Con particolare piacere porgo un saluto entrando nel vivo dell'XI Assemblea nazionale degli Osservatori sulla giustizia civile con l'avvio dei gruppi di lavoro, dopo il bel pomeriggio di ieri che ha allargato gli orizzonti con una visione comparatistica.
È questa un' Assemblea che presenta elementi di novità, pur nella continuità con quelle precedenti ed apre un nuovo ciclo. La novità centrale è il tentativo di favorire quanto più possibile la partecipazione di tutti e dare maggiore spazio ai lavori seminariali. Per questo mi limiterò a introdurre i gruppi e per questo due di questi ultimi si svolgeranno con il metodo Open Space Technology, che mira appunto a favorire la condivisione delle esperienze e delle riflessioni, in particolare risonanza con il dna degli Osservatori.
L'Assemblea, tuttavia, come sempre, nasce anche dal percorso svolto sin qui negli anni. In particolare, costituisce uno sviluppo di quella di Genova, dove già individuammo nel principio di effettività il fil rouge che legava i temi assembleari. E' questo criterio che ancora attraversa i gruppi di lavoro odierni[1]. Iniziamo dal primo.
1. Diritto giurisprudenziale e prevedibilità delle decisioni: ossimoro o binomio?
La domanda indica l'interrogativo di fondo. E' difficile infatti oggi negare che giudici e avvocati partecipino all'opera di invenzione del diritto - da invenire, ossia ritrovare[2] - perché è esperienza quotidiana e tema al centro del dibattito giuridico; se ne conoscono le cause, dalla complessità sociale alla pluralità delle fonti del diritto, la costituzionalizzazione del diritto, la perdita della centralità della legge, la cultura che pone al centro l'individuo, il caso concreto che trova regole troppo vecchie o in potenziale contrasto, oppure non ne trova affatto; e aggiungerei il proliferare di atti para-normativi rappresentati dal soft law. L’interpretazione in tale contesto diviene necessariamente intermediazione fra forme e norme da un lato e valori e bisogni dall’altro [3].
Quel che resta drammaticamente aperta è la domanda se tutto questo elimini la certezza del diritto e quindi la prevedibilità delle decisioni.
La domanda porta a risposte carate su posizioni di nichilismo giuridico (come quella di Natalino Irti: la certezza resta come certezza...del nulla[4], perchè il diritto non è più calcolabile [5]), o a pessimistiche considerazioni sull' eclissi del diritto civile [6]. Tuttavia c'è anche chi si chiede se invece non si aprano prospettive su nuove figure di certezza [7], pur nella consapevolezza che il diritto, come avverte il Prof. Lipari, è costantemente in fieri [8]: personalmente credo che questa sia la sfida che attende giuristi teorici e pratici nel terzo millennio, chiamando in causa la necessità di un nuovo ragionamento giuridico [9] che possa costruire la decisione del caso concreto attraverso l'impiego di princìpi e regole, che permetta di assicurare quella tutela effettiva dei diritti che le fonti sovranazionali ci impongono (art. 13 e art. 6 Cedu, art. 47 Nizza)[10].
È il tema dell'argomentazione giuridica (lo studio metodico delle buone ragioni, come la definiva Bobbio), dove oggi poggia se non la certezza, la ragionevole prevedibilità e la possibilità di assicurare la coerenza del diritto, temi strettamente connessi al principio di uguaglianza[11]. Nessuna eclissi del diritto civile, ma la riappropriazione in forme diverse della sua funzione ordinante, tanto più fondamentale quanto più la società è plurale e complessa e insofferente rispetto alla forzatura provocata dalla rigidità tipica della certezza. È la flessibilità che consente rimedi effettivi e adeguati a soddisfare il bisogno di tutele di quella concreta situazione, e impone di ripensare alla certezza nella diversa dimensione che assume nei tempi attuali: secondo un'incisiva espressione di Lipari, è divenuta un processo e non più un dato oggettivo[12].
