1. I pericolosi sconfinamenti di Trump sulle prerogative costituzionali altrui
Che il Presidente Donald Trump sia allergico alle regole, anche giuridiche, e disprezzi apertamente ogni diritto o organo giudiziario, tanto nazionale che internazionale, che limiti il suo potere, è da tempo un dato di fatto.
Sul piano internazionale Trump si è, per esempio, ritirato dall’Unesco e dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha rifiutato di comparire di fronte alla Corte Interamericana dei diritti umani, ha attaccato l’estensore del rapporto delle Nazioni Unite sulla devastante povertà negli Stati Uniti, ha minacciato di persecuzione penale i giudici della Corte Penale Internazionale se avessero osato effettuare indagini che riguardavano le responsabilità statunitensi per i crimini di guerra commessi in Afghanistan e, da ultimo, ha bloccato il funzionamento del Wto non nominando i giudici necessari a raggiungere il numero minimo nel giudizio di appello, prima che pesanti sanzioni potessero essere disposte a danno degli Stati Uniti a controbilanciare quelle irrogate contro l’Europa per la sovvenzione degli Airbus.
È sul piano nazionale, tuttavia, che si misura in maniera più evidente l’insofferenza di Donald Trump ai limiti che gli possono provenire dalle altre istituzioni democratiche. Surfando, per così, dire, sulle onde del diritto e sostituendosi al Parlamento, non solo, infatti, il Presidente ha da subito misurato la propria capacità dirompente delle regole giuridiche con l’approvazione di un travel ban discriminatorio (più volte invece bocciato dai giudici federali inferiori) da parte di una Corte Suprema integrata con un Neil Gorsuch fresco di nomina “Trumpresidenziale”. Inoltre, e soprattutto, tutte le volte che il Congresso si è espresso in maniera contraria ai suoi piani e desideri, egli ha sempre aggirato l’ostacolo esautorando l’organo che più di ogni altro rappresenta il volere dei cittadini americani.
È stato così per esempio quando il Congresso a fine dicembre 2018 ha emanato un Farm Bill che non includeva il taglio ai buoni alimentari per i poveri che Trump aveva richiesto. A un anno di distanza, però, i primi di dicembre 2019, il segretario del Dipartimento di agricoltura, Sonny Perdue, ha ridotto in via regolamentare la possibilità per gli Stati di far uso della deroga alla richiesta di 20 ore di lavoro settimanale per usufruire del buono, precedentemente prevista in casi particolari a favore dei più sfortunati. In particolare la nuova normativa sposta dal 10 % al 6% la soglia di disoccupazione nello Stato, cui la possibilità di deroga era collegata. Il risultato è la cancellazione dei sussidi a circa 700 mila poverissimi, il cui reddito ammonta mediamente a 2000 dollari l’anno (equivalente a poco più di 5 dollari al giorno). Il piano dell’amministrazione è inoltre di stabilire -sempre per via di regolamenti interni- ulteriori limiti all’uso dei buoni, fino ad arrivare ad escludere un numero di beneficiari poverissimi pari a qualcosa come dieci milioni di adulti e bambini[1]. Esattamente, cioè, quel che Trump avrebbe voluto e il parlamento gli ha negato nel dicembre del 2018.
Parimenti, a fronte del diniego da parte del Congresso di cancellare l’Affordable Care Act, anche denominato “Obamacare”, che ha dimostrato di svolgere un importante ruolo di sostegno nella cura sanitaria dei più deboli, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti l’amministrazione Trump ha consentito a molti Stati di condizionare il Medicaid, ossia l’assistenza sanitaria per i più poveri, ad un’attività lavorativa minima del beneficiario, affossando così per altra via la riforma sanitaria voluta da Barack Obama, che il Congresso -nonostante le pressioni del Presidente- aveva invece voluto mantenere. Ad oggi sono dieci gli Stati che, sollecitati dall’amministrazione Trump, hanno ottenuto l’approvazione alla richiesta di condizionare a circa 80 ore di lavoro al mese l’assistenza sanitaria gratuita per i più poveri. Per quanto in tre Stati essa sia stata bloccata da giudici, la nuova forma punitiva di assistenza per i più indigenti raggiunge così almeno in parte l’obiettivo di vanificazione dell’Obamacare da sempre agognato da Donald Trump[2].
