Magistratura democratica
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Il CSM italiano e lo "scandalo delle nomine" *

di Mariarosaria Guglielmi
presidente MEDEL

Pubblichiamo in versione italiana l'articolo di Mariarosaria Guglielmi originariamente apparso l'8 dicembre 2022 su Délibérée, revue de réflexion critique animée par le Syndicat de la magistrature, 2022/3 (N° 17)

1. Lo “scandalo delle nomine”: l’inizio di una  crisi “ a più facce”...

Con l’esplosione nella primavera del 2019 del cd. scandalo delle nomine si è aperta una stagione di  profonda crisi per il Consiglio Superiore della Magistratura ( CSM) e per tutta la magistratura. 

Quel che era stato svelato dall’inchiesta della Procura di Perugia segnava un salto di qualità rispetto alle pratiche di cattiva amministrazione, di uso non trasparente della discrezionalità e di condizionamenti prodotti da logiche clientelari,  che si sono registrate nella storia del Consiglio. Le “trattative” sulle  nomine da parte del CSM dei dirigenti di due importanti Procure - Roma e Perugia - che avevano coinvolto magistrati, componenti ed ex componenti del CSM (e fra questi l’ex Presidente dell’ANM), e politici esterni, anche interessati  da indagini condotte da quegli stessi uffici e “ammessi” a interloquire sulle strategie utili a influenzare il voto in Consiglio per la scelta dei futuri dirigenti,  recavano un pregiudizio grave  e  senza precedenti all’indipendenza della magistratura, portato dall’interno del CSM e maturato in “zone d’ombra" di vicinanza al potere politico[1]

In un breve periodo di tempo, la crisi istituzionale si è rapidamente aggravata e pericolosamente avvitata su se stessa, assumendo le forme di una crisi “sistemica”, e mettendo seriamente a rischio il funzionamento del Consiglio e la tenuta di tutto il sistema di autogoverno[2].

Sopravvissuto alla fase acuta dell’emergenza istituzionale e al gorgo della bufera mediatica che ha visto convergere lo sconcerto dell’opinione pubblica, l’indignazione degli stessi magistrati, e una strategia  di attacchi pubblici interessati a colpire il sistema di autogoverno nel suo momento di massima debolezza, il CSM si è poi dovuto confrontare con uno nuovo scenario nel quale la crisi ha manifestato le sue tante facce: la caduta di fiducia della collettività[3]; la perdita di credibilità e di legittimazione agli occhi della stessa magistratura di tutto il suo sistema di rappresentanza (nell’autogoverno e nell’associazionismo); il vuoto di elaborazione culturale  e politica nel quale in questi anni si sono consolidate le criticità emerse dalla grande riforma strutturale approvata nel 2007, in particolare quelle legate all’esercizio trasparente della discrezionalità da parte del CSM; lo spaccato aperto dalle indagini su una magistratura culturalmente distante dal modello costituzionale egualitario fondato sulla  pari dignità delle funzioni[4], e attratta da una nuova idea di “carriera”.

Un groviglio pericoloso di “nodi venuti al pettine”, in un contesto esterno interessato a contrastare ogni  tentativo di risalire la china e a “prendersi la rivincita”, promuovendo le più umilianti e incostituzionali proposte di riforma che si sono susseguite fino all’approvazione della cd. riforma Cartabia nel giugno 2022. 

 

2. ...E una “buona occasione” per rilanciare progetti di normalizzazione dell’autogoverno e della magistratura

Lo scandalo delle nomine ha restituito slancio a queste proposte, sempre sullo sfondo del  dibattito politico[5], e al progetto di scardinare le basi del  nostro sistema di rappresentanza: riformare il CSM per rimpicciolirlo[6], espropriandolo delle prerogative essenziali di discrezionalità, autonomia e peculiare politicità, necessarie per un'azione di governo della magistratura e per adeguare le scelte di organizzazione degli uffici alla complessità e alle esigenze della giurisdizione; ridurre le sue potenzialità democratiche, insite nella sua fisionomia di organo “rappresentativo” della magistratura (elettivo per i due terzi, secondo la Costituzione), e del pluralismo culturale che la caratterizza; sterilizzare il ruolo dell’associazionismo giudiziario e dei gruppi associativi nel dare espressione nei luoghi di rappresentanza a questo pluralismo e nel promuovere al tempo stesso un impegno comune per il servizio da rendere alla collettività.

