1. Nel cingermi a commentare da una parte lo schema di decreto-legge e dall’altra il disegno di legge delega per la definizione dell’arretrato e l’efficienza del processo civile mi trovo a dare due diversi giudizi: uno (sostanzialmente) positivo per il decreto legge, e altro invece negativo per il disegno di legge delega. E, sia consentito, la mia opinione dell’un progetto rispetto all’altro è così diversa da sembrarmi addirittura strano che entrambi possano provenire da una medesima commissione.
Vengo subito ai punti.
Da anni sostengo che al crisi del processo civile non si cura reprimendo la domanda di giustizia dei cittadini ma viceversa rafforzando l’offerta di giustizia che lo Stato deve ai cittadini.
Per la prima volta, dopo tanti anni, il decreto legge mi sembra improntato a questo spirito, ovvero mi sembra volto a migliorare l’efficienza della risposta di giustizia senza reprimere l’azione giudiziaria.
In questa ottica mi sembrano infatti riconducibili le novità che si vanno introducendo: dal trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti pendenti, alla negoziazione assistita, alla semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio, alla nuove disposizione per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata.
Sono tutti istituti che non reprimono il diritto di azione, né pongano nuovi ostacoli o nuovi costi al suo esercizio, ma solo cercano di definire nel modo migliore e più celere le controversie pendenti o da instaurare.
Dunque, al di là dell’esegesi spicciola sui singoli articolati, l’impianto di riforma, e soprattutto lo spirito che lo anima, è da condividere, e costituisce veramente, a mio parere, una novità rispetto alle numerosissime riforme che si sono avute negli ultimi anni.
2. Discorso completamente diverso va invece svolto sul disegno di legge delega.
Due sono le critiche generali ad esso:
a) sotto un primo profilo detto disegno di legge appare di una genericità eccezionale e sorprendente, ovvero appare talmente generico da non poter costituire, a parere di chi scrive, secondo i parametri costituzionali, presupposto normativo tale da legittimare il governo all’emanazione di un decreto legislativo.
La legge, come è noto, ai sensi dell’art. 76 Cost. può delegare al governo la funzione legislativa per oggetti determinati, però con determinazione dei principi e dei criteri direttivi.
Qui i principi e i criteri sono invece così generici da non costituire alcuna direttiva al Governo, il quale sarebbe così libero di disciplinare la materia nel modo più discrezionale (o addirittura arbitrario) possibile, e quindi, sempre a mio parere, in modo non conforme all’art. 76 Cost.
Che significa, ad esempio, relativamente a Tribunale della famiglia “disciplinare il rito in modo uniforme e semplificato”? Oppure che significa, con riguardo al processo civile ordinario, e sempre ad esempio, “valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice di cui all’art. 185 bis c.p.c.”? O ancora che significa “assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione”? O, di nuovo, con riferimento all’appello, che significa “potenziamento del carattere impugnatorio”? o “introduzione di criteri di maggior rigore nella disciplina dell’eccepibilità o rilevabilità, in sede di giudizio di appello, delle questioni pregiudiziali di rito”? ecc….(e gli esempi potrebbero continuare).
Valorizzazione, potenziamento, assicurazione circa la snellezza e concentrazione, maggior rigore, ecc…..sono programmi di massima del tutto insufficienti a dar contenuto ad una legge delega, posto che il parlamento non può delegare “in bianco” il governo allo svolgimento della funzione legislativa (rinvio a La delega legislativa, Seminario di studio, in www.cortecostituzionale.it).
b) Sotto altro profilo il disegno di legge, a mio parere in contraddizione con il decreto legge, tende viceversa a risolvere la crisi del processo civile in conformità alle logiche seguite negli anni passati, ovvero con la repressione del diritto di azione e di difesa, qui ulteriormente e ingiustificatamente mortificati.
Come non fossero bastate le recenti riforme del giudizio di appello e cassazione, questo disegno di legge prevede ancora “maggior rigore in relazione all’onere dell’appellante di indicare i capi della sentenza che vengono impugnati (art. 2, 2b); “limiti alle deduzioni difensive” (art. 2, 2c); “l’eliminazione del meccanismo di cui all’articolo 380 bis c.p.c.” possibilità per i difensori di interloquire con il PG solo “per iscritto” (art. 2, 3a); “introduzione del principio di sinteticità degli atti” (art. 2, 7); “rimodulazione dei termini processuali e del rapporto tra trattazione scritta e trattazione orale” (art. 2, 1b); ecc…..
Il mio giudizio pertanto sulla bozza di legge delega è negativo: mi pare incostituzionale ex art. 76 Cost. e mi pare abbia ad oggetto scelte non condivisibili, non in grado di rendere più efficiente il processo civile, e invece in grado di reprimere il diritto all’azione e alla difesa dei cittadini.
