1.Sminuire il Consiglio Superiore della magistratura
Il Consiglio Superiore della Magistratura valuta, nomina, trasferisce, amministra, tutela, consiglia, giudica.
E’ dunque organo di rilievo costituzionale investito di una ampia pluralità di funzioni.
Di questa varietà e complessità di funzioni un legislatore avveduto ha il dovere di tener conto nel progettarne la riforma, ricercando soluzioni durevoli e lungimiranti.
Senza ignorare, certo, i fatti gravi emersi nelle cronache di quest’ultimo anno ma senza farsene dominare. E lavorando per rigenerare senza compromettere la fisionomia e la funzionalità dell’organo sul quale si propone di incidere.
Eppure il capitolo del ddl Bonafede dedicato al CSM - a ben guardare l’unico connotato da una impostazione omogenea - rivela chiara la sua principale, se non unica, fragile ratio: sminuire, depotenziare, rimpicciolire il Consiglio Superiore, riducendone non solo la discrezionalità ma anche la capacità operativa e la valenza istituzionale di luogo di confronto su idee, programmi e scelte di amministrazione della giurisdizione.
Non è dato, oggi, di sapere come si svolgerà la complessa partita istituzionale innescata dallo scandalo delle nomine.
Ma non è azzardato affermare che la posta in gioco va al di là di una serie di modifiche “a spizzico” dell’ordinamento giudiziario o dell’assetto del Consiglio Superiore della magistratura, per investire il ruolo della magistratura, del giudiziario e dell’organo di governo autonomo dei magistrati.
Cerchiamo di spiegare le ragioni di questa valutazione e delle preoccupazioni che l’accompagnano.
2. Non è stata varcata la soglia del sorteggio...
Riconosciamolo: il Governo si è arrestato dinanzi al punto di non ritorno della formazione dell’organo di autogoverno con il metodo del sorteggio dei componenti togati. [1]
Come è noto questa soglia era stata avventurosamente varcata in precedenti dichiarazioni e progetti, con l’intento di fare del Consiglio Superiore il primo luogo di sperimentazione istituzionale di una “democrazia del sorteggio”, riesumata da lontane esperienze del passato e rilanciata come alternativa alla democrazia rappresentativa [2] o come grimaldello per scardinarla.
Ma è stato impossibile occultare che il sorteggio per la componente togata del CSM, in tutte le sue fantasiose varianti (sorteggio tout court, sorteggio nell’ambito di una schiera di pre-eletti, sorteggio tra gli ottimati, elezione circoscritta ad una platea di sorteggiati) è una opzione incostituzionale e istituzionalmente suicida.
Troppo evidente il suo contrasto con la lettera del dettato costituzionale, troppo stridente la sua divergenza rispetto alla logica del governo autonomo, troppo scoperta la finalità di cancellare la rappresentatività di un organismo i cui componenti togati devono essere per costituzione «eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari» .
Del resto le “conversioni” dell’ultima ora al metodo del sorteggio – pur provenendo da loquaci e onnipresenti protagonisti del dibattito pubblico – sono state così emotive e futili da non per poter essere prese sul serio nel momento di progettare una riforma.
Frasi perentorie del tipo «al punto in cui siamo non resta che il sorteggio» o «del sorteggio non ero convinto ma mi sono ricreduto» sono state accolte e amplificate da molti giornali.
Ma ciò non ne ha mutato la qualità e la natura. Sono rimaste sbuffi, sfoghi, invettive o - nelle versioni più sofisticate - spericolate suggestioni[3] incapaci di portare seri argomenti istituzionali a sostegno dell’abbandono della via maestra della rappresentanza elettiva e del radicale stravolgimento del modello di governo autonomo della magistratura. [4]
Né di maggiore spessore sono state le argomentazioni della esigua minoranza di magistrati che da anni propugna il sorteggio puro o dei neo adepti che hanno di recente abbracciato il sistema ibrido dell’elezione dei consiglieri in un paniere di sorteggiati.[5]
Minoranza e nuovi adepti che forse pensano – proprio perché privi di immaginazione e soprattutto di visione storica ed istituzionale - che il depotenziamento (e non il rinnovamento) della rappresentanza dei magistrati e lo svilimento del Consiglio Superiore possano lasciare intatto lo status di indipendenza (esterna ed interna), di eguaglianza (anche economica) e di autonomia conquistato nell’arco di decenni dalla magistratura italiana grazie all’azione consapevole delle sue élites rappresentative.
