Il Tribunale di Torino mette alla prova la "messa alla prova".
Due imputate hanno chiesto la sospensione per "messa alla prova", inducendo il Tribunale torinese a chiedere all'UEPE la formulazione del relativo programma.
La decisione appare importante perchè ha affrontato i temi più spinosi relativi ai primi giorni di applicazione dell'istituto.
Dopo averne definito la natura di istituto di diritto sostanziale (giustamente, trattandosi- in caso di esito positivo della prova- di una causa di estinzione del reato), i giudici torinesi hanno precisato che la norma si applica anche ai processi in corso, al fine di consentire a tutti l'accesso ad un regime più favorevole.
Al fine di superare le preclusioni processuali stabilite dal legislatore (che - si ricorda- sono le stesse previste per i riti alternativi), il Tribunale di Torino ha "rimesso in termini" le imputate, evidentemente già in una fase processuale in cui l'istituto le sarebbe stato inibito.
Altra decisione, di estremo interesse ed inevitabilmente foriera di polemica, è quella di consentire la "messa alla prova parziale", ossia solo per alcuni dei reati contestati, con necessario stralcio degli altri.
Come è noto, tale soluzione non è consentita dalla giurisprudenza maggioritaria nel caso di richiesta di "patteggiamento parziale". In effetti, applicare la pena solo per alcuni reati e procedere in forma ordinaria per gli altri sarebbe contrario alle esigenze deflattive, proprie del rito ex art. 444 cpp.
Proprio la ratio della "messa alla prova" dovrebbe guidare la decisione per i casi, come quelli decisi a Torino.
Se si ritiene, come sembrerebbe dal tenore complessivo delle norme, che lo scopo del legislatore sia stato puramente deflattivo, inevitabilmente decisioni come quella oggi pubblicata non sono condivisibili. Invero, "riaprire" i termini per la "messa alla prova", anche in caso di istruttorie dibattimentali in stato avanzato od addirittura in grado di appello, sarebbe contrario all'esigenza di ridimensionare il carico giudiziario. Lo stesso vale per la decisione di disporre la "messa alla prova" solo per alcuni reati e procedere per gli altri, soluzione che evidentemente non comporta alcuna economia processuale.
Se invece si intede valorizzare la "messa alla prova" come esperimento di giustizia riparativa e come esperienza rieducativa dell'imputato, ogni decisione che ne estenda la portata è condivisibile. Del resto, nel rito minorile, ove la funzione educativa è preminente, non vi sono preclusioni processuali per la "messa alla prova", nè limiti ai reati per i quali è concedibile.
Da ultimo, si evidenzia che la decisione di continuare con l'istruttoria dibattimentale, nel tempo necessario all'UEPE per elaborare il progetto di "messa alla prova", appare una "buona prassi" per prevenire richieste dilatorie, sicuramente avvantaggiate dalla circostanza che il termine prescrizionale non si sospende con la richiesta di "messa alla prova" ma solo con l'ordinanza con la quale, vagliata la richiesta, si dispone la "messa alla prova".
Leggi anche: G. Zaccaro, "La messa alla prova per gli adulti"
---------------------------------