Magistratura democratica
Diritti senza confini

La replica del Tribunale di Firenze alle ordinanze Cass. nn. 1750 e 1751 del 2019 in vista della pronuncia delle Sezioni unite

di Cecilia Pratesi
giudice del Tribunale di Roma, sezione specializzata nella protezione internazionale
L’interpretazione degli effetti della successione di leggi nel tempo nell’abrogazione della disciplina della protezione umanitaria implica molteplici profili di ricostruzione sistematica del diritto di asilo, con numerose e complesse conseguenze in diritto. Nota a Tribunale Firenze, 22 maggio 2019

Il provvedimento in commento costituisce un passaggio di rilievo nell’opera di interpretazione delle modifiche al diritto della protezione internazionale introdotte con il dl 113/2018 convertito in legge 132/2018, in particolare, ma non solo, con riguardo alla sua applicazione nel tempo.

All’indomani dell’emanazione delle disposizioni che hanno decretato la espunzione anche lessicale della protezione umanitaria dal sistema di asilo italiano, gli operatori si sono interrogati sulla loro applicabilità ai rapporti in corso, collocando in tale categoria ora le domande di protezione presentate prima del 5 ottobre 2018 e non esaminate definitivamente, ora le domande presentate da coloro che – portatori di un diritto soggettivo già perfetto in ragione delle loro condizioni di vulnerabilità – siano giunti sul territorio nazionale prima di tale data (ed è l’opzione per questa seconda tesi che sembra emergere dal provvedimento del tribunale di Firenze).

I giudici di merito (con marginali eccezioni) si sono orientati rapidamente e diffusamente per la tesi della irretroattività della riforma, per lo più facendo leva sulla natura di diritto soggettivo di natura sostanziale e derivazione sovraordinata della protezione umanitaria.

Tale orientamento ha trovato una autorevole conferma nella decisione n. 4890 /2019 della prima sezione della Corte di cassazione, secondo la quale la nuova normativa «non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge», cosicché «tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell'entrata in vigore del dl n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del questore di un permesso di soggiorno contrassegnato con la dicitura “casi speciali”, soggetto alla disciplina e all'efficacia temporale prevista dall'art. 1, comma 9, di detto decreto legge».

Ad essa hanno fatto seguito due ulteriori pronunce della Cassazione di segno adesivo, la 13079/2019 e la 13096/2019 (che merita peraltro di essere segnalata anche per il particolare rilievo conferito ai vissuti di natura traumatica maturati durante il transito, in particolare in territorio libico, come si dirà anche più avanti).

Tra la 4890 e le sentenze appena citate, si è inserita invece la pronuncia di rimessione alle Sezioni unite n. 1750/19 che ha posto nuovamente in discussione la questione dell’applicazione della nuova legge nel tempo.

Il decreto in commento non si limita a riaffermare la tesi della irretroattività e, lungi dall’ignorare gli argomenti spesi dall’ordinanza di rimessione (soluzione adottata da altri uffici territoriali in attesa della decisione delle Sezioni unite), ne analizza accuratamente i singoli passaggi, discostandosene con profondo rigore scientifico.

Dopo avere ricostruito con rara precisione la vicenda personale del ricorrente, individuandovi alcuni passaggi particolarmente critici e forieri di vulnerabilità, il collegio ripercorre il quadro normativo che disegna la regola di giudizio ed il conseguente processo di formazione del convincimento del giudice della protezione. Perviene così ad un giudizio complessivo di coerenza della narrazione, dando rilievo ad una serie di riscontri esterni degli accadimenti narrati, reperiti in via officiosa, in attuazione del dovere di cooperazione del giudice che vige nella materia della protezione internazionale.

Il decreto prosegue con una ragionata esclusione dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, quest’ultima sia in relazione alla posizione individuale del ricorrente che alla condizione generale del Paese di origine, ancora una volta sulla scorta del ruolo dell’esaminatore disegnato dall’art. 3 del d.lgs 251/2007; passa quindi ad analizzare la possibilità di accogliere la domanda di asilo in diretta applicazione dell’art. 10, comma 3. della Costituzione Italiana per ribadire una costruzione ormai consolidata (vds. Cassazione civile, sez. VI, 8 Giugno 2016, n. 11754), secondo cui tale istituto è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs 19 novembre 2007, n. 251 e di cui all’art. 5, comma 6, d.lgs 25 luglio 1998, n. 286; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, comma 3, Cost. A tale rilievo il collegio aggiunge la precisazione di non poco momento secondo la quale «Vero è che l’applicazione diretta dell’art. 10, co. 3 della Costituzione potrebbe riacquistare autonoma efficacia precettiva sulle singole situazioni soggettive nel nuovo regime introdotto dal DL 113/2018 che ha introdotto ipotesi tipizzate di protezione umanitaria eliminando la clausola generale contenuta nell’art. art. 5, comma 6 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286», per poi concludere che, nella fattispecie, tale questione non necessita di essere esaminata, potendo ancora applicarsi alla domanda del richiedente il regime giuridico abrogato per il futuro dal dl 113/2018.