Si tratta di apprendisti stregoni che non arretrano di fronte alla manipolazione del codice genetico del Consiglio (che diverrebbe un organismo capricciosamente formato nella componente togata mentre rimarrebbe di più meditata nomina politica nella componente laica) essendo mossi dall’idea che i magistrati non siano all’altezza di un compito che la democrazia assegna a tutti i cittadini: la libera scelta dei propri rappresentanti .
E ciò fanno accantonando la storia dell’autogoverno, le sue realizzazioni, il ruolo svolto dalle rappresentanze consiliari e senza darsi la pena di misurare gli effetti a cascata che l’alterazione genetica dell’organismo consiliare potrebbe avere sulla giurisdizione.
3. ...ma il sorteggio riemerge nella vita interna del CSM
Respinto dalla porta principale della città, saldamente sbarrata dalla Costituzione, il metodo del sorteggio non è stato però definitivamente accantonato.
Ed infatti esso riemerge a valle, come un torrente carsico, in due punti del progetto governativo.
Una prima volta, sulla quale non vale la pena di soffermarsi qui più di tanto, con una finalità tecnica: integrare il numero minimo di candidature previsto per ciascun collegio in caso di assenza di vocazioni a candidarsi.
Imbarazzante espediente che rischia di dar vita ad una competizione elettorale viziata dalla presenza di candidati svogliati o di facciata e rivela un notevole grado di scetticismo sulla possibilità che nei piccoli collegi emerga spontaneamente un numero adeguato di valide candidature.
La seconda volta – molto più impegnativamente – il sorteggio ritorna come metodo di formazione delle commissioni del Consiglio. Di «tutte» le commissioni, almeno stando alla lettera dell’art. 21, ultimo comma, del testo del ddl che recita: «i componenti delle singole commissioni sono individuati annualmente tramite sorteggio».
Il sorteggio diviene dunque la principale regola di organizzazione e di vita del Consiglio Superiore, elevando la casualità a principio ordinatore dell’attività dell’organo collegiale.
Esso dovrebbe servire a contrastare le manovre delle correnti ma è elevato il rischio che abbia l’effetto di disorganizzare e danneggiare l’intera attività dell’organo di governo autonomo.
Del resto, è la storia istituzionale del Paese che attesta come l’introduzione del sorteggio costituisca un espediente classico per sminuire la qualità di un organismo rappresentativo e per indebolirne l’azione.
Rimanendo sul terreno di un parallelo esclusivamente tecnico si può ricordare che la riduzione del ruolo del Parlamento durante gli anni del fascismo ebbe come prima tappa la mozione Grandi-Salandra - presentata alla Camera nel 1924 come preludio alla riforma del regolamento del 1925 – che propugnava la sostituzione del sistema delle commissioni permanenti in favore del sistema degli uffici a sorteggio.
E’ quanto pone in evidenza Guido Melis nel suo libro La macchina imperfetta[6], ripercorrendo la triste e declinante parabola del Parlamento nelle diverse fasi del regime e richiamando, per questo specifico esempio, lo studio di Edoardo Gianfrancesco, Parlamento e regolamenti parlamentari in epoca fascista[7].
Naturalmente, lo si ripete a scanso di ogni equivoco, il riferimento storico serve esclusivamente a sottolineare un dato: il ricorso al sorteggio “interno” come sistema per sminuire funzionalità ed incisività di un organismo collegiale politico o amministrativo.
E ciò senza contare che la pura sorte potrebbe non garantire pienamente la turnazione nelle diverse Commissioni, che resta la più efficace garanzia ed il vero antidoto ad improprie incrostazioni di potere in seno all’organo collegiale.
4. Il divieto di costituire gruppi consiliari
Sulla stessa linea d’onda del sorteggio annuale delle commissioni consiliari si colloca il singolare divieto di costituire gruppi in Consiglio.