La curvatura del dibattito pubblico sulle ragioni della crisi e sui rimedi da adottare ha reso evidente che la vera posta in gioco erano “questo” modello di autogoverno e il ruolo che, fra alti e bassi, il CSM ha svolto nella costruzione di un sistema giudiziario “democratico” e nel garantire una giurisdizione indipendente.

Nonostante gli evidenti profili di contrasto con  la Costituzione, che prevede  i componenti togati “eletti” da tutti i magistrati ordinari,  è tornato in auge il  sorteggio come metodo di selezione dei consiglieri togati, in tutte le possibili varianti: sorteggio degli eleggibili, elezione fra i sorteggiati, sorteggio tra gli ottimati, sorteggio tout court. Da ultimo anche sorteggio pilotato fra i magistrati più laboriosi. In ogni caso, una  selezione degli eleggibili sganciata da ogni collegamento ideale dell’eletto con i rappresentati: un preoccupante esperimento su un organismo rappresentativo, volto a  mortificare il valore delle elezioni come un momento collettivo per una comunità, e a negare il confronto tra idee e visioni diverse della giurisdizione e dell’amministrazione della giurisdizione e fra i gruppi associativi che ne sono portatori. 

«Contrastare l’emergente, patologico, fenomeno del “correntismo” nella magistratura, allentando il legame tra contesto associativo ed eletti nell’organo di autogoverno»[7]- obiettivo dichiarato del favore espresso per il sorteggio promossa dal Ministro della Giustizia Bonafede - è stato il mantra del  dibattito dei mesi scorsi sulla legge elettorale, nel quale però nessuna riflessione si è fatta a proposito delle distorsioni prodotte dal sistema  elettorale introdotto nel 2002,  più volte denunciate  dalla magistratura[8].

La proposta del sorteggio ha aggregato un fronte politico ampio e trasversale. Persino quella parte di opinione pubblica non  pregiudizialmente ostile alla magistratura e più attenta al rispetto delle sue prerogative di indipendenza: tutti concordi nel ritenere che i fatti  svelati dall’inchiesta di Perugia  fossero la  punta di un iceberg, e il momento di massima degenerazione raggiunto da un  sistema strutturalmente malato a causa della politicizzazione della magistratura, e delle logiche di lottizzazione con le quali, attraverso  i loro rappresentanti, gli apparati e le oligarchie interne alla correnti governano il Consiglio, correnti da neutralizzare introducendo un sistema elettorale atomistico, e di candidature individuali[9].

 

3. La reazione della magistratura

Se l’ANM esprimeva la sua netta contrarietà a progetti più radicali di riforma del CSM e reclamava una riforma elettorale in senso proporzionale, la proposta di sorteggio incrociava il sentire del momento di parte della magistratura, mostrando la  debolezza del  fronte interno di difesa del Consiglio. Non solo aperto sostegno invocato da chi  in questi anni ha manifestato sfiducia e poi rifiuto del sistema di autogoverno, eletto a simbolo della casta da abbattere[10] ma aperture anche da parte della componente più convinta dell’irrinunciabile valore dell’autogoverno: non il  male peggiore secondo alcuni, il necessario prezzo da pagare secondo altri. 

Le ragioni di questa  breccia che si è aperta nella magistratura partono da lontano: lo scenario svelato dall’inchiesta di Perugia ha segnato un salto di qualità in negativo rispetto ad un quadro di criticità, già da tempo conclamato, che ha prodotto un  progressivo scollamento fra magistratura e istituzione consiliare, e ha aperto un varco pericoloso nel quale, accanto alle posizioni di consapevolezza critica dei limiti mostrati dall’azione di governo della magistratura ma di difesa delle sue prerogative costituzionali, sono  cresciute le spinte antisistema e di rivolta contro l’intero meccanismo della rappresentanza.

