1. In data 10 febbraio 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato una schema di disegno di legge delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile.
Il Parlamento dovrebbe approvare questa legge delega; dopo di che il Governo dovrebbe adottare più decreti legislativi in riforma del processo civile.
Lo schema di disegno di legge è composto di un solo articolo, ripartito in 6 comma, dei quali, però, i comma 3, 4, 5 e 6 hanno carattere procedurale.
Centrali sono invece i comma 1 e 2: il primo, avente ad oggetto disposizione che possiamo considerare di ordinamento giudiziario, è dedicato all’ampliamento della competenza delle attuali sezioni specializzate in materia di imprese e alla istituzione del tribunale della famiglia e della persona; mentre il secondo ha ad oggetto disposizioni più propriamente dedicate ad una nuova, ennesima, riforma del processo civile, e ivi si prevede la valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice di cui all’articolo 185 bis c.p.c., la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione della controversia, la modifica del giudizio di appello con il “potenziamento del carattere impugnatorio dello stesso” e la “introduzione di criteri di maggior rigore”, la riforma del giudizio di cassazione, volta a valorizzare la funzione di nomofilachia della Corte, e soprattutto volta all’eliminazione, nei procedimenti in camera di consiglio, dei meccanismi di cui all’art. 380 bis c.p.c., e infine ulteriori modifiche concernenti il processo di esecuzione forzata.
Questo il progetto riformatore.
2. Che dire?
Intanto v’è da porre una questione preliminare che ho già avuto modo di evidenziare su questa rivista.
Ed infatti questo schema di disegno di legge delega è di una genericità eccezionale e sorprendente, ovvero è talmente vago e indefinito da non poter costituire, secondo i dettati costituzionali, presupposto normativo per legittimare il Governo all’emanazione di decreti legislativi.
La legge, come è noto, ai sensi dell’art. 76 Cost., può delegare al Governo la funzione legislativa per oggetti determinati, però con determinazione dei principi e dei criteri direttivi.
Qui invece i principi e i criteri sono così generici da lasciare il Governo libero di disciplinare la materia nel modo più discrezionale (o addirittura arbitrario) possibile.
Che significa, ad esempio, relativamente a Tribunale della famiglia “disciplinare il rito in modo uniforme e semplificato”? Oppure che significa, con riguardo al processo civile ordinario, e sempre ad esempio, “valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice di cui all’art. 185 bis c.p.c.”? O ancora che significa “assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione”? O, di nuovo, con riferimento all’appello, che significa “potenziamento del carattere impugnatorio”? o “introduzione di criteri di maggior rigore nella disciplina dell’eccepibilità o rilevabilità, in sede di giudizio di appello, delle questioni pregiudiziali di rito”?; o, con riguardo alla cassazione, che significa “interventi volti a favorire la funzione nomofilattiva” e la “previsione di una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all’Ufficio del Massimario”?; (e gli esempi potrebbero continuare) ecc…
Valorizzazione, potenziamento, assicurazione circa la snellezza e concentrazione, maggior rigore, ecc…..sono programmi di massima del tutto insufficienti a dar contenuto ad una legge delega, posto che il parlamento non può delegare “in bianco” il governo allo svolgimento della funzione legislativa (rinvio a La delega legislativa, Seminario di studio, in www.cortecostituzionale.it), e posto che la Corte costituzionale ha già avuto modo di sottolineare che “le norme deleganti debbono essere comunque idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l’attività normativa del Governo, non potendo esaurirsi in mere enunciazioni di finalità, né di disposizione talmente generiche ad essere riferibili a materie vastissime ed eterogenee” (v. Corte Cost. 13 maggio 1987 n. 156).
Qui, al contrario, siamo proprio in presenza di fattispecie che la Corte costituzionale ha già considerato in contrasto con l’art. 76 Cost., ovvero siamo in presenza: a) di enunciazioni di finalità; b) e di disposizioni talmente generiche da non costituire direttiva per l’attività normativa del Governo.
Peraltro, con disposizioni così, è impossibile fare altresì un controllo circa l’eventuale eccesso di delega dei decreti legislativi.
Un esempio valga per tutti: se nel tribunale della famiglia si deve “disciplinare il rito in modo uniforme e semplificato”, va da sé che il Governo può disciplinare quel rito nel modo che ritiene più opportuno, senza limiti né direttive. Ed è impossibile poi poter dire che il decreto legislativo contiene un eccesso di delega perché il rito non è “uniforme” oppure non è “semplificato”.
Lo schema di disegno di legge delega che qui si discute, pertanto, a parere di chi scrive, è incostituzionale per violazione dell’art. 76 c.p.c., poiché, ripetiamo, è talmente generico da non poter costituire direttiva nella normativa successiva del Governo, e perché è talmente generico da non consentire poi, eventualmente, alla stessa Corte costituzionale di operare un controllo circa l’eccesso di delega.
3. Va rilevato poi lo “spirito” con il quale si intende procedere alla ennesima riforma del processo civile.
E lo spirito è chiaramente quello di comprimere ancora il diritto di difesa, limitare il diritto di azione, e aumentare i poteri del giudice. E’ quello di immaginare che per migliorare l’efficienza del processo civile sia opportuno comprimerne le garanzie; o, ancora più grave, è quello di pensare che l’irragionevole durata del processo civile sia dovuta all’eccesso di garanzie che il nostro rito civile per alcuni ha.