Nell’art. 11 della legge 195 del 1958 il ddl propone di aggiungere la seguente previsione: «All’interno del Consiglio Superiore della magistratura non possono essere costituiti gruppi tra i suoi componenti e ogni membro esercita le sue funzioni in piena indipendenza ed imparzialità».
Previsione meramente simbolica? Inutile e dannosa ipocrisia?
Certo, se si considera la sostanziale impossibilità di “controllare” l’osservanza del divieto e soprattutto l’illegittimità di ogni eventuale controllo di questa natura.
Ma non si tratta solo di questo.
Il sistema di elezione dei componenti togato del CSM previsto dalla normativa oggi in vigore è, com'è noto, rigorosamente atomistico.
Nel procedimento elettorale non sono infatti mai contemplati o menzionati in alcun modo gruppi, associazioni o liste comuni, ma solo candidature individuali proposte da un numero volutamente esiguo di magistrati.
Il sistema elettorale previsto nel progetto di riforma riproduce questa impostazione rigorosamente “atomistica”, escludendo ogni lista comune o aggregazione, salvo quella occasionale e transeunte dei proponenti delle singole candidature.
Alla linea di continuità col sistema elettorale introdotto dalla legge n. 44 del 2002 la proposta del Governo intende però aggiungere un di più: l’atomismo della vita consiliare, nella quale non dovrebbero avere diritto di cittadinanza le idee condivise, le affinità programmatiche, le iniziative congiunte di quanti sono accomunati da determinate opzioni culturali ed istituzionali.
Come a dire che per votare un candidato, non c’è bisogno di sapere come e con chi tradurrà nella vita del Consiglio gli impegni che assume con gli elettori. E che per svolgere l’ordinaria amministrazione non c’è bisogno di idee, di programmi comuni e di convergenze di fondo tra i rappresentanti dei magistrati.
Di più: il testo della norma, facendo seguire al sorprendente divieto di formazione di gruppi l’affermazione - in sé pleonastica - che «ogni membro» del Consiglio Superiore «esercita le sue funzioni in piena indipendenza ed imparzialità», sembra suggerire che i gruppi rappresentano un limite ed una potenziale minaccia ai valori dell’indipendenza e dell’imparzialità del singolo consigliere e individua nel solipsismo dei componenti togati e laici lo scudo contro questi condizionamenti.
Nella vita di un organo collegiale chiamato non solo a “sbrigare” pratiche ma a compiere scelte impegnative sul più efficace e coerente impiego dei magistrati (destinate a ripercuotersi su ogni aspetto della giurisdizione) il divieto suona – oltre che velleitario e mortificante - del tutto innaturale.
Non si cancellano per decreto né le differenze né le identità di visione dei problemi del giudiziario e non si annullano con un tratto di penna consonanze ideali e programmatiche che hanno la loro radice nella storia della giustizia e della magistratura.
Il tentativo di impedire che questa realtà si rispecchi in maniera chiara e trasparente nella dialettica consiliare appare perciò destinato solo ad appesantire ed inceppare il funzionamento del Consiglio e ad alimentare estenuanti e grossolane polemiche su ogni forma o episodio di convergenza ideale, programmatica o amministrativa.
Nel muovere queste critiche non ignoriamo il presente ed il suo peso.
Non v’è dubbio che l’associazionismo dei magistrati - dopo i clamori e il discredito che ha investito direttamente un numero relativamente esiguo di persone ma di riflesso l’intera magistratura e le sue espressioni collettive interne ed esterne al Consiglio Superiore - si trovi , oggi , dinanzi ad un bivio drammatico.
Rinnovarsi profondamente – divenendo l’agente promotore di una più esigente etica individuale e di una più rigorosa cultura della responsabilità professionale e sociale della magistratura – o perdere rilevanza e prestigio riducendosi a espressione di interessi individuali, particolari, corporativi, meramente sindacali.
Ma l’istituzione consiliare non può modellarsi su quest’ultima soffocante alternativa.
Per essere all’altezza del ruolo che la Costituzione e le oggettive necessità di governo della magistratura gli assegnano, il Consiglio Superiore ha bisogno di funzionare come luogo istituzionale di confronto delle idee, delle esperienze, delle proposte provenienti da diversi centri di riflessione e di elaborazione, rispecchiando la complessità, la vitalità, la ricchezza di pensieri del mondo giudiziario che non sono state e non possono essere cancellate da uno scandalo.