Segue quindi l’esame della domanda di protezione umanitaria, preceduto dal punto nodale del provvedimento, centrato sulla applicazione nel tempo della legge di riforma.

Il collegio fiorentino mostra piena adesione al disegno ermeneutico tracciato dalla 4890, persino approfondendone i passaggi, in una sequenza logica di particolare chiarezza:

- la norma non contiene una deroga (né esplicita né implicita) alla generale irretroattività della legge (art. 11 preleggi cc);

- neppure prevede una disciplina che regoli in modo specifico il caso delle domande in corso di esame amministrativo e giurisdizionale;

- il silenzio della legge dal punto di vista ermeneutico non può considerarsi neutro, sia perché la norma – in quanto introdotta con dl – si presume frutto di un disegno unitario, sia in ragione del fatto che la legge di conversione è intervenuta dopo le pronunce di molti uffici giudiziari orientate nel senso della irretroattività della modifica;

- il silenzio appare peraltro giustificato dalla esigenza di evitare disparità di trattamento fondate esclusivamente sul dato imponderabile della durata dei procedimenti di protezione internazionale nelle diverse sedi;

- l’applicazione retroattiva delle norme farebbe irragionevolmente dipendere dai tempi procedimentali e dall’esito della decisione amministrativa (ancorché errata) la regola sostanziale del giudizio di impugnazione e riconoscimento del diritto dello straniero, e finirebbe per non superare il vaglio di legittimità costituzionale in ragione dei relativi effetti discriminatori;

- le uniche disposizioni destinate a regolare l’efficacia nel tempo dell’abrogazione della protezione umanitaria (art. 1 commi 8 e 9 del dl) sono confinate entro il perimetro della fase amministrativa (il comma 8 attiene esclusivamente al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, mentre il comma 9 dispone che il nuovo permesso per protezione umanitaria assuma la veste formale del permesso per casi speciali conservando il medesimo contenuto del permesso di soggiorno previsto dalla disciplina previgente).

A tale proposito appare anzi interessante la conclusione che trae il collegio secondo il quale le nuove norme non prendono in considerazione il contenuto dei permessi di protezione umanitaria, negata in sede amministrativa ma riconosciuta in sede giudiziaria, proprio per riconoscere implicitamente la intangibilità della veste formale del permesso da emettere in accoglimento del provvedimento giudiziario coperto dal giudicato.

Così rigorosamente argomentando il Tribunale conclude per l’applicazione della disciplina vigente «quantomeno» al momento della presentazione della domanda, ove l’avverbio quantomeno manifesta la chiara preferenza per una lettura più ampia di quella offerta dalla stessa sentenza 4890, che includa cioè tra i beneficiari degli effetti della norma abrogata anche coloro che hanno fatto ingresso sul territorio nazionale prima del 5 ottobre 2018 (tesi che poggia anche sul rilievo che i tempi di presentazione della domanda sono a volte condizionati dalle più diverse prassi amministrative).

Con un ulteriore approfondimento il collegio fiorentino si interroga – ferma la irretroattività della nuova norma – sulla possibilità di riconoscere il permesso per motivi umanitari nei procedimenti giudiziari in corso di esame, giungendo alla soluzione positiva sul rilievo che la protezione umanitaria è misura attuativa di un diritto soggettivo perfetto di derivazione costituzionale (articoli 10, comma 3 e 2 Cost.), «perché rivolta a proteggere dal pericolo di gravi danni il nucleo essenziale dei diritti della persona», e che il dl 113/2018, eliminando la clausola generale di attuazione dell’art. 10 nella sua completezza, non si è limitato a modificare i presupposti del diritto, ma ha radicalmente negato efficacia al relativo fatto generatore, che il collegio qui identifica in una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l'allontanamento dello straniero dal proprio Paese (in linea con la precedente sentenza n. 4455/18 della Cassazione). Né la introduzione dei nuovi permessi di soggiorno speciali introdotti dal dl 113/2018 può essere considerata una nuova disciplina della medesima situazione di fatto, perché trattasi di disposizioni che intervengono su presupposti diversi da quelli che davano luogo al riconoscimento della protezione umanitaria, e dai quali resta escluso peraltro un novero piuttosto ampio di condizioni di fragilità e vulnerabilità derivanti da violazioni di diritti fondamentali, privazioni di libertà democratiche ed accesso alle relative precondizioni.