Di fronte al rifiuto da parte del Congresso di finanziare la costruzione del muro con il Messico che alla fine del 2018 aveva provocato il più pesante shutdown della storia degli Stati Uniti, Donald Trump non ha poi esitato a proclamare lo stato di emergenza nazionale, per modo da allocare surrettiziamente al dipartimento della sicurezza interna le somme negategli dal parlamento. Una Corte Suprema amica, in cui siedono ben due giudici nominati da Trump[3], pare per il momento aver avallato una simile mossa, nonostante la Costituzione nordamericana, nell’ambito della ripartizione delle prerogative fra poteri dello Stato, attribuisca al solo Parlamento la “borsa”, ossia il compito di finanziare le attività dell’esecutivo, cui invece spetta la “spada”. “Solamente una legge del Parlamento può consentire l’uso del denaro da parte del tesoro” recita, infatti, la clausola 7 dell’art. I sez. 9 della Costituzione federale, detta anche Appropriations Clause. Se, come è assai probabile, la Corte Suprema manterrà ferma la sua posizione, si consumerà in via definitiva uno straordinario scippo della borsa da parte dell’esecutivo ai danni del legislativo e Trump avrà così riunito pericolosamente e incostituzionalmente in capo a sé la spada e la borsa[4].
2. I limiti del diritto penale nei confronti di un presidente senza limiti
Fino a che punto l’insofferenza di Trump per i limiti istituzionali e costituzionali può essere accettata? È questa la domanda che una House of Representatives, oggi a maggioranza democratica, sembra essersi posta trovandosi a valutare l’ennesimo comportamento pericolosamente idiosincratico dell’attuale presidente degli Stati Uniti.
Si tratta, com’è noto, del presunto condizionamento di fondi stanziati dal Congresso per aiutare militarmente l’Ucraina allo svolgimento di una indagine penale, da effettuarsi ai danni del figlio del suo avversario alle prossime elezioni presidenziali, Joe Biden. Un comportamento che richiama peraltro i sospetti che avevano dato il via alle indagini effettuate dallo special counsel Robert Mueller nei suoi confronti, anch’esse relative a presunte interferenze di potenze straniere -in quel caso russe- di cui Trump si sarebbe avvantaggiato nella campagna elettorale del 2016 per sconfiggere Hillary Clinton.
Ora come allora, di fronte a tali ipotizzate condotte, capaci di mescolare spregiudicatamente gli interessi personali con la fondamentale esigenza pubblica di evitare ogni intrusione di potenze straniere negli affari e nelle dinamiche della democrazia americana, quale reazione giuridica è possibile immaginare nel sistema statunitense? Quali vie i padri fondatori avevano cioè ipotizzato si potessero percorrere in casi del genere?
Che, se provati, i comportamenti irresponsabili di Trump possano integrare gli estremi di reati federali (in particolare, si tratterebbe della violazione della sezione 30121 del titolo 52 dello United States Code, statuente il divieto di ricevere contributi o donazioni di tipo elettorale da stranieri, così come, in varie forme, del capitolo 73 del titolo 18 dello stesso codice, relativo a differenti ipotesi di ostruzione della giustizia) sembra essere abbastanza pacifico. Ciò che tuttavia è decisamente controversa è la possibilità di esercitare l’azione penale nei confronti di un presidente in carica.
Sul punto, per parte sua, già nel 1973 e poi ancora nel 2000, il dipartimento di giustizia statunitense si è pronunciato in senso negativo, ritenendo che -salvo casi eccezionalissimi- il presidente degli Stati Uniti non possa essere incriminato. “Lo spettacolo di un presidente accusato di aver commesso un reato, ma ancora in carica come capo dell’esecutivo, confonde le idee”, scrive l’ufficio legale del dipartimento di giustizia nel 1973[5]. Nel 2000, confermando quell’impostazione, lo stesso ufficio ribadisce come un presidente in carica non possa che essere immune da azioni penali, giacché un’accusa contro il presidente violerebbe la separazione dei poteri costituzionalmente prevista e metterebbe a repentaglio la possibilità del potere esecutivo di esercitare le funzioni che la carta fondamentale gli affida[6].
