1. Una crisi di civiltà
E’ in atto, in tutto il mondo, una crisi delle democrazie. Anche nei paesi di più consolidata tradizione democratica, la democrazia si sta trasformando nel guscio vuoto delle elezioni, contenente solo taluni diritti elementari, peraltro sempre più malamente garantiti. Tutti i principi che la sostanziano – la pace, la partecipazione popolare alla vita politica e alla formazione delle decisioni pubbliche, l’uguaglianza delle persone, il valore e la tutela del lavoro, la garanzia dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza – sono indeboliti o variamente violati. Le violazioni del diritto e dei diritti e la loro impunità sono poi sistematiche nelle relazioni internazionali, avvelenate dalla logica del nemico e dall’indifferenza per la crescita delle disuguaglianze e della miseria. I principi costituzionali enunciati dalle costituzioni delle nostre democrazie nazionali e dalle tante carte dei diritti umani che affollano il diritto internazionale sembrano scomparsi dall’orizzonte della politica: della politica interna e, più ancora, della politica estera.
A questa crisi della democrazia e dello stato di diritto si aggiunge un’altra crisi, enormemente più grave, che investe l’intera nostra civiltà. Essa riguarda le condizioni di vita sulla terra: il riscaldamento climatico e la distruzione della natura e, per altro verso, la normalizzazione della guerra e l’incubo nucleare. L’umanità si è trasformata in una metastasi che avvolge il pianeta distruggendone, con lo sviluppo industriale ecologicamente insostenibile, i principali fattori degli equilibri ambientali: i grandi ghiacciai, le grandi foreste, la biodiversità e, in generale, l’intera biosfera. Mentre crescono la povertà dei poveri e la ricchezza dei ricchi, sia nei paesi arretrati che in quelli avanzati, la sola spesa pubblica in crescita, in un mondo già affollato di armi nucleari in grado di sterminare centinaia di volte l’intera umanità, è la spesa militare, che accomuna gli Stati più potenti in una corsa folle a ulteriori armamenti. Con irresponsabile leggerezza si parla di una possibile guerra tra l’Europa e la Russia. Lo scorso 19 settembre il Parlamento europeo ha invitato gli Stati membri a revocare ogni restrizione all’uso dei sistemi missilistici forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul suolo russo: risoluzione immediatamente interpretata dalla Russia come una dichiarazione di guerra, dato che tali sistemi possono essere attivati solo con l’ausilio di satelliti e ad opera di personale militare della Nato. Si profila, in breve, un conflitto tra la Nato e la Russia che potrebbe degenerare in una guerra nucleare. Per la prima volta nella storia, il genere umano rischia l’estinzione: non per cause ad esso esterne, ma per le sue politiche suicide, determinate dalla sua cecità di fronte alle grandi sfide, ecologiche e militari, che pesano sul nostro futuro.
Questa duplice crisi è dovuta a molteplici fattori, sia di carattere giuridico che di carattere politico. Sul piano giuridico e istituzionale essa è determinata, dalla debolezza o peggio dall’assenza di garanzie dei principi democratici stabiliti dalle tante carte costituzionali e internazionali. Diversamente dai diritti patrimoniali, le cui garanzie vengono ad esistenza insieme ai diritti garantiti – il debito insieme al credito, il divieto di lesioni insieme al diritto reale di proprietà – i diritti fondamentali, al pari della pace e della salvaguardia dell’ambiente, non nascono insieme alle loro garanzie, cioè ai divieti e agli obblighi ad essi corrispondenti, i quali ben possono mancare e di fatto, nel diritto internazionale, mancano totalmente. Hanno perciò bisogno di norme di attuazione, assenti a livello globale, che ne introducano le garanzie primarie e le relative istituzioni di garanzia: un servizio sanitario e un servizio scolastico universali a garanzia dei diritti alla salute e all’istruzione, un’alimentazione di base garantita a tutti, un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura, la messa al bando delle armi a garanzia della pace e della vita. Senza queste garanzie e le relative istituzioni, pace e diritti sono solo parole, per di più fastidiosamente retoriche. Questa assenza di garanzie retroagisce sul piano sociale e culturale, facendo regredire quei principi a una vuota retorica. Quei principi, infatti, sono tanto declamati dai paesi occidentali quale segno della loro superiorità morale e politica rispetto al resto del mondo, quanto assenti dalla loro pratica quotidiana di potere.
