Quale riforma per la giustizia tributaria?
Il tema della riforma ordinamentale della giustizia tributaria, anche se un po’ di nicchia, deve considerarsi un “classico” nella letteratura tributaristica italiana ed in più occasioni ha attinto la politica di settore. Nell’età repubblicana vi sono state due revisioni legislative della giurisdizione speciale di merito (1972/1992) ed in via tabellare è stata istituita la sezione specializzata presso la Corte di cassazione (1999), ma è comunemente riconosciuto che tali interventi non abbiano prodotto risultati pienamente appaganti. Recentemente, da parte di esponenti di rilievo del partito di maggioranza relativa, è stata presentata alla Camera una proposta di legge delega che contiene principi di innovazione organizzativa radicale e profonda di questo settore di attività giudiziaria. Poiché non è prospettato un restyling, ma un new model, è dunque opportuno valutarne la bontà delle intenzioni, evidenziarne i pregi ed i difetti, in “via riconvenzionale” indicarne qualche variante progettuale ed infine stimarne la fattibilità. E se son rose...
1. Le ragioni di una riforma ordinamentale della giurisdizione tributaria
L’art. 102 della Costituzione prevede, al primo comma che la giurisdizione è esercitata dalla magistratura ordinaria, al secondo comma che non si possano istituire magistrature speciali, ma soltanto sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari, per determinate materie ed anche con la partecipazione di “cittadini idonei” estranei alla magistratura.
Con la VI disposizione transitoria, al primo comma, il legislatore costituente aveva peraltro sancito che entro 5 anni dall’entrata in vigore della Costituzione gli organi speciali di giurisdizione preesistenti dovessero essere revisionati, con le sole eccezioni del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei tribunali militari.
Pacifica l’ordinatorietà di tale termine, nel settore della giustizia tributaria in questi quasi 70 anni il legislatore ordinario ha fatto due interventi ordinamentali generali, nel 1972 (dPR n. 636) e nel 1992 (d.lgs n. 545). Di queste “revisioni” ha dovuto reiteratamente occuparsi la Corte costituzionale che le ha sempre approvate, non senza qualche “acrobazia ermeneutica”[1] e riportando più di qualche critica dottrinale[2].
Le Commissioni tributarie “repubblicane” infatti, pur con l’imprimatur del giudice delle leggi non hanno mai avuto il favore maggioritario della letteratura giuridica[3], specialistica e non, anche se bisogna constatare che nei tempi più recenti forse godono di una qualche maggiore simpatia da parte degli studiosi[4].
Con riguardo all’attuale sistema “revisionato” ex d.lgs n. 545 del 1992, sostanzialmente invariato nelle sue linee portanti, la parte assolutamente preponderante della dottrina ha espresso la necessità di “andare oltre” la, confermata, scelta di una magistratura sostanzialmente “onoraria” e “non specialisticamente formata”; insomma – pur variamente – ha patrocinato l’idea, più radicalmente innovativa, di affidare la giustizia tributaria di merito ad un corpo magistratuale “vero” ossia costituito da giudici “a tempo pieno” ed adeguatamente selezionati, anche sotto il profilo della specializzazione[5].
La questione della “riforma” dell’ordinamento della giustizia tributaria è da considerarsi quindi una costante nel dibattito dottrinale, registrando momenti di maggiore e di minore interesse, ma essendo piuttosto diffusa la convinzione (rassegnazione) che per tante e diverse ragioni comunque non se ne sarebbe venuto mai a capo, in un senso o nell’altro.
Qualche anno fa il dibattito ha registrato uno dei suoi “picchi” con la proposta di Gianni Marongiu, noto ed autorevole tributarista, ripresa dall’Anti, senz’altro una delle maggiori associazioni dei cultori di questa materia[6]. Ma poi di nuovo sulla questione è calato un sostanziale “quasi oblio”.
Eppure vi sono fondate ragioni per affermare che una riforma, profonda, radicale, della giurisdizione tributaria sia necessaria. Ed anche indilazionabile.
Anzitutto vi è l’attuazione della “promessa” dell’art. 102, Cost.: niente più giudici speciali, se non quelli previsti dalla Costituzione; sezioni specializzate per “determinate materie” presso gli uffici giudiziari ordinari. Dunque “ordinarizzare” la giustizia tributaria, abbandonare l’attuale sistema “misto” (merito > giudice speciale/legittimità > giudice ordinario), che poi sarebbe tornare “all’antico”[7].
Ma le ragioni costituzionali di una riforma settoriale vanno ben oltre il mero profilo ordinamentale/organizzativo, poiché si radicano nel profondo della tavola di valori della nostra Costituzione.
La giustizia tributaria infatti ha come propria “missione istituzionale”la concretizzazione del principio della “capacità contributiva” al fine del “concorso di tutti alle pubbliche spese” (art. 53, Cost.), che poi, pacificamente, è un’estrinsecazione dei principi di uguaglianza e di solidarietà sociale (artt. 3, 2, Cost.). Quindi, per un verso ha come oggetto la tutela del fondamentale diritto del cittadino/contribuente alla “giusta imposta”, per altro verso quella dell’interesse pubblico primario alla acquisizione delle risorse per il complessivo welfare dello Stato-comunità[8].
Per altro verso, al pari delle altre attività giudiziarie, ovviamente anche quella tributaria implica l’attuazione dei principi fondamentali dettati dalla Carta costituzionale in materia di esercizio della giurisdizione, dal principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti a quello del “giusto processo”, come rispettivamente declinati nei loro vari aspetti dagli artt. 24 e 111, Cost. nonché dall’art. 6, Cedu (“via” art. 11, Cost.)[9].
Queste brevi considerazioni rendono dunque evidente che si tratti di un ambito di intervento giurisdizionale della massima rilevanza costituzionale.