Di fronte a una Costituzione federale certamente poco esplicita sulla questione e a una Corte Suprema altrettanto silente, autorevoli costituzionalisti propongono interpretazioni contrastanti.
Mentre, infatti, in casi davvero eccezionali, come nell’ipotesi in cui un presidente in carica ammazzi qualcuno per strada, tutti concordano che un procedimento penale potrebbe e dovrebbe instaurarsi contro di lui, è in relazione a tutti gli altri casi che le opinioni divergono.
Ciò soprattutto quando il reato si presenta anche come una impeachable offense, per la quale la Costituzione prevede la diversa procedura della messa in stato di accusa da parte della House of Representatives, con relativa decisione sulla stessa da parte del Senato. In tal caso, dice la Costituzione, all’art. I sez. 3 clausola 6: “le sentenze non avranno altro effetto che la rimozione dalla carica occupata e l’interdizione da qualsiasi carica ufficiale, sia essa onorifica, fiduciaria o retribuita. Il soggetto condannato potrà nondimeno, essere sottoposto a procedimento penale, giudizio e pena, secondo le leggi.”
Questo, tuttavia, significa che il procedimento penale -qualora lo si voglia instaurare- dovrà sempre essere posposto alla fine del mandato presidenziale oppure l’ultima frase dalla sesta clausola della sezione 3 dell’art. I chiarisce semplicemente che un giudizio di impeachment non preclude mai la possibilità di un giudizio penale, e che quindi chi è stato messo in stato di accusa e condannato dal potere legislativo non potrà mai invocare il ne bis idem perché il giudizio di impeachment e quello penale operano su piani diversi?
La prima delle due interpretazioni è fatta propria da Philip Bobbitt, uno fra i più autorevoli costituzionalisti statunitensi viventi; la seconda è sostenuta da un altro gigante della materia, che con il primo condivide l’altissimo livello scientifico della disciplina: Laurence H. Tribe.
Dietro la lettura che nega la possibilità di instaurare un procedimento penale contro il presidente in carica sta non solo la preoccupazione di metterne a repentaglio la reputazione a danno dell’intero paese -che risulterebbe indebolito- e dei cittadini -per la confusione che deriverebbe loro. A motivare quell’interpretazione è pure il timore che il presidente, Commander in Chief dell’esercito e della marina statunitensi, in quanto impegnato a difendersi da un’accusa penale, non sia più in grado di svolgere l’attività per la quale i cittadini lo hanno eletto; o ancora, in un mondo come quello americano in cui la carica di prosecutor è sempre politica, il timore che i prosecutors più spregiudicati, anche e soprattutto statali, possano esercitare l’azione penale contro il presidente in carica per ottenerne visibilità[7].
Chi, viceversa, sostiene che nulla impedisca l’incriminazione di un presidente in carica per reati da lui commessi, prima o durante la vigenza della presidenza, motiva la sua interpretazione sulla base del principio che in un sistema democratico e di rispetto della rule of law nessuno può essere al di sopra della legge. La possibilità infatti che, se non incriminato durante la sua vigenza in carica, il presidente degli Stati Uniti vada indenne dalla responsabilità penale per i reati commessi è alta. Non soltanto per lo scorrere del tempo che comporta la prescrizione del reato, ma anche per la concreta eventualità che egli ottenga la grazia dal suo successore. Nel caso in cui il presidente in carica sia messo in stato di accusa e condannato dal legislativo o si dimetta prima, il presidente successivo sarà infatti addirittura il suo vice che, così come è successo quando Ford ha sostituito Nixon, sarà inevitabilmente portato a graziarlo. Il presidente che abbia commesso un reato durante la vigenza del suo mandato risulterebbe così facilmente legibus solutus e antidemocraticamente al di sopra della legge[8].
Una via di mezzo è offerta da chi propone di esercitare l’azione penale per i reati commessi dal presidente in carica, ma di congelare al contempo il procedimento fino a che egli non rivesta più quel ruolo, per modo che la prescrizione non possa intervenire ad estinguere il reato[9]; oppure di posporre il giudizio ed eventualmente anche la sua incriminazione, ma a patto che il presidente accetti di rinunciare tanto alla prescrizione quanto alla grazia. Laddove il presidente dovesse rifiutarsi di accettare tali condizioni la sua temporanea sostituzione ex sezione 3 del 25mo emendamento da parte del vice presidente rimedierebbe alle inevitabili difficoltà per il presidente sotto processo di dedicarsi contemporaneamente alla sua difesa ed anche alle sue funzioni presidenziali[10].
