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Il mare in gabbia e le furbizie di questo governo

di Gianfranco Amendola
già magistrato e parlamentare europeo

1. Basta con il mare in gabbia: il mare e la spiaggia sono beni demaniali e, come tali, devono poter essere goduti gratuitamente da tutti mentre invece, buona parte di queste risorse risulta privatizzata con concessioni sempre prorogate agli stessi gestori. E, se qualcuno vuole averne conferma, basta andare sul litorale laziale dove tutte le zone migliori sono state date da decenni in concessione a privati che ne ricavano fior di profitti. Insomma, si arricchiscono utilizzando beni che sono di tutti, lasciando per il pubblico non pagante, come “spiagge libere”, quelle meno appetibili e fruibili.

Più in particolare, secondo gli ultimi dati, gli stabilimenti balneari in Italia sono circa settemila e pagano in media, ciascuno, 5000 euro l’anno, ricavandone 180.000: ma è un’approssimazione per difetto visto che, secondo il Fisco, in due casi su tre le dichiarazioni presentate «non sono congrue».

Insomma, è veramente uno scandalo che, peraltro, è già stato condannato nettamente non solo dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM) ma anche, e più volte, in tutte le sedi giudiziarie, dalla Cassazione al Consiglio di Stato; nonché censurata dalla Commissione europea, la quale ha recentemente aperto una nuova procedura di infrazione contro l’Italia con un parere di circa 30 pagine, in cui si contesta il mancato rispetto della direttiva europea Bolkestein sulle gare pubbliche per le concessioni di demanio marittimo e si evidenzia che i continui rinvii per le gare rappresentano, in contrasto col diritto europeo, un rinnovo automatico delle concessioni esistenti sempre ai medesimi titolari. E non è mancata neppure la condanna della Corte Costituzionale la quale, da ultimo (sentenza n. 109 del 6 aprile 2024), ha osservato che lo stabilimento balneare utilizza a fini imprenditoriali la disponibilità esclusiva di un bene pubblico caratterizzato dalla «scarsità» della relativa risorsa, evidenziando che «il diritto dell’Unione europea sottopone il rilascio del titolo autorizzativo a stringenti condizioni, atte a favorire il ricambio tra gli operatori e a rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel mercato di riferimento», con il conseguente obbligo di procedere alla disapplicazione della normativa nazionale; tanto più che non esiste alcun diritto alla prosecuzione del rapporto concessorio in capo all’operatore uscente[1]. Trovando immediato riscontro nella Corte europea di giustizia la quale, da ultimo (sentenza 11 luglio 2024, causa C-598/22), ha sottolineato che il carattere precario della concessione è funzionale alla stessa inalienabilità del demanio. E pertanto «il principio di inalienabilità implica segnatamente che il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili»; con la conseguente illegittimità delle innumerevoli proroghe italiane a favore sempre degli stessi gestori.

In conclusione, quindi, le proroghe italiane, in quanto contrastanti con la nostra Costituzione e con il diritto dell’Unione europea sono illegittime e disapplicabili dal giudice nazionale e dalla pubblica amministrazione. Ed appare altrettanto evidente che, specie dopo le ultime recentissime conferme giudiziarie, la situazione era divenuta ormai insostenibile, per cui era auspicabile e prevedibile un deciso intervento normativo per rientrare nella legalità costituzionale e comunitaria.

 

2. Proprio per questo veniva emanato dall’attuale governo il decreto legge 6 settembre 2024, n. 131, recante «disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano», attualmente all’esame del Parlamento per la conversione in legge.

A questo punto, se pure, ovviamente bisognerà attendere il testo definitivo, vale, tuttavia la pena sin da ora di evidenziarne sommariamente i tre punti fondamentali: la possibilità di estendere le concessioni fino al 30 settembre 2027, i criteri per selezionare i nuovi gestori e le regole per calcolare gli indennizzi agli uscenti.

