Magistratura democratica
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Quale separazione delle carriere vuole la maggioranza di governo? Ciò che muta sotto la crosta del déjà vu

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

Quale separazione delle carriere vuole davvero la maggioranza di governo? L’incertezza sugli effettivi intendimenti della destra è, allo stato, più che giustificata. La Camera dei deputati è infatti impegnata nell’esame di proposte di riforma costituzionale presentate da numerosi parlamentari e dal governo, accomunate dal titolo “separazione delle carriere” ma profondamente diverse tra di loro, in quanto espressione di logiche politiche ed istituzionali divergenti e per più versi antitetiche. L’unico dato chiaro e indiscutibile è che, tanto nelle proposte di iniziativa parlamentare quanto nel disegno di legge del governo, la vecchia etichetta della separazione delle carriere è apposta su pacchetti che, almeno agli occhi dei proponenti, contengono merci ben più ricche e preziose: un complessivo riassetto costituzionale del giudiziario e la riscrittura dei rapporti tra poteri dello Stato. La radicale differenza dei percorsi istituzionali possibili per raggiungere questa meta ambita merita però un’analisi attenta, che guardi oltre i luoghi comuni. Da un lato l’iniziativa legislativa parlamentare rivendica “più politici” e “più politica” nel governo autonomo della magistratura, puntando sull’aumento sino alla metà della componente laica dei Consigli superiori della magistratura. Sul versante opposto il d.d,l del governo affida a meccanismi di sorteggio, in vario modo calibrati, la provvista dei Consigli Superiori di giudici e pubblici ministeri nonché dell’Alta Corte disciplinare, giocando la carta della rinascita, in seno alla magistratura, della corporazione, in grado di gestire tramite ciascuno dei suoi membri, anche scelto a caso, gli elementari interessi della categoria. Inoltre l’opzione per il sorteggio secco dei membri togati, grazie al quale “l’uno vale l’altro”, avrà l’effetto di cancellare negli organi del governo autonomo non solo le differenze ideali e culturali tra magistrati ma anche tutti i criteri in grado di dar vita ad una rappresentanza adeguata del loro corpo: la parità di genere, il rispecchiamento delle diverse realtà territoriali, le distinzioni sulla base delle funzioni svolte. Raffrontare attentamente i due progetti riformatori e le loro logiche ispiratrici; comprendere su quali di essi e con quali prospettive di successo si orienterà la maggioranza di destra; misurare la loro distanza dall’originario modello costituzionale: sono questi i temi affrontati in questa riflessione inevitabilmente destinata a riflettere le incertezze e le incognite di una situazione in divenire. 

Sommario: 1. Una logora etichetta per una nuova merce - 2. Il Parlamento al lavoro su progetti riformatori di diversa matrice e contenuto - 3. Tratti comuni e differenze tra le proposte di fonte parlamentare e il ddl del governo - 4. La prima opzione: “più politici” nel governo della magistratura - 5. La seconda soluzione: “uno vale l’altro”, ovvero, il ricorso al sorteggio per resuscitare la corporazione - 6. Il corollario di un nuovo giudice disciplinare, anch’esso composto per sorteggio - 7. L’arretramento rispetto al modello costituzionale

 

1. Una logora etichetta per una nuova merce

Si continua a chiamarla “separazione delle carriere” di giudici e pubblici ministeri ma è qualcosa di diverso e molto di più. 

E’ il tentativo di ridefinire, in termini assai distanti dall’originario modello costituzionale, l’intero assetto del potere giudiziario. 

E’ il progetto di riscrivere i complessivi rapporti tra i poteri dello Stato, depotenziando la magistratura e il suo governo autonomo e limitando le prerogative e le garanzie forti del giudiziario e della giurisdizione volute dai costituenti. 

Del resto, che la “separazione delle carriere” sia divenuta l’etichetta apposta su di una merce molto differente è ormai chiaro a tutti. 

Come si è già ampiamente sottolineato, anche sulle pagine di questa Rivista[1] «se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni, la separazione si è già di fatto realizzata»[2].