Sia come sia, sta di fatto che le condotte di Donald Trump non hanno finora dato luogo a una sua incriminazione.
In particolare Robert Mueller, incaricato nel maggio del 2017 di svolgere in qualità di special counsel le indagini per le presunte interferenze russe nella campagna elettorale del 2016 in sostituzione del direttore dell’FBI, James Comey (poco prima licenziato dallo stesso Trump che pare ne avesse fino ad allora ampiamente ostacolato l’attività investigativa), pur non essendo vincolato con certezza alle direttive del Dipartimento di Giustizia[11], ne ha tuttavia fin dall’inizio seguito rigorosamente l’impostazione.
Nonostante Mueller abbia dichiarato pubblicamente che le conclusioni della sua attività investigativa sulle interferenze russe nella campagna di Trump “meritano l’attenzione degli americani”[12] e anche se, relativamente alla ostruzione della giustizia, il suo rapporto finale chiarisce come il presidente (il cui possibile coinvolgimento in fatti di rilevanza penale in base alle indagini riguarda ben dieci episodi) non sia apparso con sicurezza “estraneo a responsabilità penale”[13], lo special counsel sceglie infatti di non procedere con la richiesta di incriminazione per Donald Trump.
Nella sua relazione conclusiva sulle indagini condotte, consegnata all’Attorney General William Barr il 22 marzo 2019 e presentata al pubblico il 18 aprile del 2019 in versione ampiamente emendata e ridotta (laddove la versione integrale con i relativi elementi di prova viene poi secretata da Trump, nonostante le rassicurazioni da parte dell’Attorney General che ciò non sarebbe avvenuto e che il materiale sarebbe stato a disposizione del Congresso[14]), Robert Mueller ne spiega le ragioni.
Mettendo a nudo le problematiche scaturenti quando un reato federale si configuri anche come impeacheable offense, egli ritiene che muovere un’accusa contro il presidente sarebbe inopportuno non solo perché rappresenterebbe un ostacolo alle sue attività istituzionali, ma anche perché pregiudicherebbe un eventuale impeachment da parte del Congresso. Un congelamento fino a fine mandato dell’incriminazione, non seguita cioè immediatamente da un processo penale, sarebbe d’altronde a suo avviso una mossa poco “fair”, ossia poco onesta, verso un presidente che non potrebbe difendersi subito.
Nei confronti di un presidente che sembra come minimo aver ostacolato le indagini relative a un sua presunta collaborazione con il governo russo nelle interferenze a suo favore nella campagna presidenziale del 2016, lo special counsel auspica così che sia il Congresso a intervenire. L’impeachment –sembra ragionare Robert Mueller- pare, infatti, lo strumento più appropriato per reagire a comportamenti che integrano sì reati federali, ma sono al contempo espressione di un abuso di potere il cui sindacato, sia pure in via politica, spetta in forza dell’art I, sez. 2, clausola 5 e sez. 3, clausole 6 e 7 della Costituzione soprattutto al legislativo[15].
Deprivato da un executive privilege -cui Trump, come si è accennato, non rinuncia pur avendo promesso il contrario- della possibilità di essere informato degli elementi di prova raccolti durante le indagini[16], il Congresso non interviene però in relazione ai fatti indagati da Mueller. È invece la successiva provocazione messa in atto da un Trump in costante sfida delle regole, che convincerà una camera dei rappresentanti a maggioranza democratica a far uso dell’ultima freccia costituzionale al suo arco per reagire agli eccessi di un presidente spregiudicato.
