Magistratura democratica
Magistratura e società

Intervista a Renato Rordorf su "Questione Giustizia"

Intervista al Direttore di Questione Giustizia dal 2015 al 2018

 

In quale arco di tempo sei stato il direttore di QG? Quali stagioni politiche e culturali tu e il collettivo che ha “fatto” la rivista avete attraversato? Quale è stato il ruolo che la Rivista ha inteso svolgere e quali i campi di intervento che ha privilegiato? 

Ho svolto mansioni di direttore di QG nel quadriennio 2015-2018. Quando mi fu proposto di farlo, da parte della dirigenza di MD di allora, ricordo che ne fui sorpreso ed ebbi un momento di esitazione prima di accettare. Non certo per sfiducia verso la rivista, che da sempre apprezzavo molto ed alla quale, del resto, avevo già da svariati anni ed in diverse occasioni collaborato. Mi rendevo però ben conto di quanto sarebbe stato arduo rimanere all’altezza di coloro che, a partire dall’indimenticabile Pino Borrè, avevano diretto QG e non farli troppo rimpiangere. Era chiaro che, per chiunque fosse loro succeduto, si poneva una sfida estremamente impegnativa. Le mie perplessità avevano però anche un’altra causa: i direttori della rivista erano stati, sino ad allora, magistrati i quali avevano tutti svolto anche ruoli di primo piano nella vita associativa ed io, invece, per svariate ragioni, pur avendo aderito a MD sin dal mio ingresso in magistratura, ero poi rimasto sempre piuttosto ai margini dell’attività associativa; e ciò mi faceva dubitare di essere la persona più adatta a dirigere una rivista che di MD mi sembrava fosse (e tuttora mi sembra sia) il fiore all’occhiello. Quel che, tuttavia, mi indusse a superare tali dubbi fu soprattutto la considerazione che forse, in un momento caratterizzato da significative tensioni interne a MD, proprio questo era opportuno: una direzione della rivista che, in quanto affidata ad una persona meno coinvolta nella vita quotidiana della corrente, potesse aiutare ad alleggerire quelle tensioni, o almeno a tenerne la rivista il più possibile al riparo. 

Anche per tutto il quadriennio in cui ho diretto QG la vita di MD, naturalmente, ha continuato ad essere, se non tempestosa, certo assai vivace, come forse almeno in qualche misura è inevitabile che sia per una corrente che del metodo dialettico e dello spirito critico ha sempre fatto la sua bandiera. E’ persino superfluo rievocare qui la ben nota ed assai complessa vicenda della costituzione di un gruppo associativo, Area Democratica per la Giustizia, e dei suoi tormentati rapporti con MD; ed anche in seno al comitato di redazione di QG non era difficile ravvisare inclinazioni diverse, ora più ora meno favorevoli all’assimilazione dei due gruppi. Ma mi sembra – mi si perdoni la presunzione – di essere riuscito a far sì che la vita della rivista non sia stata mai più che tanto turbata da tensioni e contrapposizioni polemiche. Il che – ci tengo a sottolinearlo – va però ascritto anche e soprattutto a merito di coloro che si sono adoperati in quel periodo nella redazione con passione ed equilibrio. Benché non tutti già mi conoscessero personalmente, non soltanto mi hanno accolto con simpatia ed affabilità ed hanno poi dato grandissimi contributi intellettuali ed organizzativi, ma lo hanno fatto con la massima disponibilità al dialogo ed alla collaborazione. La redazione era forse sin troppo affollata ed, in realtà, solo alcuni dei suoi componenti erano davvero attivi. Qualcuno nel corso del tempo si è allontanato, altri sono subentrati. Non è mai mancato il confronto vivace delle idee, ma è stato sempre accompagnato da un forte spirito di gruppo.   

Credo che quanto ho appena detto a proposito delle ragioni che mi hanno spinto ad assumere la direzione di QG fornisca già un’indicazione circa il ruolo che la rivista ha inteso svolgere ed ai campi che ha privilegiato nel periodo in cui la ho diretta, e vi tornerò rispondendo alle domande seguenti. Posso dire però sin d’ora che, in termini generali, l’obiettivo di fondo di una rivista come QG mi è parso dovesse essere quello di fornire, non solo ai magistrati ma ad ogni operatore del diritto, uno strumento che aiuti a compiere il difficile esercizio consistente nel coniugare il rigoroso rispetto del principio di legalità con l’indispensabile sforzo di realizzare, nelle concrete vicende della vita, i valori espressi in altri principi fondamentali della Costituzione, a cominciare dall’eguaglianza e dalla solidarietà sociale. Si è inteso favorire, per quanto una rivista che tratta argomenti giuridici possa farlo, l’ideale di un magistrato attento a non travalicare il suo ruolo ed a non sconfinare nell’arbitrio, ma al tempo stesso alieno da una concezione meccanica e burocratica della giurisdizione. Mi paiono ancora assai significative, in questo senso, le pagine del numero monografico che, nel 2006, furono dedicate al rapporto tra il giudice e la legge.