Se, nonostante ciò, si moltiplicano le proposte e si intensificano gli sforzi per giungere ad una revisione costituzionale più ampia della “separazione” ciò è dovuto al fatto che si mira ad un complessivo riassetto del potere giudiziario. 

Ma con quali materiali e secondo quale logica istituzionale si intende ridefinire l’impianto costituzionale della magistratura e del suo governo autonomo? 

E’ quando si cerca una risposta a questi interrogativi che emerge il bivio di fronte al quale si trova la maggioranza di destra. 

 

2. Il Parlamento al lavoro su progetti riformatori di diversa matrice e contenuto

Come è noto, la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, già da tempo impegnata nell’esame di numerose proposte di legge di revisione costituzionale di iniziativa parlamentare riguardanti la separazione delle carriere[3], ha ora anche il compito di esaminare il disegno di legge sullo stesso tema presentato dal Ministro della giustizia e dal Presidente del Consiglio[4].

Compito non facile, data la profonda diversità, di genesi e di contenuto, delle due iniziative riformatrici. 

Quasi tutte le proposte di legge di matrice parlamentare ricalcano infatti pedissequamente il testo della proposta di legge di iniziativa popolare[5] promossa dalle Camere penali sulla separazione delle carriere. 

Singolare esempio - sia detto per inciso - di una iniziativa di revisione della Costituzione originata e modellata da un impulso totalmente di parte, un’associazione di avvocati penalisti che si è data carico di promuovere la raccolta di firme necessarie. 

Il progetto del governo ha invece, come si dirà, una impostazione molto differente e per certi versi antitetica rispetto alle proposte di origine parlamentare. 

E poiché il ddl Nordio è stato presentato quando la Commissione Affari costituzionali era già all’opera da tempo sulle proposte parlamentari, il suo esame si è innestato sul tronco di lavori parlamentari diversamente orientati. 

L’analisi delle proposte riformatrici in campo spiega perché si parla di un “dilemma” della destra di fronte alla riscrittura della disciplina costituzionale della magistratura. 

 

3. Tratti comuni e differenze tra le proposte di fonte parlamentare e il ddl del governo

Il fondamentale tratto comune tra le proposte parlamentari e il d.d.l. del governo sta nella istituzione di una totale incomunicabilità dei percorsi professionali di giudici e magistrati del pubblico ministero (che, come si è detto, porta a compimento un iter di divisione ormai già molto avanzato) e nella duplicazione degli organi di governo autonomo delle due categorie di magistrati. 

In tutti i progetti sono infatti previsti due distinti Consigli Superiori per giudici e pubblici ministeri e sono disegnate carriere diverse per sancire il distacco tra i due ruoli professionali e la necessità di differenti modelli di organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti.

Al di là di questo minimo comun denominatore il raffronto tra l’iniziativa legislativa dei parlamentari e quella del governo fa emergere differenze profonde. 

In primo luogo le tre proposte di legge Costa, Giachetti e Morrone ed altri si spingono sino a riscrivere l’art. 112 della Costituzione. 

Al testo attuale della norma che recita: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale» si propone infatti di aggiungere «nei casi e nei modi previsti dalla legge ordinaria», privando così il principio di obbligatorietà dell’azione penale della sua valenza costituzionale e rimettendolo, per la sua attuazione, alla legge ordinaria. 

Ciò con lo scopo – sostengono i proponenti - di «riportare l’esercizio dell’azione penale, nei fatti ampiamente discrezionale, nell’alveo della previsione legislativa» prevedendo che sia la legge «a stabilire forme e priorità dell’esercizio dell’azione penale». 

Ma con l’inevitabile effetto di porre nelle mani delle maggioranze politiche di turno l’an, il quando ed il quomodo dell’esercizio dell’azione penale, sostituendo al canone dell’obbligatorietà quello della discrezionalità del legislatore ordinario. 

Inoltre le tre proposte di revisione costituzionale mirano anche a cancellare un’altra norma chiave dell’assetto costituzionale della magistratura: l’art. 107, terzo comma, della Costituzione secondo cui «I magistrati si distinguono tra di loro soltanto per diversità di funzione». 