Dal campo “valoriale” a quello “funzionale”, bisogna poi considerare i “numeri”, che per le Commissioni tributarie sono oggi principalmente i seguenti (fonti Cpgt/Mef):
- pendenza al 31.12.2015, 530.884 ricorsi;
- valore globale della pendenza (compresa Cassazione), 60 miliardi di euro circa;
- valore medio di causa 130.000 euro;
- flussi 2015, in entrata 256.901; esauriti, 298.313.
Presso la Corte di cassazione allo stato pendono circa 48.000 ricorsi (quasi il 50% del contenzioso civile di legittimità).
Ed ancora, sempre considerando le “quantità”, va poi sottolineato che attualmente quasi la metà dei componenti (circa 3.000) delle Commissioni tributarie sono magistrati ordinari. Ed è una percentuale che aumenterà progressivamente nel corso dei prossimi anni per effetto del turn over combinato con le previsioni normative del 2011 [(artt. 39, comma 4, dl n. 98/2011, 4, comma 39, l. n. 183/2011 (legge di stabilità 2012)], che hanno costituito una notevole “riserva” di magistrati ordinari da immettere progressivamente nei ruoli delle Commissioni tributarie stesse.
In tal modo si è sostanzialmente realizzata una nuova realtà giudiziaria che, in buona sostanza, prevede una sorta di “secondo lavoro” per circa un quarto dei magistrati ordinari.
Insomma, oggi più che mai la giurisdizione speciale tributaria si basa sul part time di professionisti attivi e sul free time dei pensionati, mentre la Corte di cassazione è notevolmente appesantita dall’arretrato e sommersa dalle sopravvenienze.
Così è caratterizzata, allo stato, in Italia l’“offerta” di giustizia tributaria, a fronteggiare una “domanda” con detti numeri e che presenta un tasso medio di complessità elevato, trattandosi di una materia specialistica, impregnata dalla multidisciplinarietà, non soltanto giuridica.
È ragionevole pensare che questo possa bastare per garantire un “livello europeo” di giurisdizione? Che in questo modo si possano garantire standards qualitativi accettabili delle decisioni di merito e tempi “ragionevoli” del giudizio tributario di legittimità[10]?
Tali domande appaiono essenzialmente retoriche. Ed infatti ad esse normalmente si risponde negativamente, salve ovviamente le “prudenze diplomatiche” e le autocelebrazioni corporative.
Ma a questa pur sintetica analisi c’è poi da aggiungere l’“attualità”.
I noti fatti di cronaca giudiziaria recenti (plurimi arresti, ed ormai anche qualche pesante condanna, di componenti delle Commissioni tributarie, fortunatamente non togati) possono far presumere che forse non è tutto qui, che possa esservi una più estesa e rilevante “questione morale” nell’ambito della giurisdizione speciale.
Le considerazioni che precedono inducono dunque ad affermare come non più procastinabile un radicale intervento riformatore del settore giudiziario in oggetto, sia per ragioni di rispetto/attuazione del dettato costituzionale sia di tutela effettiva dei diritti dei contribuenti e dell’interesse fiscale, quindi di una politica giudiziaria concretamente attuata.
I pur sommari dati di flusso esposti appena sopra tuttavia rappresentano, con la forza dell’evidenza, che si tratta di un intervento che deve affrontare e risolvere rilevanti difficoltà tecnico organizzative e che perciò, se lo si vuole effettivamente efficace, deve essere strutturato - anzitutto con la normazione primaria, ma non solo - con un elevato grado di “diligenza, perizia e prudenza” riformatrice.
2. La proposta di riforma del Partito democratico
Nel quadro descritto -per sommi capi- dello stato attuale del comparto giurisdizionale deputato alla risoluzione delle controversie tributarie e nomofilachia relativa, si inserisce l’iniziativa legislativa recentemente assunta da autorevoli esponenti del gruppo parlamentare del Partito democratico alla Camera dei deputati[11].
Si tratta di una proposta di legge delega, il cui indirizzo di fondo è la “ordinarizzazione” della giustizia tributaria di merito, previa soppressione delle Commissioni tributarie nonché del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, con passaggio delle relative funzioni di autogoverno al Csm.
I suoi aspetti salienti sono:
- istituzione di sezioni specializzate tributarie in ogni Tribunale con sede nei capoluoghi di Provincia;
- assunzione di 750 magistrati finalizzata a tale scopo;
- passaggio del personale amministrativo delle Commissioni tributarie all’ amministrazione giudiziaria;
- formazione specialistica dei magistrati ordinari nella materia tributaria;
- giudizio di primo grado monocratico; giudizio di secondo grado mediante reclamo proposto al medesimo Tribunale, collegialmente composto con altri componenti della stessa sezione specializzata, ma esclusivamente “togati”;
- ricorribilità ordinaria per cassazione avverso la decisione sul reclamo;
- applicazione al processo di cognizione ed a quello esecutivo delle attuali norme procedurali speciali (d.lgs n. 546/1992), in quanto compatibili;
- patrocinio in primo grado degli attuali soggetti legittimati; in sede di reclamo solo degli avvocati e dottori commercialisti; difesa personale possibile fino ad euro 3.000;
- obbligatorietà della formazione, sia iniziale sia permanente, dei magistrati addetti alle sezioni specializzate tributarie a cura della Scuola superiore della magistratura;
- previsione di giudici ausiliari presso la Corte di cassazione al fine dello smaltimento dell’arretrato attuale, ruolo attribuibile a magistrati in pensione da non più di 2 anni e che abbiano svolto per almeno 5 anni le funzioni di legittimità;
- regime transitorio di 2 anni per lo smaltimento dell’attuale arretrato delle Commissioni tributarie, decorsi i quali le cause non esaurite vengono assegnate alle sezioni specializzate dei Tribunali.
La relazione alla proposta di legge nelle premesse da sostanzialmente atto delle principali “criticità” che sopra si sono evidenziate e da esse appunto muove, per poi illustrare le “sue ragioni”. In particolare la scelta ordinamentale di fondo – quella della “sezione specializzata” di Tribunale – viene posta nel solco della tradizione (sezioni lavoro), ma anche di un trend legislativo recente, attuato (sezioni per le imprese) ed attuando (sezioni famiglia). La ratio legis è poi chiaramente individuata nelle esigenze della “specializzazione” dei magistrati addetti, ma allo stesso tempo nella pressante esigenza operativa del full time da parte degli stessi. Si rassegnano poi le singole scelte di indirizzo della delega legislativa.