5. Gli invalicabili tabù sull’elezione dei componenti togati
Al pari del legislatore del 2002, il Ministro della Giustizia non si è mosso alla ricerca di un sistema elettorale adeguato per il Consiglio Superiore con la necessaria apertura e libertà intellettuale.
E’ stato invece condizionato e oppresso da alcuni postulati politici, assurti ormai a indiscutibili tabù.
Il primo: la scelta di disciplinare un fenomeno “fisiologicamente” collettivo come le elezioni nei termini del più assoluto individualismo, negando cittadinanza nel procedimento elettorale ad ogni forma di aggregazione salvo quella – occasionale e transeunte – del gruppo di magistrati proponenti le singole candidature individuali.
Il secondo: l’esclusione a priori dal novero delle possibili soluzioni di un sistema elettorale proporzionale che - applicato su di un collegio unico nazionale comprendente un corpo elettorale relativamente esiguo - meglio consentirebbe la rappresentanza in Consiglio dei diversi orientamenti esistenti in magistratura e, con opportuni accorgimenti, la c.d. rappresentanza di genere[8].
Limitato da questi due muri invalicabili il Governo – non importa se per genuina convinzione o in omaggio al senso comune invalso nel mondo politico - ha ignorato tutte le proposte di rinnovamento del sistema elettorale provenienti dalla migliore dottrina giuridica e da gran parte della magistratura, che erano state prospettate in una molteplicità di sedi nell’ambito di un confronto ampio e approfondito[9].
E’ stata invece riprodotta - in linea di assoluta continuità con la legge n. 44 del 28 marzo 2002 voluta dalla maggioranza di centro destra - una impostazione rigidamente “atomistica” tesa a negare ed a disarticolare in radice ogni proposta comune . E ciò non solo nella forma di “liste” collettive presentate nel contesto di un collegio unico nazionale ma anche secondo il diverso e innovativo schema del collegamento programmatico tra candidature individuali presentate in una pluralità di collegi territoriali[10].
La consonanza con l’opzione di fondo del legislatore del 2002 si è tradotta però in soluzioni tecniche divergenti da quelle sperimentate senza successo in passato.
Ed è qui che si collocano le principali diversità tra la legge vigente e il ddl del Governo.
Sono previsti collegi elettorali di dimensioni ridotte in luogo dei tre collegi unici nazionali per categorie previsti dalla legge n. 44 del 2002.
Si propone l’abbandono del voto distinto di tutti i magistrati per le categorie dei giudici di merito, dei pubblici ministeri e dei magistrati esercenti funzioni di legittimità, con il solo mantenimento della summa divisio – costituzionalmente obbligata – tra funzioni di legittimità e di merito.
Si opta, infine, per un sistema nel quale i magistrati di legittimità sono eletti solo dai loro “pari” nell’ambito di un collegio separato che si affianca a diciassette collegi territoriali nei quali i magistrati di merito votano i loro rappresentanti. Con l’aggiunta di un diciottesimo collegio extravagante nel quale confluiscono i magistrati collocati fuori ruolo, i magistrati dell’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione, i magistrati della Corte di appello di Roma e della Procura generale presso la medesima Corte e i magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
6. Le irrisolte difficoltà del sistema elettorale
Non c’è da stupirsi che - sommando i tabù ereditati dal passato con l’intento di cancellare ogni forma di aggregazione e con le oggettive esigenze di un sistema elettorale complesso - il Ministro e i suoi collaboratori abbiano finito con il muoversi affannosamente come mosche intrappolate tra pareti di vetro.
Ma il riconoscimento delle difficoltà incontrate non basta a far dire che esse siano state felicemente superate e che sia stata realizzata un’efficace sintesi.
Appare innanzitutto discutibile la scelta di far eleggere i due componenti togati esercenti funzioni di legittimità in un collegio loro riservato nel quale votano solo i magistrati della Suprema Corte.
