La politica progressista, anch’essa recentemente coinvolta da una nuova energia femminile, sta tornando finalmente a interrogarsi sul nesso che lega questioni basilari per la dignità di lavoro ‒ come il salario minimo e le garanzie da riconoscere alle nuove categorie di lavoro subordinato introdotte dall’economia dell’outsourcing e dello sharing ‒ con la peculiarità della condizione femminile sul lavoro. Il cumulo dei carichi di cura genitoriale e familiare, che la legislazione previdenziale continua a porre in modo del tutto sproporzionato a carico delle donne, l’abuso dello strumento del part-time ‒ e, dopo la pandemia, anche dello smart working ‒ nei confronti delle lavoratrici più che nei confronti dei lavoratori, un indefesso gap salariale tra i generi e il discorso mai affrontato della gratuità (socialmente imposta e pretesa) del lavoro domestico e familiare, continuano a rendere il lavoro femminile meno garantito e più a rischio di sfruttamento e di discriminazione rispetto a quello maschile, anche in assenza di altri fattori di rischio discriminatorio oppure in presenza di eguali fattori di rischio, perché l’essere donna interagisce “intersezionalmente” con i fattori di vulnerabilità, ad esempio quelli legati alla provenienza, all’etnia o alla marginalità sociale, e ne potenzia gli effetti.
Riproponiamo oggi, per riaprire e per continuare questa riflessione, i contributi di Elisabetta Tarquini e di Marta Giaconi, già pubblicati sul fascicolo della trimestrale interamente dedicato al Diritto femminile, n. 4 del 2022.
Le discriminazioni economiche e di carriera delle donne nel mercato del lavoro
di Elisabetta Tarquini, consigliera della Corte d’appello di Firenze
Il settore del diritto del lavoro e dei luoghi di lavoro è stato forse quello più sensibile, negli ultimi decenni, a un profondo processo di riforma europeo (cd. gender mainstreaming) che, appunto su spinta sovranazionale, ha introdotto in molti ordinamenti – compreso quello italiano – una dotazione sempre maggiore di normative antidiscriminatorie per proteggere le donne da discriminazioni e molestie sui luoghi di lavoro. Questo processo non è, tuttavia, certamente compiuto. Il contributo focalizza anzi le attuali sacche di resistenza alla parità di genere in ambito lavorativo e le nuove sfide per affrontarle, in particolare per ciò che riguarda il principio, tuttora diffusamente inattuato, della parità retributiva. Nonostante l’assolutezza del divieto di discriminazione salariale, infatti, è incontrovertibile l’esistenza di un significativo gender pay gap in Italia, come (seppure con differenze significative) all’interno dell’Unione.
Le molestie nei confronti delle lavoratrici
di Marta Giaconi, avvocata, ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca
Il saggio delinea rapidamente il quadro normativo in materia di molestie di genere e sessuali sui luoghi di lavoro. Attraverso i richiami normativi, dall’art. 2087 cc all’art. 26 d.lgs n. 198/2006, il tema viene declinato da un lato nel contesto della protezione di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dall’altro lato in quello delle norme antidiscriminatorie. In conclusione, il contributo dà conto delle più rilevanti previsioni contenute nella Convenzione ILO n. 190 del 2019 e del loro possibile impatto a seguito della ratifica del 2021.
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