«Combattere l’evasione fiscale, tutti ne parlano, nessuno ci si impegna». Così Sabino Cassese nel suo editoriale del 6 Luglio 2020 in prima pagina sul Corriere della Sera. Non si parla mai (ma proprio mai) di una giustizia, che più che cenerentola è negletta da tutti. Eppure nei vicini ordinamenti europei essa è di pari grado agli altri rami della giurisdizione.
Mi riferisco alla giustizia tributaria, disciplinata dal legislatore del 1992 che ha rivisitato (malamente) le vecchie commissioni tributarie, oggi provinciali come primo grado e regionali come secondo grado.
Non si ebbe il coraggio di chiamarle Tribunale perché la composizione dei membri è mista, ovvero vi sono dei giudici che appartengono alla giurisdizione ordinaria (civile e penale oltre che pubblici ministeri) e dei componenti laici, ovvero provenienti per lo più dagli ordini professionali quali avvocati, notai, geometri, ma talora anche funzionari pubblici in pensione.
Nessuno di costoro ha vinto un concorso per accedere alla funzione di “giudice” tributario; tutti nominati dal Ministro dell’Economia sulla base di curricula e domande valutate discrezionalmente dallo stesso Ministero. Il Ministro provvede alla loro nomina ed al pagamento degli emolumenti (chiamiamoli così, ma poi vedremo che si tratta di somme irrisorie rispetto alla delicatezza e competenza dell’impegno richiesto).
S’è da tempo discusso come tali commissioni, in virtù del principio di indipendenza e terzietà, possano essere incardinate nel Ministero dell’Economia (già Finanze).
Passano gli anni, continuano le proposte legislative, la situazione non cambia. Il più grosso problema che si pone è non tanto, alla fin fine, l’indipendenza del giudice tributario (in verità non si è mai avuto notizia di pressioni dell’Erario sui giudici) quanto la sua professionalità e competenza tecnica.
Non si può pretendere da chi fa per quotidiana professione il giudice, l’avvocato, il notaio, od altra professione, che possa dedicarsi totalmente, con la massima devozione di tempo e di studio, alla cura di posizioni spesso estremamente complicate e di rilevanza economica anche per milioni di euro: insomma l’impegno di detti giudici onorari è abbastanza marginale.
La materia tributaria è difficile ed altresì la più soggetta a modifiche anno dopo anno in base alle emergenze e novità che ciascun governo ritiene opportuno introdurre. L’aggiornamento nel diritto tributario deve essere quotidiano nel senso letterale della parola. Pertanto, in una situazione affidata alla buona volontà dei componenti le commissioni, spesso la qualità delle decisioni non è particolarmente elevata.
Né lo Stato si è mai preoccupato di tale palese evidenza: gli basta avere un simulacro di giustizia, proprio perché non può farne a meno.
Finiscono poi alla disamina delle Commissioni anche argomenti (oltre quelli classici delle imposte dirette ed indirette) che vanno dagli accertamenti catastali ai tributi consortili, dalle imposizioni sui rifiuti alle tasse regionali sui più disparati settori che richiedono competenze anche tecniche assai specifiche (più che giuridiche).
Ed i giudici tributari, di fatto onorari (in quanto percepiscono, - a parte un modesto rimborso spese generale uguale per tutti - 37,5 lordi (e quindi intorno ai 20 netti) euro per ogni decisione di cui sono relatori; altrimenti 26 euro lordi) fanno i salti mortali per coprire le casistiche più diverse.
Da anni si dice che non si può andare avanti così, ma niente succede.
E singolarmente nessuno dei media nazionali attira l’attenzione su questa grave situazione: non piace all’opinione pubblica (le tasse sono argomento non allettante il lettore).
Quando il Ministero dell’Economia dichiara trionfante di aver scoperto evasioni per miliardi di euro, dopo i ricorsi alle Commissioni Tributarie, le somme si riducono a qualche decina di milioni. Infatti vengono accolti i ricorsi del contribuente quasi per il 50% o poco meno.
In parte per la modestissima difesa in commissione da parte dell’Erario (non sempre al meglio), in parte per la regola che nel dubbio il cittadino viene assolto dal giudice tributario.
E quindi l’evasore ha, alla fine, un’altra chance ovvero quella di farla franca anche nel processo tributario.
Inutile pertanto parlare di rincorsa agli evasori, ed ai supposti miliardi evasi, se non si sistema prima di tutto la giustizia tributaria conferendo alla stessa la dignità che le spetta, con giudici di carriera, appartenenti ad una Sezione del Tribunale Civile (del resto ci sono già le sezioni Lavoro ed Impresa); senza contare che, già oggi, l’ultima parola spetta alla Cassazione Sezione Tributaria, ovvero ad un giudice vero e proprio.
Il Giudice finale è infatti l’organo giudiziario di carriera più elevato; quelli del merito, invece, sono meri giudici onorari.
Ed è altresì noto come la Sezione Tributaria della Cassazione sia la più “affollata”, proprio per la “qualità” della giustizia dei precedenti gradi.
La Suprema Corte è chiamata a decidere circa 50.000 nuovi casi all’anno che risultano essere quasi il 50% di tutte le cause che arrivano in Cassazione.
Per concludere, inutile il grido di allarme ripetuto negli anni da ogni governo che arriva a Palazzo Chigi.
La lotta all’evasione fiscale non parte, ma più ancora non “arriva” laddove l’evasore non tema il “suo” giudice per le ragioni che più sopra abbiamo evidenziato.
L’incertezza giurisprudenziale e la lentezza delle Commissioni tranquillizza gli evasori che sanno di poter contare su tempi biblici, giusto in tempo per far sparire ogni residuo patrimonio (semmai fosse intestato all’evasore).
La giustizia tributaria è una macchina assolutamente imperfetta che va ricostruita interamente: tante sono state le ipotesi di rifondazione. Si va dalla completa sostituzione dei due gradi “onorari” con giudici di carriera all’interno della giurisdizione ordinaria civile alla istituzione di giudici professionali per il solo grado di appello (su base regionale, per contenere il personale necessario ed i costi).
Ipotesi tutte accettabili, purché si faccia qualcosa e si faccia presto: la modernizzazione di uno Stato di diritto, al di là delle semplificazioni burocratiche del Ministero dell’Economia, impone il recupero tempestivo di imposte non pagate che solo una Magistratura professionalmente preparata ed a tempo pieno può riuscire ad ottenere nell’interesse della collettività in aderenza non solo all’art. 53 della Costituzione ma altresì all’art. 2 che impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
In effetti l’evasore viene premiato non solo perché non si hanno i mezzi e le strutture adeguate per stanarlo, ma ancora più perché manca di fatto un giudice altrettanto adeguato per punirlo.
L’ingiustizia tributaria è gravissima perché favorisce il cittadino disonesto e punisce, indirettamente, quello onesto che paga fino al centesimo in un sistema fiscale particolarmente pesante nelle sue aliquote progressive.
Ed infine sottrae risorse al Paese che le trova indebitandosi sempre più sul mercato finanziario, quando potrebbe – dovrebbe essere in grado di finanziarsi con i soldi sottratti dal contribuente alla collettività.
E’ giunta l’ora, anzi il minuto.