Sul piano politico ed economico il principale fattore della crisi è oggi la globalizzazione selvaggia, sviluppatasi in assenza di una sfera pubblica alla sua altezza. Per effetto della globalizzazione è cambiata la geografia dei poteri su cui si è fondato il costituzionalismo all’indomani della seconda guerra mondiale. I poteri che contano si sono trasferiti fuori dei confini degli Stati nazionali e perciò della sfera del loro diritto e del loro governo. E lo stesso si dica delle loro aggressioni, parimenti globali, al diritto e ai diritti. Ne è seguito un capovolgimento del rapporto tra politica ed economia. A causa dell’asimmetria tra il carattere globale dei poteri economici e finanziari e il carattere locale della politica e del diritto, non sono più i governi che mettono in concorrenza le imprese, ma sono le grandi imprese multinazionali che mettono i governi in una concorrenza al ribasso, spostando i loro investimenti dove possono massimamente sfruttare il lavoro, devastare impunemente l’ambiente, corrompere i governi e non pagare le imposte.
Sono state così travolte entrambe le dimensioni della democrazia: la dimensione politica o formale, dato che i governi e i parlamenti rappresentano sempre meno la società e sempre più gli interessi economici dei potenti, ai quali rispondono ben più che ai loro elettori; e la dimensione costituzionale o sostanziale, dato che la pressione liberista ha prodotto la demolizione delle garanzie del lavoro, l’abbassamento delle imposte e con esse delle spese sociali e perfino la costruzione di un diritto penale vistosamente disuguale: minimo e garantista fino all’impunità per i potenti; massimo ed inflessibile per i deboli. La forma di governo più funzionale a questa subalternità della politica all’economia si è peraltro rivelata, ben più delle vecchie democrazie parlamentari basate sul pluralismo politico e su partiti radicati nella società, la semplificazione maggioritaria e tendenzialmente personalistica delle forme di governo, in grado di assicurare la massima potenza nei confronti della società quale condizione della sua massima impotenza e subalternità ai dettami dei mercati. Ne è prova il negazionismo della questione ecologica da parte dei governi della destra che, come in Italia, non fanno nulla per fronteggiarla se non leggi liberticide per chiudere la bocca dei giovani che con le loro proteste tentano di aprire i loro occhi.
A questa mutazione dei sistemi politici concorre l’alleanza perversa realizzatasi tra liberismo e populismi. In forza di questa alleanza si sono prodotti due processi convergenti, l’uno di scomposizione e l’altro di ricomposizione sociale: la disgregazione, ad opera delle politiche liberiste di precarizzazione e di differenziazione dei rapporto di lavoro, delle tradizionali soggettività politiche basate sull’uguaglianza, prima tra tutte quella del movimento operaio, e la riaggregazione in chiave reazionaria, ad opera delle politiche populiste, di nuove soggettività collettive basate sull’intolleranza per i differenti. Alla lotta contro le disuguaglianze si è sostituita la lotta alle differenze, alimentata dalle campagne di paura e rancore contro i soggetti più deboli: i cittadini contro i migranti, gli integrati contro gli emarginati, i garantiti contro i non garantiti.
La crisi è stata peraltro occultata, e di fatto avallata, da un’involuzione, negli ultimi decenni, di gran parte della scienza giuridica, il cui ruolo sembra oggi consistere nella semplice analisi tecnica del diritto vigente e nella rinuncia al punto di vista critico e progettuale esterno della giustizia e, talora, anche a quello interno espresso dai principi costituzionali. Ha contribuito, a questa involuzione, l’egemonia incontrastata della cultura giuridica anglosassone, rimasta sostanzialmente estranea alle due grandi rivoluzioni che hanno segnato, nell’Europa continentale, la modernità giuridica: l’integrale positivizzazione del diritto e le codificazioni e, per altro verso, la costituzionalizzazione dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti sociali e del lavoro, ad opera delle costituzioni rigide del secondo dopoguerra. Nella cultura giuridica statunitense esiste – grazie alla miscela di giusnaturalismo, di pragmatismo, e di realismo in essa prevalente –, una tendenziale identificazione tra giustizia e legalità e tra legalità ed effettività. E questa identificazione e la conseguente legittimazione dell’esistente tendono oggi a prevalere anche nella cultura europea e in quella latino-americana.
