Il 18 Giugno 2015 la Corte Suprema americana ha reso pubblica una sentenza che si pone oggettivamente in relazione alla strage di Charleston (Sud Carolina) avvenuta la sera prima.
Con un voto, 5 a 4, la Corte (Walker v. Sons of Confederation Veterans, No. 14-144) ha condiviso la decisione dello Stato del Texas di non autorizzare l‘esposizione della Bandiera Confederata all’interno delle “License Plates”, cioè le targhe automobilistiche. Queste, a richiesta e dietro pagamento, possono contenere frasi e simboli, e il Texas ne ha rilasciate migliaia con ogni tipo di contenuto; esse sono, tuttavia, soggette all’approvazione delle autorità. Il rifiuto del Texas di rilasciare targhe con la bandiera dei Confederati era stato oggetto di un conflitto che la Corte ha risolto adesso, in coincidenza temporale casuale con la strage commessa da Dylan Roof nella Chiesa di Charleston.
La “Confederation Flag”, la bandiera dell’esercito sudista ai tempi della guerra civile, assume per molti un valore simbolico importante e rappresenta quel miscuglio di suprematismo, razzismo e odio verso lo stato federale che si ritrova nelle idee dello sparatore di Charleston. Come dimostrano le foto che lo ritraggono con in mano la bandiera o seduto sul cofano di un’auto la cui targa porta la scritta “Confederate States of America”.
Non a caso il Presidente Obama ha confermato il suo giudizio secondo cui quella bandiera è ormai destinata al museo; ed è bene non dimenticare che è l’unica che dopo la strage non sia stata posta a mezz’asta sull’edificio pubblico della città di Columbia (ufficialmente perché solo il Congresso locale può autorizzarlo).
La questione affrontata dalla Corte suprema riguardava il possibile contrasto fra la decisione del Texas e il primo Emendamento, in quanto l’inclusione di una frase o di un simbolo nella targa costituisce una manifestazione del pensiero del titolare dell’auto: il giudice Alito ha qualificato le targhe automobilistiche come “piccole lavagne mobili su cui i conducenti possono esporre il proprio messaggio”. A sua volta, il Dipartimento dei trasporti competente ha giustificato la propria scelta sostenendo con chiarezza che una parte significativa dei cittadini associa quella bandiera con le organizzazioni che esprimono odio o disprezzo verso persone o gruppi di persone.
La Corte ha riconosciuto che quanto appare sulla targa dell’auto rilasciata dalle autorità non può essere parificato ai simboli che il conducente appone di propria iniziativa sulla carrozzeria o altrove: questi ultimi sono chiaramente a lui solo riferibili e sono tutelati unitamente al suo diritto di parola, mentre il contenuto delle targhe va qualificato come “government’s speech” e assume un valore diverso. Di qui il diritto delle autorità di negare l’apposizione di simboli o frasi ritenuti offensivi.
La decisione costituisce un precedente che può trovare applicazione negli altri otto Stati meridionali che hanno rilasciato targhe contenenti la bandiera confederata, ed è certo che il rapporto fra libertà di manifestazione del pensiero e limiti posti dalle autorità continuerà a costituire uno dei temi su cui la Corte suprema americana é costantemente chiamata a intervenire.
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[*] L’Autore esprime in questo articolo opinioni esclusivamente personali.