1. Per comprendere in modo pieno il ruolo della conciliazione nel processo del lavoro, questa va collocata nell’ambito della specialità del rito.
Un rito che rappresenta la prima e probabilmente la più efficace applicazione dei principi di immediatezza, concentrazione e oralità, secondo quanto teorizzato da Chiovenda.
Che cosa significa specialità del rito del lavoro e quali sono le sue caratteristiche principali, per quanto in particolare ci interessa oggi.
La semplicità delle forme e la valorizzazione dei poteri del giudice, non solo istruttori, ma più in generale di impulso.
La valorizzazione della comparizione personale delle parti e dell’interrogatorio libero e, più in generale, della partecipazione personale delle parti al processo e dell’immediatezza del rapporto tra le parti e il giudice. Infatti, il processo del lavoro è un processo che si rivolge più che ai tecnici, alle parti, concepite come i reali protagonisti.
Il ruolo della conciliazione, con la presenza delle parti, che può essere tentata senza alcun limite nel corso del giudizio e che rappresenta il modello sulla base del quale è stato poi successivamente introdotto l’art. 185 bis c.p.c., con il quale la conciliazione ha fatto il suo ingresso normativo anche nel processo civile ordinario.
Il ruolo centrale della conciliazione è connesso alla concezione secondo cui scopo del processo è la composizione della lite.
L’ordinamento non tende a negare il conflitto, ma a riconoscerlo e a disciplinarlo, predisponendo gli strumenti affinché possa essere superato, risolto in modo autentico. Il processo, infatti, non interessa solo le parti, ma in primo luogo la collettività ed ha una funzione pubblica.
Il processo e la conciliazione nel processo, quindi, sono strumenti pubblici di composizione del conflitto.
Questa è una premessa importante, perché ne consegue che scopo del processo non è la sentenza, ma la migliore composizione della lite.
La sentenza, infatti, è un atto con cui l’ordinamento entra a gamba tesa nella vita delle persone, un atto che ha le sue regole e le sue caratteristiche, che attribuisce per definizione torti e ragioni e non è detto che sia il migliore strumento di composizione della lite.
Questa è una considerazione che vale ormai in termini generali nel processo civile, ma vale in modo particolare nel processo del lavoro.
Infatti, bisogna sempre ricordare che il processo del lavoro interviene non solo dopo il rapporto, ma anche nel rapporto, per cui a maggior ragione ha intrinsecamente uno scopo di composizione dei conflitti.
Si pensi ad esempio ad una controversia sulla qualifica nel corso del rapporto o anche ad una ipotesi di interruzione del rapporto che termina poi in una reintegra nel posto di lavoro.
Anche la nostra realtà locale ci fornisce degli spunti, in quanto spesso, nel tessuto produttivo del nostro territorio, i rapporti familiari e quelli lavorativi si intrecciano. Quindi a maggior ragione vanno ricercate soluzioni in grado di disciplinare il conflitto nella prospettiva di una soluzione autentica, utile.
In un processo in cui si tutelano diritti fondamentali e che è forse il processo del conflitto per eccellenza, quello che si determina nei rapporti di lavoro, la conciliazione è sempre stata protagonista, fin dalla rivoluzione industriale, con la nascita della giurisdizione probivirale (introdotta in Italia alla fine dell’ottocento), che alla risoluzione delle liti accompagnava sempre una finalità conciliativa.
Queste considerazioni, sulla conciliazione e lo scopo del processo e del processo del lavoro in particolare, consentono anche di chiarire che la conciliazione non ha in quanto tale una finalità deflattiva, che vuole in qualche modo accelerare una soluzione, purché arrivi presto. Lo scopo della conciliazione è diverso e deve restare tale ed è quello, come detto, della composizione della lite e del conflitto, della soluzione di un problema.