Abrogazione non indispensabile per realizzare l’intento dei presentatori di separare le carriere (giacché a questo scopo sarebbero largamente sufficienti le distinzioni introdotte in tema di “definizione” della magistratura, di differenti concorsi di accesso, di Consigli superiori separati e così via…) e destinata, invece, ad incidere all’interno delle carriere separate, sancendo la fine del principio che i magistrati si distinguono tra di loro solo in base alle funzioni svolte e ponendosi come potenziale preludio della rinascita di gerarchie e di trattamenti economici differenziati all’interno del corpo delle due magistrature giudicanti e requirenti. 

Infine, sempre nelle tre proposte di cui si discute si prevede che competenze ulteriori rispetto a quelle strettamente gestionali – assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari – possano essere attribuite ai Consigli solo con legge costituzionale. 

Previsione, questa, dettata dalla volontà di precludere ai Consigli stessi l’adozione di atti di indirizzo e l’esercizio di funzioni paranormative, che pure si sono rivelati utilissime nel corso della lunga esperienza del CSM unitario per colmare lacune legislative ed orientare in senso positivo l’attività consiliare.

Di queste, dirompenti e nocive, innovazioni proposte dagli onorevoli Costa, Giachetti e Morrone non c’è traccia nel d.d.l. governativo che sul versante dell’amministrazione della giurisdizione si attiene più strettamente all’obiettivo di dar vita a due distinti Consigli Superiori mentre amplia il suo campo di intervento sul terreno della giustizia disciplinare che propone di attribuire ad un organo - l’Alta Corte disciplinare – esterno rispetto ai due organi di governo autonomo di giudici e pubblici ministeri. 

 

4. La prima opzione: “più politici” nel governo della magistratura

Al di là delle significative differenze sin qui messe in luce, è sulla composizione e sulla provvista dei due Consigli Superiori che emergono le più radicali divergenze tra le proposte di matrice parlamentare e il disegno di legge del Governo. 

Secondo le proposte Costa, Giachetti e Morrone ed altri dovrebbe spettare al Parlamento in seduta comune la nomina della componente laica, pari al 50% dei componenti dei Consigli, mentre dovrebbe essere ancora il Presidente della Repubblica a presiedere i due Consigli. 

La proposta dei parlamentari Calderone ed altri attribuisce invece la presidenza dei due Consigli rispettivamente al Primo Presidente della Corte di cassazione ed al Procuratore generale presso la Corte, mentre riserva la nomina della metà dei membri “laici” dei Consigli per un quarto al Presidente della Repubblica e per un quarto al Parlamento in seduta comune. 

Comunque, “tutte” le iniziative legislative di fonte parlamentare mirano a coniugare la separazione delle carriere con l’accresciuta influenza della politica nel governo della magistratura per effetto dell’aumento del numero dei membri laici dei Consigli che diverrebbero la metà delle distinte compagini consiliari.

 Stringatissima, quasi inesistente, la spiegazione di una così rilevante innovazione contenuta nelle relazioni alle proposte di legge. 

Il mutamento della composizione degli organismi consiliari – si scrive nelle relazioni – ha il «fine di scongiurare che, da organi autonomi e indipendenti di governo della magistratura, i Consigli superiori della magistratura giudicante e requirente operino quali organismi corporativi e autocratici». 

All’accresciuta presenza di membri laici si assegna non solo la funzione di antidoto al corporativismo ma anche quella di contrasto alla “autocrazia”, concetto chiaramente evocato a sproposito, o meglio per fini meramente polemici, per organismi nei quali la componente togata è elettiva. 

Ciò che si vuole, in sostanza, è immettere “più politica” e “più politici” negli organi di governo della magistratura, attribuendo alla componente laica un peso maggiore, e in molti casi decisivo, nelle scelte compiute dai Consigli in tema di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari dei magistrati[6]

In realtà la storia della vita consiliare attesta che non è mai stata la “quantità” ma la “qualità” ed il valore intellettuale di singoli autorevoli e prestigiosi membri laici ad esercitare un influsso estremamente positivo sull’attività dell’organo di governo autonomo della magistratura, mentre non sono mancati, nella componente laica, cadute etiche, comportamenti partigiani e faziosi e condotte capaci di gettare discredito sull’istituzione consiliare. 

