Una normativa quadro costituzionalmente orientata per il superamento delle barriere architettoniche
L'accessibilità universale di spazi pubblici e privati è uno dei presupposti per l'effettivo esercizio del diritto di cittadinanza. L'abbattimento delle barriere architettoniche difende e sostiene il diritto all'inclusione di tutti i cittadini, poiché una condizione di debolezza, transitoria o permanente, può riguardare chiunque. Le proposte di legge in materia, nella scorsa e nell'attuale legislatura, concorrono a delineare dei principi non limitandosi all'aggiornamento e alla razionalizzazione delle frammentarie norme vigenti ma rivolgendosi alla costruzione di una normativa quadro costituzionalmente orientata.
1. Barriere al diritto di cittadinanza
Affrontare il tema dell'accessibilità degli spazi pubblici e privati tenendo in particolare considerazione i diritti delle persone disabili attiene alla qualità della vita dell'intera comunità nazionale.
Case, scuole, luoghi di lavoro, spazi pubblici universalmente accessibili sono uno dei presupposti per l'effettivo esercizio del diritto di cittadinanza nell'estensione che l'articolo 3 della Costituzione disegna quando attribuisce alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»: ostacoli e sviluppo della persona sono termini che, come in molti luoghi della Costituzione, evocano un continuum tra la natura programmatica e quella precettiva di disposizioni della Carta. Né si può dimenticare la formulazione dell’articolo 32 della Costituzione così come è stato interpretato dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, che si sono incaricate di ricostruire un “diritto vivente alla salute”.
In ambito sovranazionale, la strategia europea sulla disabilità 2010-2020 ha l'obiettivo di rendere beni e servizi accessibili a tutti e, quindi, di abbattere le barriere; e la Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 (insieme al relativo protocollo opzionale) e ratificata dal Parlamento con la legge 3 marzo 2009, n. 18, sancisce principi fondamentali quali l'autonomia individuale, la libertà di scelta, l’indipendenza, la non discriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società, individuando l’accessibilità tra i principi ispiratori generali[1].
Secondo l'Istat sono quasi tre milioni le persone diversamente abili che vivono in Italia. Il problema delle barriere architettoniche non riguarda tuttavia solo le persone diversamente abili ma coinvolge tutti i cittadini, talvolta solo in una fase della loro vita o in brevi e occasionali momenti: i bambini, gli anziani, i genitori col passeggino, le donne in stato di gravidanza, le persone che sono costrette a muoversi con le stampelle o con la carrozzina, gli ipovedenti, i non vedenti, i passeggeri con le valigie e persino chi trasporta borse della spesa. È poi da sottolineare che la disabilità – o diminuzione di abilità – è una condizione strettamente legata all'invecchiamento della persona e che viviamo in un mondo sempre più popolato da anziani. Il report demografico diffuso da Istat il 3 maggio 2018 relativo alle previsioni al 2065 descrive il picco di invecchiamento della popolazione che caratterizzerà l'Italia nel periodo 2045-2050 quando la quota degli ultrasessantacinquenni sarà prossima al 34% della popolazione[2].
Le considerazioni che precedono segnalano che il tema della disabilità e dell'abbattimento delle barriere architettoniche richiede un’attenzione particolare, se si intende difendere e sostenere il diritto all'inclusione di tutti i cittadini: perché una condizione di debolezza, transitoria o permanente, può riguardare qualunque cittadino, senza che nessuno possa vantare alcuna "superiorità" o "invulnerabilità".
Non si tratta di riconoscere nuovi o speciali diritti alle persone con disabilità, ma di promuovere, proteggere e assicurare il pieno e uguale godimento alle persone con disabilità di tutti i diritti e le libertà riconosciute ad ogni essere umano[3], partendo dal tema della piena accessibilità degli spazi fisici nella vita di ogni cittadino (e non dimenticando la crescente rilevanza degli spazi immateriali).
2. La proposta di legge A.C. 1013 della XVII Legislatura
Questo è il quadro di riferimento entro il quale già nella scorsa legislatura si è percorso in Parlamento un tentativo di razionalizzazione della normativa inerente il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati, negli spazi e servizi pubblici, aperti al pubblico o di pubblica utilità, contenuta attualmente in diversi provvedimenti di differente rango normativo approvati nell'arco degli ultimi trent’anni.
