1. La giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla natura giurisdizionale del procedimento disciplinare, anche nella fase che precede l’incolpazione
Con la recente sentenza n. 4014 del 2 maggio 2024 il Consiglio di Stato, confermando la pronuncia di primo grado, ha ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui la natura giurisdizionale, e non amministrativa, del procedimento disciplinare, anche nella fase che precede la formulazione dell’incolpazione ovvero della archiviazione della notizia, esclude che l’accesso agli atti possa seguire le regole di cui agli artt. 22 ss. l. 7 agosto 1990, n. 241, «atteso che quelli di cui si chiede l’ostensione non sono documenti amministrativi, bensì atti processuali». E’ stato ribadito, in particolare, che tale caratterizzazione «connota anche la fase preliminare, in quanto segmento del procedimento disciplinare preordinato alla verifica dei presupposti dell'azione disciplinare stessa, ma anche all'accertamento dell'esistenza di un illecito che, se di scarsa rilevanza (ai sensi dell'articolo 3 bis del d.lgs. 109/2006) ne legittima la definizione con un provvedimento di archiviazione, quale esito della valutazione sul merito della ipotetica “accusa” di violazione degli obblighi di rilevanza disciplinare sanciti dal ridetto testo normativo».
Il Consiglio di Stato nell’occasione ha ribadito trattarsi di «principi consolidati, in quanto confermati da copiosa giurisprudenza, dai quali non v’è motivo per discostarsi (cfr. Cons. Stato, IV, 6 aprile 2020, n. 2302; Cons. Stato, Sez. V, 6 aprile 2020, n. 2309; Cons. Stato, Sez. V, 29 marzo 2021, n. 2593; Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2021, n. 5712; Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2022, n. 5647; Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 14664 del 2011)».
L’arresto del supremo organo della giustizia amministrativa ha ritenuto «dirimente che, in base al combinato disposto di cui agli artt. 14, comma 3, e 15, comma 4, del d. lgs. n. 109 del 2006, può essere data notizia dell’esercizio dell’azione disciplinare esclusivamente al Ministro della giustizia, al Consiglio Superiore della Magistratura ed all’incolpato, ma non al denunciante; analogamente, ai sensi dell'art. 16, comma 5-bis, del d. lgs. n. 109 del 2006, il “provvedimento di archiviazione”, con cui può essere definitiva la fase predisciplinare, è comunicato al solo Ministro della giustizia il quale, se dissente, può esercitare l’azione disciplinare».
In applicazione del brocardo interpretativo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, «il terzo denunciante, in quanto non espressamente menzionato tra i soggetti legittimati ad avere notizia dell’avvio del procedimento o copia del provvedimento di conclusione della fase predisciplinare non ha titolo neppure per avere copia, in generale, degli atti istruttori relativi a tale fase di verifica preliminare»: il sistema delle norme indica la precisa volontà legislativa, una volta operato il bilanciamento degli interessi, di dare prevalenza alle esigenze di riservatezza previste a tutela della indipendenza dei magistrati, per i quali «il doveroso rispetto delle regole di deontologia e correttezza professionale è assicurato, nell’ambito del rapporto di servizio, da parte degli organi a ciò preposti dalla legge, sebbene con modalità tali da garantirne il massimo riserbo, anche a fronte di esigenze di carattere difensivo opposte motivatamente da soggetti terzi, come accade nel caso di specie».
Il Consiglio di Stato corrobora ulteriormente le proprie conclusioni attraverso il richiamo degli insegnamenti della stessa Corte costituzionale, che in più occasioni, da ultimo con la sentenza n. 170 del 2015, ha chiarito che il legislatore «è stato indotto a configurare tale procedimento “secondo paradigmi di carattere giurisdizionale” (sentenza n. 497 del 2000) per l’esigenza precipua di tutelare in forme più adeguate specifici interessi e situazioni connessi allo statuto di indipendenza della magistratura (sentenze n. 87 del 2009 e n. 262 del 2003)».