Chiaramente la conciliazione, se praticata con successo, reca anche conseguenze positive sulla riduzione dei tempi di durata dei processi. Questo è un argomento che non può essere ignorato e che, anzi, va valorizzato, ma che non può essere considerato in maniera scissa rispetto alla genesi e allo scopo dello strumento.
2. Collocata concettualmente la conciliazione, portato di questa impostazione è una specifica mentalità del giudice e dei difensori, che sono chiamati a svolgere un ruolo propulsivo.
Non a caso oggi parliamo di teoria e pratica della conciliazione.
Il ruolo dei difensori è fondamentale ed è quello di rendere chiara alle rispettive parti la convenienza della soluzione conciliativa, valorizzando quegli aspetti specifici, caso per caso, in cui più questa convenienza si manifesta e che in parte sono anche estranei al merito della decisione della causa in quanto tale. Si pensi ad esempio al ruolo dei tempi, ai costi, alla tensione emotiva del processo, alla riduzione della qualità della vita che deriva dal conflitto, per quanto riguarda in particolare la parte datrice di lavoro, all’interesse alla conciliazione che spesso riduce le implicazioni del rischio di soccombenza rispetto alla collettività aziendale e consente la possibilità di una gestione negoziale meglio guidata e articolata nei confronti dell’intera forza lavoro (come capita in caso di possibilità di pluralità di futuri giudizi aventi uno stesso oggetto).
Il ruolo dei difensori deve essere anche quello di stimolo a non irrigidirsi, in particolare su questioni di principio, perché le parti con il loro atteggiamento possono anche andare contro il loro interesse e il ruolo del difensore è quello di farglielo comprendere.
Altra questione fondamentale è la gestione delle aspettative delle parti, che anche vede i difensori in un ruolo delicato, ma essenziale.
Pensiamo ad un caso ricorrente nella nostra giurisdizione locale, quello in cui sulla base delle asserzioni del lavoratore, che chiaramente dal suo punto di vista è convinto delle sue buone ragioni, ma non ha una preparazione tecnico-giuridica, spesso dai consulenti vengono formulati conteggi per asserite differenze retributive per cifre esorbitanti, centinaia di migliaia di euro, ad esempio per lavoro straordinario.
Chiaramente sta al difensore far capire alla parte che non basta avere un conteggio per ottenere la cifra in giudizio, ma che bisogna seguire un iter processuale che parte dall’accurata allegazione e descrizione del fatto, che rappresenta la parte fondamentale del ricorso.
Per cui se la parte non è in grado di fornire questa descrizione, o comunque non è possibile, per i più svariati motivi, tradurla in modo convincente in un ricorso, la parte deve essere richiamata dal difensore a quella che è la sua reale convenienza, con la valutazione in primo luogo dell’opportunità del giudizio e poi coltivando l’apertura alla conciliazione insieme alla controparte e al giudice, anche perché esiste il tema del rischio di causa, che sul piatto della conciliazione reca sempre un peso che deve essere valutato in maniera attenta.
In termini generali, quindi, quando la fase preparatoria e introduttiva del giudizio è accurata ed è individuato al meglio negli atti il tema della decisione e della prova, l’obiettivo conciliativo risulta più concretamente perseguibile. Del pari, anche la conoscenza da parte del giudice degli atti di causa favorisce l’individuazione del percorso conciliativo, che deve sempre avere un riferimento oggettivo rispetto alla vicenda di causa e al tema del giudizio.
In questa stessa ottica la partecipazione delle parti alla conciliazione davanti al giudice è fondamentale ai fini della sua efficacia, perché accade che dove non arriva il difensore possa il giudice, anche attraverso la proposta conciliativa dell’ufficio.
Infatti, la pratica della conciliazione implica anche il ruolo propulsivo del giudice, che nella fase conciliativa si estranea dall’aspetto decisionale, cercando di suggerire dei contenuti di composizione utili.
Questo riferimento alla circostanza per cui nella fase conciliativa il giudice si estranea dall’aspetto decisionale è utile sotto un duplice profilo.
