Magistratura democratica
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Una nuova idea della dirigenza giudiziaria *

di Claudio Castelli
già presidente della Corte di appello di Brescia

1. Perché occuparsi oggi di dirigenza giudiziaria? 

Abbiamo un quadro preoccupante che vede una crescente importanza del dato organizzativo, ma nel contempo un’allarmante ed emblematica crisi di vocazioni per i posti direttivi e semidirettivi, con da una parte molti magistrati che vogliono occuparsi il meno possibile di organizzazione e di innovazione del servizio e dall’altra una tendenza ad interpretare il ruolo del dirigente in maniera burocratico – adempimentale. Si è creata una evidente spaccatura tra un “ceto” dirigenziale lontano dai normali magistrati, attento principalmente alla propria carriera e alle performance e una base di magistrati estranea ai profili organizzativi. Per non parlare della pericolosissima tendenza, che trova adepti anche in magistratura, di risolvere tutto affidando la gestione degli uffici giudiziari a presunti manager esterni con un’impostazione di tipo aziendalista che vorrebbe inevitabilmente dire mettere in mano la giurisdizione e il suo indipendente esercizio a soggetti esterni con un’ottica nel migliore dei casi cieca ed efficentista e nel peggiore strumentale a fini politici.

 

2. Partiamo dall’inizio: è necessario un dirigente? ed è compatibile la gerarchia?

Qualsiasi struttura umana necessita di un’organizzazione e di chi si occupa di questa organizzazione. Il problema non è nominalistico, ma di funzione e poteri. Il rischio è di creare anarchie disorganizzate, incapaci di raggiungere standard di servizio e di essere e rendere consapevoli delle differenze interpretative e comportamentali. La gerarchia, il sistema umano più semplice di relazione, è un sistema, asimmetrico, di graduazione e organizzazione delle cose, implicante un reciproco rapporto di supremazia e subordinazione e come tale è solo parzialmente compatibile con il precetto costituzionale di distinzione tra i magistrati solo per diversità di funzioni. Il potere gerarchico è quindi limitato al dato organizzativo e funzionale al servizio. Ne consegue una valorizzazione della equiparazione e della partecipazione, che, comunque, è cosa diversa dall’assemblearismo.

 

3. Partiamo dai fondamentali. E’ il Consiglio superiore e non i singoli dirigenti che detengono il vero e proprio potere organizzativo: è il CSM che forma le tabelle degli uffici giudicanti sulla base della segnalazione dei dirigenti degli uffici e della proposta del presidente di Corte di Appello (art. 7 e ss. O.G.) ed è sempre il CSM che deve fornire i principi generali per i progetti organizzativi degli uffici requirenti (art.13 L.17 giugno 2022 n.71). Il problema è che il CSM è lontano, con tempi decisionali inevitabilmente lenti, mentre i dirigenti sono presenti in loco. La dirigenza del mondo giudiziario è del tutto originale e non assimilabile ad altri ruoli della pubblica amministrazione proprio perché è meramente organizzativa, non riguardando (se non parzialmente per le Procure) il merito delle attività, ed avendo come primo compito quello di salvaguardare l’indipendenza dell’ufficio e dell’attività giurisdizionale. Il dirigente è quindi funzionale al servizio e a rendere un servizio. Inoltre ai sensi del D. Leg. N.240/2006 la dirigenza negli uffici giudiziari è integrata (quindi con una comunità di intenti e di attività) tra un magistrato che dirige l’ufficio per il lato giurisdizionale (ed è titolare dell’Ufficio) ed un dirigente amministrativo che gestisce personale, beni e servizi. Integrazione che può essere estremamente positiva, ma che va costruita.

 

4. La carriera è concetto estraneo alla magistratura come si trae dagli articoli 107 e 108 della Costituzione. La temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi è la concretizzazione di tale principio, delineando la direzione come una delle funzioni nell’arco del percorso professionale, con un potere gerarchico funzionale alla sola organizzazione del servizio. Ricordiamo sempre che la precedente esperienza di direzione non temporanea e di valorizzazione dell’anzianità (senza demerito) adottata per decenni come parametro di scelta per le nomine è stata fallimentare, delineando una gerontocrazia con incrostazioni di potere e incarichi pensati come premio alla fine dell’attività professionale. L’attuale temporaneità è malata, tende alla creazione di un cursus honorum, basato sui titoli e non sulla concreta prestazione resa, ed esalta il disinteresse per le questioni organizzative da parte di chi non è dirigente.