La circostanza che, le strategie concordate in circuiti occulti e paralleli a quello della trasparente dialettica consiliare, avessero ad oggetto  la nomina di dirigenti di importanti uffici giudiziari spiega bene il pericoloso innesco creato dalla convergenza delle due spinte degenerative che in questi anni sono cresciute, traendo  reciprocamente impulso l’una dall’altra:  lo svuotamento del contenuto di  politicità della rappresentanza, favorito dalla pessima legge elettorale che ha prodotto investiture fondate su logiche alternative (interessi corporativi, legami personali e territoriali) e paradossalmente ridotto il potere degli elettori per effetto delle scelte fatte dai gruppi  presentando “liste bloccate” di candidati in numero corrispondente ai seggi attesi; l’incapacità della magistratura di  affrontare nell’autogoverno le criticità emerse nella fase di attuazione della riforma del 2007 e, in particolare, quelle relative all’esercizio delle prerogative più complesse attribuite al Consiglio, come la maggiore discrezionalità  nella scelta dei dirigenti.

Sotto la spinta delle contraddittorie istanze provenienti dalla base (in parte critica, in parte proiettata verso nuove forme di carrierismo) l’autogoverno non è stato in grado di mettere in campo un progetto nuovo e - esaurito lo slancio verso  l’attuazione della riforma del 2007- ha intrapreso un percorso di progressivo arretramento rispetto al suo ruolo di guida del cambiamento, assecondando il  ripiegamento della magistratura verso nuove forme di corporativismo e l’attenzione agli incarichi, e ignorando i segnali più chiari di sfiducia e di disaffezione provenienti da suoi settori sempre più consistenti.

 

4. Dalla crisi dell’autogoverno all’attacco alla giurisdizione

Riscrivere la storia giudiziaria del paese. Il culmine della crisi è stato raggiunto con il tentativo di delegittimare la giurisdizione: “rileggere” le indagini, “riscrivere” i processi e le sentenze, alla luce di un “sistema” di degenerazioni nell’autogoverno come nelle aule di giustizia,  di  una magistratura non imparziale ma politicizzata  e di una ANM da “sciogliere” perché "anomalia” della democrazia; cambiare la memoria di vicende, di intere stagioni giudiziarie, e dell’esperienza dell’associazionismo, che ha reso la magistratura italiana una componente grande e vitale della vita democratica del Paese e ha rappresentato un esempio anche per le magistrature di altri Paesi. 

Una narrazione alimentata dalle “voci di dentro”, e amplificata da quelle di “fuori”[11], per accreditare l’idea di giudici e pubblici ministeri ”militanti”, che  agisce per alterare le regole della democrazia e per ribaltare le scelte fatte dagli elettori nelle urne. 

“Argomenti” e slogan molto efficaci per ridurre al silenzio la magistratura durate la campagna elettorale avviata nel giugno 2021 sul  referendum  abrogativo - per una Giustizia giusta – come primo passo per dare il sostegno popolare a riforme più radicali dello statuto dei magistrati: dalla  introduzione responsabilità civile diretta, alla separazione delle carriere[12].

In questo nuova evoluzione della crisi, nessuna voce si è di fatto alzata- nel dibattito interno ed esterno-  a segnalare i rischi di fare terra bruciata intorno alla magistratura e di delegittimare la giurisdizione.

 

5. Tanto rumore per nulla o nuove falle nel modello costituzionale? 

In occasione del rinnovo del CSM,  esordirà nel settembre 2022 la legge nuova legge elettorale, parte della più generale riforma voluta dal Ministro Cartabia. Scampato il male maggiore del sorteggio (che ricompare “solo” per integrare le candidature volontarie se necessario per garantire la parità nella rappresentanza di genere), il nuovo complesso sistema conserva una curvatura fortemente maggioritaria e riserva (con un recupero proporzionale) poco più che un diritto di tribuna alle “minoranze”.