3. Vediamo più specificatamente i punti, prendendo le mosse dal decreto legge.
L’idea di trasferire taluni procedimenti civili pendenti in sede arbitrale è buona e da condividere, anche perché fondata sulla libera determinazione delle parti, senza imposizioni particolari.
Ma, osservo, proprio perché fondata sulla libera determinazione delle parti, dubito potrà davvero contribuire in modo rilevante alla definizione dell’arretrato, e soprattutto non vedo quale sia la novità, poiché anche prima, se le parti volevano, potevano benissimo redigere un compromesso e trasferire la lite presso arbitri.
Si consideri poi: a) che in molti casi un litigante è in mala fede, ovvero litiga sapendo di aver torto, e quindi non ha alcun interesse a trasferire la lite in sede arbitrale; b) che in ogni caso il trasferimento in sede arbitrale della lite comporta maggiori spese, che le parti possano non voler sostenere; c) che infine il trasferimento in sede arbitrale della lite comporta il venir meno del diritto all’utilizzo dei mezzi di impugnazione.
Se si considera tutto questo può dirsi, dunque, che la nuova disposizione rubricata “Eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti” è, appunto, condivisibile quanto ad idea, ma ha pochissimo di nuovo, e sarà rarissimamente utilizzata.
4. Osservazioni non diverse valgono per la procedura di negoziazione assistita.
Anche questo nuovo istituto è fondato sulla libera determinazione delle parti, non pregiudica il diritto di agire e difendersi in giudizio, e può rendersi mezzo con il quale definire una lite.
Sotto tutti questi profili è apprezzabile, e la novità deve, a mio parere, trovare la condivisione degli operatori giuridici.
Detto ciò, osservo ancora, però, che l’istituto ha pochissimo di nuovo, perché anche prima le parti, se volevano, potevano farsi assistere da un avvocato per giungere ad una transazione e/o definizione della lite.
Di nuovo vi è che in alcune materie è necessario invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita per poter poi agire in giudizio; ma questo invito può essere rifiutato, o comunque non seguito da adesione, e in questi casi l’azione giudiziale è libera.
Si capisce allora che la novità è poca cosa.
Chi anche prima riteneva doveroso tentare una conciliazione prima di intraprendere una lite, continuerà a farlo in questa nuova forma; ma di nuovo vi sarà la forma, non la sostanza.
Chi al contrario vorrà solo litigare, potrà continuare solo a litigare, rifiutando l’invito alla negoziazione assistita se parte convenuta, o non dando seguito concreto all’invito, se parte attrice.
Valida è viceversa la soluzione adottata in tema di separazione o di divorzio consensuali, che evitano attività giudiziali sostanzialmente inutili (anche se trovo incerto il limite dell’esistenza di “figli maggiorenni economicamente non autosufficienti”).
In sintesi, credo che la strada intrapresa sia giusta, ma credo sia solo un primo passo, di poca consistenza.
Questa osservazione, tuttavia, non suoni come critica, perché è evidente che in questo momento non si poteva fare che un primo passo, e ogni soluzione più incisiva sarebbe apparsa una pericolosa forzatura.
Bene per il primo passo, solo è necessario andare avanti.
Sia consentito allora indicare due sviluppi, che a mio parere potrebbero seguire la novità della negoziazione assistita, così da renderla più efficace e più idonea a (veramente) definire parte dell’arretrato.
5. Credo, in primo luogo, che, a questo punto, la negoziazione assistita costituisca un doppione rispetto alla mediazione.
Emerge anche dal tenore letterale della norma (art. 3 dell’elaborato), ove si precisa che nei “casi previsti dal periodo precedente” e poi si aggiunge “e dall’art. 5, comma 1 bis del d. lgs 28/2010”, chi voglia intraprendere una lite deve prima “invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita”.
Non ha senso che il sistema abbia due condizioni di procedibilità della domanda; una di mediazione e altra di negoziazione assistita. Se ne dovrà scegliere una, una sola, e far confluire in essa tutte le liti che si vorranno improcedibili senza prima aver posto in essere un tentativo di soluzione stragiudiziale.
E la scelta non potrà che ricadere su questa nuova negoziazione assistita.
La mediazione ha avuto, e (a mio parere) ha, profili di incostituzionalità, aggrava i costi della lite, può essere utilizzata dai giudici semplicemente per differire le decisioni.
Questi aspetti negativi non sono presenti nella negoziazione assistita.
Sotto altro profilo credo che i buoni avvocati possano benissimo conciliare la lite senza l’ausilio del mediatore, che può esser utilizzato se le parti lo vogliono, ma non imposto.
Non sarà pertanto difficile al legislatore accorpare queste due legislazioni in una, e fare della negoziazione assistita l’unica condizione di procedibilità dell’azione giudiziale, seppur di un numero consistente di liti civili.