Ecco allora le questioni centrali: quali sono gli strumenti del nuovo ragionamento giuridico e quali sono i presupposti per rendere possibile la ragionevole prevedibilità: le banche dati che rendano conoscibile e fruibile il precedente, gli strumenti di nomofilachia dal basso e dall'alto, il dialogo tra i giudici dei diversi gradi di giudizio, le pratiche di discussione collettiva, aperte ai saperi diversi da quello giuridico perché l'interpretazione non è più monopolio dei giuristi. Il diritto si è fatto impuro, diceva Foucault.
2. Udienza civile: a che serve?
Il lavoro del gruppo sull'udienza civile è strettamente connesso a quanto abbiamo osservato. Se la certezza è diventata un processo e non un dato oggettivo, come questo divenire coinvolge gli attori del processo? Attori che si incontrano in momenti diversi: in un tempo invisibile, che è quello della lettura degli atti e dei provvedimenti, ma è anche quello della ricerca giuridica (a questo incontro partecipano anche i giuristi teoretici e va sottolineata l'importanza della formazione e non della mera informazione, accessibile, ma povera); e c'è un incontro nel tempo visibile, che è quello dell'udienza. Il titolo provocatorio del gruppo di lavoro vuole spingere a risposte trasparenti e autentiche: se l'udienza è un momento di automatica concessione dei termini per memorie, senza alcuna selezione, tanto vale tradurlo in un click anziché in un incontro non virtuale.
Noi pensiamo invece, perché questa è la tensione e la storia degli Osservatori, che l'incontro in udienza serva ad altro: il dialogo processuale che può lì attuarsi è il principale strumento per la costruzione della decisione in senso sostanziale di cui abbiamo prima parlato: tanto più la certezza diviene un processo, tanto più la formazione della regola del caso concreto, che è compito interno del processo, deve essere frutto della cooperazione di giudici e avvocati.
I temi dei due gruppi sono strettamente connessi: i protocolli processuali rispondono all'esigenza di articolare la collaborazione tra giudici e avvocati in vista dell'obiettivo sostanziale. I protocolli su opzioni interpretative, un tempo impensabili, sono ormai una realtà, a volte imposta dall'opacità della disciplina positiva: potrei fare molti esempi (il protocollo fiorentino sulle udienze, i protocolli sulle locazioni, etc), ma mi limito a quello più recente e autorevole: il protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria siglato a Roma il 17.12.2015.
L'ultima parte di tale protocollo, intitolata "Il principio di autosufficienza'', non ha ad oggetto una semplice prassi comune organizzativa, ma una vera e propria opzione interpretativa condivisa perché concerne l'interpretazione dell'articolo 366 n. 6 cpc, norma che del principio di autosufficienza è generalmente ritenuto la fonte normativa. Ma in realtà, ancor prima di questo autorevole precedente, basterebbe ricordare i protocolli o vademecum sul processo civile telematico: protocolli di seconda generazione che nascono prima delle prassi per facilitare la ricostruzione del sistema di fronte a norme oscure, difficili da scovare e collegare, sono ricchi di regole interpretative e giurisprudenza. Un approdo impensabile all'epoca dei primi protocolli.
Quanto mutatus ab illo, mi verrebbe da dire[13], pensando alle discussioni sul protocollo di Firenze di dieci anni fa a proposito di domande trasversali o di chiamata del terzo nei processi di opposizione a decreto ingiuntivo: vi era molta resistenza ad inserire regole interpretative ed è comprensibile, oggi quelle resistenze si sono attenuate o sono sparite.
Il dialogo processuale, basato sul potere dovere del giudice di esporre il proprio pensiero sul materiale processuale, allo stato degli atti, e sulla preparazione di tutti sin dalla prima udienza, è fondamentale strumento di interazione e collaborazione per costruire la decisione nel nuovo complesso ordine giuridico o promuovere la ricerca di un accordo, dentro o fuori il processo. A questo dialogo pensiamo per rilanciare il tema dell'oralità, saggiamente miscelata alla scrittura, ché l'una prepara l'altra e viceversa (ad es. le memorie ex art. 183 cpc dovrebbero incentrarsi solo su questioni pre-filtrate dal colloquio in udienza; questo dovrebbe essere preparato da scritti chiari ed esaustivi); e inoltre per rendere possibile il raccordo tra atti difensivi e provvedimenti, che rende celere e meno complesso il tempo invisibile dedicato alla lettura e alla riflessione: è un cammino che abbiamo intrapreso da molto tempo, convinti che motivazioni concentrate e esaustive richiedano atti chiari e sintetici, un cammino che abbiamo svolto con la Scuola Superiore dell' Avvocatura e laboratori itineranti, approdato di recente presso la Suprema Corte [14].