3. Le reazioni delle categorie professionali interessate e della dottrina tributaristica. Controdeduzioni
Non vi può essere dubbio che questa iniziativa legislativa di origine parlamentare sia stata davvero quello che si dice “un bella pietra nello stagno”. Ed infatti le reazioni non si sono fatte attendere e sono state per lo più negative; per alcune era scontato, per altre forse no, ma andiamo con ordine.
Che siano state fortemente critiche quelle emerse dalla stampa delle varie associazioni dei componenti delle Commissioni tributarie è persino ovvio. Si tratta di un normale istinto corporativo di autoconservazione, un po’ come nella metafora sulle vittime predestinate del thank’s giving day. Peraltro, siccome non si può certo dire che ci siano soltanto “ombre” nella storia repubblicana della giurisdizione speciale tributaria, tale orgoglio categoriale non è affatto del tutto privo di fondamento: la “nave”, in qualche modo, è stata fatta navigare da quelli che ci sono stati a bordo. Va quindi realisticamente osservato che quello che si pone è nient’altro che il solito problema di ogni riforma che vada ad intaccare interessi consolidati di gruppi professionali, mirando in questo caso addirittura ad eliminarli.
Tutto sommato nemmeno può più che tanto sorprendere la secca presa di posizione contraria del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec), consultabile al sito istituzionale. La proposta di legge infatti sconvolge l’assetto di una loro tipica area di intervento professionale, una delle poche dominate “di fatto” dalla presenza della categoria ed è perciò del tutto comprensibile che i timori prevalgano sulla considerazione delle opportunità derivanti dall’operare con un apparato giurisdizionale consolidato e forte quale quello dei Tribunali e delle Corti d'appello, sia pure in versione “specializzata”. Verosimile è poi che su questa linea oppositiva pesi in misura determinante la considerazione che spostati sul terreno di intervento riservato all’avvocatura, in prospettiva questa possa erodere significativamente la rendita di posizione de qua. Forse semplicemente perché gli avvocati si potrebbero accorgere che quello tributario è un contenzioso come gli altri, nella media più complesso e specializzante, ma non meno di altri comunque complessi quali, ad esempio, quello fallimentare, societario, penale dell’economia.
Specularmente il Consiglio nazionale forense non ha assunto posizioni ufficiali, confermando il tradizionale sostanziale disinteresse delle istituzioni dell’avvocatura rispetto a questo settore di attività professionale, salve le proclamazioni teoriche e qualche studio di commissioni ad hoc.
Quanto all’Anm - che se si realizzassero le intenzioni dei riformatori del Pd sarebbe il predestinato “comitato di accoglienza” nella “terra promessa”- al Comitato direttivo centrale del 21 maggio scorso ha varato un documento che contiene soltanto critiche (per la verità in buona misura fondate, come si dirà appena oltre), ma nessuna controproposta.
Si tratta insomma di un po’ più che un presagio/preavviso di opposizione, non certamente di un segnale di benvenuto o di pur minima apertura.
Il che, peraltro, non può certo sorprendere, essendo noto che correnti storicamente maggioritarie dell’Anm hanno fondato in misura tutt’altro che irrilevante i propri consensi sulla “cura associativa” di questo “doppio lavoro” e ragionevolmente si aspettano ancora di più dalla progressiva “occupazione” della giurisdizione speciale tributaria da parte dei magistrati ordinari. Senza dimenticare affatto che altro tradizionale target/asset dello stesso rassèmblement correntizio è il centro di potere e di interessi costituito dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
E per l’appunto da ultimo, va registrata come una ovvietà la contrarietà – garbatamente istituzionale, ma “forte e chiara” – manifestata dal Presidente di tale organo di autogoverno della magistratura tributaria speciale. [12]
Passando dal campo degli “interessi categoriali” a quello degli “interessi scientifici”, peraltro sorprendono e deludono molto di più le prime reazioni della dottrina tributaristica, invero non molte, ma sicuramente autorevoli, in chiara maggioranza negative e più o meno radicalmente tranchants[13].
Vediamo quindi di raggruppare gli items principali di questo subitaneo ”controcanto dottrinale”.
I tributaristi intervenuti in senso contrario alla proposta di legge sono anzitutto partiti da un rilievo di natura costituzionale, sostenendo convintamente che le pronunce con le quali la Corte costituzionale ha sancito la legittimità delle citate “revisioni” ordinamentali avrebbero “costituzionalizzato” l’attuale sistema “misto” e quindi reso l’esistenza delle Commissioni tributarie e/o comunque di un giudice tributario speciale di merito una “caratteristica essenziale” del nostro Ordinamento costituzionale, con la conseguenza giuridica che per sopprimere le une o comunque non mantenere in vita l’altro sarebbe imprescindibile l’adozione di una legge costituzionale.
In questi termini si è profilata una “pregiudiziale di incostituzionalità” della proposta legislativa ordinaria di che si tratta. Si è dunque messo sul tavolo il più forte degli argomenti giuridici possibile, si è lanciata subito la “bomba fine di mondo”.
Con tutto il rispetto dovuto e l’onestà intellettuale possibile, non si riesce tuttavia a comprendere quali basi teoriche ed interpretative abbia una tesi siffatta, nel senso che non si comprende perché qualche sentenza di rigetto e qualche ordinanza di inammissibilità del giudice delle leggi possa essere dotata di forza di legge costituzionale, così parificandosi alle previsioni della Costituzione e quindi rinforzare fonti normative primarie ordinarie al punto di renderle non abrogabili in via altrettanto ordinaria, come è previsto nel nostro vigente sistema delle fonti del diritto.