Da ultimo, nel senso della natura giurisdizionale anziché amministrativa anche degli atti di indagine, il Giudice amministrativo ritiene conclusiva la previsione di cui dall’art. 16, comma 2 del predetto decreto legislativo secondo cui: «Per l'attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale…»: rinvio che, nella sua portata onnicomprensiva, ricomprende certamente anche “le sommarie indagini preliminari” di cui all’art. 15, comma 1, prodromiche alla decisione sull’avvio dell’azione disciplinare, oltre al provvedimento di archiviazione che ne segna la conclusione.
Gli atti della fase predisciplinare si collocano in un «medesimo ed unitario procedimento – disciplinare – avente natura sostanzialmente giurisdizionale»: non può dunque logicamente, ancor prima che giuridicamente, ammettersi «una cesura ontologica tra fase (necessaria) ante incolpazione e successiva fase (eventuale) post incolpazione, tale da determinare una differente applicabilità della disciplina in materia di accesso. L’istanza di accesso riguarda infatti atti che assolvono ad una imprescindibile funzione strumentale all’ulteriore prosieguo del procedimento, partecipando consequenzialmente della natura giurisdizionale dello stesso: per tali sono quindi sottratti alla disciplina generale sull’accesso agli atti amministrativi stricto sensu intesi».
2. Il concorde orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione: interesse pubblico alla funzione giurisdizionale e non ostensibilità degli atti della fase predisciplinare del procedimento
Nell’occasione il Consiglio di Stato, senza incertezze né margini di ripensamento, ribadisce pertanto la natura giurisdizionale dell’intero procedimento disciplinare, sin dalla ricezione della notizia da parte della Procura generale, cui spetta, unitamente al Ministro della giustizia, il potere di iniziativa disciplinare (art. 14 co.1 d.lgs. n. 106/2009). L’approdo è da tempo condiviso anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che dopo un iniziale orientamento di segno contrario[1] ha poi virato sulla soluzione di segno opposto[2] che riconosce l’impossibilità di attrarre i provvedimenti assunti in materia disciplinare nell’orbita dell’amministrazione «poiché essi non perseguono finalità riconducibili a tale area, né effettuano in alcun modo ponderazioni di interessi in chiave di imparzialità (amministrativa) ex art. 97 Cost., bensì hanno finalità di giustizia e, per ciò che concerne l’archiviazione, si pongono come alternativa allo sbocco, certamente giurisdizionale ed eventualmente sanzionatorio, susseguente all’esercizio dell’azione. Da ciò la sottrazione delle archiviazioni disciplinari al regime di impugnazione presso la giurisdizione amministrativa[3]. Questa configurazione è l’unica in armonia con le coordinate costituzionali della potestà disciplinare, di cui è menzione nell’art. 105 e nell’art. 107 della Carta fondamentale, in diretta correlazione con la garanzia ordinamentale dell’organo di governo autonomo della magistratura. L’interesse sotteso alla funzione disciplinare intercetta come tale la funzione giurisdizionale affidata ai magistrati, influendo su di essa e ripetendone la specificità, così da far dire che il relativo procedimento si colloca in un’area “giurisdizionalizzata” del suo complesso».
Da questa premessa generale discende, coerentemente, il corollario circa la riservatezza degli atti, e la loro non ostensibilità al terzo che li reclama in nome di un diritto alla trasparenza che non si concilia con la stessa fisionomia del procedimento, e che d’altronde non è supportato da un interesse specifico in capo all’esponente. Ciò che va sempre sottolineato, in tema, è lo scopo stesso del procedimento disciplinare, che non tutela l’interesse specifico dell’esponente, quand’anche questo rivesta carattere pubblico istituzionale, ma piuttosto è volto alla salvaguardia del funzionamento della giustizia. All’esponente non spetta un qualche potere di impulso procedimentale né egli è titolare di un diritto di partecipazione al procedimento stesso, nemmeno in fase pubblica.
