Questa lettera aperta ha per principale destinatario il Consiglio Superiore della Magistratura, fondamentalmente quello di prossimo insediamento. Ma per prima cosa, per debito di gratitudine, va espresso un sincero apprezzamento al Consiglio uscente per il lavoro fatto sulle “buone prassi” in materia concorsuale, dalle quali come giudici ex fallimentari ricaveremo utili spunti per la gestione del Codice della crisi appena entrato in vigore (delibera P14035 del 25.7.2022).
Tuttavia neanche le prassi stramigliori, e non solo quelle buone, possono a mio avviso rimediare ad un vizio genetico della Novella, che mi sembra totalmente dimenticato nell’alluvione di pubblicazioni sui nuovi istituti da cui siamo stati inondati a ridosso e dopo il 15 luglio scorso.
Possiamo dimenticare che la riforma nasce all’insegna del “vino nuovo dentro la botte vecchia”, e una botte per giunta malandata, perché priva di un corredo ordinamentale e organizzativo adeguato, come era stato in passato per tutte le altre riforme di segno “epocale” e di qualche respiro? Pensiamo al codice di procedura penale del 1988 o alla miniriforma civile del 1995, riforme tutte accompagnate o seguite a breve da rivisitazioni dell’assetto organizzativo (vedi alla voce: giudice unico, revisione circoscrizioni ecc.); se non vogliamo risalire addirittura – come modello - alla riforma del processo del lavoro che nel triennio 1970-1973, grazie alla sinergia tra diritto sostanziale, rito processuale e assetto ordinamentale, aveva preparato un terreno ragionato favorevole al decollo della riforma.
Possiamo dimenticare che la legge delega n. 155 del 2017 per la riforma del fallimento, dopo laboriose discussioni, aveva previsto tre livelli di competenza diversificati per tipologie procedimentali che avrebbero dovuto favorire la specializzazione dei giudici “concorsuali”? Tutti oggi sottolineano la centralità della Direttiva “Insolvency” 2019/1023, che è alla base degli ultimi passaggi cruciali del Codice operativo dal 15 luglio scorso, ma pochi sembrano ricordare che tra gli obiettivi comunitari ci stava da tempo anche un ripensamento circa le strutture giudiziarie deputate alla gestione della crisi di impresa (vedi i considerando nn. 85 e 86) proprio all’insegna di una necessaria specializzazione dei giudici “concorsuali”.
Era una richiesta seria, quella contenuta in tale Direttiva (e nelle precedenti) circa la specializzazione dei giudici addetti alla materia, oppure possiamo continuare a pensare che “tutti possono fare tutto”, anche il portiere volante, alternando abigeati, stupefacenti, separazioni coniugali, contenziosi proprietari, mescolati con valutazioni di fattibilità (economica) dei piani di ristrutturazione industriale?
Lo dico senza nessuna spocchia o rivendicazioni di primogeniture per una materia che maneggio da poco e male; è solo che 35 anni di permanenza in magistratura mi hanno convinto che la specializzazione ha un suo valore per tutti: utenti e magistrati.
E poi, quanto è malandata la botte vecchia in cui andiamo a versare il vino nuovo, ce lo siamo chiesto? Può partire con sereno ottimismo – con gli attuali organici effettivi delle sezioni fallimentari, dove queste esistono - una riforma che, con l’eliminazione dell’"ombrello automatico" per la protezione del patrimonio dell’impresa in crisi e la sua sostituzione con procedimenti cautelari per determinare di volta in volta la misura e la durata della protezione del patrimonio aziendale, praticamente duplicherà il carico gestionale di quasi tutte le procedure compositive a sfondo negoziale?
Poco senso ha obiettare che “ce lo chiedeva l’Europa”, dato che il passaggio dall’automatic stay del vecchio concordato preventivo all’ombrello protettivo “personalizzato” per le nuove procedure di ristrutturazione era in effetti proprio uno dei paletti imposti da tempo dalle direttive comunitarie. Ma possiamo pensare che siano la stessa cosa, dal punto di vista del carico e dell’ impatto sul giudiziario, la botte vecchia con il fermo automatico delle azioni esecutive, per un verso; e, dall’altra parte, nel nuovo regime, un procedimento cautelare ad hoc per stabilire se, come e per quanto tempo ha da funzionare questo ombrello protettivo a salvaguardia dell’integrità del patrimonio dell’impresa in crisi, nel contraddittorio con un numero non sempre facilmente determinabile a priori di creditori controinteressati?