Si dà vita così ad una sorta di “separazione” della categoria (recte: della funzione) di legittimità non contemplata nella Costituzione né richiesta dalla giurisprudenza del giudice delle leggi, con un effetto di parziale ritorno ad un passato nel quale ciascun magistrato poteva votare solo per i colleghi della propria categoria[11].
Inspiegabile, poi, se non per ragioni puramente numeriche la creazione di un collegio extravagante come quello previsto dall’art. 29 del ddl di cui si è prima riportata la eterogenea composizione.
In realtà la proposta riformatrice punta tutte le sue carte sulla “vicinanza” tra elettori e candidati assicurata dalla creazione di una pluralità di piccoli collegi elettorali e destinata a contrastare l’influenza dei gruppi.
Da un lato, però, la “vicinanza” si rivela problematica in un corpo elettorale ristretto e irregolarmente distribuito sul territorio nel quale alcune grandi sedi formano da sole un collegio elettorale mentre altri collegi territoriali risultano dalla somma di uffici disseminati su più vasti territori .
Dall’altro lato il riferimento esclusivo alla dimensione territoriale ignora che le linee di conoscenza personale, di stima professionale e di affinità corrono in magistratura più tra magistrati accomunati da ragioni professionali o identità di vedute che non tra magistrati operanti nella stessa sede o area territoriale.
La scelta compiuta, accompagnata dalla esclusione di ogni possibile collegamento programmatico tra candidati nei diversi collegi, rischia di alimentare fenomeni di localismo (contrastanti con la natura e la dimensione dei temi propri dell’amministrazione della giurisdizione) o di notabilato, rendendo un pessimo servigio alla rappresentatività complessiva del Consiglio.
Particolarmente astruso è infine il meccanismo di computo o meglio di “pesa” dei voti espressi nel primo turno di votazioni ai fini dell’accesso al secondo turno , meccanismo caratterizzato da un peso via via digradante delle quattro preferenze a disposizione dell’elettore (rispettivamente 1, 0,90, 0,80, 0,70). Sistema replicato nel secondo turno, nel quale le preferenze espresse dall’elettore si riducono a due, anch’esse di diverso peso in quanto all’eventuale seconda preferenza si applica il coefficiente di riduzione 0,80.
Il Ministro loda il congegno sostenendo che esso è tale da generare risultati elettorali del tutto imprevedibili e che perciò varrà a scardinare il potere delle correnti.
Affermazione che rivela l’ispirazione monocorde della proposta riformatrice e al tempo stesso l’assenza di idee chiare sul tipo e sulla qualità della rappresentanza che sarebbe “desiderabile” per la provvista di un organo di rilievo costituzionale.
Solo critiche e nessuna proposta alternativa? Al contrario, valide alternative al sistema elettorale prescelto erano state prospettate con ampiezza di argomentazioni.
In particolare, ove il Governo avesse considerato imprescindibile l’opzione per una pluralità di collegi elettorali – ritenuta fonte di un più stretto collegamento tra elettori ed eletti e di maggiore responsabilizzazione dei consiglieri togati – ben avrebbe potuto seguire le articolate indicazioni di un’autorevole dottrina che prevedeva: a) la divisione del territorio nazionale in tanti collegi quanti sono i magistrati da eleggere, esclusi quelli di legittimità, da concentrare in collegio apposito; b) la presentazione nei collegi di candidature singole; c) il collegamento dei candidati con almeno altri due di altri collegi al fine di mantenere in vita forme di collegamento ideale e programmatico utili e necessarie nell’esperienza consiliare; d) la distribuzione dei seggi avendo come punto di riferimento i gruppi di candidati tra di loro collegati da effettuarsi, su scala nazionale, con il sistema proporzionale, metodo d’Hondt che non produce resti e, pur rimanendo proporzionale, evita la frantumazione estrema del proporzionale puro[12].
Con l’effetto di valorizzare le candidature individuali senza sopprimere – come prevede la proposta del Governo - ogni forma di trasparente ed esplicita aggregazione e «senza sfociare nel sistema maggioritario, non adatto al Csm e peraltro inefficace rispetto agli aspetti peggiori del correntismo giudiziario»[13].
