Una questione grave.
Un’ordinanza di ventuno pagine.
Non meno ne occorrevano per esporre le ragioni del contendere, e lo stato del giudizio, in materia di risarcimento di danni da crimini di guerra commessi in Italia dalle forze armate germaniche, a carico di cittadini italiani.
La motivazione è ampia, diligentissima, e non trascura nessun aspetto dei problemi di legittimità della giurisdizione che il giudizio deve affrontare e risolvere: problemi complessi, come quelli che debbono sciogliere i nodi che legano la convivenza di diverse giurisdizioni (italiana e tedesca), entro invalicabili limiti di legittimità costituzionale, tenuta presente l’incidenza della giurisprudenza.
Una motivazione di grande ampiezza, condotta rigorosamente nell’ambito del lessico giuridico, e con la padronanza dei concetti sottesi a quel lessico.
Sul quale sovrasta il “primato assoluto dei valori della libertà e dignità della persona umana”, cui deve essere riconosciuta la prevalenza su ogni altra norma, anche nell’ordinamento internazionale.
Vi è un ampio ricorso a raffinate analisi degli effetti che si verificano processualmente, sull’immunità costituzionale delle norme in causa; con la conclusione che la tutela giurisdizionale non può venir meno, per “l’insopprimibile garanzia di tutela giurisdizionale … ogni qual volta a ledere il diritto fondamentale della persona umana sia un crimine contro l’umanità” commesso nell’esercizio di diritti fondamentali da uno Stato, senza possibilità di schermarsi dietro diritti di (presunto) imperio.
Questi crimini “contro l’umanità”, segnano il “punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità”, oltre il quale vi sarebbe solo un irrimediabile “straripamento” dal diritto.
Pertanto, è non solo possibile, ma doveroso – a conferma della legittimità del giudizio – rimettere nella specie al giudice ogni questione di legittimità costituzionale, anche sotto il profilo di dubbio di costituzionalità.
E in conclusione l’ordinanza ritiene non “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme recepite dall’ordinamento che negano la giurisdizione di cognizione delle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra commessi … iure imperii dal Terzo Reich; e parimenti, della norma che obbliga il giudice nazionale a negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile di risarcimento danno per crimini contro l’umanità; nonché della norma che obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia anche quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria giurisdizione, in causa di risarcimento danni per crimini contro l’umanità commessi dal Terzo Reich”.
Le ventuno pagine dell’ordinanza sono un fitto tessuto di termini propri del lessico giudiziario.
Per chiara ed esatta che sia l’esposizione dei concetti, nell’ambito di una terminologia altamente specializzata, questo lessico che viene da lontano e che è d’altronde necessario sia ben conosciuto e bene usato da un operatore del diritto, non comunica de plano il significato dell’iter che il provvedimento segue per arrivare alla conclusione.
Frasi iniziatiche possono costringere un lettore profano a farsi spiegare il senso in termini quotidiani.
Ma c’è, nella parte finale, una frase che istantaneamente arresta il lettore, sia esso profano o no.
A pagina 19, c’è una svolta improvvisa.
Il giudice redattore del testo osserva che il provvedimento che sta nascendo rimette (al giudice di rinvio) “solo la coercizione dell’obbligo accertato, secondo l’auspicio della Corte Internazionale di Giustizia alle dinamiche dei rapporti tra organi politici degli Stati che, si ricorda, per decenni non hanno trovato la soluzione a torti di sconvolgente disumanità”.
Ecco. L’ermetismo del linguaggio giuridico esplode.
E’ come all’inizio della Creazione di Haydn, quando “E la luce fu” aggredisce l’ascoltatore, con violenza improvvisa, e davvero conturbante.
Anche qui, una voce davvero conturbante porta in primo piano la parola nuova, che non esce dal lessico del diritto, del giudizio, della giustizia.
Arriva da un metalinguaggio, che non si era dichiarato, prima.
“Sconvolgente”!: non si era mai sentito, nella lingua del diritto.
Perché è una locuzione fortemente emotiva, che non appartiene al linguaggio giuridico, ma al dominio delle passioni, e che abita – per dirla in breve – nelle regioni del cuore, non nella custodia dell’intelletto.
Chiedo sostegno al mio amato “Grande Dizionario” del Battaglia, e trovo facilmente D’Annunzio: “Quali sono le terribili vicende che ti hanno sconvolta?”.
Ebbene: è proprio questo un turbamento interiore che si prova trovando nella severa prosa giuridica d’un giudice colto, la parola “sconvolgente” applicata a ciò che davvero sconvolge il lettore: che sa e ricorda i crimini che hanno dilaniato l’Italia e il mondo.
E così deve avere sentito anche l’estensore dell’ordinanza, e prima di lui altri uomini, altri giudici, altri uomini politici. “Torti di sconvolgente disumanità”: a partire da queste parole, la partita di un tentativo di incasellare quei torti sconvolgenti in una categoria del diritto era persa.
Senza campo.