3. Impeach Trump!
Si tratta, si è già detto, della sollecitata ingerenza ucraina nella campagna presidenziale del 2020, attraverso una richiesta effettuata telefonicamente da Trump, il 25 luglio del 2019, al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per ottenere lo svolgimento di indagini sul sospetto coinvolgimento ucraino nel tentativo di influenzare le presidenziali 2016 per favorire Hillary Clinton e contro il figlio di Joe Biden, Hunter Biden, membro del Consiglio di Amministrazione della società energetica ucraina Burisma, in relazione a una eventuale ipotesi di corruzione che lo avrebbe visto partecipe. Le indagini e in particolare quest’ultima, che avrebbe coinvolto il figlio del suo futuro prossimo avversario politico e i democratici in generale, avrebbero com’è ovvio avvantaggiato (cosa peraltro già in parte comunque avvenuta) Donald Trump nella campagna presidenziale del 2020. Nel corso della telefonata, inoltre, Trump pare aver condizionato all’inizio delle suddette indagini un incontro con la Casa Bianca nonchè la somma di 391 milioni di dollari stanziata dal Congresso come aiuto militare all’Ucraina. Quando poi – grazie a un whistleblower- la telefonata diviene di dominio pubblico e la somma viene erogata, le sollecitazioni alle indagini da parte di Trump non paiono arrestarsi.
Sono questi i fatti su cui la camera dei rappresentanti decide di indagare in seno a diverse commissioni parlamentari le cui audizioni, che diventano in parte pubbliche a partire dal 31 ottobre 2019, porteranno il 18 dicembre 2019 alla messa in stato di accusa di Trump, con un voto a maggioranza semplice dei membri della House of Representatives, secondo quanto previsto dall’ art. I, sez. 2, clausola 5 della Costituzione federale statunitense[17].
Sono quei fatti, inoltre, che, descritti in tre diversi capi, costituiscono il primo articolo della messa in stato di accusa della House of Representatives, il quale addebita a Trump l’abuso di potere, ossia la più classica fra le ipotesi di impeacheable offenses che il common law conosca e a cui i padri fondatori fecero senz’altro riferimento quando redassero l’art. II sezione 4 della carta fondamentale[18].
Così come non ogni reato federale è anche una impeacheable offense, allo stesso modo non ogni impeachable offense è un reato. Gli archivi sono pieni di casi inglesi (relativi alle più disparate cariche pubbliche) e americani (riguardanti soprattutto a giudici) in cui a fronte di condotte non integranti fattispecie criminose, ma contrarie alle fondamentali regole di correttezza istituzionale, si è fatto ricorso all’impeachment. I misdemeanors, di cui parla la sezione 4 dell’art. II della costituzione, non sono infatti i reati che appartengono alla categoria giuridica di cui portano il nome (i reati si dividono infatti negli States fra felonies e misdemeanors a seconda della loro gravità), ma, come è pacificamente riconosciuto, si tratta di un termine che fa riferimento alla diversa categoria dei “misfatti” politici, che non sono tassativamente previsti da nessuna legge.
Nonostante esista dunque una legge penale che proibisce al presidente di ricevere contributi o donazioni di tipo elettorale (si tratta come si è detto della sezione 30121 del titolo 52 dello USC -United States Code) all’interno della quale potrebbe ricadere la sua condotta, il primo articolo di messa in stato di accusa di Trump fa tuttavia riferimento alla più ampia e generica categoria dell’abuso di potere, proprio per colpire non sul piano strettamente giuridico, ma piuttosto –com’è nella natura di un impeachment- sul piano politico, un’interferenza di potenze straniere negli affari di casa a suo personale vantaggio che, se provata, renderebbe Trump, come dice l’articolo dell’impeachment “una minaccia per la sicurezza nazionale e per la Costituzione se rimanesse in carica” in quanto avrebbe agito “in maniera fortemente incompatibile con l’autogoverno e la rule of law”[19].
Un secondo articolo nella messa in stato di accusa di Trump dà poi la misura della spregiudicatezza del presidente nello sbarazzarsi di ogni limite istituzionale e costituzionale. Esso riguarda l’intralcio ai lavori delle commissioni parlamentari che indagavano sui fatti relativi al primo articolo dell’impeachment, di cui Trump si è reso responsabile negando la propria collaborazione e impedendo ai funzionari dell’esecutivo di prestarla. L’accusa di ostruzione del Congresso del secondo articolo dell’impeachment per “aver ordinato un’inaudita, categorica e indiscriminata disobbedienza agli ordini impartiti dalla camera dei rappresentanti nell’esercizio del suo esclusivo potere di impeachment”, fa riferimento a tre capi. Si tratta dell’aver disatteso un ordine (subpoena) della House of Representatives di presentare dei documenti; di aver imposto a tutti i dipartimenti dell’esecutivo di fare lo stesso e di aver ordinato a funzionari attualmente o precedentemente in carica di non ottemperare agli ordini (subpoenas) di testimoniare sempre emessi dalla camera nel corso delle indagini[20]. Neppure Nixon, che pur stava per essere messo in stato di accusa per ostruzione del Congresso, aveva osato tanto.