Di questo tema si è occupata la proposta di legge n. A.C. 1013 a prima firma della deputata D’Incecco – di cui sono stata relatrice nella XVII Legislatura – approvata dalla Camera il 3 ottobre 2017 senza però trovare la successiva approvazione definitiva in Senato.
L'obiettivo che ci si proponeva era quello di superare la normativa disomogenea relativa alle prescrizioni tecniche per il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati, contenuta in diversi provvedimenti legislativi e regolamentari[4], attraverso l'emanazione di una legge e di un successivo regolamento unico.
La frammentazione normativa, con particolare riferimento alle disposizioni tecniche, ha generato nel tempo incertezze sulle norme applicabili in concreto e difficoltà interpretative e applicative[5], derivanti prevalentemente dalla diversa regolamentazione prevista per gli edifici e gli altri spazi pubblici e per le residenze pubbliche e private.
La consapevolezza, già in passato maturata, di dover garantire uniformità normativa e l'esigenza di proporre soluzioni di riordino della materia, allo scopo di dare certezze agli utenti e agli operatori del settore, aveva a suo tempo prodotto l'articolo 12 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, con il quale si era istituita una Commissione permanente di studio; con successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 15 ottobre 2004, n. B3/1/79 è stata ricostituita la predetta Commissione su base paritetica tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e con la partecipazione di rappresentanti delle maggiori associazioni delle categorie interessate. Al termine dei lavori della citata commissione, il 9 novembre 2006, è stato predisposto uno schema di regolamento trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per l'eliminazione delle barriere architettoniche, potenzialmente idoneo a garantire quella esigenza di uniformità e di coerenza della disciplina, con la definizione di una normativa unitaria in materia.
Tuttavia, né quel Governo, né i successivi hanno provveduto ad emanare il previsto regolamento sulla base di tale proposta.
Il contenuto della proposta di legge n. A.C. 1013, resasi politicamente necessaria per dare fondamento normativo primario alle esigenze indicate, prevedeva l'emanazione di un unico regolamento, al fine di assicurare unitarietà e omogeneità delle regole relative agli edifici, agli spazi e ai servizi pubblici e della disciplina relativa agli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica nonché, in recepimento delle osservazioni della Conferenza delle regioni, al fine di promuovere l'adozione e la diffusione della progettazione universale, in attuazione e in conformità ai principi espressi dalla già citata Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006.
In particolare, l'articolo 2 della Convenzione definisce «progettazione universale» la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o progettazioni specializzate.
La proposta di legge disciplinava le modalità procedurali per l'adozione del nuovo Regolamento, prevedendo che esso venisse adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il concerto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il parere del Consiglio di Stato, per i profili di competenza, del Consiglio superiore dei lavori pubblici, della Conferenza unificata e acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Disponeva, a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo Regolamento, la conseguente abrogazione dei Regolamenti sostituiti.
Prevedeva la ricostituzione della Commissione permanente già istituita con il decreto ministeriale del 1989, precisando che ciò sarebbe dovuto avvenire nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente; alla Commissione erano affidati compiti di individuazione della soluzione di eventuali problemi tecnici derivanti dall'applicazione della normativa di cui alla legge, di elaborazione di proposte di modifica e di aggiornamento, di adozione delle linee guida tecniche basate sulla progettazione universale, ai sensi della Convenzione delle Nazioni unite del 13 dicembre 2006, in forza della quale gli Stati si impegnano a intraprendere e promuovere la ricerca e lo sviluppo di beni, servizi, apparecchiature e attrezzature progettati universalmente, che dovrebbero richiedere il minimo adattamento possibile e il costo più contenuto possibile per soddisfare le esigenze specifiche delle persone con disabilità.
La proposta di legge ampliava i compiti della Commissione prevedendo il monitoraggio sistematico delle pubbliche amministrazioni per l'attuazione dell'articolo 32 della legge 28 febbraio 1986, in tema di adozione di piani di eliminazione delle barriere architettoniche, che ai commi 20 e 22 detta, appunto, disposizioni in ordine ai piani di eliminazione delle barriere architettoniche che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adottare per gli edifici pubblici; con l'eventuale intervento di un commissario in sostituzione delle amministrazioni inadempienti. Era stato, inoltre, introdotto, come nuovo compito della Commissione, l'elaborazione di proposte di modifica, di aggiornamento della normativa richiamata dalla legge, anche finalizzate a semplificare l'inserimento di innovazioni tecnologiche dirette all'eliminazione delle barriere architettoniche nelle parti comuni degli edifici e nelle loro pertinenze. La nomina dei componenti della Commissione era affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome.