In un quadro di formale “conservazione” della fisionomia costituzionale della magistratura e dell’autogoverno, la riforma ha in realtà aperto due grosse falle verso la decostruzione di quel modello[13]: una spinta verso la logica aziendalista e la burocratizzazione, con l’ampliamento dei poteri dei dirigenti, il ricorso  allo strumento disciplinare per controllare la performance del giudice;  la separazione di fatto fra giudici e Pubblici Ministeri con la riduzione da 4 volte a una sola  entro 10 anni dalla nomina della possibilità di cambiare funzioni .

Se si considera che i passaggi erano già numericamente molto ridotti e comunque possibili solo a certe condizioni ( come il cambiamento della sede), si comprende che questa riforma risponde non alla necessità di produrre un miglior assetto istituzionale ma, al contrario, di creare le premesse per una definitiva separazione fra magistratura giudicante e quella requirente, che la Costituzione- dopo l’esperienza del fascismo- ha collocato in un ordine giudiziario unico, per metterlo “definitivamente” al riparo delle interferenza della politica.

L’obiettivo dichiarato da sempre, insieme  a quello della divisione del CSM, di molte forze politiche. E oggi rilanciato in vista della nuova campagna per le elezioni politiche di settembre, che potrebbero rendere una riforma costituzionale “a portata di mano”. 

Se anche fosse solo “questo” il lascito della crisi, si tratterebbe di un cambiamento radicale nell’assetto costituzionale della magistratura e del CSM: quello che ha garantito una giurisdizione indipendente, essenziale alla democrazia e allo stato di diritto. 


 
[1] «Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendano dalla Magistratura»: queste le dure parole con le quali il Presidente della Repubblica denunciava la gravità dello scandalo nella seduta straordinaria di Plenum da lui presieduta il 21.6.2019. Per una più ampia riflessione sul tema cfr. Questione Giustizia fasc. 3/2019, Magistrati oltre la crisi? Obiettivo 1. Magistrati oltre la crisi?, con introduzione  di  Ezia Maccora Guardando all’interno della magistratura: verso un nuovo associazionismo e una nuova etica della responsabilità, pag. 6 ss. https://www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/646/qg_2019-3_02.pdf

[2] In un anno circa si sono svolte tre elezioni suppletive per sostituire i componenti del CSM (in totale 6), costretti alle dimissioni perché direttamente coinvolti nello scandalo o per via di rapporti avuti con alcuni protagonisti dei fatti.

[3] Un sondaggio diffuso nel  giugno 2019 indicava la fiducia nella magistratura al minimo storico (35 per cento) https://www.corriere.it/politica/19_giugno_21/fiducia-minimi-35percento-il-61percento-scandalo-che-avra-conseguenze-58f46582-9464-11e9-bbab-6778bdcd7550.shtml   

[4] L’art. 107 c. 3 Cost. prevede che «i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni».

[5] Come osserva Marco Patarnello in 60 anni di vita: la struttura e le nostre rughe, in L'orgoglio dell'autogoverno: una sfida possibile per i 60 anni del Csm, in Questione Giustizia, n.4/ 2017, pag. 37 ss. https://www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/468/qg_2017-4_05.pdf, l’obiettivo di “cambiare i connotati” al CSM ha prodotto negli anni varie iniziative. Significativa è quella promossa nel 1990 Francesco Cossiga, all’epoca Presidente della Repubblica, che istituì la cd. Commissione Paladin con l’intento dichiarato di evidenziare i travalicamenti del Consiglio dalle sue funzioni ed “accusarlo” dinanzi al Parlamento perché lo riformasse. Un obiettivo fallito: la Commissione confermò  l’aderenza del Consiglio al suo ruolo disegnato nella Costituzione, ed ancora la relazione rappresenta un autorevole riferimento per chi voglia comprendere la natura complessa di questa istituzione.

