La ricerca sulla giovane magistratura svolta dall’Università di Torino su incarico di Questione giustizia: il senso di un’iniziativa
Il presente numero della Rivista, n. 4 del 2023, costituisce il frutto di un ambizioso progetto di ricerca che la Redazione di Questione giustizia ha maturato prima, e concretamente realizzato poi, lungo un arco di tempo sicuramente non breve, a partire dal 2019 e comunque da epoca precedente la pandemia da Covid-19, che ovviamente ha contribuito alla diluizione dei tempi: la stessa gestazione del tema oggetto di esplorazione, concernente la cultura giuridica e gli approcci alla professione da parte della cd. “giovane magistratura”, ha coinvolto l’intero gruppo redazionale in una appassionata discussione che prima di tutto ha riguardato le ragioni che potessero rendere utile una tale indagine. È giusto darne conto qui, in esordio del fascicolo, perché mai come in questo caso, le risposte che si vanno cercando sono condizionate dalle domande da cui si è partiti.
Da sempre abbiamo cercato di dimostrare, più nei fatti che con le parole, che l’originalità, la specificità di una Rivista come Questione giustizia non sta certo nella pretesa di costituire terreno di competizione e di confronto con l’accademia e, in generale, con il campo degli studi giuridici: ciò che continua a unire il gruppo di magistrati che vi lavora è l’ambizione di rappresentare una voce dall’interno della magistratura italiana, sicuramente ispirata a un comune orientamento progressista, ma in generale capace di restituire al variegato mondo dei lettori un’immagine quanto più autentica e genuina della realtà professionale dell’ordine giudiziario. Sta qui il nucleo più originale e stimolante di una Rivista che trova continuo motivo di rinnovamento (e di attenzione dall’esterno, sempre crescente e sempre molto viva) proprio nel saper dare conto dall’interno di ciò che muove il corpo della magistratura, le correnti critiche che la agitano, i suoi orientamenti culturali e ideali.
Per continuare a dare corso a questa ambizione, è evidente, occorre compiere uno sforzo conoscitivo ulteriore, che investa la realtà che si pretende di rappresentare o, quanto meno, nella quale si tenta di mantenere saldamente piantati i piedi, se solo si immagina di proporre una elaborazione critica con qualche ambizione di credibilità e di aderenza al contesto in cui ci si muove.
È noto che, negli ultimi anni, si è registrato un massiccio rinnovamento dei ranghi dell’ordine giudiziario, con l’ingresso di 2720 magistrati a seguito della conclusione di numerosi concorsi che si sono susseguiti negli anni dal 2013 al 2023: un potente flusso di accessi che d’altronde ha corrisposto con la simmetrica, corposa, e comunque fisiologica messa in congedo per ragioni di età di molti magistrati, alcuni dei quali da un lato hanno impersonificato le voci più note e più autorevoli dell’associazionismo giudiziario dopo il Congresso di Gardone dell’Anm del 1965, dall’altro hanno svolto un ruolo da protagonisti nella giurisdizione, in particolare nel contrasto dei fenomeni più gravi e minacciosi per il sistema dello Stato repubblicano, quali terrorismo rosso e nero, eversione e stragismo, mafia e criminalità organizzata, criminalità economica e politico-amministrativa (per limitarsi solo al settore della giustizia penale). Un ricambio generazionale che implica evidentemente che ad una stagione, a noi più consona per avervi preso parte direttamente per ragioni di età, ne stia succedendo un’altra, di cui saranno appunto interpreti e protagonisti i giovani magistrati nati negli ultimi decenni del secolo scorso, quando appunto “quella” storia stava evolvendo. In questi anni, recenti e meno, come questa Rivista ha sempre cercato di documentare e di analizzare criticamente, sono intervenute molte riforme, ordinamentali, processuali, di diritto sostanziale, che ovviamente impongono che anche di esse si tenga conto nel tentare di comprendere il cambiamento: basti pensare che i magistrati interpellati dalla ricerca sono tutti passati attraverso un concorso cd. “di secondo grado”, formula oggi fortunatamente superata, ciò che non può non avere inciso non solo sull’età soggettiva[1], ma anche sul tipo di aspettative e di consapevolezza dei propri bisogni di vita. Soprattutto, è cambiata la società italiana, ad esempio attraverso l’aumento della presenza delle donne nel mondo del lavoro, tendenza che per la magistratura ha significativamente rappresentato, nell’arco di non molti decenni, il superamento numerico della componente femminile rispetto a quella maschile, a partire dal 1963, anno di svolta e di inizio del travolgente sovvertimento innescato[2].
