Montaigne con semplicità ce lo aveva ricordato. E noi, con arrogante cecità di moderni, l’avevamo dimenticato.
Il mondo è un’altalena.
Siamo costretti a riscoprirlo seguendo le curve statistiche entrate prepotentemente nella nostra quotidianità.
Curve storiche, curve di frequenza, curve di livello che - segnando gli alti e i bassi dell’epidemia - scandiscono anche i nostri slanci verso l’alto – le libertà temporaneamente recuperate - e i moti all’indietro – le rinnovate precauzioni e restrizioni.
Su questa particolarissima altalena i matematici sembrano più a loro agio di altri specialisti. Anche dei medici, che per orientarsi hanno bisogno di confrontare pazientemente esperienze, interpretare dati, formulare ipotesi e sottoporle a verifica.
Ancora più soggetti al senso di vertigine prodotto dal susseguirsi di ondate e riflussi, i politici, gli economisti, i giuristi, gli osservatori dei fenomeni sociali. E i giudici, naturalmente, insieme ai cittadini.
Comunque non biasimiamoci troppo.
Molto è stato fatto di buono, di utile, di ragionevole nei due anni trascorsi da quando è divenuto concreto uno dei peggiori incubi sociali: una malattia che si trasmette con il respiro, capace di propagarsi con estrema rapidità nel mondo interconnesso e interdipendente.
Se questa capacità di relativo controllo e di convivenza con il virus va rivendicata, occorre anche ripetere incessantemente che ogni progresso rischia di essere compromesso dalla mancanza di politiche di aiuti, ispirate da generosità e lungimiranza, nei confronti dei paesi privi delle risorse economiche, sociali e scientifiche per contenere gli effetti più gravi della pandemia.
Ed alla denuncia della miopia deve accompagnarsi quella della ferocia di quanti, anche nella morsa di una così aspra congiuntura, non sanno porre almeno una tregua alle guerre, agli odi, alle sopraffazioni, alle persecuzioni.
Da questa altalena è evidentemente più difficile scendere che da quella della pandemia.
A tutti, dunque, l’unico augurio possibile. Dall’altalena del mondo, con lo sguardo rivolto verso l’alto.
La direzione di Questione Giustizia
photo credits: Sara Cocchi