Ennio Tomaselli, per anni magistrato a Torino soprattutto in ambito minorile, è autore di numerose pubblicazioni, tra cui Giustizia e ingiustizia minorile. Tra profonde certezze e ragionevoli dubbi (Franco Angeli, 2015). Dopo Messa alla prova (2018) e Un anno strano (2020), nel 2022 è uscito il suo terzo romanzo, Fronte Sud, sempre edito da Manni.
L’autore descrive, attraverso un intreccio molto riuscito, un Sud geografico e apparentemente lontano e un Sud metaforico con cui il giudice minorile Salvatore Malavoglia, già protagonista dei due romanzi precedenti, è chiamato a confrontarsi come magistrato e come persona. Il Sud geografico è evocato nelle lettere del padre di Malavoglia che aveva preso parte alla Guerra di Etiopia del 1935-36 e in alcuni accenni alla vita di alcuni personaggi del romanzo che da quel Sud – l’Africa - sono giunti in Italia per ritrovarsi in un altro Sud, ossia la condizione di marginalità dei migranti che vivono nelle periferie delle nostre città e a cui l’autore riesce a dare voce, mettendone in risalto l’umanità e il travaglio interiore.
Il romanzo parte da un fatto di cronaca che vede il magistrato minorile Malavoglia come vittima, insieme alla moglie Elettra, di un’aggressione ad opera di una banda armata che entra di notte nella casa della coppia con le peggiori intenzioni. Il magistrato, dopo aver tentato goffamente di vestire i panni del giustiziere, si trova coinvolto in un’altra vicenda. Dopo qualche titubanza decide di aiutare Amadi, un etiope che sta provando a rintracciare un gruppo di ragazzi africani scomparsi, in una ricerca in giro per l’Italia. Questa “impresa”, come la definisce ironicamente il protagonista, gli offre l’opportunità di adoperarsi in prima persona per i minori e al contempo riparare alle colpe del padre nella campagna d’Etiopia di quasi cent’anni prima.
La trama – di cui mi sembra meglio dire il minimo, lasciando al lettore il piacere di scoprirla - è avvincente, ben strutturata e carica di spunti di riflessione connessi ad alcuni concetti chiave del diritto penale che sono declinati in una prospettiva filosofica più che giuridica.
Il primo elemento è la Giustizia, quella «idea irreale di una giustizia effettiva» che guida come una stella polare l’agire del protagonista, sballottato tra scelte esistenziali difficili e una quotidianità in cui fatica a trovare il proprio posto. Accanto a questa, quasi a rappresentarne il lato oscuro, l’autore descrive l’umano desiderio di vendetta che investe i diversi protagonisti e che rappresenta, per Amadi e i due giovani africani a lui legati, un autentico fardello, lo stesso con cui Malavoglia si ritrova a fare i conti nella prima parte della vicenda.
Il rapporto tra giustizia e vendetta è solo il primo dei numerosi dilemmi morali che il libro propone. A questo si affianca una riflessione su quale sia lo spazio per la retribuzione, intesa come fondamento della pena, nel diritto di oggi, in una dinamica di azione-reazione che travalica le vicissitudini individuali e arriva a comprendere perfino le relazioni tra individuo e Stato, per non dire di quelle tra Stati diversi.
Allo stesso modo, grazie a una successione di eventi ben legati l’uno con l’altro, il romanzo guarda con attenzione all’efficacia del diritto minorile e alle risorse messe a disposizione per le «esigenze educative del minorenne», di cui si parla all’articolo 1 del dpr n.448/88 sul nuovo processo penale minorile. L’attenzione del diritto minorile alla persona e le sinergie tra ambito civile e penale, con conseguente intreccio di informazioni e competenze, costituisce uno dei cardini della giustizia dei minori e porta a riflettere sul ruolo della riabilitazione nella giustizia degli adulti.
L’autore cita espressamente un concetto della teoria penalistica per presentare un’altra questione fondamentale: qual è il nesso di causalità nelle vicende dei minori, specialmente quelli provenienti dai contesti più svantaggiati? In che misura il loro vissuto – in primis le vicende familiari – determina le loro azioni criminali? La domanda si estende, su un piano più ampio, agli effetti prodotti da scelte politiche del passato, in questo caso la colonizzazione, sulla realtà in cui viviamo oggi. Dalla risposta che scegliamo di dare dipende forzatamente il grado di responsabilità del minore che commette il reato e della società che è chiamata a occuparsene.
Un ulteriore argomento suggerito dal romanzo è la riparazione nella sua dimensione individuale e collettiva. Da un lato vi è il tentativo coraggioso del Malavoglia magistrato di svolgere pienamente la sua funzione per offrire tutela alle vittime al di là delle carte processuali; dall’altro vi è quello del Malavoglia cittadino che tenta, in maniera magari utopistica ma forse per questo autentica, di rimediare ai torti commessi dal padre durante la campagna d’Etiopia.
Anche in questo caso sembra potersi scorgere la consapevolezza del protagonista, e con lui dell’autore, della complessità e dei limiti intrinseci al ruolo del magistrato, già descritti nel suo saggio del 2015. Tale consapevolezza non per caso è indicata dal giudice Andrea Natale, nella sua recensione di Messa alla prova su Questione Giustizia[1], come una delle ragioni per cui i magistrati scrivono romanzi. È questa stessa consapevolezza che porta l’autore, concluse le vicende della seconda parte, la “Campagna d’Italia”, ad affacciarsi sui problemi reali che la narrativa di genere tende solitamente a ignorare. Le vicende della giovane madre e della figlia nella comunità, il loro percorso e le loro difficoltà sono descritte con sguardo partecipe e onesto, senza nasconderne le criticità né tacere in alcuni casi l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione della giustizia minorile. Qui emerge con forza la statura morale del protagonista che ben sa che «le persone bisogna, in certe situazioni, cercare di riconquistarle senza farsi condizionare dal calcolo dei rischi». Malavoglia antepone costantemente, con il travaglio di chi sceglie con coscienza, avendo valutato i rischi all’orizzonte, di non farsene condizionare, con uno slancio al tempo stesso eroico e umano che quasi lo obbliga a «guardare sempre verso il Sud del mondo e della vita, verso le aree più problematiche della storia e della memoria».
Attraverso la prosa pulita ed elegante dell’autore, questa realtà ci appare, nelle sue sfaccettature articolate e spesso drammatiche, come un fronte aperto in cui male e bene si intrecciano in modo imprevedibile. Nel dipingere questo quadro l’autore ha il merito di non presentare soluzioni facili o, per usare un termine estraneo al sentire di Malavoglia e probabilmente dell’autore stesso, «vincenti». C’è la complessità di storie di individui che si intrecciano con la storia di paesi, continenti, popoli. Ci sono scelte di uomini alla base degli eventi del passato che hanno ricadute profonde sugli individui del presente.
Da qui la dedica all’inizio del libro, che è anche un invito «a ciascuno di noi, perché abbia sempre testa e cuore per le lotte giuste, sui fronti giusti».
[1] https://www.questionegiustizia.it/articolo/messa-alla-prova-quasi-un-romanzo-di-formazione_22-09-2018.php