Capisco poi l’esigenza di evitare lo spettro incombente di robuste sanzioni comunitarie per i ritardi accumulati nell’attuazione delle direttive comunitarie e quella di incassare rapidamente la rata in scadenza della provvista comunitaria per il P.N.R.R., per cui dopo cinque anni di rinvii della riforma della legge fallimentare (in buona parte giustificati dall’emergenza pandemica) si è dovuto predisporre la macchina organizzativa nell’arco di un mese e mezzo, ma abbiamo verificato prima di mettere in pratica il Codice della crisi qual’ è il grado di scopertura degli organici presso le sezioni “concorsuali”, e quindi quali concrete prospettive ci sono di assicurare tempi ragionevoli di risposta nei nuovi e rimodellati procedimenti introdotti dal Codice della crisi? Soprattutto di questi tempi, in cui non possiamo escludere del tutto recrudescenze pandemiche e/o crisi economiche dipendenti da ragioni sanitarie e costi energetici alle stelle, con tutto quello che possono comportare in termini di appesantimento dell’attività giudiziaria nella gestione della crisi di impresa?
Nella mia Sezione, che incidentalmente gestisce le procedure concorsuali e anche le espropriazioni immobiliari e i contenziosi oppositivi, tanto per fare un esempio nemmeno dei più drammatici, siamo 4 giudici operativi su 7 in organico, con una prognosi di rimanere a ranghi ridotti per un paio d’anni: come si può pensare di realizzare obiettivi dignitosi quanto a definizioni e tempi, con risorse così limitate, dovendo trovare anche il tempo di mettere a fuoco e metabolizzare nuovi istituti e nuove procedure operative?
Insomma, sono abbastanza allibito di fronte a una riforma priva di analisi dei flussi contenziosi e di stress test di impatto sulle strutture giudiziarie, per usare un termine caro ai cultori della materia, in cui non riesco a trovare – sicuramente solo per miei limiti di approfondimento – appropriate analisi sui flussi previsti in ingresso e circa le capacità di smaltimento da parte degli uffici “concorsuali”; ma neanche adeguate verifiche sul campo di come alcune anticipazioni del Codice hanno funzionato in concreto negli ultimi mesi: parlo della modifica del sovraindebitamento e del D.l. 118 sulla composizione negoziata e sul concordato semplificato.
Lo sgomento cresce di fronte al paradosso per cui l’istituto probabilmente destinato al maggior successo, il concordato semplificato, inserito di peso all’ultimo minuto nell’impianto del Codice della crisi prelevandolo dal D.l. 118 dell’anno scorso, sembrerebbe – almeno testualmente - nascere privo del necessario corredo di misure protettive. Il che comporterà da subito laboriose discussioni tra i cultori dell’argomento testuale, contrapposti a quelli dell’argomento sistematico, per venire a capo dell’assurdo giuridico per cui un patrimonio funzionalmente destinato al soddisfacimento concorsuale dei creditori finirebbe smembrato atomisticamente ben prima di essere distribuito a causa della prosecuzione delle espropriazioni individuali.
Eppure una specie di stress test nel sistema, a livello normativo, già esisteva: non era contenuto nel Decreto delegato n. 14/2019, ma nella Legge n. 155/2017 a monte e proprio per la parte ordinamentale di tale legge, per la quale non è stata esercitata la delega da parte del legislatore delegato.
Vi si prevedeva appunto la rivisitazione delle competenze concorsuali secondo una triplice graduazione di competenze (art. 2.1 lett. n), il che equivale a dire che chi aveva concepito la nuova architettura delle attività liquidatorie e di gestione della crisi di impresa aveva chiaro che non si poteva travasare il vino nuovo nella botte vecchia e che il nuovo castello concorsuale in tanto potrà stare in piedi, in quanto poggi su fondamenta organizzative diverse. Non casualmente, perciò, sempre la lett. n) della Legge delega prevedeva anche un’analisi di adeguatezza degli organici destinati a gestire la riforma della legge fallimentare; mentre oggi tutta tale fondamentale previsione sembra sparita dal periscopio parlamentare e governativo.