 

Nonostante Questione Giustizia venga talvolta rappresenta come “la rivista d MD” o addirittura come l’house organ del gruppo, essa è nata e ha vissuto come una rivista “promossa” da MD , caratterizzata da un vivace pluralismo culturale, ricca di apporti esterni alla magistratura e dotata di un’ampia autonomia. Quanto è importante per Md e per Questione Giustizia questa autonomia? Ed è stato difficile mantenerla nel periodo della tua direzione? 

Se non vuole essere un grigio bollettino di gruppo e la custode di una - peraltro inesistente - ortodossia, una rivista ha il dovere di smuovere luoghi comuni e suscitare dibattiti e confronti. Vi sono state particolari turbolenze e contrasti nella fase della tua direzione? E quali?

Proverò a rispondere congiuntamente a queste due domande.

Ho sempre considerato l’autonomia della rivista un bene prezioso: una delle sue più importanti caratteristiche. Col che non voglio certo negare il legame genetico della rivista con MD, ma intendo significare essenzialmente due cose: che le scelte editoriali debbono competere esclusivamente alla redazione e che la rivista può e deve ospitare anche contributi di magistrati eventualmente iscritti ad altre correnti (oltre che, ovviamente, di non magistrati). Il legame genetico cui accennavo, ossia il fatto che QG sia una rivista promossa da MD, fa sì che del comitato di redazione possano far parte anche componenti dell’esecutivo o lo stesso segretario di MD, come in effetti è accaduto al tempo della mia direzione, senza che però ciò abbia mai incrinato il carattere collegiale della redazione né abbia mai implicato una qualsiasi forma di subordinazione di questa agli organi direttivi della corrente. E’ naturale che la rivista si ispiri ai principi ed ai valori fondanti di MD, che la promuove; ma mi è sempre parso fondamentale che essa non assuma la veste di portavoce della corrente, la quale del resto già dispone di propri specifici strumenti comunicativi, e che, anche quando chiamata ad occuparsi di vicende riguardanti la vita associativa o a questa collegate, la rivista lo faccia con un sufficiente grado di distacco critico, manifestando con chiarezza gli orientamenti della redazione ma rendendosi sempre pronta ad ospitare opinioni diverse. 

Nel periodo di cui parlo non sono certo mancati temi controversi. Valga per tutti l’esempio del referendum costituzionale del 2016, cui fu dedicato uno specifico obiettivo in un numero trimestrale della rivista ospitandovi sostenitori di opinioni contrapposte. E sotto vari aspetti temi controversi erano anche, per non fare che altri due esempi, quello del multiculturalismo e quello dei beni comuni, che pure furono trattati in altrettanti obiettivi della rivista trimestrale, per non parlare dell’immigrazione e del diritto di asilo cui molto spazio fu costantemente riservato anche nelle quotidiane rubriche della rivista on line.     

Non va dimenticato che l’apertura al mondo esterno alla corporazione dei magistrati, su cui mi riservo di tornare rispondendo ad un’altra domanda, costituisce una delle ragioni fondanti di MD, cui si lega in modo evidente il taglio culturale della rivista e la sua vocazione ad occuparsi di argomenti capaci di riscuotere un più vasto interesse. Che questa sia la funzione di QG e che quindi essa non debba esser concepita alla stregua di uno strumento di lotta associativa, credo nessuno dei componenti della redazione con cui ho collaborato lo abbia mai messo in dubbio. Era però (come mi pare sia tuttora) una redazione ricca di personalità, nella quale quindi (e per fortuna!) hanno sempre convissuto sensibilità ed attitudini diverse. La discussione non è mai mancata, ed in un gruppo di persone come quello i dissensi erano fisiologici, ma mi sento di ribadire che non sono mai stati aspri e che il clima in cui abbiamo lavorato è sempre stato ispirato a reciproca stima e rispetto. E’ però naturale che le diverse esperienze e sensibilità abbiano talvolta comportato anche una maggiore o minore propensione di taluni a privilegiare temi interni alla magistratura (l’ANM, il Consiglio superiore, la formazione dei magistrati ed altro ancora), sempre peraltro di rilevante impatto sociale, e di talaltri a volersi invece piuttosto occupare di argomenti di cultura giuridica generale. 

