia israeliana. Questa eruzione senza precedenti delle energie della società civile e le preoccupazioni sollevate dalla comunità internazionale, inclusi gli alleati strategici di Israele, hanno spinto questo governo di estremisti a congelare la legge di riforma della giustizia e a negoziare con i partiti di opposizione sotto l’egida del presidente Isaac Herzog. Tuttavia il Ministro della Giustizia e gli altri membri del governo continuano a ribadire la propria intenzione di attenersi ai piani e di andare presto avanti. Altri parlamentari esprimono rammarico per la fretta, ritenendola un errore tattico, ma non manifestano ripensamenti sul significato di questa legge. L’atmosfera politica è instabile e totalmente pervasa da sfiducia come mai prima d’ora. I manifestanti la riconducono alle motivazioni opportunistiche del Primo Ministro Netanyahu. Crediamo che la riforma della giustizia sia stata predisposta per mettere a tacere il potere giudiziario con riferimento alle accuse di truffa, appropriazione indebita e corruzione.
4. Perché così tanti israeliani stanno perdendo il sonno per via della riforma della giustizia, stanno rivalutando il futuro dei loro figli e il proprio futuro nel Paese, e perché si prendono il disturbo di riunirsi settimana dopo settimana? La risposta è abbastanza semplice: essi comprendono che, se realizzata, la proposta di legge trasformerà la già fragile democrazia israeliana in un regime autoritario. Per quanto vivace e sostenuta da decenni di impegno per la democrazia e lo Stato di diritto, la democrazia israeliana ha una struttura gracile. Anziché una costituzione e una carta dei diritti, entrambi documenti inesistenti in Israele, essa possiede leggi fondamentali che possono essere facilmente oggetto di revisione. Non ha un sistema bicamerale o federale che possa contenere il potere legislativo. Le libertà e i diritti fondamentali sono abitualmente discussi nei tribunali e la Corte Suprema ha all’attivo sentenze che proteggono dalla tirannia della maggioranza i cittadini ed anche i gruppi minoritari quali arabi palestinesi e LGBTQ. In effetti, la Corte Suprema è il solo meccanismo strutturale disponibile per contenere l’esecutivo ed applicare la rule of law attraverso il controllo di costituzionalità e, per mezzo della sua autorità, cassare leggi e decisioni dell’esecutivo che violino le Leggi Fondamentali.
5. Quelli che seguono sono gli aspetti più pericolosi della “riforma” della giustizia proposta dal governo. In primo luogo, auspica la politicizzazione della Commissione di Selezione dei Giudici, la cui configurazione attuale non consente ai propri membri politici di avere automaticamente la maggioranza. Questa riforma permetterebbe al governo di nominare giudici ritenuti politicamente fedeli al regime. Da un punto di vista comparatistico, questa riforma ha avuto un esito disastroso in Turchia, ed ha finito per danneggiare seriamente l’autonomia delle corti e la loro capacità di garantire la giustizia.
In secondo luogo, il governo spera di introdurre per legge una norma che permetta di vanificare il potere della Corte Suprema di dichiarare nulli i provvedimenti legislativi contrastanti con le Leggi Fondamentali. Questo potere della Corte Suprema è uno sviluppo connaturato al suo impegno per la tenuta del sistema costituzionale, e non è mai stato codificato. Il governo attuale ritiene che il potere di una corte di dichiarare incostituzionale una legge sia eccessivo e che esso rappresenti un ostacolo all’attuazione delle politiche del governo. Questo è un argomento demagogico poiché, in realtà, la Corte Suprema israeliana ha annullato un numero relativamente limitato di leggi, 22 in 75 anni! Se questa clausola diverrà legge, verrà meno il solo meccanismo di bilanciamento e controllo di costituzionalità presente nel sistema israeliano.
Il terzo componente della proposta di legge si riferisce all’autorità dei consiglieri giuridici del governo. Secondo il sistema attuale, i consiglieri giuridici sono nominati per ciascun ministro e per il governo. Essi svolgono funzioni di vigilanza su aspetti collegati alla legalità delle azioni dell’esecutivo, in condizione di indipendenza non potendo essere rimossi dai ministri. Secondo il disegno di legge diffuso dal governo attuale, i consiglieri giuridici diverranno oggetto di un “incarico fiduciario” politico. Le loro opinioni saranno meri pareri anziché decisioni vincolanti in casi di dubbia legalità.