La questione è tutt’altro che teorica, per le sezioni ex fallimentari (ora “tribunali concorsuali” secondo l’art. 122 del Codice) perché:
a) dovranno gestire le misure protettive nella procedura di composizione negoziata, come da novellati artt. 18 e 19, mentre nella stesura originaria del Codice queste ultime – durante la composizione assistita in sede OCRI – erano affidate dall’art. 20.1 alle Sezioni Imprese;
b) sono competenti, quelle che coincidono con la sede del Sezioni Specializzate per le imprese, per le procedure di maggiore complessità “e le controversie che ne derivano”: amministrazioni straordinarie e gruppi di imprese di rilevanti dimensioni (art.27).
Il tutto, manco a dirlo, a parità di organico magistratuale e di cancelleria, il che è come evocare le proverbiali nozze con i fichi secchi.
Nell’imminenza del periodo feriale, il periodo meno propizio per il decollo di riforme “epocali”, è partita quindi un’anatra doppiamente zoppa: da un lato, per la mancata attuazione della riforma ordinamentale prevista nella delega del 2017; dall’altro, per i vuoti nell’organico magistratuale che toccano la punta del 15,32% e che non risparmiano certo le ex sezioni fallimentari.
Aumentiamo un po’ la precedente percentuale e parliamo per un attimo del 21% di scoperture degli organici amministrativi – malgrado sforzi titanici nei reclutamenti, ma solo negli ultimi anni – che interessano di conseguenza anche le cancellerie ex fallimentari. Una situazione abbastanza pesante che comporta l’impossibilità di richiedere alle strutture di supporto adempimenti e compiti che vadano oltre la gestione minimale dei flussi di atti in entrata/uscita e di aggiornamento dei dati dei fascicoli, con una palese sottoutilizzazione delle competenze del personale di cancelleria. Il fatto è che in futuro chiederemo molto di più alle nostre cancellerie, che sono onerate direttamente di parti importanti dell’istruttoria “prefallimentare” in base all’art. 42 del nuovo Codice; e già i primi test di colloqui informativi diretti tra Cancellerie e uffici amministrativi esterni si sono rivelati abbastanza deludenti.
Anche qui, per il “secondo pilastro” dell’ufficio per il processo, quello delle cancellerie, fondamentale per l’efficace decollo della riforma fallimentare, assistiamo quindi ad un aumento di incombenze con risorse che mancano all’appello.
Il nodo più problematico, lato cancellerie, non è però solo quello dei vuoti negli organici, ma principalmente quello della formazione degli addetti in vista dell’attuazione del nuovo Codice. I webinar ministeriali, organizzati di corsa e con estreme generosità nelle ultime settimane prima del 15 luglio, non potevano certo bastare a evitare la paralisi informativa che, complice il periodo feriale improvvidamente scelto per l’esordio della riforma, si è determinata al momento di procedere alle prime iscrizioni delle nuove procedure, le quali hanno richiesto l’istituzione di tre nuovi registri informatici (procedimento uniforme, liquidazione giudiziaria, altre procedura concorsuali).
Nel momento più critico dell’anno lavorativo, dal punto di vista operativo, si è andati a impattare sul nodo strutturale di un’assistenza tecnica, già abbastanza evanescente nel corso dell’anno, che nel periodo feriale era quasi totalmente assente e, quando presente, non sapeva fornire le risposte del caso ai primi dubbi interpretativi sulle attività di cancelleria e sulle domande poste dall’utenza; interrogativi tutti, che aumentano ovviamente all’entrata in vigore di una riforma di ampio respiro proprio per mancanza di adeguata conoscenza delle nuove procedure informatiche.