3. La struttura organizzativa del servizio disciplinare della Procura generale della Corte di cassazione, in particolare per ciò che riguarda la fase predisciplinare
A partire dal caposaldo costituito da queste premesse d’ordine generale, la Procura generale della Corte di cassazione ha strutturato il servizio disciplinare tenendo conto della necessità della diversa ma contigua gestione delle due fasi, quella predisciplinare, che ha in carico tutti gli esposti che dalle varie fonti pervengono all’Ufficio, e quella più propriamente disciplinare che segue alla formulazione del capo di incolpazione. Ad ognuna di esse è preposto un Avvocato generale, ma è unico il gruppo di sostituti addetti al servizio, attualmente in numero di 15, stante la necessità di privilegiare la continuità nella trattazione dello stesso fascicolo nelle varie fasi.
Con il recente ordine di servizio n. 43 del 28 settembre 2023 si è data nuova organizzazione al lavoro dei magistrati impegnati nel servizio disciplinare. Al riguardo, va premesso che con ordine di servizio n. 34 del 2020 era stato istituito un apposito gruppo incaricato del preliminare esame delle segnalazioni di rilievo disciplinare, con il compito di effettuare il vaglio delle stesse, al fine di disporne, se prive dei requisiti di cui all’articolo 15, comma 1, del decreto legislativo n. 109 del 2006, l’allegazione agli atti della segreteria disciplinare, realizzando in tal modo una archiviazione “diretta”, senza previa iscrizione di procedimento predisciplinare, «Nell’osservanza del principio di leale collaborazione, di tale modalità di trattazione il Ministro della giustizia è stato previamente informato (mediante interlocuzioni orali) e la stessa è stata poi formalmente comunicata con nota del 16 luglio 2020, prevedendo che delle archiviazioni “dirette” sia data notizia al Ministro[4]». Il richiamato ordine di servizio n. 43 del 2023 ha confermato detta modalità di trattazione, ma ha previsto che tutti i magistrati assegnati al Servizio disciplinare sono inseriti a rotazione in un turno giornaliero di ricezione della posta avente oggetto segnalazioni di carattere disciplinare. Al magistrato addetto al turno posta spetta la decisione – comunque sempre sottoposta al visto dell’Avvocato Generale deputato – circa il passaggio successivo: qualora la notizia appaia ictu oculi non sufficientemente circostanziata come richiesto dall’art. 15 co.1 del d.lgs. n. 109 del 2006, l’esposto potrà essere allegato agli ordinari atti di segreteria, non rientrando appunto nell’ambito della materia disciplinare; di detta allegazione viene data periodica comunicazione (di regola, ogni 15 giorni, con apposito elenco, redatto a cura della Segreteria disciplinare ed inoltrato al Ministro dall’Avvocato generale preposto al Servizio predisciplinare (o.d.s. n. 34 del 2020; § 8.7 dei Criteri organizzativi). Laddove invece si ravvisi la necessità di approfondimenti, eventualmente anche a tutela del magistrato oggetto della notizia, il sostituto provvederà all’iscrizione di un fascicolo predisciplinare, che tendenzialmente, secondo quanto previsto dall’ordine di servizio n. 44 del 3 ottobre successivo, gli verrà assegnato, in applicazione di un criterio predeterminato che in modo trasparente favorisce l’automatismo al fine di razionalizzazione del servizio, così da ottimizzare l’attività di esame già compiuta – salvo la sussistenza di oggettive ragioni di deroga. Nella stessa occasione, sono state emanate ulteriori direttive riguardo i requisiti che la notizia deve avere per comportare l’iscrizione del fascicolo predisciplinare. Tale incombente deve essere sempre disposto in caso di comunicazione proveniente dall’Autorità giudiziaria di apertura di procedimento penale a carico di magistrato, anche nel caso in cui sia già stata formulata da parte del PM la richiesta di archiviazione; stessa sorte viene riservata agli esposti ed alle segnalazioni provenienti dal CSM e da magistrati, tranne il caso di evidente assenza dei requisiti di cui al già citato art. 15; l’iscrizione deve poi disporsi in caso di segnalazioni, specialmente se provenienti da Avvocati, che riguardano più propriamente l’esercizio di attività giurisdizionale da parte del magistrato, a meno che il loro oggetto non appaia volto esclusivamente ad ottenerne un riesame nel merito, sulla base esclusivamente di censure che aggrediscono la valutazione operata dal magistrato.