Con l’intralcio alle indagini della camera Trump dimostra il massimo disprezzo per qualunque limite istituzionale e costituzionale al suo agire. Egli impedisce, infatti, al potere legislativo quel controllo sul suo operato su cui si basa l’intero equilibrio democratico nordamericano dei checks and balances. Trump si vuole potere senza contropoteri e non accetta di sottomettersi alle indagini in vista di un impeachment. Null’altro può dunque fare la camera se non redigere un secondo capo di accusa contro di lui. L’alternativa infatti sarebbe un presidente legibus solutus, i cui comportamenti anche se penalmente rilevanti non potrebbero mai trovare reprimenda: né sul piano del diritto penale –perché il dipartimento di giustizia come si è visto non lo permette- né su quello, più politico, del diritto costituzionale- perché Trump ostacola con successo le indagini.
Un presidente che non può né essere incriminato né essere sottoposto a indagini da parte del Congresso è un presidente al di sopra della legge: esattamente quello cui Trump aspira e che vuole dimostrare di essere.
4. La sconfitta del diritto: un esito scontato?
L’impeachment, si è detto, è stato creato dai padri fondatori come strumento di contropotere politico in capo al Congresso per limitare gli abusi di un esecutivo eccedente i propri poteri. Come tale, pertanto, esso è stato costruito dai costituenti. Della sua natura di strumento di contropotere politico risente non soltanto la definizione, carente di qualsiasi tassatività, delle condotte passibili di dar luogo a una messa in stato di accusa (quegli high Crimes and Misdemeanors di cui alla sezione 4 dell’art. II[21]), ma anche l’intera procedura e in particolare il giudizio di fronte al Senato. Le regole che lo governano sono infatti lasciate ai senatori stessi, nonostante questi incarnino il ruolo dei giurati.
Nel processo di impeachment non esiste infatti una procedura prestabilita, ma è il Senato a maggioranza semplice a decidere, fra l’altro, se e quanti elementi di prova ammettere e in base a quali criteri ammetterli, quanto tempo accordare alla difesa e quanto all’accusa (rappresentata dai managers democratici della camera dei rappresentanti), così come perfino lo standard probatorio necessario a convincere i senatori della colpevolezza di Trump, che a differenza di quanto avviene in un processo penale non necessariamente deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio. D’altronde, se in un processo penale occorre l’unanimità dei voti per condannare, ma anche per assolvere, nel processo di impeachment se i due terzi dei senatori non votano per la colpevolezza il presidente non viene rimosso dalla carica (ed in questo senso è “assolto”).
Per quanto presieduto dal Chief Justice della Corte Suprema, il processo di impeachment al Presidente è dunque un processo tutto politico (ed è per questo che l’attuale Chief Justice Roberts ha espresso la preoccupazione di apparire non neutrale nel presiederlo). Sono così oggi i 53 senatori repubblicani a decidere non solo la rimozione o meno di Trump dalla carica -poiché ben 20 di loro dovrebbero votare con i democratici per arrivare ai due terzi necessari alla destituzione-, ma anche e soprattutto se il paese e il mondo intero potranno finalmente conoscere, attraverso le prove portate a giudizio, ciò che Trump ha finora tenuto a nascondere.
Il leader di maggioranza Mc Connell, che pure in veste di giurato dovrà promettere di essere imparziale, ha già dichiarato di seguire la linea che la Casa Bianca gli detterà. La politica insegna, però, che quattro voti si possono perdere facilmente e che quindi la fondamentale partita sulle regole di svolgimento del processo è ancora aperta.