A questo punto, intratteniamoci per un secondo proprio sui programmi applicativi e sulle dotazioni informatiche per le attività ex fallimentari, che mettono a dura prova i personal computer in uso agli uffici giudiziari per l’enorme quantità di dati che devono immagazzinare ed elaborare nelle procedure concorsuali. Già adesso l’aggiornamento giornaliero di una consolle di un giudice ex fallimentare richiede tempi biblici, in un quadro generale di inadeguatezza e vetustà dei gestionali, per cui ogni giorno conosciamo un continuo “corpo a corpo” tra lo stesso magistrato e la sua Consolle per qualcosa che non funziona e a cui l’assistenza tecnica porrà rimedio tra una settimana – se va bene – mentre tu sei lì davanti ad avvocati e parti con il computer bloccato e non puoi neanche completare un verbale di udienza.
Figuriamoci cosa ci riserverà il futuro, con la proliferazione dei registri informatici e dei modelli di riferimento per i provvedimenti: già le prime descrizioni degli esordi delle nuove procedure, fornite dai malcapitati colleghi di turno presso la sezione feriale, sono abbastanza agghiaccianti e lasciano intendere che non bastano 3 webinar per colmare il gap formativo, ma ci vorrebbe almeno una settimana di full immersion nelle novità informatiche scaturite dalla riforma per potersi dignitosamente destreggiare tra nuova modulistica e subprocedimenti a cascata aperti a partire da una procedura-base (si, ma quale?). Dove la troviamo, una settimana a testa di immersione totale in attività formative, quando stentiamo a comporre un collegio giudicante?
Mettiamo nel conto anche il capitolo hardware. Se chiedi alla dirigenza computer più performanti, in grado di non piantarsi per delle mezz’ore buone mentre aggiorni i fascicoli, ricorrendo alle convenzioni con i provider esterni, ti dicono che non è possibile; se proponi di comprare schede di espansione di memoria, ti dicono ugualmente di no anche se sei disponibilissimo a pagarle di tasca tua. Nuovi p.c. più veloci e potenti, capaci di elaborare rapidamente i dati delle procedure senza trasformarsi in pochi mesi in lenti tricicli a pedali, non se ne vedono, anche se ripeti la richiesta due, tre, quattro volte…
Alla fine di questa incoraggiante carrellata, possiamo poi non aprire il capitolo dell’ufficio per il processo? Una struttura organizzativa che potrebbe dare, come e più che presso le sezioni di cognizione, un contributo decisivo per il controllo di gestione rispetto a tipologie lavorative – come quelle concorsuali - nelle quali il “botta e risposta” tra magistrato e platea dei professionisti onerati delle varie procedure è quotidiano e intenso. Dove “controllo di gestione” significa non solo l’estemporaneo controllo dei tempi e delle attività che si faceva episodicamente sui fascicoli, nella versione “giudice fai da te”, ma strutture di staff impegnate nel monitoraggio sistematico delle procedure concorsuali aperte e da chiudere.
Non solo: sulla carta, con il Decreto legge n. 80 del 2021, ci era data la possibilità, anche grazie all’apporto di professionalità diverse dalle sole competenze giuridiche, di realizzare momenti di controllo quanto all’economicità delle procedure, spunti di analisi e studio sull’efficacia delle risposte date, attività di organizzazione sistematica dei precedenti ecc.
Ebbene, è successo solo alle nostre latitudini che buona parte delle risorse fresche e adeguate per questo tipo di lavoro siano state sostanzialmente confiscate dai dirigenti di cancelleria per essere impiegate nelle immediate attività di sportello, registrazione dati e assistenza d’udienza, perché i vuoti d’organico delle cancellerie sono anche più impressionanti di quelle dell’organico togato?
Nel mio cantuccio genovese, non ho fatto in tempo ad impostare con una funzionaria UPP, ex commercialista, un sistema di monitoraggio sulle liquidità fallimentari e tempestività dei riparti – e sarebbe stato un bel lavoro, una cosa che mancava da anni, utile per tutta la Sezione - che me la sono vista migrare per lo sportello delle esecuzioni mobiliari.
Dai nostri lidi, per fortuna, la maggior parte dei neoassunti fa di massima quello che prevede il citato decreto rifondativo dell’ufficio per il processo; ma se dovessi raccontare per filo e per segno le fatiche per avere configurati e operativi i p.c. degli assistenti, o la gamma degli inconvenienti quotidiani che si registrano per i neo-funzionari, condizionandone pesantemente la possibilità di essere utilmente affiancati ai magistrati, riempirei un tomo spesso dieci centimetri.