2. Cos’è il garantismo
Ebbene il garantismo vuol essere, molto sommariamente, la risposta razionale alla crisi odierna della democrazia, alla deriva del diritto internazionale e, insieme, all’involuzione in atto della cultura giuridica e politica. E’ una risposta complessa, che è opportuno articolare in due risposte diverse. La prima riguarda i presupposti della teoria del garantismo. La seconda riguarda il ruolo della legislazione e della giurisdizione nella costruzione del modello garantista del diritto positivo.
2.1. Il garantismo come teoria giuridica
Il presupposto politico e istituzionale della teoria del garantismo è il positivismo giuridico, che forma la condizione anche del costituzionalismo, che altro non è che la positivizzazione del ‘dover essere’ costituzionale del diritto positivo medesimo, cioè dei principi cui questo deve uniformarsi a pena d’invalidità. Insisto su questa tesi meta-teorica dato che, ormai da molti anni, il positivismo giuridico non è più la concezione del diritto prevalente nella cultura giuridica. Prevalgono concezioni dell’esperienza giuridica che del positivismo giuridico rifiutano i due principali tratti distintivi: la separazione tra diritto e morale e il carattere non creativo ma cognitivo della giurisdizione, che a sua volta è alla base della soggezione dei giudici alla legge e della separazione dei pubblici poteri.
Sono questi due tratti distintivi del positivismo giuridico i presupposti della teoria del garantismo. La nascita dello Stato moderno e l’affermazione del monopolio statale della produzione giuridica e del principio di legalità quale norma di riconoscimento del diritto esistente aprono quello che chiamerò lo spazio Beccaria, cioè lo spazio della teoria del garantismo o, se si preferisce, della teoria della giustizia o della democrazia. L’artificialità del diritto fonda infatti la validità delle norme sulle forme della loro produzione, e non più sui loro contenuti, come avveniva secondo il vecchio modello del diritto giurisprudenziale e dottrinario e le sue inevitabili vocazioni giusnaturalistiche. Ne consegue la separazione tra diritto e morale, ovvero tra validità e giustizia, nel senso che la validità delle norme non ne implica la giustizia e la giustizia non ne implica la validità.
Le due implicazioni sono alla base l’una del punto di vista critico e l’altra del ruolo progettuale, nei confronti del diritto vigente, della teoria del garantismo quale teoria delle modalità di attuazione dei principi di giustizia proclamati in tutte le costituzioni avanzate e in quell’embrione di costituzione del mondo che è formato dalla carta dell’Onu e dalle tante carte dei diritti umani: la pace, l’uguale dignità di persona di ogni essere umano e le diverse classi di diritti fondamentali, cioè i diritti politici, i diritti civili, i diritti di libertà e i diritti sociali. Ebbene, ciò che accomuna tutti questi principi è il fatto già rilevato che il loro rispetto e la loro attuazione richiedono e impongono l’introduzione di adeguate garanzie. Di qui la centralità rivestita dalle garanzie nella teoria del garantismo. Sotto questo aspetto, come ho scritto più volte, il garantismo è l’altra faccia – la faccia dell’effettività – del costituzionalismo; così come le garanzie sono l’altro lato – il lato attivo, fatto di obblighi e divieti – dei diritti fondamentali, consistenti tutti in aspettative passive.
2.2. Il garantismo come modello di diritto
Il modello di diritto disegnato dalla teoria del garantismo consiste nell’insieme dei limiti, dei vincoli e dei controlli imposti, a garanzia dei principi da essa teorizzati, sia alla legislazione che alla giurisdizione.