E’ così?
Davvero qualcuno pensa che i processi durano tanto perché troppo garantisti?
Io credo che una cosa del genere la possa pensare solo chi non sia addetto ai lavori; tutti gli altri sanno bene che la causa della durata dei processi non è questa.
Mi trovo, con imbarazzo, a ripetere cose che scrivo da anni.
La crisi del processo civile dipende, solo e soltanto, da una sproporzione tra la domanda di giustizia dei cittadini e l’offerta di giustizia dello Stato.
Lo Stato, in sostanza, non è in grado, in tempi ragionevoli, di dare adeguata risposta alla domanda di giustizia dei cittadini, e questo, certamente, non a causa delle garanzie processuali, ma semplicemente per l’inadeguatezza dei mezzi e degli strumenti.
La risoluzione del problema, allora, anche ai sensi degli artt. 3, 24 e 97 cost., dovrebbe essere quella di migliorare l’offerta di giustizia per adeguarla alla domanda.
Ma questa semplice cosa, poiché ha dei costi, non è mai stata fatta, e per risolvere il problema non si è mai cercato di migliorare l’offerta, bensì si è sempre proceduto contraendo la domanda.
Questo è stato lo “spirito” di tutte le riforme del processo civile di questi ultimi venti anni: così è stato per la legge 7 agosto 2012 n. 134, per la legge 12 novembre 2011 n. 183, per il d. lgs. 1 settembre 2011 n. 150, per il d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28, per la legge 18 giugno 2009 n. 69, per il d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, per la legge 14 maggio 2005 n. 80, per la legge 23 dicembre 1999 n. 488, per il d. lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, pr la legge 26 novembre 1990 n. 353, ecc………
Si sono fatte sempre e solo tre cose: si è contratto il diritto di azione e di difesa, si sono aumentati i poteri del giudice, si sono aumentati i tributi giudiziari, i costi, e i rischi economici legati all’esercizio del diritto di azione.
Non si è fatto altro.
E’ migliorata l’efficienza del processo civile con queste riforme?
La risposta è chiara: no!
Anche il motivo di questo no è chiaro: perché l’efficienza non dipende dalle garanzie, ma dalla sproporzione tra domanda e offerta di giustizia.
Questo schema di disegno di legge delega ha i difetti di tutte le precedenti riforme del processo civile: comprime le garanzie e non interviene sul rapporto tra domanda e offerta di giustizia.
E’ una riforma che, pertanto, degraderà i diritti processuali dei cittadini senza migliorare l’efficienza del processo.
E’ una riforma che, come detto, in primo luogo è errata nello “spirito”, poiché la logica riformatrice doveva essere altra.
4. Che l’idea, poi, sia quella di comprimere le garanzie (seppur, come detto, nella genericità del testo), è chiaro.
Anzi, l’unica cosa chiara che emerge dalla lettura di questo schema di disegno di legge delega è che il Consiglio dei Ministri pretende di avere carta bianca dal Parlamento per procedere a ciò, senza vincoli o limiti che non siano riconducibili a mere enunciazioni di finalità.
Valgano degli esempi circa la compressione delle garanzie.
La “rimodulazione dei termini processuali e del rapporto tra trattazione scritta e trattazione orale” potrebbe significare l’abolizione delle comparse conclusionali.
La “revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione”, potrebbe preludere all’introduzione di nuove preclusioni processuali e a nuovi poteri discrezionali del giudice di portare, appunto, la causa in decisione.
La “valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice di cui all’art. 185 bis c.p.c.” potrebbe significare che il giudice è sempre tenuto a formularla anche quando non crede di doverlo fare per l’impossibilità di dare una valutazione prognostica sull’esito della lite prima dell’attività istruttoria; e, se così fosse, si tratterebbe di uno scadimento dell’attività giurisdizionale.
Il “potenziamento del carattere impugnatorio” dell’appello, per quanto sia espressione priva di significato, potrebbe preludere ad una limitazione del diritto di impugnare.
La “introduzione di criteri di maggior rigore in relazione all’onere dell’appellante di indicare i capi della sentenza che vengono impugnati e di illustrare le modificazioni richieste”, per quanto sia prescrizione che non si capisce a cosa serve, e per quanto non si vede come possa introdursi un maggior rigore in ciò dopo la riforma dell’art. 342 c.p.c., certamente prelude a nuove limitazioni e nuovi ostacoli al diritto di impugnare.
La “introduzione di criteri di maggior rigore nella disciplina dell’eccepibilità o rilevabilità, in sede di giudizio di appello, delle questioni pregiudiziali di rito” potrebbe ancora significare che non si possono più sollevare in appello eccezioni processuali.
Altri intenti sono invece più chiari, come quando si scrive che nel giudizio di appello si deve procedere alla “introduzione di limiti alle deduzioni difensive”, e nel giudizio di cassazione si deve procedere alla “eliminazione del meccanismo di cui all’articolo 380 bis c.p.c.”.
