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Contrasto al terrorismo

Il parere del CSM sul ddl di conversione approvato nei giorni scorsi dal Parlamento
Contrasto al terrorismo

All’indomani dell’entrata in vigore del recente decreto-legge n. 7/2015 in materia di contrasto al terrorismo, anche internazionale, il C.S.M. ha dapprima promosso, il 2 e 3 marzo, due giornate di confronto tra attori istituzionali ed operatori e poi approvato, il 18 marzo, un articolato parere sul ddl convertito nei giorni scorsi dal Parlamento (la legge 17 aprile 2015 n.43 è pubblicata in g.u . n. 91 del 20 aprile 2015) che, prendendo le mosse del testo governativo, offre uno sguardo d’insieme sull’intervento riformatore.

Dopo aver manifestato perplessità in ordine al ricorso, in ossequio ad una tendenza ormai consolidata, allo strumento della decretazione d’urgenza per regolare materie, quale quella ordinamentale, che richiederebbero adeguata ponderazione e calibrata attuazione, il C.S.M. mostra di apprezzare l’ambizione del decreto-legge di assecondare e facilitare l’azione preventiva e di accrescere, al contempo, efficienza e completezza della risposta giurisdizionale.

Aggiornato ed ampliato il catalogo delle attività criminali meritevoli di sanzione, il decreto ribadisce, una volta di più, la centralità delle attività informative in relazione a fenomeni criminali di portata mondiale, radicati in realtà territoriali in cui poco più che illusoria è la prospettiva di contare sugli ordinari strumenti di cooperazione.

Alle agenzie vengono, dunque, assegnati compiti imprescindibili, la cui esecuzione presuppone l’apprestamento di un idoneo catalogo di garanzie funzionali.

Sotto altro aspetto, si incide sull’architettura ordinamentale attribuendo alla preesistente Direzione Nazionale Antimafia compiti di coordinamento in materia di antiterrorismo senza, tuttavia, che tale schema venga mutuato a livello distrettuale.

Se tangibile appare lo sforzo finalizzato ad accrescere i margini di sicurezza ed efficienza operativa, pressante emerge, per contro, la necessità di cogliere, in concreto, la declinazione della riaffermata separazione tra prevenzione e giurisdizione.

Nel dibattito tra chi reputa che l’attribuzione alla D.N.A. di compiti di coordinamento investigativo rischi di tradursi in vuota enunciazione di principio se non accompagnata dal conferimento di competenze e poteri e quella di chi, al contrario, privilegia un approccio ispirato ad una prudente ottica garantistica, il C.S.M. ha suggerito di apportare al decreto le modifiche idonee ad un equilibrato ed efficiente contemperamento, anche in relazione alla necessità di trovare, in una situazione connotata dall’incombente rischio di attentati terroristici, un nuovo asse di equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela della privacy.

 

23/04/2015
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Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

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Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia

Nella scelta del sorteggio per la provvista dei membri togati dei due CSM separati e dell’Alta Corte disciplinare c’è qualcosa che va oltre il proposito di infliggere una umiliazione alla magistratura. E’ il tentativo di far rivivere una concezione della magistratura come “corporazione” indifferenziata, nella quale non sono ravvisabili - e comunque non sono legittime - diverse idealità e diverse interpretazioni degli interessi professionali. E’ solo in quest’ottica infatti che si può ritenere che ciascuno degli appartenenti al “corpo”, anche se scelto a caso, possa rappresentarlo nella sua interezza e decidere in suo nome. In questa visione della magistratura si esprime una logica di “restaurazione” che mira a cancellare e a smentire il percorso culturale, ideale ed istituzionale compiuto dalla magistratura negli ultimi cinquanta anni, appiattendola sull’unica dimensione di un corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative. 

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Malgrado i ripetuti interventi chiarificatori della Corte Costituzionale circa la riconducibilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, soprattutto, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, rispettivamente tutelati dagli articoli 21 e 15 della Costituzione, alla categoria dei diritti inviolabili previsti dall'art.2 della stessa, appaiono sempre più frequenti ed invasivi i casi in cui il vaglio del tenore letterale e logico degli scambi comunicativi privati, comunque acquisiti in sede penale,  diviene parametro di determinante giudizio nell'ambito di procedimenti amministrativi relativi all'assegnazione o alla conferma di delicate funzioni giurisdizionali. Questa circostanza, oltre a far emergere il problema generale dei limiti della trasmigrazione in ambito amministrativo di materiale proveniente da indagini penali, sembra incoraggiare un atteggiamento di prudente circospezione in ogni comunicazione privata non costituente reato che dovrebbe per definizione costituzionale rimanere libera sia nell'espressione sia nell'utilizzazione in contesti diversi. Resta da vedere se un simile atteggiamento di cautela giovi alla piena esplicazione di libertà fondamentali e se un eventuale difetto  di prudenziale avvedutezza possa legittimare l'autorità amministrativa ad invadere con finalità critiche un'area che andrebbe preservata da contaminazioni esterne.

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