Per quanto riguarda la legislazione, e perciò il ruolo garantista della politica, il primo compito ad essa assegnato dalla teoria del garantismo è l’introduzione delle garanzie e delle connesse istituzioni di garanzia dei principi sopra indicati, che per di più negli ordinamenti avanzati sono oggi in gran parte costituzionalizzati: le garanzie dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, consistenti negli obblighi di prestazione e nelle relative istituzioni di garanzia, e le garanzie dei diritti di libertà, consistenti nei divieti delle loro lesioni e, in materia penale, nei limiti all’arbitrio espressi dalle garanzie penali e processuali. Non si tratta di un’opzione politica discrezionale. Si tratta di un obbligo normativamente imposto dalle carte costituzionali alle funzioni legislative e di governo, quali che siano le maggioranze politiche, e logicamente implicato da un lato da quelle aspettative negative di non lesione nelle quali consistono la pace e i diritti alla vita e alle libertà e, dall’altro, da quelle aspettative positive di prestazione nelle quali consistono tutti i diritti sociali, quali i diritti alla salute, all’istruzione e alla sussistenza. Come dice la costituzione francese del 22 agosto 1795 nel primo articolo della sua parte dedicata ai “doveri”, “la dichiarazione dei diritti contiene gli obblighi dei legislatori” ed obbliga perciò la sfera pubblica a garantirli. Senza le garanzie i diritti restano sulla carta. Se i diritti fondamentali sono i fini e la ragion d’essere di quell’artificio istituzionale che è la sfera pubblica, le garanzie sono i mezzi, in assenza dei quali i diritti, non diversamente dalla pace, sono destinati a rimanere promesse non mantenute.
Le garanzie delle diverse classi di diritti – dei diritti politici di autonomia politica, dei diritti civili di autonomia negoziale, dei diritti di libertà e dei diritti sociali – corrispondono peraltro ad altrettante dimensioni della democrazia: da un lato alla dimensione politica e a quella civile, che della democrazia assicurano la forma rappresentativa delle decisioni prodotte nella sfera pubblica e l’autonomia privata delle decisioni prese nella sfera del mercato; dall’altro lato alla dimensione liberale e a quella sociale, che della democrazia assicurano la sostanza, ossia i limiti e i vincoli imposti a tali decisioni. Di qui, di nuovo, la centralità delle garanzie quali tecniche di tutela e di attuazione dei principi della pace, dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali, siano essi i diritti di libertà o i diritti sociali. Per questo l’introduzione e l’implementazione delle garanzie e delle relative istituzioni equivalgono alla costruzione della democrazia costituzionale.
Quanto alla giurisdizione, la teoria del garantismo ne identifica la legittimazione politica e il ruolo garantista in due fonti – la verità processuale e la tutela dei diritti costituzionalmente stabiliti – che equivalgono ad altrettanti fondamenti della sua separazione e indipendenza dalle funzioni politiche, siano esse legislative o di governo.
Il primo fondamento, prodotto dal principio gius-positivista di stretta legalità, risiede nel corretto accertamento dell’oggetto del giudizio. Diciamo, per esempio, che una sentenza penale di condanna è giusta, ancor prima che giuridicamente valida, se e solo se è vero che il condannato ha commesso il fatto addebitatogli come reato, mentre è ingiusta, ancor prima che invalida, in caso contrario. Se poi critichiamo una condanna o un’assoluzione come ingiuste o infondate è perché riteniamo false le loro motivazioni, in fatto o in diritto. La natura cognitiva della giurisdizione vale perciò a garantire quello specifico diritto fondamentale che è l’immunità delle persone da pronunce arbitrarie. Basterebbe questo a spiegare il carattere non consensuale né rappresentativo della legittimazione dei giudici, a fondarne i requisiti di imparzialità e di indipendenza da qualunque potere, inclusi i poteri rappresentativi delle maggioranze politiche e a respingere come contrarie al principio della separazione dei poteri e della soggezione dei giudici soltanto alle leggi le concezioni, oggi dominanti, del carattere creativo della giurisdizione. Nessuna maggioranza, neanche l’unanimità dei consensi o dei dissensi possono rendere vero ciò che è falso o falso ciò che è vero. Consensi e dissensi non aggiungono nulla alla falsità o alla verità di una motivazione.