Non condivido queste scelte, perché, se da una parte non miglioreranno l’efficienza del processo civile, dall’altra ridurranno i diritti di azione e di difesa.
Un discorso a sé deve poi farsi con riguardo all’annunciata abolizione dell’art. 380 bis c.p.c.
E’ vero che questa disposizione assicura il contraddittorio in modo addirittura più ampio di quanto non si abbia con l’udienza pubblica, poiché nei procedimenti in camera di consiglio la parte ha la possibilità di conoscere, prima della decisione, l’orientamento del relatore, con meccanismi propri del contraddittorio delle nostre cassazioni ottocentesche (v. al riguardo PICARDI, L’ordinanza opinata nel rito camerale in cassazione, Giusto proc. civ., 2009, 324; SCARSELLI, La Corte di cassazione di Firenze (1838-1923), id., 2012, 623), cosa invece impossibile nel giudizio per udienza pubblica ex art. 379 c.p.c., ove le parti non hanno la possibilità di ribattere ad un orientamento del relatore esternato prima della decisione.
Tuttavia è anche vero che l’art. 380 bis c.p.c. regge la costituzionalità delle riforme che si sono avute in punto di camera di consiglio in cassazione con gli artt. 375 e 360 bis c.p.c. (CIPRIANI, Il procedimento camerale in cassazione, Giusto proc. civ., 2009, 827 e ss.; DAMIANI, Il procedimento camerale in cassazione, ESI, 2011, 69 e ss.), e quindi delle due l’una: a) o noi riportiamo la camera di consiglio a quella che era prima delle riforme iniziate nel 2001; b) oppure, se vogliamo che con la camera di consiglio possano decidersi nel merito i ricorsi per cassazione, va da sé che, anche in seno ad essa, debbano esser garantiti in modo pieno il diritto alla difesa e al contraddittorio, pena altrimenti la violazione dell’art. 24 Cost.
Non credo, allora, che abolire l’art. 380 bis c.p.c. per introdurre qualcosa di analogo possa costituire la panacea dei mali della cassazione.
5. Meno critici possiamo essere con riguardo all’ampliamento della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa e alla istituzione del tribunale della famiglia e della persona.
Sulle sezioni specializzate in materia di impresa non sono però a mio parere chiari i confini tra nomina di un CTU e designazione di uno o più esperti “a supporto conoscitivo e valutativo del collegio giudicante relativamente ai saperi diversi da quello giuridico”, che può aver luogo “fatta salva la possibilità di nomina di un consulente tecnico d’ufficio”.
Manca, nello schema di disegno di legge delega, ogni indicazione circa la disciplina di questi nuovi esperti: come e in cosa si differenziano dai CTU, come vengono pagati, come agiscono e interferiscono nella decisione del tribunale, come si garantisce il contraddittorio nei loro confronti, come si assicura l’indipendenza e la terzietà di questi rispetto alle parti e alla materia del contendere, come si assicura, e se si deve assicurare, la trasparenza del loro operato, ecc……
Lo schema non dice niente al riguardo, e non è pensabile, pena ancora la violazione dell’art. 79 Cost,, che a ciò provveda il Governo senza indicazione alcuna dal Parlamento.
Qualcosa di analogo deve dirsi per il nuovo tribunale della famiglia, al quale viene assicurato “l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materia di competenza”, con determinazione dei casi nei quali il tribunale “decide in composizione collegiale integrata con tecnici specializzati”.
Io ritengo che i servizi sociali non abbiano dato gran prova nei tribunali per i minorenni, soprattutto sotto il profilo del diritto alla difesa e al contraddittorio delle parti (in argomento v. PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, Foro it., 2013, V, 71); oggi li si vogliono invece anche nel nuovo tribunale della famiglia, addirittura anche ai fini della decisione.
Non condivido questa scelta, ritenendo che in materia di famiglia, senz’altro meno tecnica e complessa di quella dell’impresa e del mercato, non vi sia bisogno di addizionare all’opera e alla decisione dei giudici anche quella di c.d. tecnici, essendoci già la possibilità di disporre CTU.
In ogni caso, di nuovo, lo schema di legge delega non precisa niente al riguardo di questi c.d. tecnici, né in punto di contraddittorio, trasparenza delle operazioni, terzietà, individuazione dei casi nei quali la decisione è integrata, ecc………e tutto questo non lo può fare, ancora, il Governo senza indicazioni dal Parlamento.
6. Non sono queste le riforme che potranno migliorare lo stato della nostra giustizia civile.
Dobbiamo pensare a cose diverse rispetto a quella di comprimere i diritti di azione e difesa.
E’ un’idea vecchia, dobbiamo averne delle nuove.
Se si vuole migliorare l’efficienza del processo civile, si deve solo equilibrare il rapporto squilibrato tra domanda e offerta di giustizia.
Nient’altro.
Ovviamente non è argomento che può essere trattato in questa sede.
Ma questo è il tema, e la speranza e che il Governo e le forze politiche si prestino quanto prima proprio ad affrontare questi aspetti, non ennesime riforme sulle disposizioni del codice di procedura civile.