Oggi il processo civile telematico, se non affogheremo in un neo-formalismo giuridico (ma la recente sentenza della SC n. 9772/2016 che valorizza il principio di strumentalità delle forme fa ben sperare di no[15]) può essere il volano di un cambiamento legato non tanto a prescrizioni normative di concisione (curioso, ma l'art. 429 cpc non ne ha) e nemmeno a decreti o norme che fissino limiti di pagine a scritti difensivi, ma su percorsi culturali, avviati già dall’università e coltivati nelle strutture di formazione degli avvocati e dei magistrati.
Agli Osservatori spetta anticipare il percorso intercettando sin d'ora il bisogno di promuovere un canale di formazione comune, quella formazione che, come diceva Carlo Maria Verardi, assomiglia a un fiume carsico che scompare all'improvviso nelle viscere della terra per poi tornare alla luce: ecco, per lavorare sul raccordo tra atti e provvedimenti occorrerà necessariamente che quel fiume spunti dalle rocce.
Non si tratta solo di 'scrivere chiaro': la formazione sul linguaggio è una formazione sulla corresponsabilità dello ius dicere: il giurista ha il potere di fare cose con le parole, come diceva John Austen[16], cose che hanno a che fare con la libertà, la salute, la qualità della vita e dunque un potere che genera responsabilità.
L'udienza deve tornare ad essere luogo di costruzione della fiducia, fondamento della legittimazione dell' attività giudiziaria secondo la CEPEJ, dove devono tornare le persone e si giochino nuovi ruoli professionali: non più avvocati e giudici che si rifugiano nel legalismo che fa degenerare il potere tecnico in tecnicismo (ed esoterismo espressivo), ma figure consapevoli che la controversia riguarda una vicenda umana segnata da errori, imprevisti, incomprensioni, frustrazioni: una vicenda spesso in cerca di una soluzione, prima che di una ragione. Ma in primo luogo, una vicenda che vuole essere narrata e compresa. Giudici e avvocati sono artefici del racconto giudiziario, secondo ruoli diversi certo, ma entrambi diretti a renderlo credibile e accettabile: per questo non basta rispettare la regola del contraddittorio, ma occorre valorizzare, specie in certi settori, la partecipazione delle persone ed essere attenti alla tecnica del precedente: non è solo monopolio dei sistemi di common law, anche noi stiamo attenti o dovremmo esserlo: la storia che vogliamo raccontare, sia attraverso le parole del legale sia con quelle del giudice, è tanto più convincente quanto più possiamo dimostrare che è già stata raccontata.
3. Giurisdizione e metodi diversi di soluzione delle controversie: quale equilibrio?
Last but not the least, il gruppo sul tema giurisdizione e metodi diversi di soluzione delle controversie. Il filo rosso del criterio di effettività gioca anche qui il suo ruolo: le a.d.r., nella prospettiva del legislatore europeo, mirano a rendere effettivo l'accesso alla giustizia, la tutela dei diritti; in una prospettiva più ampia, tendono a soddisfare bisogni, esigenze, speranze, che si coagulano in quelle che Irti chiama ''la complessiva situazione di vita'': se si passa dal caso giuridico (caso come evento riconosciuto dalla norma, non opaco accadere) alla vicenda concreta, alla posizione esistenziale, la fattispecie entra in crisi, sottolinea Irti ( non si prospetta più la causa astratta, ma la funzione concreta del negozio giuridico); ma forse, potremmo aggiungere, entra in crisi anche il diritto, con la sua pretesa di regolamentazione totale, pur nella difficoltà di leggere e interpretare i conflitti.
Rinvio alla relazione pubblicata nel bel sito dell'Osservatorio di Milano per chi volesse approfondire il tema alla luce degli spunti offerti dalla tesi del sociologo Gunter Teubner sulla riflessività del diritto, la necessità che il diritto torni ad essere specchio della società, ordinamento dal basso.