Più che rivendicare il potere di eleggere più membri laici, occorrerebbe perciò che il Parlamento dedicasse maggior cura alla scelta delle persone da destinare alla sede consiliare, anche per evitare disastri come quelli di recente verificatisi in Consiglio. 

 

5. La seconda soluzione: “uno vale l’altro”, ovvero, il ricorso al sorteggio per resuscitare la corporazione

La proposta di riforma del governo - che istituisce anch’essa  due Consigli Superiori - non muta la proporzione tra togati e laici, che rimane quella di “due terzi–un terzo” oggi prevista in Costituzione, ma rivoluziona radicalmente il metodo di provvista dei Consigli, sostituendo all’elezione il sorteggio.

Altra profonda innovazione è rappresentata dalla istituzione di un giudice disciplinare, l’Alta Corte, anch’essa scaturente da un sorteggio. 

Il nucleo centrale del d.d.l. sta nella riscrittura dell’art. 104 della Costituzione[7] che disegna un nuovo assetto costituzionale del governo autonomo della magistratura attraverso: 

- la previsione di “due” Consigli superiori, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, per le categorie separate di giudici e pubblici ministeri; 

- la composizione omogenea dei due organi, formati per due terzi da membri togati e per un terzo da membri laici, con la sola differenza riguardante il membro di diritto (il Primo Presidente della Corte di cassazione per il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Procuratore generale per il Consiglio superiore della magistratura requirente); 

- la formazione dei Consigli attraverso sorteggi differenziati – “secco” per i togati perché effettuato tra tutti i magistrati “nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge “e “temperato” per i membri laici, che sono destinati ad essere sorteggiati nell’ambito di un elenco compilato mediante elezione - senza alcuna previsione nel testo costituzionale di maggioranze qualificate - dal Parlamento in seduta comune entro sei mesi dal suo insediamento. 

Mentre ormai sono al tramonto - ripudiati dalla maggioranza degli entusiastici sostenitori di un tempo - i fasti del postulato politico “uno vale uno” e dei suoi corollari che hanno scandito una delle più bizzarre stagioni della vita istituzionale italiana, il Ministro Nordio si incarica di lanciare per il mondo della giustizia un nuovo assioma politico- istituzionale: “uno vale l’altro”. 

E’ questa, in ultima istanza, la concezione sottesa al sorteggio “secco” proposto per la formazione della componente togata dei due Consigli. 

Una logica che concepisce la magistratura come una corporazione indifferenziata, portatrice di elementari interessi di categoria che possono essere curati indistintamente da ciascuno dei suoi membri, senza che vi sia spazio per l’espressione delle differenti culture, idealità, visioni della giustizia che si confrontano e si misurano in una competizione elettorale. 

Inoltre l’opzione per il sorteggio secco dei membri togati, grazie al quale “l’uno vale l’altro”, avrà l’effetto di cancellare negli organi del governo autonomo anche tutti i criteri in grado di dar vita ad una rappresentanza adeguata del corpo dei magistrati: la parità di genere, il rispecchiamento delle diverse realtà territoriali, le distinzioni sulla base delle funzioni svolte.

All’appiattimento corporativo della rappresentanza togata si contrappone la perdurante capacità di “scelta” della rappresentanza laica da parte della politica. 

Se è vero infatti che anche i membri laici dei Consigli dovrebbero essere estratti a sorte, ciò avverrebbe all’interno di un più largo “paniere” selezionato dal Parlamento, senza peraltro che il testo costituzionale preveda maggioranze qualificate per tale selezione e perciò senza adeguate garanzie di pluralismo culturale e politico. 

Un sorteggio asimmetrico, dunque, perché affidato interamente al caso per i togati e circoscritto nell’ambito di una platea selezionata per i membri laici. 