In primo luogo perché dà l’opportunità di rimarcare che in nessun caso la proposta conciliativa del giudice o i ragionamenti fatti in sede di conciliazione rappresentano un’anticipazione della decisione.
In secondo luogo consente di comprendere che nella fase della conciliazione entrano in gioco una pluralità di strumenti, culturali, psicologici, certamente giuridici, ma non solo.
Così come l’atteggiamento del giudice durante la conciliazione deve essere diverso rispetto a quello dell’istruttoria e della decisione, del pari deve esserlo anche l’atteggiamento dell’avvocato, che non deve porsi nella fase della conciliazione come si porrebbe nella dialettica processuale propriamente intesa, ma con un atteggiamento diverso, volto a cogliere e valorizzare pienamente tutte le opportunità per la migliore composizione della lite.
Questo non significa conciliare per forza, ma mettere in campo uno strumentario più ricco, nell’interesse delle parti.
La conciliazione rappresenta un momento autonomo della professionalità sia del giudice che dei difensori ed è bene coltivarlo, in aula e in occasioni come questo incontro.
3. Per coltivare la conciliazione concretamente, mettendo in pratica quanto detto, è centrale il ruolo dell’udienza.
La conciliazione, infatti, secondo le migliori prassi che ne hanno comprovato l’utilità, per essere efficace vuole l’udienza e la presenza delle parti.
Un’udienza che quindi si deve svolgere in modo disciplinato, dedicando tempi congrui alla trattazione delle cause, per il libero interrogatorio, per discutere con la controparte e con il giudice.
L’udienza che è irrinunciabile, nel processo del lavoro, anche in contesti giudiziari gravati da molte pendenze e in cui l’organizzazione del lavoro è una vera sfida per il Tribunale e per il singolo giudice, perché non è facile strutturare un’udienza in cui dare spazio alle attività di cui stiamo parlando, dovendo tenere conto della pendenza di centinaia e centinaia di cause, anche di iscrizione molto risalente.
Non è facile, ma è un investimento sulla qualità del processo, anche per le cause più risalenti, rispetto alle quali in particolare sarebbe auspicabile una ripresa determinata della conciliazione, perché può portare a risultati più soddisfacenti di una sentenza, che purtroppo arriva troppo tardi.
Il ruolo dell’udienza di lavoro per la conciliazione deve permanere anche nell’epoca della trattazione scritta, questa nuova forma processuale figlia dell’emergenza sanitaria da COVID-19, a tutti gli effetti quasi un nuovo rito, ormai introdotta in via definitiva con l’ultima riforma del processo civile, a partire da gennaio 2023.
La trattazione scritta è di certo uno strumento utile, che può trovare un uso proficuo soprattutto nelle cause documentali, come spesso sono quelle del contenzioso previdenziale, oppure quando ci sono già state udienze in presenza e non è percepito come necessario che se ne svolgano ulteriori anche dalle difese, che in ogni caso hanno la possibilità di sollecitare sempre lo svolgimento dell’udienza in presenza.
Castrovillari, in particolare, vive la condizione concreta di un circondario di Tribunale molto ampio, con un contesto territoriale sostanzialmente sprovvisto di mezzi pubblici e con strade non sempre nelle migliori condizioni. Quindi anche di questo è opportuno tenere conto nell’uso della trattazione scritta, laddove la trattazione della causa non ne risenta, ma ne possa derivare un’utilità pratica, anche per i difensori e le parti.
Ciò posto, nella trattazione delle cause di lavoro, nello svolgimento del processo resterà necessario salvaguardare il ruolo dell’udienza in presenza per valorizzare il momento della conciliazione, con il suo portato positivo di possibilità di composizione della lite.