Il secondo fondamento della legittimità politica della giurisdizione, assicurato dalla rigidità delle odierne costituzioni, è la garanzia dei diritti delle persone e specificamente, in materia penale, la garanzia della loro immunità da ingiuste punizioni. Il diritto penale, in particolare, deve consistere nella minimizzazione della violenza non solo dei reati ma anche delle pene, cioè delle punizioni ingiuste, o selvagge, o efferate o arbitrarie che si produrrebbero in sua assenza. Ne conseguono due importanti corollari. Il primo è la minimizzazione del diritto penale imposta dal principio della laicità del diritto e dal conseguente principio di offensività: il diritto non è legittimato ad imporre o a rafforzare la morale, che poi è sempre una determinata morale, e così a immischiarsi nella vita privata delle persone, ma ha solo il compito di garantirne la convivenza pacifica, impedendo la violenza, l’arbitrio e le conseguenti lesioni dei diritti e della dignità delle persone. Il secondo corollario è un ulteriore fondamento della separazione dei poteri, in aggiunta a quello del carattere cognitivo della giurisdizione. Il carattere anti-maggioritario dei diritti fondamentali, che come ha scritto Ronald Dworkin, se presi sul serio, devono essere garantiti contro qualunque maggioranza, retroagisce sul potere giudiziario che deve appunto garantirli quali che siano le inclinazioni delle maggioranze.
3. I percorsi storici e il futuro del costituzionalismo e del garantismo. Per un garantismo globale
La teoria del garantismo identifica e tematizza tre divaricazioni deontiche tra il dover essere e l’essere del diritto positivo, oggi variamente ignorate dai tanti orientamenti anti- o a-giuspositivistici. Le prime due divaricazioni sono quelle prodotte dalle due rivoluzioni istituzionali che hanno segnato la modernità giuridica: la divaricazione tra giustizia e validità prodotta, come si è detto, dal positivismo giuridico, e la divaricazione tra validità e vigore prodotta da quel gius-positivismo rafforzato che è il costituzionalismo rigido, consistente nella positivizzazione dei principi cui la legislazione deve uniformarsi. La terza divaricazione, propria di qualunque fenomeno normativo, è quella tra vigore ed effettività, che nel diritto internazionale è letteralmente abissale ed impone perciò lo sviluppo di un costituzionalismo globale in grado di ridurla. Queste tre divaricazioni tra il dover essere e l’essere del diritto esistente generano pertanto altrettanti punti di vista critici e progettuali sul diritto positivo, che sono il tratto distintivo di ogni approccio garantista: il punto di vista della giustizia, quello delle costituzioni nazionali e quello dei principi di pace e di uguaglianza formulati in quell’embrione di costituzione del mondo che è formato dalla Carta dell’Onu e dalle tante carte dei diritti umani. Il diritto è insomma suscettibile, ad opera dell’approccio garantista, di una triplice critica: perché ingiusto, o perché invalido, o perché in effettivo.
E’ interessante rilevare come queste tre divaricazioni deontiche corrispondono ad altrettante tappe o fasi del percorso storico del garantismo, oltre che del costituzionalismo e della democrazia: il garantismo penale nel vecchio stato legislativo di diritto, il garantismo costituzionale nell’odierno stato costituzionale e il garantismo globale il cui sviluppo è oggi imposto dalle sfide planetarie che come ho detto all’inizio pesano sul nostro futuro. Questo percorso storico del garantismo illumina ed è a sua volta illuminato dal modello teorico del garantismo medesimo. Le tre divaricazioni deontiche – tra giustizia e validità, tra validità e vigore e tra vigore ed effettività – si producono infatti in tre fasi distinte della storia del garantismo: la divaricazione tra giustizia e validità, frutto del primo positivismo giuridico, genera lo spazio della teoria del garantismo penale; la divaricazione tra validità costituzionale e vigore, frutto dell’introduzione delle costituzioni rigide, genera lo spazio della teoria del garantismo costituzionale; la divaricazione tra vigore ed effettività, che è un tratto fisiologico di qualunque esperienza giuridica ma si manifesta in misura abissale nel diritto internazionale, genera lo spazio del garantismo globale.