Del resto non risulta che ci sia nessuna disposizione del testo costituzionale che accosti l’aggettivo “tributario” o analoghi ai sostantivi “giurisdizione, giustizia” o analoghi. In altri termini, non vi è nella Costituzione ovvero in leggi costituzionali nessun riferimento diretto ad organi giudiziari con specifica competenza in materia tributaria.
Non è pertanto possibile affermare che vi siano previsioni scritte di rango costituzionale al riguardo. Anzi, come già detto nelle premesse, si può dire, al contrario, che questa omessa previsione rende addirittura fisiologico nel disegno costituzionale il reflusso della giurisdizione tributaria di merito in quella ordinaria, per il combinato disposto degli artt. 102, primo e secondo comma, e VI disposizione transitoria, Cost.[14].
Ed infatti la giurisprudenza della Consulta null’altro ha fatto che salvare “per carità di Patria” (evitare il rischio di un’impasse in un settore comunque nevralgico per la collettività nazionale) l’attuale sbilenco assetto “misto”, ma non ha certo “unto” con il “crisma costituzionale” le Commissioni tributarie. Per la semplice ragione che la Corte costituzionale tale funzione non ha e perciò tale “crisma” non possiede, salvi i diversi casi delle cd. “norme interposte”.
Il campo delle valutazioni sull’iniziativa legislativa in oggetto va quindi senz’altro sgombrato da questa “pseudo pregiudiziale” di incostituzionalità.
Peraltro nei contributi dottrinali, anche attuali, significativamente unanime è il convincimento che così come stanno le cose non si possa più andare avanti e che una riforma radicale e globale sia comunque necessaria ed improcrastinabile.
Il punto è – qui sta il secondo colpo, che dovrebbe essere quello del KO, almeno “tecnico” – che gli Autori convengono, quasi tutti, sul fatto che sì, un giudice professionale, a tempo pieno, professionalmente qualificato e super specializzato ci debba essere, ma che non solo non possa (per dette ragioni di legittimità costituzionale), ma anche che non debba essere il giudice ordinario, quanto soltanto un giudice speciale in questo senso rinnovato dalle radici.
Il che però equivale a dire che non se ne può fare nulla. Anzi che non se ne deve fare nulla.
Qui infatti entra in gioco “ribaltata” proprio la questione di costituzionalità, perché è facile sostenere che questa via porterebbe ad andare ben oltre la “revisione del preesistente”, sì come avallata dalla Consulta, facendo invece decisamente imboccare la strada di un giudice speciale di “nuova istituzione” ossia esattamente quello che l’art. 102, primo comma della Costituzione vieta categoricamente[15].
In ogni caso tempi, modalità di attuazione e fabbisogno finanziario bocciano senza appello una simile prospettiva.
Non può sfuggire infatti a nessuno, nemmeno agli autorevoli Studiosi che la sostengono, che, per un verso, fare i concorsi, anche solo per titoli, per reclutare un numero adeguato di magistrati tributari professionali necessita di anni, con contenziosi prevedibilmente inceppanti e più di qualche ragionevole dubbio sulla sufficienza delle “vocazioni” ossia sull’effettiva esistenza di un bacino di risorse umane sufficienti a far decollare questa nuova tecnostruttura giudiziaria, a meno di compromessi al ribasso, che riporterebbero la situazione ad un punto assai vicino a quello attuale, come nel gioco dell’Oca. Per altro verso, nemmeno può sfuggire che retribuire un numero congruo di magistrati – anche al netto degli altri “costi generali”, comunque rilevanti, per risorse umane ausiliarie e materiali – essendo impensabile un trattamento economico deteriore rispetto almeno alla magistratura ordinaria, già di per sé comporterebbe un esborso a regime di notevole rilievo, che difficilmente potrebbe trovare posto nel Bilancio dello Stato.
Dire che ci vuole una magistratura ad hoc per le liti tributarie di merito, anche con lo “sconto” della sua piuttosto evidente illegittimità costituzionale, significa quindi dire che non si vuole nessuna riforma, trattandosi semplicemente di una utopia.
Risulta comunque opportuno prendere in considerazione, per criticarli, due ulteriori argomenti utilizzati nei commenti dottrinali alla proposta di legge del Pd per escludere la bontà della scelta dell’Ago quale giudice, anche, meritale dei tributi.
Il primo è che serve una particolare specializzazione, non solo giuridica, ma anche tecnico-aziendale. Orbene, non si riesce davvero a comprendere perché i giudici ordinari possano, con elevatissimi livelli di specializzazione, anche nelle materie tecnico-aziendali, occuparsi, come fanno pacificamente da sempre, della criminalità economica interna ed internazionale ovvero delle crisi aziendali e delle liti intrasocietarie, mentre abbiano una sorta di “inidoneità genetica” a farlo per le liti tributarie amministrative; più specificamente, che si possano occupare nelle Procure e negli organi giudicanti di ogni grado, di merito e di legittimità, di illeciti tributari anche di notevole complessità, giuridica e tecnica, in campo penale, ma, in quello civile amministrativo, lo possano fare soltanto in Corte di cassazione.
È quindi evidente l’intrinseca illogicità e l’assenza di fondamento di tale deduzione contraria alla “ordinarizzazione” della giustizia tributaria di merito, giacché si tratterebbe, semplicemente, di aggiungere una competenza specialistica già del resto ampiamente presente nel corpo magistratuale ordinario, anche a causa della citata massiccia ed espansiva partecipazione dello stesso alle attuali Commissioni tributarie; quanto al profilo formativo, si tratterebbe di dare un compito in più alla Scuola superiore della magistratura, come del resto la proposta di legge del Pd prevede.
Altro argomento utilizzato da alcuni di detti Autori[16], peraltro in piena coerenza con le proprie opzioni dogmatiche generali sull’oggetto del processo tributario, è che essendo tale processo un processo di tipo “impugnatorio/demolitorio” non si potrebbe di sana pianta trasferirlo davanti al Tribunale civile ordinario, che il potere di annullare atti amministrativi non ha.