Si è così approdati all’idea di investire del compito di fotografare l’attualità chi della ricerca “sul campo” ha fatto il suo terreno di studio e di pratica concreta: la Rivista ha dunque incaricato un gruppo di ricerca del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, diretto da Claudio Sarzotti, che già in passato ha avuto occasione di occuparsi di amministrazione giudiziaria e di cultura giuridica della magistratura, in particolare nell’ambito penalistico, di svolgere il non facile compito di “esplorare” il terreno della giovane magistratura: che, convenzionalmente, si è voluto delimitare a coloro che non hanno conseguito la seconda valutazione di professionalità, andando a coinvolgere magistrati che hanno fatto il loro ingresso nella professione tra il 2013 ed il 2021.
La ricerca, condotta in particolare da Costanza Agnella, che ha svolto le interviste individuali e seguito personalmente i tre focus group in cui si è dipanata l’indagine, ha riguardato una serie di temi che, insieme con la Redazione, erano stati individuati come particolarmente significativi, e che in special modo hanno riguardato: il percorso formativo e professionale antecedente al concorso in magistratura; le motivazioni alla base della decisione di intraprendere tale percorso; l’inserimento in ruolo e l’immissione nelle funzioni svolte al momento dell’intervista; l’esperienza sin lì vissuta, con particolare riferimento al momento del concorso per l’ingresso in magistratura e alla formazione universitaria ricevuta; la formazione – iniziale e permanente – presso la Scuola superiore della magistratura; le opinioni e le percezioni relative all’attività dell’organo di autogoverno della magistratura; il rapporto con l’associazionismo della magistratura; per concludere con le personali aspettative sul futuro professionale.
Il complesso delle risposte è stato assemblato in modo ragionato nel rapporto pubblicato in esordio a questo fascicolo, «Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati», in cui Agnella ha dato dettagliatamente conto delle metodologie seguite, anche per l’individuazione del campione. Il documento contiene, come è facile immaginare, elementi di straordinario interesse, da cui risulta un quadro variegato, composito, molto vivace di dati di conoscenza acquisiti direttamente dagli interpellati: e se nelle loro risposte pare di cogliere, per molti versi, elementi di continuità e di conferma rispetto a quello che è il “comune sentire” dei magistrati in relazione alla loro professione, dalle stesse emergono spunti nuovi e significativi in ordine a una diversa sensibilità, a una più acuta percezione di temi quali quelli dell’organizzazione del lavoro giudiziario e del ruolo fondamentale della dirigenza che sono in gran parte il portato delle riforme degli ultimi decenni, e che paiono ancora al centro delle prospettive di riforma.
Ai dati che sono emersi dalla ricerca compiuta sul territorio – per i quali si fa ampio rinvio al citato rapporto introduttivo – seguono, poi, le osservazioni dei ricercatori che hanno costituito il gruppo di lavoro universitario: accanto alle riflessioni di Sarzotti, sono pubblicate quelle degli altri componenti: Cecilia Blengino, Chiara De Robertis, Michele Miravalle, Giovanni Torrente e Daniela Ronco – oltre alla già nominata Agnella. Un caleidoscopio composito e vivace, che ha consentito di scandagliare nel profondo i risultati della consultazione per restituire alla comunità dei lettori un quadro, se non esaustivo, quantomeno molto significativo e, soprattutto, molto originale del “modo di sentire” dei magistrati che da pochi anni hanno assunto le funzioni. Un “punto di vista esterno” particolarmente qualificato, che guarda alla magistratura con l’occhio delle scienze sociali, deputate all’analisi e alla riflessione su quello che è pur sempre un segmento non marginale e non indifferente della contemporanea condizione della società italiana: un segmento sul quale, va detto, da anni infuria la polemica, il più delle volte del tutto strumentale e superficiale, e sganciata da ogni sforzo di conoscenza e di approfondimento del dato di realtà.