Nonostante la previsione di un filtro che certamente non può dirsi a maglia fitta, ma che in pratica prevede l’espunzione in via preventiva della segnalazione dal raggio di esame della Procura Generale prevalentemente nei casi di esposti palesemente privi dei requisiti previsti dalla legge per l’iscrizione del fascicolo disciplinare, sono numerosi i casi in cui non vi sono le condizioni per procedervi: nel 2023, su 1854 notizie pervenute, si è disposto per la loro allegazione agli atti di segreteria in 1161 casi. Sino alla data del 31 maggio 2024, a fronte della ricezione di 961 fra notizie ed esposti, pari sorte è stata destinata a 704 di essi[5].
Nonostante l’accertata carenza di valenza disciplinare degli esposti poi allegati agli atti di segreteria, l’Ufficio, come detto, procede periodicamente alla trasmissione dell’elenco dei provvedimenti adottati al Ministro perché eventualmente dopo averne preso visione opti per una attivazione in proprio, secondo quanto consentitogli dalla Costituzione e dalla legge.
4. Gli esiti della fase predisciplinare
L’iscrizione di un fascicolo prediscipinare a carico di uno o più magistrati, eventualmente non individuati nominativamente, ma sempre localizzati nell’Ufficio di appartenenza, è l’atto che apre più propriamente alla prima fase del procedimento che, entro un anno, deve tassativamente chiudersi con l’archiviazione ovvero con la formulazione del capo di incolpazione, che segna l’inizio della fase disciplinare propriamente detta.
Nel corso del termine annuale previsto dalla legge (il cui decorso può essere sospeso ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 109/2006 in caso di pendenza di procedimento penale per gli stessi fatti) il sostituto assegnatario del fascicolo può di fatto svolgere una serie limitata di accertamenti che comunque non lo mettono in diretto contatto con il magistrato oggetto della segnalazione. Sul punto la legge pur in assenza di precise indicazioni lascia dedurre che possono disporsi esclusivamente acquisizioni documentali, ivi comprese le informazioni trasmesse dall’organo di vertice del distretto, rispettivamente per l’ordine giudicante e per quello requirente, che a loro volta potranno procedere a sentire i capi degli uffici di appartenenza del magistrato interessato, a cui potrà essere chiesta anche una relazione sui fatti oggetto di esposto. La cautela che circonda la stessa attività di accertamento comprova da un lato l’estrema delicatezza della fase procedurale, dall’altro il connaturale carattere di riservatezza che la contraddistingue. Si richiamano qui i principi giurisprudenziali sopra riportati, che appunto vanno a sancire questa conclusione, unica in grado di conciliarsi con le premesse generali da cui si sono prese le mosse.
I dati statistici riportati puntualmente nella Relazione del Procuratore generale pubblicata in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno giudiziario danno conto di una tendenziale omogeneità del rapporto numerico tra le due principali tipologie di esito della fase predisciplinare: la allegazione agli atti di segreteria rappresenta circa il 65/70% del complesso delle definizioni. La percentuale delle azioni complessivamente avviate nel corso del 2023 risulta pari a circa il 13% dei procedimenti predisciplinari iscritti nello stesso anno: 90 azioni a fronte di 693 iscrizioni.