A contrasto di tale affermazione, basti dire che si tratta di convincimenti teorici fortemente contrastati in dottrina e di fatto mai accettati dalla giurisprudenza di legittimità, notoriamente attestata da molti anni sulla configurazione del processo tributario come “impugnazione merito” e dunque dell’atto impugnato come veicolo di accesso alla cognizione meritale sul rapporto, pur nel perimetro fissato dall’oggetto dell’atto impositivo stesso (o del provvedimento di diniego del rimborso) e dai relativi motivi di impugnazione.
Peraltro, si è giustamente notato che, ancorché si trattasse di un limite, sarebbe facilmente rimuovibile con legge ordinaria, stante la previsione di cui all’art. 113, terzo comma, Cost.[17].
Altre considerazioni critiche della dottrina sono invece senz’altro fondate e però vanno utilmente trattate nei paragrafi che seguono.
4. L’analisi critica della proposta di legge e relativi rilievi
La breve rassegna delle prime reazioni all’iniziativa legislativa che si commenta ci dice quindi che l’opinione pubblica settoriale si è, per/con varie ragioni, schierata maggioritariamente contro; che perciò al netto delle complicazioni politico parlamentari e burocratiche (di cui infra), difficilmente potrà godere di “buona stampa”; che sicuramente non ci saranno lobbies che la sosterranno.
Del resto l’interesse pubblico vero ossia quello generale, quasi per definizione, per ontologia, lobby non ne può avere.
È anche però indubbio che la proposta di legge “Ermini, Ferranti, Verini” ha dei difetti evidenti; che comunque non può astrarre e rimanere avulsa da una manovra riformatrice più ampia; che pertanto merita critiche e richiede una riflessione di maggior respiro; che solo emendandosi ed integrandosi in un progetto realmente alternativo di gestione della giustizia tributaria può essere quel turning point di politica giudiziaria che molti si aspettano, dentro e fuori dagli apparati direttamente interessati; che insomma possa concretizzare quella svolta che è un diritto della collettività nazionale.
Perché anzitutto appare infatti indubbio che questa iniziativa legislativavada nella direzione giusta: quella della Costituzione, nel complesso dei suoi valori direttamente ed indirettamente implicati; che imbocchi la strada della tutela finalmente piena dei diritti individuali e degli interessi pubblici messi in gioco anche in questo settore giurisdizionale[18].
È tuttavia altrettanto evidente che le previsioni della delega sono, in punti decisivi, quantomeno eccessivamente sommarie, se non addirittura errate, con qualche non marginale sospetto di incostituzionalità, comunque infondatamente “speranzose”.
Vediamone in dettaglio, dialetticamente, le principali criticità:
Punto critico A. Si prevedono sezioni specializzate di Tribunale che in sede di reclamo al Collegio siano composte di soli togati, minimo di seconda valutazione.
Rilievo. Pur al netto della pendenza attuale (che si vuole “stralciata” per almeno due anni presso le Commissioni tributarie “in liquidazione”), i dati di flusso dicono che, nell’ottica costituzionale e convenzionale della “ragionevole durata” dei processi, per aversi un rapporto minimamente efficiente tra carichi e giudici, di questi ce ne vogliono non meno di 1.000.
È chiaro a chiunque conosca minimamente la realtà della giurisdizione ordinaria che non è possibile destinare alla specifica funzione de qua questo numero di togati, se non aumentandone di pari numero l’organico complessivo, con costi e, soprattutto, tempi non realistici.
In questo senso l’assunzione di 750 nuovi giudici (pare a copertura dell’organico attuale) è comunque una misura farraginosa ed in ultima analisi inefficace.
Punto critico B. Si prevede il principio del giudizio monocratico per il primo grado, collegiale in secondo grado, ma non presso altro Ufficio (Corte di appello), bensì presso lo stesso (Tribunale).
Rilievo. La prima previsione è criticabile a fronte del dato empirico che una quota rilevante delle controversie tributarie ha un valore ed una complessità elevate, sicché ne pare opportuna la trattazione collegiale, come è già per le cause civili di omologo “peso”, economico e di merito.
La seconda presenta possibili profili di incostituzionalità (art. 111, secondo comma, Cost.), ma soprattutto implica che in ogni Tribunale vi siano almeno 4 giudici tributari specializzati “togati” ed almeno di seconda valutazione. Questo nei Tribunali medio-piccoli, ancorché capoluoghi di provincia (che sono la grande maggioranza di quelli italiani) non è concretamente possibile, se non alterandone in misura irragionevole l’equilibrio organizzativo.
Punto critico C. Le norme sulla difesa tecnica di fatto sanciscono lo status quo nel primo grado del giudizio e di non molto lo modificano per il secondo grado. Il che significa, in buona sostanza, l’accesso dei commercialisti al patrocinio avanti ad un organo di giustizia ordinaria, ancorché specializzato.
Rilievo. Sono da mettere in conto reazioni, per così dire, “non positive” da parte degli avvocati, nella attuale situazione di crisi della loro professione. La questione della difesa tecnica è delicatissima, tanto da poter affossare da sola l’iniziativa riformatrice. Pertanto è da considerare eccessivamente semplificata la soluzione proposta, che invece andrebbe opportunamente “sofisticata”, magari con un po’ di fantasia (impossibile pensare ad uno steuerberater ancorchè opportunamente italianizzato?)
Punto critico D. Si prevede la “migrazione” del personale amministrativo ausiliario delle Commissioni tributarie alla amministrazione giudiziaria ordinaria.
Rilievo. A parte la diacronicità del passaggio (metà subito, metà dopo due anni), che evidentemente lo depotenzia, è assai dubbio che ciò possa soddisfare il correlativo fabbisogno presso i Tribunali. Negli apparati giudiziari di ogni ordine e grado, la crisi delle risorse umane ausiliarie è davvero tanto grande e tanto profonda, come noto provocata dal dissennato (?) blocco ultraventennale del turn over.
Et hic sunt leones. Se non si potenzia, di molto, questa misura accompagnatoria si rischia davvero un total black out, in propagazione all’intera struttura giudiziaria, davvero non in grado di assorbire “nuovi arrivi” di massa, se non con un eguale e superiore rafforzamento delle sue strutture. Altrimenti il crack generale definitivo è pressoché certo.