Se qualche difficoltà ho avvertito, sotto questo profilo, è stato nel riuscire ad inserire nel corpo redazionale elementi esterni alla magistratura ordinaria, o alla magistratura tutta. Nondimeno, giudico positiva, ancorché limitata nel tempo, l’esperienza fatta con l’aiuto di una giornalista professionista, Donatella Stasio, cui fu affidata la rubrica Controcanto, proprio allo scopo di ospitare un punto di vista sulle vicende di giustizia che fosse esterno alla magistratura. Sempre nella logica di far assumere alla rivista un ruolo di osservatorio culturale su tutto quanto concerne la giustizia e la giurisdizione, mi sarebbe anche piaciuto poter approfondire maggiormente di quanto accaduto nel quadriennio di cui parlo temi afferenti alla giustizia amministrativa e contabile. Resto convinto che ne varrebbe la pena, in considerazione della sempre maggiore importanza che questi diversi plessi giurisdizionali sono andati acquisendo nell’attualità del nostro vivere sociale e della mancanza nel loro specifico ambito, se non m’inganno, di strumenti dotati della vivacità culturale di QG.

 

L’esistenza e la vitalità di riviste e di altri organi di pensiero dei gruppi della magistratura – come centri studi e fondazioni – sono una vivente smentita della vulgata polemica di una magistratura impegnata solo nella difesa delle prerogative di corporazione e interessata esclusivamente a nomine e carriere. Quale è, a tuo giudizio, lo stato di salute e l’incisività degli strumenti di cultura e di comunicazione di cui dispone la magistratura?

Condivido appieno la premessa a questa domanda. Mai come nell’attuale fase storica, purtroppo, l’associazionismo dei magistrati attraversa una grave crisi, in larga parte dovuta allo scolorirsi delle ragioni ideali che erano originariamente a fondamento delle diverse correnti associative ed al fatto che esse hanno finito poi per operare talvolta più come consorterie di potere che come aggregati di persone intorno a valori comuni. Proprio per questo occorre ribadire l’importanza di riviste nel cui ambito possa sopravvivere e riaffermarsi la funzione culturale, e quindi anche politica, nel senso più alto della parola, che le correnti dovrebbero svolgere e senza la quale l’associazionismo dei magistrati rischia di trascorrere da un glorioso passato ad un’ingloriosa fine. 

Mi pare perciò di poter dire che QG (ed ancor prima Quale Giustizia, che ne è stata in certo senso la progenitrice) sia da sempre un esempio eclatante dell’impegno culturale che ad una corrente associativa si richiede per essere fedele a se stessa e che quindi, nella presente temperie, sia necessario più che mai valorizzarne la funzione. 

Nel restante panorama delle riviste ricollegabili ad iniziative di gruppi di magistrati mi sembra che l’unica pubblicazione accostabile a QG sia oggi Giustizia insieme, il cui taglio editoriale è un po’ diverso ma che in sostanza svolge un analogo ruolo di approfondimento e riflessione a tutto tondo sui temi della giustizia e sul loro collocarsi nel mondo contemporaneo. La trovo apprezzabile e, se anche la si volesse considerare come una concorrente di QG, ce ne si dovrebbe comunque rallegrare giacché si tratterebbe di una concorrenza benefica. Ve ne fossero altre dello stesso genere, magari promosse anche da altre correnti!

 

La rivista parla all’opinione pubblica interna alla magistratura, al ceto dei giuristi, ai giornalisti che si occupano di temi istituzionali e dei problemi della giustizia. È possibile e utile operare per conquistare l’attenzione di nuove fasce di lettori come i giovani delle Università e gli aderenti a organizzazioni sociali, sindacali e culturali  interessati ai temi del diritto e dei diritti? 

L’idea che la magistratura non debba considerarsi quasi fosse un corpo separato di sacerdoti del diritto, unicamente dediti ad esercizi combinatori di concetti giuridici ed alieni dal confrontarsi con la realtà sociale e con le tensioni che la animano, per non rischiare di perdere la loro purezza, come ho già accennato è stata una delle ragioni fondanti di MD. Sin dal suo sorgere MD ha rivendicato la necessità di una giurisdizione aperta alla società e consapevole della sua ineliminabile componente “politica”. Il che non contraddice il fondamentale requisito dell’imparzialità del giudice di fronte ad ogni singola vicenda sottoposta al suo esame, ma esprime al medesimo tempo l’impegno alla piena ed effettiva attuazione dei principi ispiratori della Costituzione repubblicana. Principi che sono, a loro volta, storica espressione della concezione politica sulla quale si fonda la comunità nazionale. Mi sembra perciò sin troppo evidente che una rivista promossa da MD debba potersi rivolgere non solo alla corporazione dei magistrati ma anche – oserei dire soprattutto – al mondo dei giuristi nel loro complesso e, per quanto possibile, alla società intera: è questo il suo proprium, la sua stessa ragion d’essere. 