I dati sopra riassunti forniscono alcune indicazioni di immediata evidenza: la fase predisciplinare assume nel complessivo sistema un compito di fondamentale importanza in quanto deputata a svolgere quella essenziale funzione di filtro, tanto più necessaria a fronte di un diffuso ricorso alla denuncia alla Procura generale per fini che esulano completamente dagli scopi della giustizia disciplinare. Di qui un ulteriore addentellato: la fase predisciplinare non è altro rispetto a quella disciplinare propriamente detta. Ne è la premessa, necessaria e irrinunciabile, e ne condivide natura e scopo: non potrebbe avere dunque carattere meramente amministrativo, posto che, come detto, non solo essa può definirsi con l’archiviazione quando non si ravvisano gli estremi dell’illecito disciplinare, ma altresì quando il comportamento è connotato da quella particolare tenuità di cui all’art. 3 bis d.lgs. n. 109 del 2006, dimostrazione questa dell’ampio spazio valutativo riservato dal Legislatore alle determinazioni della Procura. Le quali, peraltro, sono assoggettate allo scrutinio del Ministro della Giustizia al quale per legge vengono trasmessi tutti i provvedimenti di archiviazione, relativamente ai quali può entro dieci giorni richiedere la trasmissione di copia degli atti e, nei sessanta giorni successivi, chiedere al Presidente della Sezione disciplinare del Consiglio la fissazione dell’udienza di discussione orale, previa formulazione dell’incolpazione secondo il catalogo degli illeciti di cui agli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 109/2006 (art. 16 co. 5 bis d.lgs. cit.): potere questo a cui il Ministro nei fatti fa ricorso molto raramente, dato che nel 2024 ad oggi risulta esercitato in una occasione, e che occorre risalire al 2020 per rinvenire un precedente.
Il sistema congegnato dal Legislatore trova così una sua coerente architettura, ed un bilanciamento ragionevole che impedisce ogni esercizio arbitrario ed incontrollato da parte della Procura generale del potere di archiviazione della notizia pervenuta.
5. La pubblicazione nel sito web della Procura generale delle massime di archiviazione
Il rispetto del dovere di riservatezza, che – per le ragioni strettamente giuridiche di cui si è detto - impedisce dunque di far conoscere agli stessi interessati il contenuto del provvedimento con cui viene archiviato il procedimento predisciplinare nei loro confronti, non impedisce però che la Procura generale si faccia carico di rendere noti, ai cittadini ed ai magistrati, i criteri ed i principi che trovano applicazione in caso di archiviazione. E’ stato così strutturato un sistema di pubblicazione nel sito web della Procura generale (https://www.procuracassazione.it/it/massime_di_archiviazione.page), accessibile al pubblico, di una sorta di massimario, riferito ai decreti che hanno costituito l’occasione per l’affermazione di principi aventi portata di interesse generale, la cui diffusione, pur nel riserbo circa la vicenda che vi ha dato origine, costituisce un servizio reso ai cittadini ed ai magistrati perché siano noti i criteri secondo i quali una condotta integra, o meno, gli estremi dell’illecito disciplinare.
Viene data così pubblicità non alle vicende individuali, che restano rigorosamente anonime, ma ai paradigmi di principio a cui l’Ufficio si attiene nel definire il procedimento con l’archiviazione, in luogo dell’esercizio dell’azione disciplinare: ciò a cui si è determinato, ad esempio, nel ritenere che «L’insindacabilità in ambito disciplinare dei provvedimenti giurisdizionali e delle interpretazioni adottate esclude che la loro inesattezza tecnico giuridica possa di per sé sola configurare l’illecito disciplinare del magistrato, a meno che sia conseguenza di scarso impegno e ponderazione o di approssimazione e limitata diligenza, ovvero sia indice di un comportamento del tutto arbitrario e rischi perciò di compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario» (massima del 3.1.2024); sono poi riportati numerosi casi generali in cui si è ritenuto operare la cd. “clausola di salvaguardia” di cui al 2° co. dell’art. 2 del d.lgs. n. 109/2006 a fronte di comportamenti in cui si estrinsecava l’attività di interpretazione di norme e di valutazione dei fatti, denunciati come erronei o comunque penalizzanti dagli interessati. Per quel che attiene i ritardi, altro terreno di forte attenzione dall’esterno, ma anche dall’interno della magistratura, è stato ribadito che «Il mero dato oggettivo del superamento del termine processuale di deposito dei provvedimenti non determina l’automatica rilevanza disciplinare della condotta, posto che tale ritardo deve risultare qualificato in quanto reiterato, grave ed ingiustificato, ferma la presunzione relativa di non gravità indicata nella seconda parte della disposizione», ovvero che «Nel caso di ritardi nel deposito dei provvedimenti, pur gravi e reiterati, il fatto può ritenersi di scarsa rilevanza e comportare l’applicazione della scriminante di cui all’art. 3 bis del d.lgs. n. 109/2006, quando gli stessi non abbiano fatto venire meno la fiducia e la considerazione delle parti che subiscono direttamente gli effetti dei ritardi medesimi e, per altro, non abbiano compromesso l’immagine del magistrato nell’ambiente giudiziario in cui egli opera in ragione della bassa incidenza oggettiva della reiterazione» (massime del 5.2.2024).
Ancora in via esemplificativa, su di un terreno quanto più al centro di polemiche e attacchi strumentali alla magistratura, si è precisato che «Non rientra nelle fattispecie di illecito disciplinare funzionale previste dalle lettere c), d), u) e v) dell’art. 2 del d.lgs. n. 109/2006 e, in generale, non integra violazione del dovere di imparzialità, l’adozione di provvedimenti in una materia legata a temi di rilevanza sociale, in relazione ai quali il magistrato abbia, in passato, partecipato ad una manifestazione di protesta civica, qualora ciò sia avvenuto nell’ambito e nei limiti di un civile dibattito, con modalità lecite, nell’osservanza dei limiti imposti dalle funzioni, senza compromissione di affidabilità, credibilità ed l’immagine di imparzialità della magistratura, ed in mancanza di ogni collegamento diretto dell’oggetto della protesta con procedimenti trattati dal magistrato, trattandosi di condotta espressione della libertà di manifestazione del pensiero» (massima del 15.5.2024). E’ stato altresì affermato che «La manifestazione del pensiero, da parte del Magistrato, su temi generali di carattere politico o culturale, può ritenersi disciplinarmente rilevante, per il principio di tipicità degli illeciti disciplinari, solo quando sia diffamatoria (art. 4, lett. d, del d.lgs. n. 109 del 2006), o costituisca violazione del dovere di correttezza e di riserbo prevista da una delle fattispecie tipizzate dagli artt. 2 e 3, non potendo invocarsi la generica violazione del generale dovere di riserbo previsto dall’art. 1 (Fattispecie relativa alla pubblicazione su sito internet di un articolo da parte di un magistrato)» (massima del 4.7.2023).
Si tratta, nelle intenzioni della Procura generale, di un servizio che contribuisce alla definizione delle linee di intervento che vengono seguite dall’Ufficio, che pur nell’osservanza delle regole di riservatezza che la legge impone, intende così farsi carico della evidente sussistenza di un forte interesse di carattere pubblico rispetto alla verifica dei criteri che vengono utilizzati per l’esercizio di una attribuzione di tale importanza.
6. Le prospettive di riforma: gli attriti con i principi generali, le aporie evidenti, le indubbie criticità
La pubblicazione delle massime di archiviazione discende dunque dal proposito della Procura generale della cassazione di fornire alla generalità degli interessati indicazioni quanto più utili e significative a proposito della reale dimensione della materia disciplinare: proprio a partire dalla considerazione della sua stessa natura e della sua ragione d’essere che, come detto, non sta nella necessità di correzione o di rettifica dell’errore, o di sanzione della generica violazione delle regole etiche, ma nel compito di isolare e colpire quei comportamenti che rientrano nelle specifiche fattispecie astratte individuate dal Legislatore e tipizzate nelle previsioni normative di cui agli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 109 più volte citato, rispetto a cui si è scelto di affermare la responsabilità disciplinare del magistrato, e che sono state individuate come irrinunciabili barriere poste a garanzia del funzionamento della giurisdizione.
In proposito, non ci si può esimere da una considerazione sull’assetto presente di cui ci si dovrebbe far carico nel momento in cui ci si propone di sovvertirlo con interventi che aggrediscono gli stessi equilibri costituzionali.
Non è per caso, o per dimenticanza, che la nostra Costituzione si occupa espressamente, ed esclusivamente, della responsabilità disciplinare dei magistrati (artt. 105 e 107), tralasciando ogni riferimento a quella che può riguardare i magistrati delle altre giurisdizioni ovvero gli altri dipendenti pubblici. La scelta dei Costituenti è da riferirsi alla chiara percezione che riguardo alla peculiarità dello status del magistrato ordinario, e delle sue prerogative di indipendenza e di autonomia, strumentali all’esercizio della funzione giudiziaria, la responsabilità disciplinare non ha il senso solo di un sistema volto a garantire il rispetto delle regole professionali di condotta. Essa si colloca in quel più ampio quadro in cui si inserisce il ruolo della giurisdizione, di architrave rispetto alla stessa costruzione dello stato di diritto: di qui il senso di una responsabilità disciplinare che non assolve solo al compito di correggere le storture dei comportamenti professionali o extraprofessionali dei magistrati, ma va oltre, nella direzione dell’interesse pubblico, e della tutela dell’ordinamento generale. Di qui l’affermazione, per vero risalente, per cui la materia disciplinare, cui appunto è sotteso un interesse pubblico, rappresenta un unicum nel quadro costituzionale (così C. Cost., sent. n. 220 del 1994).
Non appare chiaro se di queste premesse hanno tenuto conto i proponenti il Disegno di Legge costituzionale del 29 maggio 2024 che al suo art. 4, che si propone di modificare l’art. 105 Cost., nell’affermare la necessità di affidare la giustizia disciplinare per la (sola) magistratura ordinaria ad una Alta Corte disciplinare «composta da quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti … nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità», nella scarna disciplina contenuta nell’articolato, hanno previsto che «Contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata».
Dalla sintetica previsione di un organo la cui composizione è lasciata essenzialmente alla casualità dell’estrazione a sorte non emerge con sufficiente nettezza la strada intrapresa: la prima impressione che si registra è quella di una volontà di differenziare sì la giustizia disciplinare della magistratura ordinaria, ma secondo un intento del tutto svalutativo della stessa potestà dei magistrati di eleggere i componenti dell’ordine chiamati a giudicarli, a differenza di ciò che si prevede per la generalità degli ordini professionali. E’ dunque ben arduo giustificare la “superiore” collocazione dell’Alta Corte rispetto alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, perché certo non può sostenersi che essa possa discendere dalla modalità di scelta dei giudici chiamati a comporla, affidata alla cieca sorte.
Né è dato comprendere la ragione di una previsione circa la appellabilità della decisione «anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte» perché davvero non si vuole credere che i proponenti possano voler escludere il ricorso al Giudice di legittimità, da un lato limitando la prospettiva a quella di una giurisdizione domestica, per di più così caratterizzata nella sua composizione, dall’altro pretermettendo ogni considerazione del principio costituzionale dell’art. 111 Cost. E’ legittimo dubitare, pur nell’estrema sinteticità del testo, che i proponenti abbiano tenuto conto della granitica premessa da cui è necessario partire, ovvero della natura giurisdizionale dell’intero procedimento, sin dalla iscrizione del fascicolo predisciplinare, premessa che discende quale corollario insuperabile della speciale funzione della materia, a corredo e completamento degli attributi di indipendenza ed autonomia dell’intera magistratura.
Ma vi è altro: immaginare l’istituzione di un’unica Alta Corte nell’ambito di una riforma costituzionale che in direzione opposta, opta per la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, pone non pochi interrogativi, per ora privi di risposta, sull’individuazione dell’Ufficio titolare del potere di azione. Non è infatti così piana la soluzione di lasciare alla Procura generale il potere sin qui assegnatole di promuovere l’azione, nei confronti di magistrati che appartengono a carriera diversa e separata. Dal testo del ddl non può desumersi nulla sul punto, posto che esso si limita ad operare un rinvio del tutto generico alla legge che dovrà determinare «gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni», indicare «la composizione dei collegi», stabilire «le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte», limitandosi a prevedere che ci si dovrà assicurare che nei collegi siano rappresentati «i magistrati giudicanti o requirenti»: senza chiarire peraltro se la congiunzione disgiuntiva stia a segnare l’alternativa, nel qual caso sarebbero poi da definire le condizioni alle quali si dovrebbe attuare.
Di certo, le disposizioni contenute nel Disegno di legge costituzionale lasciano molte aree oscure e problematiche: su tutto, va detto, aleggia un intento che non sembra ispirato all’idea del miglioramento del servizio ma che muove da una dichiarata volontà punitiva che dovrebbe colpire tutta la magistratura nel suo complesso. Oltre ogni difesa corporativa, e ogni volontà di conservazione, è doveroso richiamare il limite invalicabile di cui all’alto monito del Presidente della Repubblica a proposito di «quanto possono essere gravi le conseguenze di una erosione dei pilastri di uno stato di diritto qualora vengano sottratti spazi di indipendenza alla giurisdizione ovvero siano influenzate politicamente le nomine e le carriere dei magistrati[6]».
Orbene, l’ambito dell’indipendenza della magistratura, come si è sopra raffigurato, è segnato anche dai limiti e dalle modalità attuative della giustizia disciplinare nei confronti dei magistrati: anche su questo terreno, non è certo attraverso facili concessioni ai populismi del momento che potranno essere rafforzate le irrinunciabili difese all’impianto dello stato di diritto.
[1] Cass., Sez. UN., n. 26809/2009.
[2] Cass., Sez. Un., n. 14664 del 2011.
[3] Deve dunque riportarsi a grave imprecisione l’affermazione di cui al commento della riforma (D.D.L. cost. 29.5.2024, Norme in materia di ordinamento giurisdizionale (sic) e di istituzione della Corte disciplinare) che mira all’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, da Sabino Cassese, nell’intervista rilasciata a Il Riformista il 31 maggio 2024 («D: L’Alta corte che giudica i magistrati, sostituendo la sezione disciplinare del CSM, può servire a dare del loro operato un giudizio terzo? R: L’Alta Corte rappresenta un grosso progresso perché, composta di una maggioranza di magistrati, sei giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte, è un organo che può svolgere anche la funzione di appello e quindi rafforza il carattere domestico della giustizia disciplinare, così mettendo nelle mani degli stessi magistrati ordinari un compito che oggi è svolto dal Consiglio di Stato. Questo, come è noto, è più volte intervenuto modificando decisioni prese dal Consiglio superiore della magistratura. Mi sembra un passaggio importante, forse non sufficientemente apprezzato dai magistrati combattenti», https://www.ilriformista.it/sabino-cassese-la-riforma-nordio-importante-ma-non-epocale-non-vedo-ostacoli-allapprovazione-e-basta-con-le-toghe-combattenti-423630/), posto che il Consiglio di Stato non ha né mai ha avuto il ruolo di giudice d’appello delle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, su cui è previsto in via esclusiva il sindacato di legittimità delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
[4] Intervento del Procuratore generale della Corte di cassazione nell’assemblea generale della Corte sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2020, Roma, 29 gennaio 2021, pag. 213.
[5] Le statistiche complete riguardanti l’ultimo decennio sono state pubblicate nell’appendice all’Intervento del Procuratore generale in occasione dell’Inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, reperibile all’indirizzo https://www.procuracassazione.it/resources/cms/documents/Intervento_del_Procuratore_generale_sullamministrazione_della_giustizia_nellanno_2023_2.pdf, p. 343 ss.
[6] Così il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 12 giugno 2024 ai delegati della Rete europea dei Consigli di giustizia.