Punto critico E. Si prevede l’istituzione di una nuova figura di “giudice ausiliario di cassazione”, ancorchè finalizzata allo stralcio/smaltimento dell’abnorme pendenza attuale di ricorsi tributari presso la suprema Corte, trattandosi quindi di una misura straordinaria e limitata temporalmente.
Rilievo. La legittimazione all’accesso è eccessivamente ristretta e fa ragionevolmente presumere l’acquisizione di risorse umane non affatto adeguate. Vi è perciò l’evidente necessità di ampliarne lo spettro.
5. (segue) Precondizioni esterne e qualche proposta emendativa
Già di per sé le criticità indicate possono nel complesso affossare il progetto, qualcuna di esse anche da sola. Ma, come anticipato, l’intervento legislativo progettato deve ricevere necessariamente “ossigeno” dall’esterno, altrimenti rischia di non avere respiro adeguato, né per nascere né per vivere.
Sì, sarebbe certo necessario che la riforma del settore giurisdizionale si accompagnasse, come pure è avvenuto negli anni ’70 del Novecento con la “riforma Visentini”, con quella del diritto sostanziale, materiale e procedimentale. Tuttavia è questo un altro modo per dire che non se ne può fare nulla, data la complessità e durata di una manovra politico legislativa siffatta.
Più realisticamente appaiono peraltro necessarie due “misure esterne” di accompagnamento, una per partire, una per continuare.
La prima è la “rottamazione” delle liti pendenti.
Si è già fatto, si può fare (anche per la Corte di giustizia Ue, entro certi limiti[19]) e non è nemmeno da considerarsi politicamente/eticamente uncorrect, nel perseguimento del “nobile” fine ultimo di creare una effettiva alternativa “di sistema”, non come quella del d.lgs n. 545/1992 – che da l’assetto ordinamentale attuale alle Commissioni tributarie e che pure nasce da un condono (l. 413/1991) – ma una vera, essendo questo il Dna della proposta di legge in esame.
Molto più della “sezione stralcio” preconizzata dalla lett. z della proposta medesima, ciò sgraverebbe la sezione tributaria della Cassazione, liberando dunque subito il “cervello centrale” del nuovo sistema di giustizia tributaria, potendogli così dare da subito l’impulso, fondamentale, della nomofilachia.
La seconda, a regime, è il potenziamento ulteriore del “filtro amministrativo”, tentando in tutti i modi di “residualizzare” il flusso del contenzioso processuale[20].
Sarà l’ uovo di Colombo o la scoperta dell’acqua calda, fin che si vuole, ma hic Rhodus hic salta. Le “crisi di cooperazione” che si concretizzano in materia di tributi, prima che “giustiziabili”, sono “governabili” amministrativamente, lo dimostrano con la forza dei numeri, le esperienze europee più avanzate, Francia e Germania su tutte. Dobbiamo provarci, più a fondo anche in Italia. Se infatti un “filtro precontenzioso” funzionasse veramente, allora il “contenzioso” potrebbe produrre dei numeri “digeribili” anche per il malandato sistema di giustizia ordinaria italiana e le pur complesse operazioni di innesto della materia tributaria potrebbero divenire non solo fattibili, ma addirittura proficue e virtuose. Sia per i contribuenti sia per il Fisco.
Oltre agli accenni di cui al paragrafo che precede si possono poi aggiungere alcune ipotesi di modifiche – necessarie e possibili – del telaio della proposta di legge delega, che certamente non ne mutino la “buona ispirazione” di fondo, ma la rendano più realisticamente concretizzabile.
Quindi, nell’ordine.
Proposta 1.Prevedere un utilizzo accorto, ma ampio di magistrati onorari per il primo grado del giudizio. Questa appare l’unica via realistica per diffondere le primae curae sul territorio, come pare giusto, al netto di nuove future revisioni generali della geografia giudiziaria.
Si potrebbe prevedere che nel “nuovo corpo” della magistratura onoraria, come recentissimamente strutturato dalla legge delega di riforma approvata, venga inserita una componente specialistica tributaria. Tale soluzione nell’immediato avrebbe a disposizione gli attuali componenti “non togati” delle Commissioni tributarie (che potrebbero dividersi tra “stralcio” e nuove sezioni specializzate di tribunale); in prospettiva, con il turn over, si potrebbero prevedere nuovi progressivi innesti, pescando tra i laureati in giurisprudenza/economia ovvero tra gli avvocati/dottori commercialisti.
Si tratterebbe di un procedimento di reclutamento/impiego simile a quello “tradizionale” delle sezioni specializzate agrarie oppure dei membri esperti dei Tribunali per i minorenni (per i quali peraltro si ipotizza un del tutto analogo assorbimento nelle nuove sezioni specializzate per le persone e la famiglia).
Così potrebbe trovare soluzione l’altrimenti inestricabile problema di organico che nei Tribunali verrebbe creato dalle nuove sezioni specializzate tributarie, valorizzando esperienze professionali utili al fine di una giustizia anche qualitativamente adeguata.
In questo contesto bisognerebbe pensare ad un equilibrato rapporto tra monocraticità/collegialità, tenendo conto che molte controversie tributarie riguardano importi non rilevanti e questioni non particolarmente complesse, molte altre invece il contrario.
Proposta 2. Prevedere l’appello per le sentenze di primo grado alla Corte di appello.
Pur vero che le Corti di appello italiane sono attualmente in grave difficoltà, tuttavia va tenuto conto che un buon primo grado del giudizio, con ampio impiego/incentivo delle modalità definitorie deflative, potrebbe produrre flussi gestibili nel secondo grado.
Chiaro tuttavia che sarebbe indispensabile aumentare in modo robusto gli organici delle Corti territoriali, anche se l’ordine di grandezza dovrebbe risultare fattibile e non altrettanto “sconvolgente” per l’equilibrio organizzativo delle Corti stesse.