 

6. Il corollario di un nuovo giudice disciplinare, anch’esso composto per sorteggio

Infine, una versione ancora diversa del sorteggio è prevista per la formazione dell’Alta Corte disciplinare alla quale è attribuita la giurisdizione disciplinare nei riguardi dei “soli” magistrati ordinari, giudicanti e requirenti e non di tutte le magistrature come previsto in precedenti progetti di legge sull’Alta Corte disciplinare. 

Per il Governo l’Alta Corte è infatti destinata ad essere composta da «quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità»

Giudice disciplinare di primo grado, l’Alta Corte è anche, in diversa composizione, giudice esclusivo dell’impugnazione. 

Nel testo novellato dell’art. 105 della Costituzione si prevede infatti che «contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata»[8].

Tornando al tema del sorteggio, si può constatare che c’è piena simmetria tra il meccanismo di estrazione a sorte dei membri laici dei due Consigli Superiori e quello dei tre membri laici dell’Alta Corte di competenza del parlamento. 

In entrambi i casi, infatti, l’estrazione a sorte è effettuata in un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio compilato mediante elezione dal Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dal suo insediamento. 

E’ invece il sorteggio dei togati a far emergere una corposa differenza, essendo circoscritto ai magistrati con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. 

La giustizia disciplinare sarà monopolio dei magistrati di cassazione ripristinando una primazia - diversa da quella di natura esclusivamente giurisdizionale oggi esercitata - che riecheggia un passato lontano nel quale gli alti gradi della cassazione svolgevano un ruolo di vertice dell’organizzazione giudiziaria e di preminenza nel CSM e nella giustizia disciplinare. 

Il sorteggio, dunque, diviene il veicolo attraverso il quale si punta a far rinascere nella magistratura italiana corporazione e gerarchia in sostanziale contraddizione con altre norme della Costituzione, tra cui quella secondo cui i magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni[9].

 

7. L’arretramento rispetto al modello costituzionale

Raffrontate al modello costituzionale, entrambe le scelte in campo per la riforma del governo autonomo della magistratura - prevalenza del politico e soluzione neocorporativa – appaiono meno felici ed equilibrate. 

E’ un fatto che il Parlamento, soprattutto negli ultimi anni, ha spesso scelto con metodi discutibili i membri laici del CSM, talora riciclando nel consesso del Palazzo dei Marescialli, divenuto ora palazzo Bachelet, ex parlamentari non rieletti, talora eleggendo giuristi di modesta levatura. 

Salvo qualificate eccezioni, sono ormai lontani i tempi in cui sedevano nel Consiglio Superiore studiosi e professionisti di indiscusso prestigio. 

E’ perciò difficile sostenere, con qualche credibilità, che l’idea di aumentare sino al 50% la componente laica nel Consigli sia la soluzione da adottare per garantire una migliore qualità e un’etica più elevata in seno agli organi di governo autonomo, rigenerandoli. 

Ed è significativo che proprio le Camere penali – che sono state promotrici della proposta di aumentare la componente di nomina parlamentare - siano costrette a prendere atto di questa realtà in un loro recente documento nel quale si legge tra l’altro: «sarebbe...ingiusto negare che esista una questione...relativa alla capacità dei componenti laici di svolgere le proprie funzioni all’interno del CSM in accordo al disegno costituzionale (anche recenti vicende di cronaca insegnano). Spesso le nomine appaiono frutto di mere spartizioni fra gruppi politici, il che naturalmente è del tutto legittimo: ma queste scelte avvengono spesso senza soverchia attenzione alla qualità e alla autorevolezza dei prescelti»[10].

Quanto poi alla escogitazione, di segno opposto, del “sorteggio” per la provvista degli organi di governo della magistratura in tre differenti versioni - sorteggio secco per i componenti togati, sorteggio temperato in una platea di candidati scelti dal Parlamento, sorteggio tra i magistrati di legittimità per l’Alta Corte disciplinare – essa si fonda su una concezione antistorica e irrealistica del “corpo” della magistratura e su di una visione mortificante e riduttiva del suo governo. 