Lo sguardo esterno si completa doverosamente dei contributi di soggetti che rappresentano professioni “contigue” al mondo della magistratura, quale l’avvocatura (Alessia Giaccari), l’università (Arturo Capone), il giornalismo (Giuseppe Salvaggiulo).
Infine, le riflessioni dei magistrati. In particolare di quelli più giovani – se non appartenenti alla fascia interessata dalla ricerca, almeno generazionalmente contigui –, dotati di un’esperienza lavorativa molto vicina (se non sovrapponibile) a quella degli intervistati, che tutti svolgono funzioni di primo grado, e in particolare lavorano in sedi, per lo più medie o piccole, al Sud, ciò che rappresenta un angolo visuale spesso non rappresentato e non debitamente considerato, non solo presso l’opinione pubblica, ma addirittura presso le stesse istanze rappresentative dei magistrati. Accanto al quadro d’insieme offerto dall’articolo di Ottavia Civitelli, sul “lavoro” del magistrato, la Rivista ospita i contributi di Pina Porchi, Giulia Locati, Valentina Maisto, Stefania Ciervo, Enrico Contieri, Emanuele De Franco, Ilario Nasso e Davide Lucisano, ognuno dei quali dedicato a uno degli specifici profili oggetto di indagine.
In definitiva, con il presente numero monografico, Questione giustizia offre alla discussione il panorama complessivo degli esiti della ricerca e la serie di riflessioni che ne è scaturito: un risultato che non ha, e non ha mai preteso di avere, il carattere delle definitività, ma che, muovendo dai dati di conoscenza raccolti sulla scorta di un lavoro d’indagine svolto da un soggetto terzo, professionalmente qualificato, può costituire un utile strumento per una necessaria riflessione sul tema della giovane (e non solo) magistratura del terzo millennio. I contenuti che il lettore troverà in questo fascicolo vogliono essere, quindi, non tanto la risposta definita agli interrogativi che il tema può suscitare, ma il punto di partenza di una riflessione più vasta che, partendo dalle voci degli stessi interessati, ci sospinga e ci incoraggi nel difficile compito di continuare a riflettere sui tanti risvolti di una funzione centrale per la stessa identità della forma democratica della società in cui viviamo, e soprattutto in cui vivranno le nuove generazioni.
Febbraio 2024
1. L’età media di ingresso in magistratura è progressivamente cresciuta: sino al 1993, si è attestata attorno ai 27-28 anni sia per le donne sia per gli uomini; dal 1994 al 2004 è salita a 30 anni per divenire, da ultimo, stabile attorno ai 36 anni per entrambi i generi.
2. Al 6 marzo 2023, i magistrati presenti in Italia ammontavano a 9534 unità, includendo in tale numero sia i magistrati fuori ruolo a qualsiasi titolo, sia i magistrati ordinari in tirocinio (MOT). La distribuzione secondo il genere (tabella 1 e grafico 1) mostra la prevalenza del numero di donne: 4213 magistrati di sesso maschile e 5321 magistrati di sesso femminile (pari al 56% circa). L’età media di queste ultime (49) è più bassa di tre anni rispetto a quella degli uomini (52). Esattamente un anno fa, la percentuale complessiva di donne presenti era del 55%: in particolare, tra i magistrati in ruolo a marzo 2022 le donne erano il 55,2%, tra i fuori ruolo il 47,7% e tra i tirocinanti il 61,6% (fonte: Csm, marzo 2023, Donne in magistratura - analisi e studi - CSM).