Quest’ultima espansione del costituzionalismo e del garantismo è sempre più urgente e vitale. Il mondo è sempre più integrato e interdipendente e si trova oggi in uno stato di natura incomparabilmente più grave e incombente di quello dell’homo homini lupus ipotizzato da Thomas Hobbes all’inizio della modernità giuridica. Lo stato di natura odierno è infatti popolato non già da lupi naturali ma da lupi artificiali, gli Stati e i mercati, dotati di una capacità distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato. E’ chiaro che questo stato di natura, se non sarà superato da un nuovo patto di convivenza e sopravvivenza, nell’interesse di tutti, è destinato all’autodistruzione. E’ infatti inverosimile che 8 miliardi di persone, 193 stati sovrani di cui nove dotati di armamenti nucleari e uno sviluppo industriale ecologicamente insostenibile possano a lungo sopravvivere senza andare incontro a catastrofi globali.
Di qui la necessità e l’urgenza di un salto di civiltà, consistente nell’espansione a livello globale sia del paradigma costituzionale che del paradigma garantista. E’ il progetto che ho illustrato nel libro Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, contenente anche la bozza di una Costituzione planetaria in 100 articoli. Lo sviluppo di questa terza fase storica del garantismo è imposto dall’universalismo dei principi della pace e dell’uguaglianza codificati in tante carte costituzionali, statali e sovrastatali, e sistematicamente violati dalle guerre, dall’incubo nucleare e dal riscaldamento climatico che di quelle carte stanno rivelando la totale inadeguatezza. L’alternativa è radicale: l’anarchia costituzionale e l’autodistruzione dell’umanità o la costruzione di una democrazia cosmopolita. L’espansione a livello globale delle garanzie è peraltro nella logica stessa del costituzionalismo, quale punto d’arrivo del suo percorso storico. Essa è logicamente implicata e normativamente imposta dai principi di uguaglianza e dignità di tutti gli esseri umani e dall’universalismo dei diritti fondamentali già stipulati in tante carte costituzionali e internazionali. Contrariamente al luogo comune di un qualche nesso tra costituzionalismo e stato nazionale, ereditato da Carl Schmitt e ancora prevalente nella cultura giuridica, il costituzionalismo e il garantismo sono perciò, per loro natura, universalisti e non identitari, internazionalisti e non nazionalisti.
Le garanzie introdotte dal nostro progetto di una Costituzione della Terra sono molteplici e complesse e posso qui solamente elencarle: un servizio sanitario e un servizio scolastico universali; un’organizzazione mondiale del lavoro che assicuri garanzie tendenzialmente uguali a tutti i lavoratori dipendenti, a cominciare dalla stabilità del posto di lavoro e da un salario minimo normativamente predisposto; garanzie della sussistenza attraverso un reddito di base universale recuperabile dagli abbienti con il prelievo fiscale; un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura; un fisco globale progressivo in grado di finanziare le istituzioni di garanzia e di impedire accumulazioni sterminate di ricchezza e di poteri; la messa al bando delle armi a garanzia della pace e della sicurezza.
4. La pace e il disarmo globale e totale come sua unica garanzia
E’ su quest’ultima garanzia che intendo soffermarmi. Per due ragioni: perché riguarda la pace, che è la condizione elementare di tutti gli altri principi e valori politici, e perché, rendendo impossibili le guerre, mostra più d’ogni altra la possibilità di un’alternativa radicale all’attuale deriva del diritto e della ragione. Si tratta di una garanzia di carattere penale – la previsione come gravi delitti della produzione e del commercio delle armi – che varrebbe, più d’ogni altra misura, a minimizzare la violenza e perciò ad attuare, oltre al divieto della guerra, il modello del diritto penale minimo.
