La riforma della magistratura onoraria.
Introduzione all’obiettivo
Hic sunt leones, con queste parole sulle carte geografiche dell’antichità si indicavano le regioni inesplorate dell’Africa.
Il Governo prima ed il legislatore poi con la legge 57/2016 hanno scelto di percorrere strade impervie e rischiose promuovendo e adottando il provvedimento legislativo di riforma organica della magistratura onoraria al quale dedichiamo questo primo corposo contributo.
Anche se tutt’altro che inesplorati sono i sentieri della disciplina della magistratura onoraria contrassegnati sino ad oggi da segnali confusi e contraddittori e dalla errata percezione delle necessità imposte dall’emergenza.
Questa riforma si colloca su un diverso piano ed è indubbiamente un tentativo meritorio sul quale la Rivista Questione Giustizia vuole attirare l’attenzione degli osservatori e dei protagonisti dell’amministrazione della giustizia.
Intendiamo farlo non tanto per rendere onore al merito di un assunzione di responsabilità politica sempre più rara nel panorama nazionale.
Ma soprattutto perché siamo convinti che l’esito del delicato travaglio del nuovo assetto dipenderà certamente dal modo con cui saranno sciolti alcuni complessi nodi, oggi irrisolti, in primo luogo dal legislatore delegato, successivamente dal Governo nella funzione di esercizio della potestà amministrativa e dal Consiglio superiore della magistratura nell’inserimento della nuova, poliedrica, figura del magistrato onorario nel nostro ordinamento giudiziario.
Non ultimo ci ha mosso anche il bisogno di riconoscere un impegno faticosamente e generosamente profuso dai professionisti che, come magistrati onorari, in questi anni hanno lavorato per l’amministrazione della giustizia con scarsa considerazione politica e gratificazione professionale, professionisti ai quali questo obiettivo si rivolge anche per sollecitarne la partecipazione al dibattito, la formulazione di proposte concrete, l’impegno costruttivo.
Si può ritenere certamente condivisibile l’esigenza che ha mosso la riforma, in particolare quella di unificare le discipline e lo status delle diverse figure di magistrato onorario. Così come apprezzabile, ma molto impegnativa, appare la scelta della creazione di un ufficio unico per tutti i giudici onorari diretto dal dirigente togato.
Il nuovo ufficio della magistratura onoraria prende dunque le sembianze di una struttura multifunzione, elastica e con competenze differenziate. Non coglie nel segno perciò, a nostro modesto avviso, chi in tal polimorfismo individua una incoerenza, una debolezza, una incongruenza del modello in via di adozione.
Certo siamo molto oltre, ma non al di fuori, dell’originario modello costituzionale delineato dall’art. 106 della Costituzione
Pensiamo infatti che una magistratura di complemento che concentri su di sé le funzioni dell’assistenza di studio e del coordinamento dell’ufficio per il processo, che sia chiamata a svolgere funzioni di supplenza per segmenti di attività processuale o con sostituzioni temporanee nell’attività riservata al giudice togato, potrà diventare un qualificato percorso professionale nel mondo della giustizia, nello svolgimento di attività qualificate che non possono esser considerate funzioni minori rispetto a quelle proprie della magistratura onoraria chiamata a fare giurisdizione nelle materie di propria competenza.
Così come per la magistratura togata anche per la magistratura onoraria l’attività giurisdizionale non è più solo gestione e decisione della singola controversia ma è organizzazione del servizio attraverso l’espletamento di funzioni diversificate (di studio, di comunicazione, di gestione e di programmazione) di court e case management.
Perciò pensiamo che il nuovo modello di magistratura onoraria meriti apprezzamento in primo luogo perché destinato a far crescere il processo di sua integrazione, a pieno titolo, nella giurisdizione; nel cui ambito è stata invece, spesso, considerata un’appendice di second’ordine.
Perché ciò avvenga dovranno però realizzarsi alcune condizioni, che attualmente non sussistono.
Pesa infatti sulle aspettative la storia pasticciata di questi anni, storia destinata ancora a pesare sulle scelte del legislatore delegato anche se la strada intrapresa può consentire di estinguere le onerose ipoteche, per usare l’espressione di Claudio Viazzi, che gravano sul sistema.