Il quarto aspetto fondamentale della proposta di legge è l’abolizione della dottrina della “irragionevole motivazione” in materia di controllo delle decisioni amministrative. Sviluppata in decenni di decisioni giudiziali rese all’interno di un sistema che non conosce pesi e contrappesi strutturali, questa dottrina è stata utilizzata per ribaltare decisioni amministrative che non prendevano in adeguata considerazione e non bilanciavano tutti gli interessi rilevanti. E’ stata utilizzata come strumento per prevenire decisioni arbitrarie o discriminatorie. Qualora la legge proposta venisse approvata, questi pesi e contrappesi svaniranno nel nulla. In assenza di meccanismi di controllo strutturali nei confronti dell’esecutivo ulteriori rispetto alla Corte Suprema, anche una versione più soft della legge proposta condurrebbe al collasso della vita democratica in Israele.
6. Come ricordato in precedenza, le motivazioni opportunistiche con cui Netanyahu sta portando avanti la riforma della giustizia sono evidenti. Eppure, sono coinvolte ulteriori motivazioni. La coalizione che dà vita al governo in carica include alcuni dei gruppi più radicali dell’estrema destra. Otzma Yehudit (“Potere ebraico”), ad esempio, è il frutto ideologico del partito Kach, dichiarato fuorilegge. Il suo leader razzista, Itamar Ben-Gvir, è un criminale, imputato dozzine di volte e condannato otto. Ha sostenuto proposte deprecabili, come l’espulsione degli arabi cittadini israeliani che non si dimostrino leali nei confronti dello Stato. Attualmente è Ministro della Sicurezza Nazionale, una strana carica che non sarebbe stata neppure immaginabile alcuni anni fa. Il Partito Religioso Sionista, di estrema destra ultranazionalista, è un altro importante membro della coalizione. Per questi attori politici radicali, la legge proposta è essenziale per creare un’infrastruttura normativa finalizzata a realizzare il loro piano, in particolare l’annessione dei territori occupati. Considerato l’attuale apartheid giudiziario istituzionalizzato vigente in Cisgiordania, ci si possono solo immaginare le orrende conseguenze che l’approvazione della “riforma della giustizia” avrà per gli arabi cittadini israeliani.
L’ortodossia religiosa è una ulteriore caratteristica fondamentale dell’attuale governo di estremisti, che include una massiccia e sproporzionata rappresentanza della popolazione ebrea ultraortodossa. Per l’agenda ultraortodossa, neutralizzare il potere della Corte Suprema attraverso la “riforma della giustizia” aprirebbe le porte alla repressione delle libertà civili associate in Israele con considerevoli gruppi laici. Di tanto in tanto, i politici ultranazionalisti e ortodossi fantasticano sulla trasformazione di Israele in uno “Stato halachico”, uno Stato ebraico governato da leggi religiose. Sembrerebbe, quindi, che visioni un tempo considerate esoteriche siano diventate realizzabili nella pratica.
7. Cosa ci attende, dunque? Difficile a dirsi. Certamente la società israeliana sta vivendo il momento più pericoloso dei settantacinque anni della sua esistenza, più pericoloso di qualunque altra minaccia esterna. Il movimento di protesta di massa sta acquisendo slancio e ha ottenuto un certo successo. Il governo non è riuscito a prevedere la rilevanza e la determinazione dei manifestanti. Da un lato, il fatto che esso non sia riuscito a presentare nessun risultato significativo, e dall’altro, l’atmosfera caotica che si respira dappertutto, stanno già condizionando l’economia. Gli indicatori finanziari sono negativi, e indicano prospettive economiche fosche. Si avverte un pericolo reale, forse persino la minaccia di una guerra civile, se si considerano le dichiarazioni dei membri di questo governo in merito all’intenzione di portare a compimento la riforma della giustizia indipendentemente dalla resistenza interna e dalle pressioni internazionali. Ce lo dirà il tempo. Intanto, continueremo a educare i nostri studenti circa il valore della vita democratica e l’orribile prezzo che si paga quando questa viene meno.
L'originale in inglese del contributo di Avi Rubin è disponibile qui: https://www.questionegiustizia.it/articolo/israeli-democracy-at-risk-the-menace-of-judicial-overhaul
photo credtis: Eyal Warshavsky/SOPA Images/Zuma
Versione italiana dall'originale inglese a cura di Sara Cocchi