Proposta 3. Ampliare i requisiti per la funzione di “giudice ausiliario” per lo smaltimento dell’arretrato dei ricorsi pendenti in Cassazione.
Si potrebbe estendere la platea dei legittimati agli avvocati cassazionisti con titoli specialistici (ad es. accademici), in analogia alle attuali nomine per “meriti insigni”.
Da valutare anche l’ estensione ai magistrati, ordinari o amministrativi, che attualmente compongono le commissioni tributarie. Per i primi ciò avrebbe un appeal curricolare importante e questo potrebbe essere quasi da sola la soluzione del problema.
Proposta 4. Come detto, la questione del personale ausiliario non può essere risolta soltanto con la migrazione di quello attualmente addetto alle Commissioni e deve essere inquadrato nel più ampio e grave problema degli organici complessivi del settore giudiziario.
Chiaro che questo ampliamento di delega è ben più complesso, per ragioni finanziarie, ma è indispensabile trovare il modo di fare qualcosa di rilevante in questo senso. Di “nozze con i fichi secchi” la giustizia ordinaria italiana non ne può veramente più.
6. Un giudizio complessivo. Il “valore aggiunto” della proposta di riforma. Una previsione
Tirando le somme. La riforma della giustizia tributaria è necessaria ed indilazionabile, ma, allo stesso tempo, è senza alcun dubbio una riforma complessa.
La proposta di legge Ermini-Ferranti-Verini va nella direzione giusta e tuttavia ha dei difetti gravi ed evidenti, che devono essere assolutamente corretti ed anche coordinati con altre iniziative normative “esterne”, pena l’irraggiungibilità dell’obiettivo, che si pone, di una giurisdizione tributaria adeguata ed efficiente, finalmente all’altezza del suo delicato compito, dunque moderna, europea[21].
Se verrà adeguata e realizzata, questa idea riformatrice possiede un formidabile “valore aggiunto”.
Riunificare la giurisdizione tributaria, “ordinarizzarla”, eliminare l’attuale – innaturale ed unica negli ordinamenti di giustizia interni – cesura tra merito e legittimità, significa infatti creare un nuovo specifico, ampio milieu professionale che può finalmente dare alla giurisprudenza tributaria una forza che oggi non ha e che invece deve avere, come, secondo il loro ruolo essenziale, storicamente hanno avuto ed hanno le altre giurisprudenze, civili, penali, amministrative, interne ed esterne[22].
In altri termini, significa rendere possibile anche per la materia tributaria il circuito virtuoso tra merito e legittimità, che è un “modo di essere” ovvio e garantito per le altre giurisdizioni, anche di quella – omologamente speciale – amministrativa; ed ancora significa creare i presupposti della stessa “corrente ascensionale” che porta i magistrati civilisti e penalisti, forgiati nelle pur varie esperienze e specializzazioni del merito, ad andare in Cassazione e portarvi tutto il “capitale” culturale e tecnico accumulato negli anni di lavoro e di formazione precedenti, così potendosi implementare significativamente la “capitalizzazione” complessiva della Suprema corte, dunque quella globale del sistema giudiziario.
In sintesi, significa dare una concreta chance di effettività alla garanzia giurisdizionale nell’applicazione dei tributi. “Giuste imposte” in un “giusto processo”.
Non è affatto poco, anzi, con uno sforzo normativo tutto sommato contenuto (non si tratta di un Codice) e con un impegno finanziario che, se oculato, può senz’altro essere sostenibile, davvero si tratterebbe di un “valore aggiunto” enorme.
Se dunque questa, dopo tanto ragionare e discutere, è veramente “l’occasione”, allora tutti i giuristi di “buona volontà” la dovrebbero sostenere. A partire dai magistrati ordinari, per lo spirito del servizio pubblico che li deve contraddistinguere come singoli e come categoria, anche se è giusto e doveroso, come l’Anm ha già fatto, evidenziare le problematiche affatto rilevanti che l’opzione ordinamentale richiede. Ma se ne devono convincere anche il ceto dei giuristi accademici specialisti e le categorie professionali, senza chiudersi in recinti culturali e corporativi.
Tutti gli “addetti ai lavori”devono rendersi onestamente conto che essendo evidente che, così com’è, la situazione non è ulteriormente sostenibile, è nell’interesse di tutti che essa cambi. E che, in ultima analisi, l’unica direzione giusta e praticabile per farlo è quella che sta alla base di questa proposta di legge.
A parte le debolezze della stessa che si è provato ad evidenziare e le avvisaglie chiare di opposizione che già si sono apertamente manifestate, si tratta però di capire se effettivamente questa sia almeno “una occasione”, non soltanto di discussione culturale, ma di politica giudiziaria concreta.
Qui il dubbio si fa forte, perché non è noto alcun indizio preciso che questa iniziativa parlamentare, che pure proviene da esponenti assai autorevoli del partito di maggioranza relativa e non essendo certamente quindi una boutade estemporanea, abbia una minima “copertura” governativa e, affatto not least, un qualche apprezzabile endorsement dei vertici burocratici ministeriali interessati[23].
Sarà dunque una navicella che, già sbattuta dai flutti delle polemiche, è destinata a galleggiare nella bonaccia, per restarvi alla deriva, senza approdare a nulla oppure un veloce clipper che ci porterà dritto nel Nuovo Mondo?
Se si guarda alla storia, dalla Commissione Azzariti in poi, e se si pensa alla persistente, forte, spinta contro riformatrice delle lobbies, che si è già “mostrata” e certamente non si arresterà, essere ottimisti è davvero difficile.
Any way, «scegliamo di credere che qualcosa di buono possa succedere»[24].
[1] Il concetto è di C. Consolo, Dal contenzioso al processo tributario, pagine introduttive, XVIII.
[2] Da ultimo, per una rappresentazione sintetica e riferimenti bibliografici essenziali, v. A. Giovannini, La riforma del processo tributario oggi, in innovazione diritto.it, 2016, n. 1, 13, nota 12.