Termino invece con alcune rapide riflessioni in tema di a.d.r.
Siamo sempre più consapevoli del carattere relativo, storicamente condizionato, dei sistemi di composizione dei conflitti (basti pensare che in certi ordinamenti è proprio il giudice civile ordinario a costituire il sistema di a.d.r., perché è considerato l'extrema ratio [17]). A questo proposito è stimolante la teoria dello specchio di Oscar G. Chase[18]: Chase sostiene che da un lato il processo giudiziario e i metodi non giudiziari sono lo specchio che riflette valori e modelli delle società in cui si svolgono; dall'altro, sostiene l'idea che a loro volta i sistemi di soluzione dei conflitti, oltre a confermare quei modelli tipici, possono anche costruire valori, idee, gerarchie sociali che si riflettono ed hanno influenza sulla società. Un doppio riflesso dunque.
È nota la querelle sulla mediazione: può rendere una società migliore, assicurando maggiore cura delle relazioni, strumento di pacificazione duratura, oppure peggiore, perché finisce per valorizzare le posizioni più forti, favorire la manipolazione, annacquare la sensibilità verso il rispetto dei diritti? E ancora: l'esigenza di costruire regole, precedenti (ci colleghiamo di nuovo al primo gruppo, come vedete) come si confronta con sistemi che non producono - sempre - regole conoscibili ma che pure, in certi settori, di quelle regole hanno bisogno?[19] Sono domande che vogliono solo sottolineare la complessità dei temi che dobbiamo affrontare.
Personalmente credo che i pericoli non dipendano affatto dai sistemi a-giurisdizionali, ma dal loro uso improprio, se declinato solo in chiave deflativa.
Il protagonismo della società porta alla ribalta i fatti sociali e economici 'in tutta loro fangosità'' [20], carnalità , direbbe Grossi. Un sistema integrato e condiviso di giustizia esige oggi una pluralità di metodi a seconda della natura del conflitto e del contesto, metodi diversi a cui riconoscere pari dignità. Siamo in un momento di transizione e sperimentazione, alla ricerca di una classificazione, di un riordino per favorire prassi buone e l'esportazione di modelli giusti nei settori giusti. Occorre informare l'utenza, ancora poco consapevole e informata, e anche reclamare coerenza, ad esempio, sul piano dell'ampliamento dell' aiuto economico dello Stato, per ora ancorato al processo, ai metodi non giurisdizionali che pure lo Stato incoraggia o, in certi limiti, impone.
Un punto mi pare centrale: le a.d.r. funzioneranno correttamente se funzionerà il processo civile.
Siamo ad un grande bivio: possiamo far fuoriuscire dalla giurisdizione il contenzioso aprendo via via fessure casuali per renderla un canale esangue; oppure avere un progetto che chiarisca la missione della giurisdizione civile, incentrata sulla tutela dei diritti fondamentali, baluardo per le situazioni che rivelano asimmetria di potere o posizione[21].E renderla un canale in piena, che assolva con efficienza e qualità il compito demandatole, attenta alla natura delle situazioni soggettive: e questa attenzione esige una vera specializzazione e la soddisfazione delle esigenze di prossimità o, in termini più attuali, di accessibilità. Il riferimento più urgente, a mio avviso, è alla c.d. giustizia minorile che rischia di annaspare nella logica della ''sezione di tribunale'' anziché dar vita a una nuova e moderna giurisdizione per la gestione dei conflitti e in genere dei problemi delle famiglie, della persona e dei minori.
Esiste un collegamento stretto tra funzionamento della giurisdizione e corretto impiego dei sistemi diversi. Un esempio per tutti: una giurisdizione efficace non può reggersi sul lavoro gratuito (stagisti) o precario (giudici onorari), ma esige figure nuove di assistenti stabili e retribuiti. E vorrei sottolineare come questa esigenza si colleghi all'impiego delle a.d.r.: in mancanza di risorse coordinate in un moderno Ufficio per il processo e di una domanda giudiziaria eccessiva si sono sviluppate prassi che tendono a trovare altrove il sostegno che il giudice non trova nel suo ufficio: mi riferisco alle prassi che rendono il mediatore una sorta di ausiliario del giudice, un ausiliario a cui il giudice detta istruzioni e comportamenti: eseguire accertamenti tecnici, fare proposte in vista di successive sanzioni, persino in assenza della parte invitata.