4. Da ultimo, alcune considerazioni di ordine pratico sul verbale di conciliazione di cui all’art. 420 c.p.c.
Quanto al contenuto del verbale di conciliazione, questo deve certamente contenere:
- l’indicazione dell’oggetto della lite e una sintesi delle domande;
- la manifestazione dell’intenzione di conciliare e le condizioni della conciliazione, con l’indicazione degli importi al lordo;
- la rinuncia alle domande e al giudizio;
- la disciplina delle spese e la rinuncia alla solidarietà professionale.
Relativamente alle spese, la riforma da ultimo entrata in vigore (il decreto ministeriale 147/2022, che ha modificato il decreto 55/2014, specificamente all’art. 4 comma 6), ha introdotto ulteriori incentivi, prevedendo che nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, il compenso per tale attività è determinato nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, aumentato di un quarto, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta.
Sempre con riguardo al contenuto del verbale, chiaramente le parti sono libere di strutturarlo come meglio ritengono, ferma restando una verifica finale di liceità da parte del giudice, anche con riguardo alla tutela di diritti indisponibili (ad esempio, non potrebbe essere inserita in un verbale di conciliazione una pattuizione in virtù della quale, a chiusura di una lite, una lavoratrice accetta una somma rinunziando ai permessi parentali).
È poi importante ricordare che il verbale di conciliazione giudiziale ha efficacia di titolo esecutivo, per cui da un punto di vista pratico, per quanto attiene alle condizioni previste, equivale ad una sentenza di condanna.
Un aspetto specifico su cui soffermarsi è poi quello della necessità della procura speciale di cui all’art. 185 c.p.c., come alternativa alla presenza personale delle parti per la conciliazione.
La presenza delle parti è comunque preferibile, con lo scopo di renderle pienamente edotte di quanto sta accadendo e delle condizioni che stanno accettando, nonché della rinuncia al giudizio.
In verità questo è anche il motivo che porta a ritenere necessaria o comunque preferibile la procura speciale, piuttosto che a limitarsi al mandato già conferito al difensore, ove la partecipazione personale delle parti non sia possibile.
Infatti, la procura speciale svolge una funzione di trasparenza e di garanzia nei confronti della parte, ma anche a tutela del difensore, sia rispetto alle condizioni della conciliazione, che alla rinuncia al giudizio. Addirittura si rinvengono casi in cui i difensori all’interno della procura speciale inseriscono persino le condizioni della conciliazione, proprio in questa duplice prospettiva, che porta a ritenere ampiamente preferibile l’impiego della procura speciale in caso di assenza delle parti.
Da ultimo, la redazione del verbale di conciliazione è stata semplificata dalla normativa dell’emergenza sanitaria COVID-19, in particolare l’art. 88 comma 2 disp. att. c.p.c. (come modificato dall’art. 3 comma 1-bis del d.l. 30 aprile 2020 n. 28) oggi prevede che, in caso di redazione del verbale di conciliazione giudiziale con strumenti informatici, della sottoscrizione delle parti, del cancelliere e dei difensori tiene luogo apposita dichiarazione del giudice che tali soggetti, resi pienamente edotti del contenuto degli accordi, li hanno accettati.
Da un punto di vista pratico, raggiunto l’accordo tra le parti i difensori possono depositarlo in via telematica in un documento in formato PDF, in modo che possa essere trasfuso direttamente dal giudice in un verbale telematico di conciliazione giudiziale.
Questa stessa procedura può essere utilizzata anche per la conciliazione durante l’udienza da remoto, tramite l’applicativo Microsoft Teams e, perché no, potrebbe essere utilizzata anche in trattazione scritta con il consenso di tutte le parti, la presenza della procura speciale, se il testo della conciliazione fosse ritenuto idoneo dal giudice, ma senza dubbio è preferibile investire su un’udienza in presenza.
Relazione svolta all’incontro Teoria e pratica della conciliazione, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Castrovillari (8 novembre 2022, Aula Magna del Consiglio dell’Ordine, presso il Palazzo di Giustizia).