[3] Per un’ ampia rassegna “storica” della più autorevole dottrina, v. per tutti, A. Fantozzi, Diritto tributario, Torino, 1998, 533 ss; più di recente, G. Marongiu, Le Commissioni tributarie da giudice specializzato a giudice togato: una proposta in Dir. Prat. trib., 2009, n. 4 luglio-agosto, 801 ss.
[4] In tal senso G. Marongiu, Le Commissioni assicurano il servizio in tempi ragionevoli, in Il Sole 24 Ore, 24 marzo 2016; M. Basilavecchia, Il futuro del processo tributario: verso un nuovo assetto istituzionale?, in IPSOA Quotidiano, 13 febbraio 2016.
[5] Così si sono espressi, P. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 2005, 15; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 1997, 628-629; F. Moschetti, Profili costituzionali del nuovo processo tributario, in Rivista di diritto tributario, 1994, I, 844 ss; id, Il nuovo processo tributario: una riforma incompiuta in Il nuovo processo tributario, a cura di L. Tosi-A. Viotto, Padova, 1999, 13; F. Gallo, Verso un giusto processo tributario, in Rassegna tributaria, 2003, n. 1, 38 ss.; F. Tesauro, Il processo tributario, Introduzione, Torino, 1998, XXX-XXXI; F. Batistoni Ferrara–B. Bellè, Diritto tributario processuale, Padova, 2007, 9. Più di recente, in tal senso cfr. R. Lupi-D. Stevanato, Processare meno, processare meglio: gli inconvenienti dell’impostazione panprocessualistica del diritto tributario, in Dialoghi tributari, 2009, n. 3, 237 ss.; E. Manzon, Per un giudice professionale e a tempo pieno, in Dialoghi tributari, 2009, n. 6, 602 ss.; recentissimamente, G. Marongiu, Le Commissioni, cit., A. Carinci, Giudici professionisti e ben pagati contro le tentazioni, in Diritto e pratica tributaria, 3/2016, 1178.1179; G. Marongiu-A. Marcheselli, Per una giustizia tributaria forte, indipendente, giusta ed efficiente, in Corriere tributario, 20/2016, 1559 ss.; A. Giovannini, La riforma del processo tributario oggi, in Innovazionediritto.it, n. 1/2016, 6 ss.
[6] Lo scritto di Marongiu che formula la proposta è citato alla nota 3. Questa autorevole riflessione è stata oggetto del Congresso nazionale dell’Anti tenutosi a Trieste nel novembre 2009, che ne ha fatto recepimento nella mozione finale.
[7] Art. 9, primo comma, cpc, abrogato implicitamente dall’art. 2, d.lgs n. 546/1992, come progressivamente modificato.
[8] Per un’ampia analisi e bibliografia, v. su tali questioni D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, Bologna, 2014, 23 ss.
[9] Su queste tematiche processuali, v. per tutti, con complete ed accurate indicazioni bibliografiche, la monografia di A. Poddighe, Giusto processo e processo tributario, Milano, 2010.
[10] Significativo è che la stessa domanda di fondo sia stata posta nel discorso di inaugurazione dell’Anno giudiziario 2016 dal Primo presidente Giovanni Canzio, che contestualmente ha espresso l’auspicio per una riforma “di sistema”, ipotizzando l’assorbimento dell’intera materia tributaria nella giurisdizione ordinaria, anche di merito.
[11] (atti Camera n. 3734, XVII legislatura); proponenti Ermini, Ferranti, Verini.
[12] M. Cavallaro, Verso una nuova giustizia tributaria: una lettura critica del rapporto sull’andamento del contenzioso, in http://www.iltributario.it, 12 aprile 2016.
[13] In senso fortemente contrario, C. Glendi, Nuovi fermenti legislativi sulla giurisdizione tributaria, in Diritto e pratica tributaria, 3/2016, 1184 ss.; G. Marongiu, Le commissioni assicurano, cit.; A. Marcheselli-G. Marongiu, Per una giustizia tributaria, cit., 1560-1561; F. Tesauro, La giurisdizione tributaria, cit., 27 ss. V. però in senso favorevole A. Giovannini, La riforma, cit., 15 ss; E. De Mita, Una riforma con troppe voci, in Diritto e pratica tributaria, 3/2016, 1182.
Assai significativa è altresì la posizione radicalmente contraria espressa dalla Associazione italiana dei professori di diritto tributario (Aipdt) nel documento Proposta dell’Aipdt per la riforma della giurisdizione tributaria, consultabile al sito. Non constano invece interventi analoghi della, altrettanto autorevolmente partecipata, Società fra gli studiosi di diritto tributario.
[14] In questi esatti termini, cfr. A. Giovannini, La riforma, cit., 12 e 17.
[15] Cfr. analogamente, A. Giovannini, op.cit., 18-19.
[16] Glendi, Tesauro.
[17] Cfr. Andrea Proto Pisani, in Questionegiustizia on line, L’importanza dell’art. 113, 3° comma, Costituzione, per una giustizia effettiva del cittadino contro atti della Pubblica amministrazione, www.questionegiustizia.it/articolo/l-importanza-dell-articolo-113_3-comma-costituzion_21-10-2015.php.
V. anche nello stesso senso, A. Giovannini, op. cit., 18.
[18] Negli stessi termini, v. A. Giovannini, op.cit., 18.
[19] Corte giustizia Ue, n. 417/2012, C- 417/2010.
[20] Su questo convengono tutti i commentatori.
[21] Per un sintetico, attualizzato, panorama dei sistemi di giustizia tributaria nei principali Paesi della Ue, v. S. Marchese, Comparazione tra gli ordinamenti tributari europei e spunti di riflessione, in Atti del seminario di aggiornamento professionale su Ordinamento e processo: verso nuove regole per la giustizia tributaria organizzato in Genova dal Cpgt, 27 giugno 2014, consultabile al sito istituzionale.
[22] Cfr. C. Consolo, Dal contenzioso al processo, cit., XIX.
[23] Dubbi in tal senso da De Mita, loc. cit.
[24] J. Martin Kohe.