Se dunque, per virtù politica, il processo di impeachment a Trump dovesse risultare un vero dibattimento e non un semplice voto sul nulla, al di là dell’esito in termini di rimozione del presidente in carica, il suo svolgimento avrebbe comunque consentito al Congresso di esercitare il ruolo costituzionale di contropotere che gli spetta. La ricostruzione della verità sui fatti addebitati a Trump permetterebbe, inoltre, uno spiegamento più democratico delle elezioni del 2020, poiché – qualunque sia l’esito della competizione presidenziale- agli americani sarebbe data la possibilità di votare su Trump a carte scoperte. Infine, per la prima volta nella storia della sua presidenza, Trump sarebbe costretto a obbedire alle regole del sistema democratico in cui governa. Una vittoria di Pirro? Forse, ma sempre meglio che niente!
[1] Aimee Picchi, Total Trump food-stamp cuts could hit up to 5.3 million households, 10 dicembre 2019.
[2] Michael Hiltzik,Trump storms ahead with Medicaid work rules, even though they’re disastrous for enrollees, 26 novembre 2018; Andrea Germanos, Outrage After South Carolina Gets Trump OK to Attack Medicaid With Work Requirement Policies.
[3] Più a fondo: Elisabetta Grande, Usa, Kavanuagh alla Corte Suprema: verso una dittatura Trump?
[4] Più a fondo: Elisabetta Grande, Trump, il muro con il Messico e l’inquietante decisione della Corte suprema
[5] OLC Memorandum, Amenability of the President, Vice President and other Civil Officers to Federal Criminal Prosecution while in Office, 24 settembre 1973, p.30.
[6] OLC Memorandum, A Sitting President’s Amenability to Indictment and Criminal Prosecution, 16 ottobre 2000.
[7] Così Philip Bobbitt, Can the President Be Indicted?A Response to Laurence Tribe, 17 dicembre 2018, Lawfare
[8] Cfr. Laurence H. Tribe, Constitution rules out immunity for sitting Presidents, 12 dicembre 2018, Lawfare; Idem, Yes, the Constitution Allows Indictment of the President, 20 dicembre 2018, Lawfare.
[9] Walter Dellinger, Indicting a President Is Not Foreclosed: The Complex History, 18 giugno 2018, Lawfare.
[10] L. H. Tribe, Yes, the Constitution Allows Indictment of the President, cit.
[11] Cfr. Andrew Crespo, Is Mueller Bound by OLC’s Memos on Presidential Immunity? Lawfare, 25 luglio 2017.
[12] Cfr. Abby Vesoulis, How Mueller’s Farewell Subtly Rebuked Trump, 29 maggio 2019.
[13] “While this report does not conclude that the President committed a crime, it also does not exonerate him”, così lo Special Counsel Robert S. Mueller, III, Report On The Investigation Into Russian Interference In The 2016 Presidential Election, Vol II, p. 2.
[14] Cfr. Camilo Montoya –Galvez, Barr defends Trump, saying he faced an “unprecedented situation” during Mueller probe, 18 aprile 2019, CBS.
[15] Cfr. Special Counsel Robert S. Mueller, III, Report On The Investigation Into Russian Interference In The 2016 Presidential Election, cit.
[16] Dan Mangan, Trump asserts‘executive privilege’ over Mueller report in fight with House Democrats, 8 maggio 2019, CNBC.
[17] Cfr. il testo dell’impeachment in: Impeaching Donald John Trump, President of the United States, for High crimes and misdemeanors.
[18] L’art. II sezione 4 della Costituzione federale statunitense recita: “The President, Vice President and all civil Officers of the United States, shall be removed from Office on Impeachment for, and Conviction of, Treason, Bribery, or other high Crimes and Misdemeanors”. Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori, scrisse nel 1788 che l’impeachment era destinato a colpire “quelle offese che derivano dalle condotte sbagliate degli uomini pubblici, o, in altre parole, dall’abuso o dal tradimento della pubblica fiducia” cfr. The Federalist Papers : No. 65.
[19] Cfr., Impeaching Donald John Trump, cit.
[20] Ibidem.
[21] Come ha osservato il giudice Joseph Story: “Le political offenses sono di natura così varia e complessa, così straordinariamente incapaci di essere definite e classificate, che il compito per un legislatore di renderle tassative sarebbe impraticabile, se non quasi assurdo anche solo provarci”. Cfr. sul punto già C. M. Ellis, The Causes for Which a President Can Be Impeached, gennaio 1867, The Atlantic.