7. L’assetto del Consiglio e l’equilibrio dei poteri
Alle domande di fondo «quale legge elettorale per quale CSM?» e «quali regole di funzionamento per l’organo di governo autonomo della magistratura» il ddl del Governo offre le risposte della burocratizzazione dell’organismo e di una sua diminuita rilevanza sul terreno delle scelte di amministrazione della giurisdizione.
La soppressione - tanto nel procedimento elettorale quanto nella vita del Consiglio - di ogni dimensione ideale e programmatica comune e l’evidente disinteresse per l’obiettivo di una rappresentanza dei magistrati che assicuri il migliore svolgimento delle molteplici funzioni consiliari (amministrative, giudiziarie, consultive) restituiscono l’immagine di un Consiglio Superiore ridotto ad organo di ordinaria amministrazione e di gestione del personale secondo le meticolose procedure burocratiche disegnate negli altri capitoli del disegno di legge.
L’intento di contrastare le “degenerazioni correntizie” – unico motivo ispiratore dell’intera proposta di riforma - è utilizzato come il passepartout per manipolare l’assetto consiliare, alterare le logiche della collegialità, rendere marginale e addirittura sospetto il confronto tra diverse opzioni di politica del diritto e della giustizia.
Al termine di un’analisi approfondita delle leggi elettorali del CSM e delle proposte di modifica in campo svolta sulle pagine di questa Rivista[14] Roberto Romboli ha osservato, con spirito caustico, che il ripetuto riferimento alle degenerazioni correntizie fa ormai «venire in mente “i trenta anni del malgoverno democristiano” dell’esame di maturità nel film Ecce bombo di Nanni Moretti».
Il mantra, la formula rituale – refrattaria alle distinzioni ed alle valutazioni specifiche di cose, fatti, persone – sembra destinata a superare ogni obiezione.
Con un duplice effetto negativo.
Cancellare o distorcere il significato ed il valore della ricca esperienza dell’autogoverno che non può essere misurata solo sul metro delle recenti deteriori vicende, per quanto gravi esse siano, e di prassi negative, per quanto diffuse esse si siano rivelate.
Accantonare, in favore di confuse generalizzazioni, l’analisi puntuale dei fatti che mostra come siano stati quasi sempre i singoli (in contatto con presenze politiche esterne) a violare le regole di correttezza nell’operato del Consiglio, operando in modo trasversale rispetto alle aree di appartenenza .
Eppure, come è stato icasticamente ricordato «L’indipendenza dei giudici sta insieme alla libertà del Consiglio» [15].
Dietro ogni scelta sull’assetto dell’istituzione consiliare la posta in gioco è sempre l’assetto del potere giudiziario, il suo livello di indipendenza ed autonomia e la sua equilibrata relazione con gli altri poteri dello Stato.
Svilire il Consiglio Superiore e deprimerne il ruolo istituzionale non può essere contrabbandato come una soluzione rispettosa dell’equilibrio dei poteri e utile alla giustizia del nostro Paese.
Può solo rappresentare il preludio di altri ripiegamenti sul versante dell’indipendenza del giudiziario e dei singoli magistrati e sul terreno della realizzazione di una giurisdizione attenta ai diritti dei cittadini.
[1] Per una incisiva critica del sistema del sorteggio , vedi in questa Rivista V. Savio, Come eleggere il CSM, analisi e proposte: il sorteggio è un rimedio peggiore del male, 26.6.2019; cfr. anche N. Rossi, La riforma del CSM proposta dal Ministro Bonafede, 12.7.2019
[2] Sul tema si veda, da ultimo, il libro di Nadia Urbinati e Luciano Vandelli, La democrazia del sorteggio, Torino, 2019, oggetto della recensione di Luigi Orsi sulle pagine di questa Rivista (La democrazia del sorteggio, 18.7.2020).
[3] All’origine delle proposte di sorteggio sta la ricorrente affermazione che la magistratura italiana si è dimostrata incapace di eleggere i suoi rappresentanti, che i magistrati devono ormai difendersi dal CSM e che perciò è legittimo disarticolare il governo autonomo della magistratura sostituendo alle elezioni ed alle rappresentanze elette, componenti scelti sulla base di meccanismi nei quali la casualità ha un peso assoluto o prevalente. Così tra gli altri M. Ainis, Il sorteggio dei migliori, in La Repubblica, 7 giugno 2019, e Carlo Nordio, Solo un sorteggio può salvare le toghe dal mal di corrente, in Il Messaggero, 7 giugno 2019, che propone il sorteggio in una platea di "ottimati".