Ecco, esaurisco qui per carità di patria il cahier de doléance post 15 luglio 2022 con la consueta chiusa: la personale professione di lealtà repubblicana, per cui quanto sopra non ci esime dal cercare di dare il meglio di noi per far funzionare il Codice della crisi, perché è chiaro che la magistratura non può chiamarsi fuori da una riforma così lungamente attesa. Una lealtà sincera, tuttavia, che incontra il limite fisico dell’impossibilità di clonazione dei giudici e degli amministrativi.
Perciò mi attendo, dall’organo massimamente rappresentativo del corpo professionale fin dal prossimo insediamento della nuova consiliatura - e per questo scrivo una lettera aperta sperando sia lo spunto per un’inversione di rotta - un preciso e forte segnale di allarme per le condizioni pregiudicate in cui parte il Codice della crisi, perché non diventi da subito una riforma fallimentare; oltre ad invocare chiari segnali di attenzione per un’attività formativa capillare che muova dalla ricognizione immediata dei problemi sul tappeto.
In tempi, in cui la deriva produttivistica “Cartabia style” è parte integrante del rinnovato ordinamento giudiziario, fare un po’ di chiarezza presso l’opinione pubblica sulle reali condizioni in cui si lavora negli uffici giudiziari, richiamando la politica alle sue responsabilità per le decisioni che sono state accantonate e le risorse che mancano all’appello, mi sembra un preciso dovere del prossimo Consiglio Superiore.
Mi rendo conto che questa letterina/filippica è abbastanza ingenerosa verso quei comparti e direzioni ministeriali che hanno fatto sforzi titanici negli ultimi anni e mesi per rimediare ai guasti di un ventennio di inedia preagonica dell’amministrazione giudiziaria. Però sono certo che, in una serena ed equilibrata analisi del perché siamo arrivati a questo punto, si potrà distinguere in modo appropriato dando a ciascuno la sua parte di meriti o demeriti.
L’importante è ricordare coram populo che l’art. 110 della Costituzione non è stato ancora abrogato e il C.S.M., andando oltre le sole buone prassi, può fare un’intelligente opera di “controinformazione” e sensibilizzazione perché sia chiaro, senza derive corporative, chi-deve-fare-cosa. Altrimenti, al solito, il nostro Ordine giudiziario a ranghi ridotti finirà per costituire il capro espiatorio per tutto quello che non si potrà fare a ordinamento e risorse date ma con il raddoppio delle pretese di professionalità ed efficienza.
Aspetto quindi fiducioso di leggere nelle prossime puntate dei notiziari una netta presa di posizione del prossimo rinnovato Consiglio Superiore su questi temi e una minima analisi circa l’attuale assetto delle sezioni che trattano la materia concorsuale, oggetto della freschissima riforma.
Senza scomodare datati apologhi latini, è chiaro a tutti che le buone prassi e le buone idee non vanno da nessuna parte, senza valide gambe. Se non vogliamo che il vino nuovo, calato nella botte vecchia, diventi rapidamente aceto, una prima ricognizione dell’esistente e di analisi dell’adeguatezza dell’attuale assetto dei giudici “concorsuali” rispetto agli obiettivi del Codice della crisi diventa perciò abbastanza urgente.
Non maneggiare i cordoni della borsa condanna inevitabilmente ad un certo grado di emarginazione informatica e decisionale dell’organo di autogoverno, e lo si tocca con mano in diversi passaggi delle più fresche riforma varate dagli ultimi esecutivi, in cui la voce e l’opinione degli uffici giudiziari, cioè il “punto di vista interno” di chi poi sarà chiamato ad attuare, non è stato preso minimamente in considerazione.
Non è quindi il caso che il Consiglio Superiore, restando silente di fronte ai problemi emergenti da questa nuova riforma, moltiplichi il prevedibile tasso di delegittimazione dell’ordine giudiziario anche nella gestione della crisi di impresa. Batta non uno, ma due e più e più colpi!