De iure condendo potremmo ragionare su sistemi nuovi di a.d.r. (ad esempio, la mediazione giudiziaria come è stata concepita in Francia) o possiamo ragionare sull'espansione di quelli esistenti, come l'Arbitro Bancario e Finanziario e al possibile intreccio con la giurisdizione in certi settori di contenzioso. Tuttavia, credo che le prassi a cui ho accennato rischino di snaturare, a mio avviso contra legem, l'istituto della mediazione e anche di svilire la giurisdizione che la utilizza in modo improprio.
Il significato più profondo della mediazione infatti non è certo quello di alleggerire tribunali ingolfati, ma di promuovere l'autodeterminazione delle persone, e tentare di agire il confitto come prassi di umanizzazione, di riconoscimento dell'altro, di responsabilità. Uno sguardo diverso sui conflitti che andrebbe favorito attraverso pratiche educative a cominciare dai bambini per arrivare ai corsi presso le Università.
La mediazione è una forma di giustizia, sia pure mite, oppure è qualcosa di diverso, uno strumento di sviluppo del valore della persona tutelato dall'art. 2 cost. ?
È un piano affascinante di riflessione, ma certo possiamo dire ciò che la mediazione non è: non un modo per puntellare una giurisdizione alla deriva ed aggirare l'obbligo di investire in questa con risorse stabili e qualificate.
Concludo leggendovi due righe in cui mi sono imbattuta di recente: ''Fra un pessimismo convinto e la certezza di una prossima panacea stanno tutti coloro che scorgono i gravi mali e gli acciacchi del tempo nostro, e non sanno come vi si possa rimediare od ovviare, ma intanto lavorano e sperano, cercano di capire e sono disposti a sopportare''.
È una frase del grande storico olandese Huizinga, tratta dal celebre testo Il tramonto della civiltà, scritto nel 1935 ma di grande attualità oggi. Lo cito volentieri perché ho ritrovato lo spirito degli Osservatori nelle persone che, magari non sanno ancora bene come risolvere le questioni complesse che si pongono, 'ma, intanto, lavorano e sperano, cercano di capire''.
Buona Assemblea a tutti noi.
[1] Per un approfondimento dei temi dell'introduzione mi permetto di rinviare al mio contributo La Giustizia del XXI secolo dentro e fuori la giurisdizione: una riflessione sul principio di effettività, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2016, n.2, p. 715.
[2] P. Grossi, Sull'odierna 'incertezza' del diritto, in Giust. civ., 2014, p.18.
[3] Da ultimo, sull'interpretazione si veda l'originale riflessione di Bin, A discrezione del giudice. Ordine e disordine una prospettiva “quantistica”, Franco Angeli, Roma, 2013
[4] N. Irti, Nichilismo giuridico, Roma,-Bari, 2015; La crisi della fattispecie, Riv. dir. proc., 2014, I, 36.
[5] id. Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. proc., 2105, p. 11 ss.
[6] Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, p. 237 ss.
[7] Benedetti, Fattispecie e altre figure di certezza, in Persona e Mercato, 2015, p.67.
[8] Lipari, I civilisti e la certezza del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p.115.
[9] Il riferimento è a N. Bobbio, Sul ragionamento dei giuristi, in Riv dir civ. 1955, p 3 ss., richiamato da Vettori, Regole e Princìpi. Un decalogo, in Persona e Mercato, 2015, p. 52.
[10] Vettori, Contratto Giusto e rimedi effettivi, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2015, p. 791.