[4] Sui discutibili effetti della “selezione per sorteggio” per l’esercizio di funzioni pubbliche in diversi ambiti istituzionali – peraltro strutturalmente differenti dal CSM- cfr. le informazioni e le osservazioni critiche di Luciano Vandelli in La democrazia del sorteggio, Parte seconda, cit.
[5] Così A. D’Amato, componente del CSM appartenente a Magistratura Indipendente, in una intervista a Il Dubbio dell’8 agosto 2020 nella quale propone un interpello nazionale tra magistrati con un elevato livello di anzianità di servizio, il successivo sorteggio di un congruo numero di nominativi e infine l’elezione nell’ambito della rosa dei sorteggiati.
[6] G. Melis, La macchina imperfetta, Immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna, 2018 , pp. 380 e ss.
[7] Il contributo di E. Gianfrancesco è pubblicato in Osservatorio sulle fonti, 2008, fasc. 2, pp. 1 e ss.
[8] Per una recentissima riproposizione delle ragioni di fondo a favore dell’adozione di un sistema elettorale proporzionale per l’elezione dei membri togati del CSM , v. E. Bruti Liberati, Il proporzionale per il CSM, in Il Foglio, 12.8.2020.
[9] Sulle pagine di questa Rivista cfr. da ultimo R. Romboli, Quale legge elettorale per quale CSM, 25.5.2020; M. Luciani, Il sistema di elezione dei componenti togati del CSM, 23.7.2020; E. Grosso, Brevi note sulle possibili linee di una riforma della legge elettorale del CSM, 30.7.2020. In precedenza vedi V. Savio, Quale sistema elettorale per il Consiglio Superiore della Magistratura?, 25.2.2020. V. anche sul sito di Area DG, i contributi di M. Cristina Ornano, G. Demuro, G. Santalucia, M. Picco, L. Imarisio che – unitamente ai citati studi di M. Luciani e E. Grosso – riproducono gli interventi svolti al convegno del 23 giugno 2020 organizzato da AreaDG , intitolato Voltare pagina. La riforma del sistema elettorale del CSM. I lavori del Convegno registrati e trasmessi da Radio radicale sono presenti nell’archivio della Radio. Sempre nell’archivio di Radio radicale sono registrati i lavori del seminario di MD del 3 giugno 2020 sul tema La riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. Per una sintetica esposizione delle diverse proposte riformatrici in campo cfr. sul sito di AREA DG Sistema elettorale del CSM, Quale riforma, che passa in rassegna la proposta del Governo (poi parzialmente modificata per giungere alla formulazione di cui si parla nel testo), il sistema proporzionale a liste contrapposte, il sistema proposto dalla Commissione Scotti, la proposta Silvestri, il modello binominale maggioritario.
[10] Sul punto si rinvia al fondamentale contributo di G. Silvestri, Il Consiglio Superiore della Magistratura nel sistema costituzionale, nel n. 4 del 2017 della Trimestrale di questa Rivista nel quale è formulata la proposta di un nuovo sistema elettorale per la componente togata del Consiglio ispirato a quello in vigore per il Senato prima della riforma maggioritaria.
[11] Su questi aspetti vedi E. Bruti Liberati, L. Pepino, Autogoverno o controllo della magistratura? Il modello Italiano di Consiglio Superiore, Feltrinelli, 1998, e L. Violante, Magistrati, Einaudi, 2009, e-book, pos. 247. Cfr. Corte costituzionale n. 187 del 1982 che ha ritenuto costituzionalmente necessaria solo la presenza in Consiglio di magistrati esercenti effettivamente le funzioni di legittimità.
[12] Così G. Silvestri, Il Consiglio Superiore della Magistratura nel sistema costituzionale, op. cit.
[14] R. Romboli, Quale legge elettorale per quale CSM, op.cit.
[15] Giuseppe Maria Berruti, Così la magistratura rischia l’autodistruzione, in La Stampa, 17.8.2020