Parliamo dell’idea che le differenze di culture e di visioni della giustizia esistenti tra i magistrati debbano essere respinte, ignorate e cancellate nelle sedi istituzionali, in favore di una regressione corporativa destinata a contraddire tutta la storia recente della magistratura, dalla seconda metà degli anni sessanta sino ad oggi. 

Inoltre, come si è già accennato, l’opzione per il sorteggio secco per i membri togati rischia di porre nel nulla tutti i criteri concepiti per garantire una rappresentanza adeguata del corpo dei magistrati: la parità di genere, il rispecchiamento delle diverse realtà territoriali, le distinzioni sulla base delle funzioni svolte. 

Infine il dato comune delle due proposte e cioè la separazione delle magistrature giudicante e requirente e la duplicazione dei Consigli Superiori, con la creazione di un Consiglio Superiore della magistratura requirente, potrebbe suscitare più di una inquietudine in quanti hanno a cuore l’equilibrio tra i poteri e una cultura ispirata al garantismo. 

Da un lato, infatti, l’istituzione di un organo di rilievo costituzionale riservato ai soli pubblici ministeri, conferirebbe al potere requirente una presenza istituzionale e uno statuto autonomi di cui oggi è privo. 

Dall’altro lato, vi è il pericolo che nel Consiglio Superiore della magistratura “requirente” prevalgano impostazioni culturali unilaterali, tutte ispirate e modellate sulle esigenze dell’organo di accusa piuttosto che sulle esigenze dell’intera giurisdizione. 

A ben guardare, nonostante le artificiose e insistite polemiche sul preteso strapotere dei pubblici ministeri, i dati statistici sugli esiti dei processi dimostrano quanto sia falsa la rappresentazione di onnipotenza dei magistrati dell’accusa nell’ambito della giustizia penale mentre la limitata rappresentanza dei magistrati requirenti in seno al Consiglio Superiore fa si che anche in sede di “amministrazione della giurisdizione” essi abbiano un peso tutt’altro che preponderante. 

La separazione potrebbe dunque produrre, almeno in una fase iniziale, e salvo un pericoloso effetto di rebound istituzionale, un effetto opposto a quello desiderato, attribuendo ai magistrati dell’accusa un ruolo e un peso istituzionale autonomo che oggi non hanno nel Consiglio Superiore unico che li amministra insieme ai magistrati giudicanti. 

In conclusione: allo stato non è dato di comprendere in che modo verrà sciolto il nodo degli “opposti” modelli di riassetto del giudiziario contemporaneamente all’esame dei deputati e quale direzione imboccheranno i lavori parlamentari. 

Anche se le Camere penali nel recente documento che si allega[11] inviano al governo ed al parlamento segnali di appeasement e di propensione a conformarsi all’impostazione del d.d.l. governativo resta ancora incerto se prevarrà la tentazione di aumentare il peso della politica negli organi di governo autonomo, se si punterà sul sorteggio come strumento di appiattimento corporativo dei Consigli separati o infine se verrà attuata una fusione tra gli aspetti più discutibili dei due progetti. 

E’ largamente prevedibile, invece, che - in un contesto nel quale non sembrano destinate ad attenuarsi le polemiche sull’operato dei pubblici ministeri che adottano iniziative sgradite al potere politico - un pubblico ministero ed un Consiglio Superiore della magistratura requirente “separati”, una volta divenuti una sorta di autonomo potere inquirente e requirente distinto dalla giurisdizione, saranno più esposti e più fragili rispetto a offensive della politica che pretenda di impartire le sue direttive all’organo di accusa. 

Scongiurare il verificarsi di questa parabola è compito di quanti hanno a cuore la separazione e l’equilibrio dei poteri e non si augurano che le maggioranze di governo possano esercitare un nefasto influsso sull’esercizio dell’azione penale e sullo status dei magistrati del pubblico ministero. 