6. Sotto altro profilo i due nuovi strumenti del trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili e della negoziazione assistita si fondano sull’idea che non tutte le liti debbono necessariamente essere definite dall’autorità giudiziaria.
Credo che il principio sia giustissimo, perché se da una parte è vero che ai cittadini deve essere assicurato il diritto di azione e difesa, dall’altra è anche vero che non è più pensabile, con i numeri attuali, che a tutta la domanda di giustizia debbano provvedere i giudici ordinari.
Il problema, però, è dato dall’art. 102 Cost., in base al quale invece “ la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari” e “non possono essere istituiti giudici speciali”.
In base a questa disposizione è impensabile (rectius: è incostituzionale) che alla definizione delle liti possano provvedere autorità o soggetti diversi dai giudici ordinari.
Questo principio aveva un senso dopo la guerra come contrapposizione al fascismo, che aveva abusato dei tribunali e delle giurisdizioni speciali, ma oggi a me sembra superato dai fatti.
Se è vero, come è vero, che due terzi dei giudici ordinari sono onorari, e quindi se è vero, come è vero, che il cittadino che si rechi in tribunale ha 2/3 di probabilità che la sua lite sia decisa da un avvocato che fa il giudice onorario, mi dite, oggi, che senso ha la riserva di giurisdizione che l’art. 102 Cost. ha posto?
Sostengo da tempo che per far funzionare la giustizia civile bisogna riformare l’art. 102 Cost,. e credo che a questo punto i tempi per una simile riforma siano maturi. Questi i passaggi essenziali:
a) non tutte le liti posso essere risolte dai giudici ordinari;
b) la riserva di giurisdizione non ha senso se poi i cittadini si trovano comunque a discutere dei loro diritti dinanzi ad un avvocato (con il ruolo di onorario) e non ad un giudice;
c) a questo punto la riserva di giurisdizione, e lo spirito che la giustifica, è di fatto saltata, ed è privo di logica allora mantenere un meccanismo costituzionale quale quello dell’art. 102 Cost. che impedisce riforme in grado di degiurisdizionalizzare veramente il sistema;
d) una riforma che voglia veramente provvedere alla degiurisdizionalizzare del processo civile deve intervenire sull’art. 102 Cost., prevedendo che solo alcune liti, e non tutte, godono della riserva di giurisdizione;
e) a mio parere tre debbano essere le liti sotto riserva di giurisdizione: e1) quelle aventi ad oggetto diritti fondamentali della persona (ad esempio: status); e2) quelle aventi ad oggetto diritti tecnicamente complessi (ad esempio: procedure concorsuali); e3) e quelle aventi ad oggetto entità economiche rilevanti;
f) per coerenza, però, le liti sotto riserva di giurisdizione non potranno essere affidate ai GOT, ma dovranno necessariamente essere trattate e giudicate dalla magistratura togata,
g) tutte le altre liti, fuori dalla riserva di giurisdizione, potranno essere decise, con criteri da stabilire, e sempre nel rispetto dei principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 cost., da soggetti non riconducibili all’ordinamento giudiziario.
Questa riforma, non difficile a farsi, provvederebbe veramente a degiurisdizionalizzare il sistema, e costituirebbe la naturale prosecuzione, in modo incisivo e concreto, di quella oggi realizzata con il trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili e la negoziazione assistita.
7. Quanto, infine, alla legge delega, ho già detto che essa è talmente generica da essere incostituzionale, ed è talmente generica da non esser nemmeno commentabile nel merito, perché con una tale delega, tutto, e il contrario di tutto, può fare il governo.
E’ commentabile solo l’intento; ma poiché questo è volto, di nuovo, a reprimere l’azione e la difesa, il giudizio non può che essere negativo. Molti passaggi lasciano poi assai perplessi.
Se “la rimodulazione dei termini processuali e del rapporto tra trattazione scritta e trattazione orale” dovesse significare l’abolizione delle comparse conclusionali, la cosa a mio parere sarebbe grave.
Se la “introduzione di criteri di maggior rigore nella disciplina dell’eccepibilità o rilevabilità, in sede di giudizio di appello, delle questioni pregiudiziali di rito” dovesse significare che non si possono più sollevare in appello eccezioni processuali, la cosa a mio parere sarebbe grave.
Se la “valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice di cui all’art. 185 bis c.p.c.” dovesse significare che il giudice è sempre tenuto a formularla, anche quando non crede di doverlo fare, la cosa a mio parere sarebbe grave.
Se “l’immediata provvisoria efficacia, a prescindere dal giudicato, di tutte le sentenze”, dovesse comprendere anche le sentenze sugli status, di nuovo la cosa, a mio parere, sarebbe grave; ecc…Ma di questo avremmo modo di discutere in futuro.