A fronte di una presa d’atto del legislatore della protratta inerzia del potere esecutivo, il percorso scelto era quello, come si è accennato, dell’intervento della legge per determinare i contenuti necessari di un’omogenea normativa secondaria e tecnica: con un rinvio, quanto ai principi, alle norme sovranazionali e alla citata legge 3 marzo 2009, n. 18.
3. Per una normativa costituzionalmente orientata
Lo stesso disegno di legge è stato ripresentato in questa legislatura, confidando nella condivisione già raggiunta tra le forze politiche nella precedente attività parlamentare. Ad esso si è affiancata una nuova iniziativa a firma della deputata Noja che ha l'obiettivo di affrontare nello specifico il tema dell'accessibilità, in modo particolare quella relativa a edifici, viabilità, trasporti e altre strutture, con lo strumento della delega legislativa (A.C. 903, «Delega al Governo per l’adozione di norme in materia di accessibilità universale»).
In quest’ultima proposta significativamente si rinvia agli articoli 9, 20 e 21 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità. Gli articoli 9 e 20 della Convenzione impongono agli Stati di prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con tutti gli altri cittadini, la mobilità personale con la maggiore indipendenza possibile e l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico; l’articolo 21 della Convenzione declina il principio dell’accessibilità in relazione alla libertà di espressione e di opinione, prevedendo l’obbligo degli Stati di garantire alle persone con disabilità il pieno esercizio di tali libertà, in parità con altri e attraverso ogni forma di comunicazione di loro scelta.
La proposta di legge poggia le basi sul lavoro svolto dall'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità e del Programma di azione biennale sull'accessibilità universale, approvato nel 2013 e aggiornato nel 2017. La revisione complessiva della normativa sull’accessibilità dell'ambiente fisico, urbano ed architettonico, l'adozione della normativa europea in tema di accessibilità dei trasporti e il tema dell'accessibilità dell'informazione, a partire da quella delle pubbliche amministrazioni, sono i contenuti fondamentali della legge delega al governo in materia di accessibilità universale.
È peraltro significativa un’apertura alla definizione e attuazione di principi che trovano il loro fondamento nella lettura costituzionale del tema della disabilità, ovvero del diritto all’inclusione, cui si è fatto cenno: di talché l’esperienza della scorsa legislatura e le nuove proposte sembrano idonee a delineare, anche a prescindere dall’esito nelle aule parlamentari, dei principi di ius condendum in questa materia.
Oltre a quanto si è sin qui detto, questo vale per alcuni punti, contenuti nel disegno di legge delega e che di seguito si sintetizzano:
- adeguamento della definizione di accessibilità ambientale alla dimensione culturale e operativa promossa dalla Convenzione delle Nazioni unite, superando i concetti di visitabilità e adattabilità e assicurando, nel processo di revisione, la più ampia partecipazione delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità;
- passaggio da una legislazione di impianto esclusivamente prescrittivo che guida la pratica progettuale e stabilisce standard minimi in materia di accessibilità, a un approccio anche prestazionale, che richieda la comprensione, consideri l’architettura come un’arte basata sulla scienza ed enfatizzi la creatività e l’esperienza multisensoriale, partendo dalla pluralità dei diversi portatori di bisogni di accessibilità e facendo proprio il concetto di “utenza ampliata” che cerca di considerare le differenti caratteristiche individuali al fine di trovare soluzioni inclusive valide per tutti e non «dedicate» esclusivamente alle persone con disabilità;
- integrazione ed armonizzazione dell'impianto normativo in tema di accessibilità con quello relativo alla sicurezza dei luoghi e degli edifici, in particolare per la sicurezza ed il soccorso delle persone con disabilità;
- definizione di misure di facilitazione e incentivazione, che favoriscano l’attuazione dei principi dell’accessibilità universale e della progettazione universale all’ambiente fisico, urbano ed architettonico in caso di interventi finalizzati al riuso, rinnovamento e restauro del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente; tema, questo che si collega a quello della limitazione del consumo di suolo, a sua volta riferibile concettualmente alla tutela dei beni comuni[6];
- inserimento dello studio della tecnica e della tecnologia atte a realizzare la progettazione universale e l’accessibilità nei programmi didattici delle scuole secondarie e delle università;
- coordinamento con il d.lgs 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) inserendo l’accessibilità tra i criteri di valutazione nell’ambito di procedimenti di selezione pubblica per la realizzazione o la modifica di spazi ed edifici e l’eventuale correlata acquisizione di beni e servizi;
- attivazione di un sistema di monitoraggio, raccolta e analisi di dati relativi ai lavoratori con disabilità, pubblici e privati, nonché all’applicazione delle specifiche tecniche sulle postazioni di lavoro;
- previsione di piani formativi rivolti ai dipendenti pubblici con riguardo alla creazione, pubblicazione e conservazione di documenti e moduli accessibili, nonché ai compiti dei responsabili dell’accessibilità.