Quanto al primo, il decreto legge proroga le concessioni balneari esistenti fino al settembre 2027 con possibilità di arrivare, in alcune circostanze, fino al marzo 2028[2]. A tal fine scarica la scelta sui Comuni, che avranno la facoltà di applicare direttamente la proroga oppure di avviare i relativi bandi. Tuttavia, per questa seconda ipotesi, vengono rimandati a fine marzo 2025 alcuni atti preliminari necessari alla predisposizione delle gare (quali i criteri di individuazione dei canoni, il loro valore e i criteri per gli indennizzi ai concessionari uscenti); con tutte le difficoltà che ne derivano per i Comuni che volessero anticipare le gare. In ogni caso, tuttavia, la durata delle nuove concessioni dovrà essere di almeno cinque anni «al fine di garantire al concessionario di ammortizzare gli investimenti effettuati».

Per quanto riguarda i criteri delle gare, il decreto stabilisce che gli enti locali debbano tenere conto, tra l’altro: della qualità e delle condizioni del servizio offerto agli utenti, della qualità degli impianti, dei manufatti e di ogni altro bene da asservire alla concessione dei progetti più virtuosi in termini di pratiche sociali e ambientali; dell’assunzione di giovani lavoratori (meno di 36 anni); dell’accessibilità ai disabili e del rispetto delle tradizioni enogastronomiche e folkloristiche locali. Inoltre impone di agevolare la partecipazione delle microimprese, delle piccole imprese e delle imprese giovanili, privilegiando chi ha esperienza tecnica e professionale nel settore e chi, nei cinque anni precedenti al bando, ha tratto da una concessione balneare la prevalente fonte di reddito per sé e il proprio nucleo familiare. Si noti che, in questo quadro, tuttavia, è anche prevista la possibilità di favorire chi presenta la maggiore offerta sull’indennizzo per il concessionario uscente; disposizione non chiara che potrebbe favorire i concorrenti con ingenti capitali escludendo i meno abbienti, in palese contrasto con l’asserita volontà di favorire, invece, le imprese piccole e giovanili. Tanto più che, in caso di rilascio della concessione a favore di un nuovo soggetto, il perfezionamento del nuovo rapporto concessorio è subordinato all'avvenuto pagamento dell'indennizzo da parte del concessionario subentrante in misura non inferiore al venti per cento; con l’aggiunta che il mancato tempestivo pagamento di cui sopra è motivo di decadenza dalla concessione anche se non determina la prosecuzione, in qualsiasi forma o modalità comunque denominata, del precedente rapporto concessorio.

 

3. Appare chiara, a questo punto, l’importanza della definizione dell’indennizzo per gli uscenti a cui carico, peraltro, si può imporre di abbattere, a loro spese, le opere non amovibili autorizzate e da loro realizzate. Ed è questa la maggiore criticità del decreto legge in esame, in quanto si prevede per questo una procedura lunga e complicata in cui intervengono anche professionisti privati scelti dai Comuni, rinviando peraltro la determinazione delle modalità di calcolo a un successivo decreto attuativo, che il Ministero delle Infrastrutture dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) emanare entro il 31 marzo del prossimo anno; bloccando, di fatto, nel frattempo qualsiasi iniziativa innovativa dei Comuni.

Insomma, appare già evidente che, in questo modo, pur accettando formalmente di rinnovare, l’attuale governo sta ponendo tutte le premesse per mantenere ancora a lungo la situazione attuale e per favorire, quando e se ci sarà la sostituzione, il subentro di grandi capitali.

Lascia, quindi, stupefatti il giudizio della portavoce della Commissione europea, Johanna Bernsel, la quale ha invece dichiarato alla stampa che accoglie «con grande favore» il decreto legge sopra sommariamente illustrato. Anche se, fortunatamente, ha aggiunto che la procedura di infrazione contro il nostro paese sarà chiusa solo quando «le ultime norme italiane per le concessioni saranno pienamente in linea con il diritto dell’Ue» con il rispetto della scadenza del 2027.

 


 
[1] Per approfondimenti, cfr. Timo, L’incostituzionalità delle proroghe legali delle concessioni balneari per violazione della “direttiva servizi” (nota a Corte cost. n. 109/2024), in Giustizia insieme, 18 settembre 2024.

[2] Guarda caso la proroga coincide con la fine del mandato del governo in carica…

08/10/2024
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