 
[1] In questi termini chi scrive nell’articolo, Oltre la separazione delle carriere di giudici e pm. L’obiettivo è il governo della magistratura e dell’azione penale, in Questione Giustizia on line, 4.9.2023, https://www.questionegiustizia.it/articolo/oltre-separazione-carriere. Tra gli scritti più recenti sul tema della separazione delle carriere cfr. A. Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? una riforma da evitare, in Giustizia Insieme, 28 luglio 2016; E. Bruti Liberati, Lo statuto del pubblico ministero nel progetto di legge costituzionale n. 14. Non solo separazione delle carriere, in Sistema penale, 9 marzo 2020; S. Lorusso, Eclettismo giudiziario e processo accusatorio, in Sistema penale, 11 ottobre 2023. Mi sia consentito menzionare anche N. Rossi, Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri o riscrivere i rapporti tra i poteri?, in Sistema penale, 16 novembre 2023, https://www.sistemapenale.it/it/opinioni/rossi-separare-le-carriere-di-giudici-e-pubblici-ministeri-o-riscrivere-i-rapporti-tra-poteri, e Il caso Del Mastro e il ruolo del pubblico ministero: le lezioni americane del governo, in Questione Giustizia, 25 luglio 2023, https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-caso-delmastro-e-il-ruolo-del-pubblico-ministero-le-lezioni-americane-del-governo. Da ultimo, sul tema v. M. Basilico, Separare...cosa? in Giustizia insieme on line 19 settembre 2024 (e gli articoli citati in esordio).

[2] In particolare la legge n. 71 del 2022 recante la delega di riforma dell’ordinamento giudiziario ha fatto seguire ad un netto distanziamento della magistratura dalla politica e dall’amministrazione, anche un’accentuazione estrema del processo di interna divisione del corpo della magistratura, procedendo oltre i già rigidi steccati eretti dalla riforma Castelli e realizzando il massimo di separazione possibile tra giudici e pubblici ministeri a Costituzione invariata. L’art. 12 della legge delega ha infatti modificato l’art. 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, stabilendo la regola generale che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa può essere effettuato una volta nel corso della carriera, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni. Trascorso tale periodo è ancora consentito, per una sola volta: a) il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, a condizione che l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali; b) il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste. La regola generale dell’unico passaggio intende evitare che la scelta delle funzioni sia troppo fortemente condizionata dalla posizione del magistrato nella graduatoria del concorso di accesso e da considerazioni compiute nella fase iniziale della sua vita professionale, lasciando aperta una (sola) porta per una opzione fondata su di una più matura vocazione. Così che si è voluto almeno evitare di avere un pubblico ministero ingabbiato, precocemente e irrimediabilmente, nel ruolo di giudice o viceversa. Ora è evidente che tanto la regola generale quanto i due ulteriori spiragli lasciati aperti per il mutamento di funzioni in precedenza ricordati costituiscono solo modesti e parziali temperamenti di una separazione divenuta pressoché totale. Poiché dall’ulteriore passo in avanti compiuto dalla riforma Cartabia non c’è da attendersi il risultato di una migliore e più efficiente distribuzione delle risorse umane in magistratura, l’approfondimento del solco tra le carriere è ispirato all’dea che la vicinanza tra le figure del giudice e del pubblico ministero si traduca in una impropria alterazione degli equilibri tra le parti nel processo. Idea smentita sul piano “quantitativo” dalle elevate statistiche sulle assoluzioni e, sul piano “qualitativo”, dal rigetto dell’ipotesi accusatoria in grandi processi nei quali importanti Uffici di procura avevano investito molto in termini di impegno e di immagine, ma comunque in grado di condizionare il legislatore spingendolo ad una divaricazione estrema dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri.

[3] In ordine di presentazione: la proposta dell’On.le. Costa, AC n. 23, presentata il 3 ottobre 2022 ; la proposta dell’On.le Giachetti, A.C. n. 434, presentata il 24 ottobre 2022; la proposta degli On.li Calderone, Cattaneo, Pittalis, Patriarca, A.C. n. 806, presentata il 24 gennaio 2023 ; la proposta degli On.li Morrone, Bellomo, Bisa, Matone, Sudano, A.C. n. 824 presentata il 26 gennaio 2023.

[4] Il ddl reca il numero A.C. 1917 presentato il 13 giugno 2024.