In questo senso la permanenza ancora per un apprezzabile periodo dei Got che in questi anni hanno lavorato alacremente è una risposta che non può considerarsi liquidatoria (fatta eccezione per l’espulsione repentina dei magistrati onorari ultra sessantottenni). Egualmente la sopravvivenza dei limiti di impiego vicario dei giudici onorari (art. 43 bis ordinamento giudiziario) dovrebbe tornare a costituire ancora un baluardo (troppe volte minacciato) contro l’anarchia gestionale degli uffici in particolare di quelli con maggiori scoperture di organico. Ma l’unificazione dell’ufficio del giudice onorario rende ancor più necessario circoscrivere le funzioni che presso il Tribunale civile (giudice di appello delle decisioni dei giudici onorari) il magistrato onorario potrà svolgere nell’esercizio delle funzioni vicarie in considerazione della sua appartenenza all’ufficio che definisce il primo grado del processo.
Pensiamo che su questi due delicati e connessi fronti, attività dei Got in carica e ambito delle funzioni loro attribuibili, non potrà esser solo il Csm a dover dire, doverosamente, la sua ma anche il legislatore delegato è certamente ancora chiamato a rendere esplicito il precipitato della delega conferita.
Pensiamo anche che il legislatore delegato e il Csm possano recuperare la coerenza e l’efficacia del percorso di inserimento nella giurisdizione della magistratura onoraria tracciato inizialmente nel disegno di legge del Governo e maldestramente incrinato dal Parlamento. Nulla toglie infatti che nelle disposizioni attuative della delega ma soprattutto nella normazione secondaria devoluta al Csm si recuperi per i nuovi magistrati onorari la scansione in quattro fasi del percorso professionale dei nuovi Gop: il tirocinio iniziale, l’attività di collaborazione inserita nell’ufficio del processo; l’attività giudiziaria di supplenza ed affiancamento in Tribunale e Procura; l’attività giurisdizionale, infine, autonoma nell’ambito degli uffici del Giudice di pace. Scansione progressiva che, ci sembra, rimane consentito prevedere anche alla luce della legge delega approvata dalle Camere.
Non si può prescindere però dal fatto che la scelta normativa sia quella di un quadriennio prorogabile una sola volta.
Dunque di un’attività temporanea che il legislatore ha devoluto principalmente ai giovani giuristi, un passaggio temporaneo di elevata qualità nel sistema della formazione professionale e dell’accesso al lavoro. Si tratta di una scelta ancora una volta apprezzabile anche se la rigida preclusione verso la terza età appare un limite eccessivo e superfluo.
Abbiamo dedicato uno specifico intervento alle plurime modalità di integrazione dei magistrati onorari nell’ufficio per il processo individuato come il luogo funzionale della compenetrazione tra magistratura onoraria e togata.
Ma un percorso di qualità, perseguito anche con la disciplina della formazione e con quella del sistema disciplinare (cui è dedicato uno specifico articolo) avrebbe meritato, vogliamo sperare meriti ancora, un trattamento di qualità.
In termini economici in primo luogo. Ma anche di riconoscimento di titoli per il futuro sbocco professionale.
Per contro i vincoli finanziari entro i quali dovrà muoversi il legislatore delegato tradiscono, a nostro avviso, la scelta del modello di qualità, pienamente integrato nella giurisdizione. Con un ulteriore elemento, nuovo: quello della subordinazione della percezione di una parte dell’indennità al raggiungimento di obiettivi fissati dal capo del rispettivo ufficio giudiziario con un provvedimento amministrativo condizionato però dall’importo annuo di cui ogni Tribunale e Procura potrà disporre ai fini della liquidazione delle indennità, la cui determinazione è riservata al Ministro della giustizia. Un ulteriore riscontro del contrasto tra modello e trattamento si ha nella diversificazione della indennità per la collaborazione nell’ufficio per il processo che in alcun modo può considerarsi inferiore per quantità e qualità alle altre.
Ma sulle incongruenze tra obiettivi proclamati e limiti posti al legislatore delegato si soffermano molti interventi dell’Obiettivo.
La raccolta di articoli che presentiamo si caratterizza oltre che per l’ampiezza della riflessione anche per la pluralità di voci (magistrati dirigenti degli uffici giudiziari, avvocati, professori, magistrati togati ed onorari) che, ci sentiamo di affermare, contengono la speranza che l’attuazione del nuovo modello possa via via dissolvere alcune nubi minacciose che rischiano di far naufragare l’ambizioso progetto.
Con questo proposito saremo certamente felici di ospitare nuovi articoli di approfondimento, commento e proposta nel corso del delicato processo di attuazione della delega e di implementazione ordinamentale del nuovo assetto.