 

5. Il ruolo dirigenziale è negli anni cambiato e richiede sempre crescenti attività di amministrazione della giurisdizione e di pura gestione tecnica. Ciò deriva da interventi normativi (prima le tabelle, poi il piano di attività, quindi il programma di gestione), dalla stessa evoluzione di tutte le organizzazioni complesse con l’informatizzazione ed i monitoraggi, ed ha avuto un salto di qualità con il trasferimento della gestione e manutenzione dei Palazzi di giustizia dai Comuni al Ministero della Giustizia in via formale, ma in via effettiva agli uffici giudiziari, in particolare a Corti di appello e Procure generali. Un’attività sempre più complessa, ma anche un’utenza sempre più esigente. Scomponendo i compiti e le componenti del ruolo di dirigenza si traggono diversi fattori: uno tecnico giuridico giurisdizionale, uno di rappresentanza, uno gestionale-organizzativo, uno di indirizzo e proposta, uno deontologico, uno valutativo.

 

6. L’immagine che è stata costruita del dirigente come uomo/donna solo al comando è pericolosa e impraticabile. Non solo realizza un’inammissibile concentrazione di potere, ma non è in grado di dare risposte efficienti, delineando una governance debolissima e anacronistica, e contrasta con una normativa che valorizza la partecipazione come segnale di democrazia e di efficienza. La partecipazione ed il coinvolgimento dei magistrati, ma anche di altri soggetti anche esterni (come l’avvocatura), è fondamentale, perché l’organizzazione deve essere un bagaglio di ciascuno e deve essere condivisa. L’organizzazione deve permeare ogni aspetto della formazione e delle attività. La direzione di un ufficio giudiziario deve essere inevitabilmente collettiva, coinvolgendo Presidenti di sezione, Procuratori aggiunti, dirigente amministrativo, direttori di sezione, utilizzando al massimo deleghe ed incarichi, sempre previo interpello, onde facilitare e incentivare la partecipazione di tutti. Più che ad un Presidente, occorre pensare ad un Consiglio di presidenza che può avere nel contempo requisiti di stabilità e di rotazione. La scelta di puntare sulla partecipazione e sulla costruzione di una governance collettiva non risponde solo all’applicazione di valori democratici, ma principalmente a ragioni di funzionalità e di costruzione di una organizzazione migliore e più efficiente: - solo una direzione collettiva con una ripartizione chiara di compiti può dare una risposta alla crescente complessità e al bisogno di competenze multidisciplinari che oggi gli uffici giudiziari richiedono, - la condivisione delle scelte organizzative dà maggior forza e migliore resa alle stesse. Direzione collettiva che esalta il ruolo di tutti, ivi compreso del Presidente o del Procuratore, che mantiene le sue responsabilità.

 

7. La partecipazione come contributo alla vita dell’ufficio non deve essere un optional, ma uno dei requisiti della figura del magistrato. In questo quadro va valorizzato il ruolo dei presidenti di sezione e dei procuratori aggiunti (e parallelamente dei direttori di cancelleria) non solo come presidio della sezione, settore o dipartimento, ma anche come collaboratori di direzione. Questo suggerisce la necessità di riqualificare il ruolo degli incarichi semidirettivi, di ridurne il numero e di rendere univoco il parametro (di uno a dieci) a livello nazionale per tutti gli uffici anche 2º grado. Resta da approfondire la questione della tabellarizzazione, che non è rotazione, degli incarichi semidirettivi. Non è rotazione semplicemente per il fatto che uno non vale uno, che abbiamo capacità e talenti diversi che vanno messi alla prova e valorizzati. La proposta di tabellarizzazione, pur lasciando al CSM il potere di nomina come prevede la Costituzione, inevitabilmente dà ulteriori poteri al dirigente dell’ufficio che ha il potere di segnalazione o proposta per le tabelle. Anche se si potrebbe prevedere una possibilità alternativa di segnalazione e proposta data ad esempio, oltre che al dirigente dell’ufficio, alla assemblea dello stesso o della sezione e/o al consiglio giudiziario.