Di qui, sulla base dei principi indiscussi dettati da Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2017, n. 3845, la impossibilità di applicare la norma sopravvenuta ai procedimenti in corso.

La conclusione del Tribunale di Firenze appare in aperto contrasto con il percorso argomentativo dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni unite secondo cui, in particolare, la protezione umanitaria sarebbe un genus distinto dalle forme di protezione maggiori, una fattispecie a formazione progressiva rispetto alla quale la pronuncia (amministrativa o giurisdizionale) si porrebbe come un fatto costitutivo, stante l’assenza di un pregresso fatto generatore (e quindi l’inapplicabilità dei principi di intangibilità ad opera della normativa sopravvenuta sopra richiamati), tanto da arrivare ad assimilare la protezione umanitaria ad un beneficio più che ad un diritto, e ad escludere (incomprensibilmente per chi scrive) che essa costituisca attuazione della facoltà accordata dal diritto comune europeo in materia di asilo, di introdurre nei singoli Stati membri forme di tutela più ampie di quelle di stretta derivazione europea (status di rifugiato e protezione sussidiaria).

Osserva giustamente il collegio fiorentino che – contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione – «la natura dichiarativa dell’accertamento deriva dall'appartenenza del diritto d’asilo alla categoria dei diritti umani, alla quale appartiene anche il diritto alla protezione umanitaria, costantemente ricondotto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità al diritto di asilo costituzionale».

Pertanto, nel solco sia della sentenza n. 4455/2018 che della 4890/2019, si perviene a ribadire che il diritto alla protezione sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilità/rischio che costituiscono la spinta all’espatrio o comunque l’impedimento al rimpatrio, condizioni che costituiscono il fatto generatore del diritto di asilo, di matrice unitaria, che può essere poi declinato nelle sue varie forme in ragione della intensità e natura della violazione dei diritti della persona interessata. L’intera costruzione dell’ordinanza di rimessione viene dunque scardinata a partire dal riconoscimento della natura primaria ed inviolabile del diritto alla protezione delineato dalla Costituzione Italiana e attuato attraverso l’art. 5, comma 6, d.lgs 286/1998. È da questo fondamentale presupposto che il collegio deriva «la conseguenza per cui le condizioni di vulnerabilità (ed il grado delle violazione dei diritti umani posti a base della domanda) possono in concreto mutare anche in pejus, ma dalla tutela dichiarativa propria dei diritti umani discende, a pena d’incostituzionalità dell’interpretazione della norma transitoria e del sistema, il diritto a fare affidamento nel predetto paradigma legislativo, paradigma che si fonda su un fatto, o fatti, generatori radicalmente diversi e non sovrapponibili con il nuovo, od i nuovi, dato il suo carattere originariamente aperto e non predeterminabile» (p. 25 del decreto in commento).

Conclusione interamente qui condivisa, salvo per quanto attiene alla limitazione dei fatti generatori del diritto alla protezione alle sole vicende maturate nel paese di origine, con esclusione quindi degli accadimenti verificatisi durante il transito, laddove invece – in particolare con riferimento alla permanenza in territorio libico – si assiste purtroppo a costanti e gravissime violazioni dei diritti primari, «potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona tanto da dar vita ad un dovere di accoglienza allo stato ospite (in questi termini Cass. 13096/19 già altrove citata)».

In ultimo, la significativa pronuncia in commento disegna anche la prospettiva futura dell’operatore giuridico evidenziando che alla luce della derivazione costituzionale (dunque ineludibile e sovraordinata) del diritto in esame, una volta venuta meno con il decorso del tempo ogni possibilità di applicazione ultrattiva della norma abrogata, potranno essere percorse in alternativa la scelta di sollevare questione di costituzionalità della norma abrogatrice, o quella di applicare in via diretta l’art. 10, comma 3, Cost., in questo caso assumendo anche il compito di declinare il contenuto concreto della misura di accoglienza.

[*] Sullo stesso argomento, in questa Rivista on-line, si veda anche C.M. Bianca, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza, 17 giugno 2019, http://questionegiustizia.it/articolo/la-legge-non-dispone-che-per-l-avvenire-art-11-disp-prel-cc-a-proposito-del-decreto-sicurezza_17-06-2019.php

  

01/07/2019
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