L’auspicio è che venga posta la necessaria attenzione al tema dell'accessibilità universale, attraverso un’azione parlamentare che possibilmente non si limiti all’aggiornamento e alla razionalizzazione delle frammentarie norme vigenti ma che si orienti alla costruzione di una normativa quadro costituzionalmente orientata, a cui concorrano le riflessioni dell’associazionismo, dei pubblici amministratori, di giuristi, tecnici e urbanisti.
[1] La Convenzione delle Nazioni unite dispone che ogni Stato aderente presenti un rapporto dettagliato sulle misure prese per adempiere ai propri obblighi e sui progressi conseguiti al riguardo. La legge 3 marzo 2009, n. 18 ha istituito a tal fine l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, a cui compete la predisposizione di un programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale. Nel triennio 2010/2013 il lavoro dell’Osservatorio ha portato all'adozione del primo programma di azione biennale, approvato con dPR 4 ottobre 2013. La promozione e l’attuazione dei principi di accessibilità e mobilità sanciti dalla Convenzione Onu rientrano tra le sette linee di intervento individuate dal programma, che sottolinea come il concetto di accessibilità, più di altri, sia strettamente correlato alla non discriminazione; con dPR 12 ottobre 2017 è stato adottato il secondo programma di azione biennale che ripropone la linea di intervento inerente l’accessibilità universale, in quanto tema non ancora affrontato in maniera organica e complessiva.
[2] www.istat.it/it/files/2018/05/previsioni_demografiche.pdf.
[3] Da questo punto di vista suscita riserve l’istituzione di un Ministero per le disabilità, che sembra preludere a una regressione culturale su conquiste raggiunte negli ultimi anni in termini di inclusione ed emancipazione delle persone con disabilità, condizione che non può essere considerata solo in riferimento alle politiche di assistenza; occorre un approccio più ampio di tutela dei diritti in cui l’accessibilità universale deve essere riconosciuta come bisogno primario e inalienabile di libertà, autonomia, autodeterminazione, uguaglianza di tutti i cittadini, a prescindere dalla loro condizione e come patrimonio collettivo.
[4] Tra cui vanno citate, quanto alla eliminazione delle barriere architettoniche per gli edifici e spazi pubblici la legge 28 febbraio 1986, n. 41, come integrata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104; e per gli edifici privati la legge 9 gennaio 1989, n. 13.
[5] Il tentativo di introdurre il tema dell’accessibilità nella disciplina del turismo è andato incontro a una pronuncia di illegittimità costituzionale. La sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 5 aprile 2012 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.lgs 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/Ce, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), e di una serie di allegati allo stesso, ha riguardato, tra l’altro, l’art. 3 del cosiddetto codice del turismo, che imponeva allo Stato di garantire che le persone con disabilità motorie, sensoriali e intellettive potessero fruire dell’offerta turistica, a parità di qualità e senza aggravio di costi rispetto agli altri fruitori. Secondo la Corte l’art. 3 «attiene, con evidenza, ai rapporti tra Stato e Regioni in materia di turismo e realizza un accentramento di funzioni, che, sulla base della natura residuale della competenza legislativa regionale, spettano in via ordinaria alle Regioni, salvo che lo Stato non operi l’avocazione delle stesse, con l’osservanza dei limiti e delle modalità precisati dalla giurisprudenza di questa Corte»; concludendo per la illegittimità costituzionale della norma per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, in relazione agli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, della Costituzione.
[6] A.C. 809, «Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato».