Le acque della cultura sono come quelle di un fiume si dividono, serpeggiano, tornano a unirsi.
(Ivan Illich)
Chissà che cosa avrebbe detto il filosofo Ivan Illich (Genere, per una critica storica dell’ugaglianza 1984) scomparso nel 2002, vedendo questo documentario recentissimo della regista Elisa Amoruso che racconta una storia vera.
Secondo Illich, infatti, la cultura evolve come una lingua e genera forme di comportamento indipendenti dalla programmazione genetica, nonché un livello di vita non traducibile in termini biologici.
Questa idea della contemporaneità che evolve nelle questioni dell’identità di genere ci accompagna nel racconto -con la voce degli stessi protagonisti – in una storia vera che è quella di Pino sportivo e baffuto pilota di rally – ora titolare di un’autofficina nel quartiere romano di San Giovanni – che diviene, ad una svolta della sua vita, Beatrice.
Così Pino si racconta nella propria commozione, fuori di ogni auto compiacimento, fino alla scelta di divenire transessuale - senza operazioni demolitorie- tiene a precisare- per ricongiungersi con il proprio genere.
Pino, ormai Beatrice, incontra Mariana, badante rumena a servizio della madre di lui e se ne innamora.
In questo teatro delle metamorfosi non c’è retorica né estraneità perché non c’è alcuna solitudine nella scelta di genere fatta da Pino e da Mariana.
Pino/ Beatrice viene dalla sua famiglia presentato a Mariana già in abiti e attributi femminili.
Racconta Mariana, che oggi fa la sarta, con la sua stessa voce: “. mi dissero: ti presento mio fratello.. prima non capivo poi lui mi ha detto così ..che si era innamorato.”
Proprio qui il segno della sessualità si ribalta nell’accudimento reciproco e nella tolleranza della piccola comunità che li vede vivere e che si racconta.
Seguiamo Pino/ Beatrice in officina, truccata ed abbigliata, svolgere lavori di fatica ed interloquire con i clienti nella vita di ogni giorno:
“Qualche cliente l’ho perso perché dopo la mia trasformazione si sentiva a disagio… pazienza, molti hanno capito…”
Ma ne percepiamo anche i gesti di tenerezza verso la compagna e verso il figlio di lei, ugualmente accolto- pur nelle difficoltà comunicative di questo ragazzino- nell’alveo di una famiglia aperta per scelta di un non giudizio e fortificata dai legami affettivi non sgretolati dalla metamorfosi di Pino.
Mariana convive con Pino e, come in un racconto di favola eroica, Pino/ Beatrice racconta della sua fuga in macchina alla guida di un fuoristrada Terrano (grande macchina….dice) per 600 chilometri tutti di fila, fatti con il cuore in gola per riprendere Mariana in Romania ritrovarla, riportarla in Italia e sposarla.
“E’ vero abbiamo avuto difficoltà, ma il sindaco doveva sposarci! Io sono un uomo e lei una donna. è tutto in regola”.
E le parole di Pino / Beatrice pongono altre domande e stimolano fantasie e rivelazioni.
La straordinaria accettazione di Mariana e della comunità ci intriga nella visione dei due protagonisti ambedue in abito da sposa e il racconto sfuma nelle immagini tenere della madre novantenne di Pino/Beatrice che mormora in un’accettazione limpida e sorridente, mentre il figlio in minigonna e tacchi a spillo l’accudisce.. “Poi a Pino i baffi gli torneranno..”:
Così la storia di Pino e di Mariana diventa la storia stessa del corpo e della sua percezione nel mondo, in un possibile superamento dell’omologazione tra genere e sessualità, verso una verità di reale uguaglianza dei sessi e, soprattutto, verso l’assenza di quella paura di essere se stessi - che è la negazione della libertà –
Forse è davvero il caso di dire che la nostra contemporaneità, come dice Illich, va verso forme di evoluzione biologiche che fanno germogliare rami nuovi tra i quali non esiste una fecondazione incrociata, e questi rami, una volta consolidati, non si riuniranno mai più.