 

8. Va affrontata la specificità degli uffici requirenti, sia a livello ordinamentale, ove è prevista una, sia pure regolamentata e limitata, gerarchia, sia a livello di immagine e di prassi. Senza mai dimenticare il ruolo che la Procura della Repubblica e il suo Procuratore hanno inevitabilmente in tema di politica criminale. Lo spessore del potere riconosciuto al Procuratore della Repubblica ed il fascino del potere e del ruolo che il P.M. ha ed ha assunto anche a livello sociale sono probabilmente le ragioni per cui non vi è carenza di vocazioni quanto alle domande per posti direttivi e semidirettivi requirenti. Ma vi è un ulteriore problema relativo all’inevitabile contraddizione che si crea tra uffici che devono assicurare verso l’esterno una univocità di comportamenti e di orientamenti e verso l’interno eguaglianza di condizioni e di trattamento per chi vi lavora e nl contempo rispetto per l’indipendenza e per la professionalità dei P.M. (e non solo dei P.M.) che vi lavorano. In realtà il risultato è spesso di uffici anarchici e/o con tratti di autoritarismo con prassi ed orientamenti originali e non coordinati. I fortissimi rischi già verificati in diversi uffici vanno da una malintesa gerarchia, interpretata come arbitrio del dirigente, all’individualismo di parte dei sostituti sempre condizionato (ancora più dei giudicanti) dall’enorme iato tra possibilità di intervento e penuria delle risorse a disposizione che porta ad accaparramenti e iniquità di trattamento. Per questo non solo nelle Procure l’esigenza di una direzione collettiva è ancora più marcata, come pure la necessità di apertura, dibattito e condivisione delle scelte. La prospettiva dovrebbe essere quella della massima discussione e confronto su scelte organizzative e orientamenti generali, per poi giungere ad una linea unitaria. E parallelamente di tenere sempre più vincolati a livello organizzativo, per motivi sia ordinamentali che funzionali e di efficienza, gli uffici giudicanti e requirenti dirimpettai, facendo sì che tabelle e progetti organizzativi siano concordati, aperti agli stimoli e alle osservazioni dell’avvocatura e dei territori, e sinergici.

 

9. Occorre ridefinire le competenze per diversi soggetti ed in particolare restituire le competenze puramente gestionali al Ministero della Giustizia a livello centrale e decentrato e ridefinire i compiti tra magistrato dirigente e dirigente amministrativo nell’ambito della dirigenza integrata, anche se la realizzazione di una direzione collettiva ridimensionerebbe molti dei problemi oggi esistenti, quali i diversi compiti ed il recupero dell’esperienza e del know-how di chi ha cessato l’incarico. In quest’ambito si potrebbe anche pensare di affidare a soggetti diversi dal Presidente o Procuratore i compiti valutativi e deontologici, affidandoli a magistrati diversi, pur nel quadro di un Consiglio di presidenza.

 

10. Ma soprattutto occorre abbandonare il corporativismo spesso sotterraneo che in fin dei conti ci condiziona. La stella polare deve essere quella di tutelare il servizio, di garantire una organizzazione e dirigenza efficace ed efficiente, di dare alle nostre comunità uffici trasparenti e ben organizzati. Mentre larga parte delle nostre dissertazioni riguardano la tutela del singolo magistrato, l’esame dei titoli indipendente dalle effettive capacità dimostrate sul campo, la difesa delle prerogative del magistrato nei confronti di altri soggetti. Argomentazioni che forse nell’immediato fanno guadagnare consensi all’interno della magistratura, ma che portano alla rovina: l’indipendenza si tutela solo dimostrando che è funzionale alla tutela effettiva dei diritti, la democrazia anche interna è vincente solo se si dimostra sul campo che è il migliore canale per ottenere efficienza, condivisione e migliore qualità.

[*]

Il presente articolo, di cui sono l’unico responsabile, è frutto della partecipazione ad un gruppo di lavoro di Area DG, articolatosi in più incontri on line, da me condotto sulla Dirigenza che vorremmo sfociato in un seminario svoltosi il 3 dicembre 2024 a Bologna e al seminario di Magistratura Democratica sulla dirigenza giudiziaria del 13 aprile 2024 a Roma cui sono stato invitato come relatore.

14/10/2024
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