[5] Sono i testi di tre delle quattro proposte presentate da parlamentari – Costa (Azione), Giachetti (Italia viva), Morrone ed altri (Lega) – a riprodurre la proposta di iniziativa legislativa popolare promossa dall’Unione delle camere penali, presentata il 31 ottobre 2017. E lo stesso può dirsi per il disegno di legge presentato al Senato il 14 febbraio 2023 (A.S. n. 504) dalla senatrice Erika Stefani ed altri (Lega). Da questo modello si discosta, solo per alcuni aspetti significativi ma non decisivi, la proposta di legge Calderone ed altri (Forza Italia). Le relazioni illustrative ribadiscono gli argomenti già molte volte addotti a sostegno della necessità di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri. In esse si ripete che l’introduzione nel nostro Paese di un processo accusatorio, la riforma dell’art. 111 della Costituzione, con la previsione di un giudice terzo ed imparziale, e l’esigenza di una effettiva parità delle parti del processo reclamano carriere separate tra la parte “pubblico ministero” e il giudice. Proseguendo nella lettura dei testi e delle relazioni non si tarda però a realizzare che - a dispetto del peso preponderante riservato nelle relazioni illustrative ai temi dell’equilibrio tra le parti del processo, della previsione di separati concorsi di accesso e di due distinti Consigli superiori per la magistratura giudicante e requirente - il nucleo forte delle proposte sta altrove: nella volontà di ridefinire il rapporto tra il potere politico e il potere giudiziario ed in particolare nella riscrittura degli equilibri interni al governo autonomo della magistratura e nel riassetto del regime dell’azione penale.

[6] Ciò che i proponenti rivendicano con la parificazione, nei due Consigli superiori, della componente laica a quella togata non è l’immissione di maggiore intelligenza e visione politico istituzionale per temperare e correggere possibili miopie corporative dei rappresentanti togati ma solo un peso maggiore nella “gestione” concreta della magistratura. Che sia così è reso chiaro da un’altra norma presente nelle tre proposte di cui si discute nella quale si prevede che competenze ulteriori rispetto a quelle strettamente gestionali – assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari – possano essere attribuite ai Consigli solo con legge costituzionale. Il quadro che emerge dalle proposte di cui parliamo è dunque molto chiaro: più politici (id est: più peso della politica) nei due CSM e, al tempo stesso, depotenziamento della “politicità” dei due organismi consiliari anche quando esercitata per indirizzare positivamente il complesso dell’attività di alta amministrazione svolta dagli organi di governo autonomo della magistratura.

[7] L’art. 3 del ddl costituzionale riscrive l’art. 104 della Costituzione nei seguenti termini:
«Art. 104 – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.
Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal Presidente della Repubblica.
Ne fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione.
Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge.
Ciascun Consiglio elegge il proprio vicepresidente fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.
I membri designati mediante sorteggio durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale».

[8] Per inciso va rilevato che la ormai indiscussa natura giurisdizionale del giudizio disciplinare nei confronti dei magistrati e la definizione delle decisioni dell’Alta Corte come «sentenze» inducono a ritenere che la riforma lasci intatta la possibilità, prevista dall’art. 111 della Costituzione, del ricorso in Cassazione per violazione di legge avverso le sentenze di appello del nuovo giudice disciplinare.

[9] Su questa problematica cfr D. Gallo, Testo dell’audizione resa dinanzi alla I Commissione Affari costituzionali del 12 settembre 2024, in Questione Giustizia on line 20 settembre 2024 e N. Rossi, Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia, in Questione Giustizia on line 30 maggio 2024, https://www.questionegiustizia.it/articolo/sorteggio-csm.

[10] In questi termini il testo scritto dell’Audizione dell’Unione Camere penali Italiane dinanzi alla I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati nella seduta di giovedì 12 settembre 2024.

[11] Cfr. All.1 recante Audizione dell’Unione delle Camere Penali Italiane dinanzi alla “I Commissione Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni” della Camera dei Deputati. Seduta di giovedì 12 settembre 2024. Disegno di Legge n. 1917 di iniziativa governativa cui sono unificati i DDL A.C. 23-434-806-824: "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”.

30/09/2024
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