[11] Come nota Franco De Stefano nella relazione svolta a Salerno il 12 maggio 2016 al convegno su Diritto Giurisprudenziale e prevedibilità delle decisioni: ossimoro o binomio? tenutosi proprio in preparazione dell'Assemblea '' la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha escluso che le esigenze di certezza del diritto e di tutela della fiducia dei cittadini conferiscano un diritto alla coerenza giurisprudenziale ed anzi affermato che l’evoluzione della giurisprudenza non è di per sé contraria alla corretta amministrazione della giustizia, ponendosi anzi in linea con l’esigenza di favorire un approccio dinamico ed evolutivo. Ciò a patto che esistano meccanismi interni capaci di assicurare la coerenza della pressa giudiziaria e l’uniformità della giurisprudenza dei tribunali'' :il riferimento è a CEDU, 16 settembre 2014, Sepe e Di Leta c. Italia. ; CEDU, Iordan Iordanov e altri c. Bulgaria, ric.n. 23530/02, §§ 49-50, CEDU, 2 luglio 2009, Beian c. Romania (ric. N. 30658/05, §§ 34-40; CEDU, Ştefan e Ştef c. Romania ric.nn. 24428/03 e 26977/03, §§ 33-36, CEDU,27 gennaio 2009, Schwarzkopf e Taussik c. Répubblics Ceca, ric.n. 42162/02, 2 décembre 2008, Tudor Tudor, § 31; CEDU, Ştefănică e autres c. Romania, ric.n. 38155/02, 2 novembre 2010, § 36;CEDU, Ferreira Santos Pardal c. Portogallo, 30 luglio 2015, ric.n. 30123/10, par.42 ss.
[12] Lipari, I civilisti e la certezza del diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, p.1140.
[13] La frase latina Quantum mutatus ab illo! (trad. Quanto diverso da quello (che è stato)) si trova nell'Eneide (II, 274) di Publio Virgilio Marone; è pronunciata da Enea, al quale appare in sogno Ettore non in sembianze di eroe della guerra di Troia, bensì coperto di piaghe sanguinanti.
[14] In realtà, nota A. Cosentino, nell' intervento pronunciato nel convegno La tutela dei diritti nel processo civile di cassazione svoltosi a Pisa il 26.2.16, ''.. il vero “lavoro su se stessa” della Corte si è ...̀ sviluppato alla fine dello scorso decennio, sfociando in un gruppo di lavoro che elaborò la proposta della “motivazione semplificata” poi recepita dal primo presidente Lupo in una specifico provvedimento, adottato, nell'esercizio del potere di auto organizzazione della Corte, il 22 marzo 2011, con il quale si invitavano i consiglieri delle sezioni civili, quando i chiamati a decidere "su ricorsi che non richiedono l’esercizio della funzione di nomofilachia o che sollevano questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi dal collegio, a redigere una sentenza (o un’ordinanza a contenuto decisorio) “a motivazione semplificata”, di tipo estremamente sintetico con riferimento ai vizi di motivazione, o con richiamo dei precedenti conformi in caso di prospettazione di questioni giuridiche già risolte dalla giurisprudenza della Corte".
[15] Questo il principio di diritto nell'interesse della legge: «In tema di processo civile telematico, nei procedimenti contenziosi iniziati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, nella disciplina dell'art. 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, inserito dall'art.1, comma 19, numero 2), della legge n. 228 del 2012, anteriormente alle modifiche apportate dal decreto-legge n. 83 del 2015 (che, con l'art. 19, comma 1, lettera a, n. 1), vi ha aggiunto il comma 1-bis), il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell'atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell'attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ogniqualvolta l'atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell'ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, deve ritenersi integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti».
[16] J.L. Austen, Come fare cose con le parole, trad. it. Genova, 1987.
[17] Ad esempio, nell'ordinamento inglese e per motivi diversi in quello giapponese: v. Varano, La cultura dell'ADR una comparazione tra modelli, in Rivista critica del diritto privato, 2015, p. 505.
[18] O.G. Chase, Gestire i conflitti. Diritto, cultura, rituali, Laterza , 2009.
[19] Ne accenna efficacemente F. Fiecconi, nel contributo Il risarcimento del danno alla persona nella rete di tutela europea, inserito nel sito www.milanosservatorio.it.
[20] Grossi, Sull'odierna incertezza, op. cit., p. 7.
[21] Restituire all'individuo dominato ed escluso la propria dignità di soggetto di diritto risveglia la parte di sovranità contenuta in lui, ecco l'obiettivo dell'intervento giudiziario: Garapon, Stato minimo, Giustizia e neoliberismo, Raffaello Cortina editore, 2012.