[6] Così Nello Rossi in Rimpicciolire il CSM? Osservazioni critiche sul progetto di riforma del CSM, in Questione Giustizia online, 04/09/20, https://www.questionegiustizia.it/articolo/rimpicciolire-il-csm-osservazioni-critiche-sul-progetto-di-riforma-del-csm   

[7] Le cd. correnti rappresentano i diversi gruppi associativi che tutti aderiscono all’associazione unitaria rappresentata dalla Associazione Nazionale Magistrati (ANM).

[8] La riforma elettorale fu promossa dal Ministro della giustizia del governo Berlusconi, con il dichiarato intento di ridurre il peso delle correnti all’interno del Csm e «valorizzare il rapporto diretto di stima e fiducia tra elettori e candidato»: il  sistema proporzionale, fondato su liste contrapposte, veniva sostituito da un sistema maggioritario “puro”, con candidature di singoli in collegi su base nazionale distinti per le categorie rappresentate in Consiglio ( un collegio per due magistrati con  funzioni di legittimità;  uno per quattro magistrati con funzioni di pubblico ministero; uno per dieci magistrati con  funzioni di giudici di merito).

[9] L’equazione correnti = lobby, cricche e camarille al servizio dei propri affiliati e non di un ideale (come scriveva un autorevole  costituzionalista su La Repubblica nel marzo 2021) è la chiave di lettura di tutto l’originario progetto di riforma del Ministro Bonafede e degli interventi chirurgici, apparentemente di piccola portata, che proponeva, idonei a  cambiare  di fatto i tratti costituzionali del CSM, marchiando l’associazionismo come un fattore genetico di inquinamento e di alterazione dell’amministrazione della giurisdizione, e cambiando il senso della rappresentanza: significative erano la previsione di un sorteggio per scegliere i componenti delle varie  commissioni costituite all’interno del CSM per evitare  «la distribuzione dei posti tra le correnti all’interno degli organi attraverso cui si svolgono le funzioni di autogoverno», e il divieto per i consiglieri di costituire  gruppi, una «pratica attuata in via di fatto, ma fortemente presente e visibile tanto che i diversi componenti si presentano e si rapportano con l’esterno come, appunto, “gruppi”, per di più nominati esattamente come le correnti che quei componenti hanno candidato, in tal modo confermando che le correnti (che sono soggetti privati legittimi all’interno dell’Associazione nazionale magistrati) operano, impropriamente, all’interno dell’organo di autogoverno di tutti i magistrati e ne determinano le scelte» (così la relazione illustrativa al disegno di legge Bonafede del settembre 2020).

[10] Il referendum consultivo online indetto dall’ANM nel gennaio 2022, in relazione al quesito relativo al sorteggio, su 7.872 elettori, hanno espresso la loro preferenza 4.275 magistrati; per il 'No' sono stati  espressi 2.475 voti, per il 'Sì'' le preferenze sono state 1.787. Sul secondo quesito, sistema maggioritario o proporzionale , su 7.872 elettori, hanno espresso la loro preferenza 4.091 (affluenza al 51,97%): 3.189 sono stati i voti espressi a favore di un sistema "ad ispirazione proporzionale", mentre 745 sono stati quelli favorevoli al maggioritario.

[11] Grande successo di pubblico e nei media ha avuto un pamphlet, Il sistema, che ha proposto questa nuova chiave di lettura ispirato da uno dei magistrati coinvolti nelle vicende di Perugia, poi rimosso dalla magistratura.

[12] La consultazione referendaria promossa dalla Lega e dal Partito radicale si è svolta a giugno 2022 ma non è stato raggiunto il quorum.

[13] Denunciando le criticità della riforma, l’ANM ha indetto una giornata di astensione, che non ha però registrato le alte percentuali di adesione  che si sono avute in altre occasioni.

[*]

Titolo dell'originale francese: LE CSM ITALIEN ET LE «SCANDALE DES NOMINATIONS», © Editions La Découverte, Paris, 2022, disponibile su Cairn.info: Le CSM italien et le « scandale des nominations » | Cairn.info

20/12/2022
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