QG, è ovvio, si presenta anzitutto come è una rivista giuridica, che si occupa perciò di diritto, ma di riviste giuridiche nel nostro paese ce ne sono sin troppe ed a chi si voglia informare dello stato della giurisprudenza e della dottrina per poter meglio affrontare una qualche vertenza gli strumenti specialistici di certo non mancano. La specifica funzione di QG consiste nel trattare argomenti di diritto, con la competenza e l’approfondimento richiesti a dei giuristi, allargando però l’obiettivo e cercando di coglierne e di analizzarne anche gli aspetti e le ricadute politico-sociali. Il che vale ulteriormente a sottolineare la necessità di tenere ben aperte le finestre che danno verso l’esterno del mondo (talvolta un po’ troppo ristretto) dei magistrati e dei giuristi di professione in genere: perché la giustizia, evocata dal nome stesso della rivista, è nozione ben più ampia e profonda del semplice diritto. Ed allora alla domanda se sia opportuno cercare di rivolgersi ad una fascia sempre più ampia di lettori, tra i quali porrei in primo piano universitari e giovani, rispondo di sì senza esitazioni, pur con la consapevolezza che non è mai facile serbare un giusto punto di equilibrio tra l’indispensabile rigore scientifico nell’approccio alle questioni di diritto, comunque destinate a rimanere al centro dell’attenzione della rivista, ed il tono occorrente per farsi intendere da una platea di lettori molto diversificata.

 

La formula editoriale di Questione Giustizia prevede la coesistenza della trimestrale, monografica o centrata su “obiettivi” di approfondimento e della Rivista on line che pubblica quotidianamente uno o più articoli. Quale è il tuo giudizio su questa combinazione? Può essere variata o arricchita, ad esempio affiancando alla Rivista una collana di libri o pubblicando una edizione cartacea limitata dei numeri della trimestrale? 

Quando ho assunto la direzione di QG si era appena deciso il passaggio della rivista dalla versione cartacea a quella on line. Non si trattava però solo di mutare il supporto materiale degli articoli. Si voleva anche uno strumento di comunicazione più agile, che favorisse la possibilità di intervenire con maggiore tempestività sui temi di volta in volta suggeriti dall’attualità, come la modalità on line consente di fare, pur con il maggiore impegno conseguentemente richiesto alla redazione, che – è doveroso aggiungerlo – vi si prestò con entusiasmo. Ci interrogammo sull’utilità di tenere in vita anche l’edizione trimestrale della rivista e convenimmo sull’importanza di conservare uno spazio di riflessione sistematica e più approfondita su determinati temi. Ci parve che, se la quotidianità dell’on line consentiva di far sentire prontamente la voce della rivista su una molteplicità di questioni di più immediato interesse, le pubblicazioni trimestrali dessero la possibilità di una più meditata programmazione riguardante argomenti di maggior portata e di più ampio respiro. Ricordo anzi che, inizialmente, si discusse se i numeri della trimestrale dovessero essere rigorosamente monografici, per scandagliare il più possibile ognuna delle tematiche di volta in volta affrontate, o se potessero anche ospitare argomenti diversi ai quali riservare uno o più specifici “obiettivi”. Prevalse alla fine quest’ultima soluzione, pur senza escludere che talvolta si potesse dedicare un intero numero ad un singolo argomento, come in effetti poi accadde, per esempio, in tema di formazione dei magistrati ed in tema di carcere. 

A molti di noi, nostalgici della carta stampata (quorum ego), a dire il vero, non sarebbe spiaciuto che i numeri trimestrali continuassero ad esser pubblicati nel tradizionale formato cartaceo, più consono ad una lettura sedentaria, lenta e meditata che ad essi meglio si attaglia. Ostacoli di tipo economico ed organizzativo, però, non lo consentivano ed anche per i numeri trimestrali fu giocoforza ricorrere al supporto informatico accontentandosi di far uscire in qualche rara occasione un “Quaderno di Questione giustizia” a stampa. 

Stando così le cose, ho l’impressione che i singoli contributi raccolti in un numero trimestrale, a dispetto dell’intento sistematico che li vorrebbe collegati agli altri, siano anch’essi sovente letti separatamente, non diversamente da quanto accade per gli scritti fruibili di volta in volta singolarmente on line, facendo venire in parte meno la ragion d’essere della distinzione tra i due diversi tipi di pubblicazione. Non ne deduco, però, che tanto varrebbe allora rinunciare alle pubblicazioni trimestrali, perché rimango persuaso che esse conservino quell’originaria funzione di stimolo ad un’impostazione maggiormente sistematica cui ho già prima accennato. Se però si dessero ora le condizioni per poter trasporre su carta almeno alcuni dei numeri trimestrali, non ne sarei affatto dispiaciuto.

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