Oggi il ripudio della guerra, solennemente formulato dalla Costituzione italiana e dalla Carta dell’Onu, è tramontato dall’orizzonte della politica. Nuove guerre di aggressione sono state scatenate dalle grandi potenze dopo la fine dell’Unione Sovietica: in Iraq nel 1991, in Cecenia e nella ex Jugoslavia nel 1999, in Afghanistan nel 2001, di nuovo in Iraq nel 2003, in Libia e in Siria nel 2011 ed oggi in Ucraina e a Gaza; senza contare le decine di guerre minori e da noi ignorate che ogni anno insanguinano il pianeta. Ebbene, la prima garanzia della pace e della vita contro la guerra, ma anche contro il terrorismo e la criminalità comune, è il divieto, quali crimini contro l’umanità, della produzione, del commercio e della detenzione delle armi: non solo delle testate nucleari, oggi nel mondo 12.512 delle quali 50 sarebbero sufficienti a distruggere l’umanità, ma anche di tutte le armi da sparo, con le quali vengono assassinate ogni anno quasi 400.000 persone.
E’ questa garanzia – il disarmo globale e totale – la sola in grado di impedire le guerre e di far crollare il numero degli omicidi. Si tratta, quindi, di una duplice garanzia: della pace, ma anche della sicurezza contro la criminalità e perciò del ruolo garantista e vitale del diritto e della giustizia penale. E’ la condizione elementare, in breve, della civilizzazione delle relazioni interpersonali e internazionali. Al fine di ottenerne l’attuazione, occorre far crescere nel senso comune e nella pubblica opinione la stigmatizzazione dei produttori e dei venditori di armi come corresponsabili moralmente delle guerre e di tutti i crimini che fanno uso delle armi da essi prodotte o vendute. Occorre generare la consapevolezza che in ogni assassinio, in ogni atto terroristico, in ogni guerra c’è la corresponsabilità di questi produttori di morte. Giacché è da costoro che sono armati gli eserciti, le organizzazioni criminali, le bande terroristiche e gli assassini. Si tratta del crimine tra tutti oggettivamente più grave, perché responsabile non di questo o quell’assassinio, di questa o quella guerra, ma di tutti gli assassinii e di tutte le guerre che con le armi vengono consumati nel mondo, ed anche di un possibile olocausto nucleare che porrebbe fine all’umanità. Senza le armi le guerre sarebbero impossibili, le organizzazioni criminali e terroristiche perderebbero la loro potenza e il numero degli omicidi crollerebbe.
C’è un aspetto straordinario della questione delle armi che voglio rilevare a conclusione di questo intervento, perché segnala tutta la nostra irrazionalità. La messa al bando della guerra attraverso il divieto penale della produzione e del commercio delle armi sarebbe, tecnicamente, l’obiettivo più semplice e facile rispetto a tutti quelli richiesti dalle altre grandi sfide – il riscaldamento globale, la crescita delle disuguaglianze e delle violazioni dei diritti umani, lo sfruttamento selvaggio del lavoro e il dramma dei migranti – che pure minacciano l’umanità. Si tratta, semplicemente, di concordare tale divieto e lo scioglimento, auspicato da Kant più di due secoli fa, degli eserciti nazionali. Le difficoltà sono solo quelle rappresentate dai giganteschi interessi delle industrie e del commercio delle armi e dai poteri politici ad essi asserviti o che di essi si servono a fini di potenza.
Ebbene, questa facilità tecnica e questa difficoltà politica della soluzione del problema della guerra sono il segno più clamoroso del contrasto tra ragione e miopia politica, tra società e potere, tra popoli e sistemi di governo, tra gli interessi di tutti gli esseri umani e gli interessi di un piccolo ceto di profittatori. La sicurezza, drammatizzata ed enfatizzata da tutte le demagogie populiste quando viene invocata a sostegno di inutili inasprimenti punitivi contro la criminalità di sussistenza, viene letteralmente ignorata allorquando riguarda la sopravvivenza dell’intera umanità e richiede la lesione di potenti interessi economici e politici.
Questa cecità della politica comporta una responsabilità specifica in capo alla cultura giuridica e conferisce al diritto e alle nostre discipline, a cominciare dal diritto penale internazionale, un fascino nuovo che il diritto e la scienza giuridica non hanno mai avuto. Facciamo parte dell’universo giuridico che descriviamo e contribuiamo a costruirlo con le nostre teorie. Dipendono perciò anche dalle concezioni e dalle elaborazioni teoriche il come è il nostro presente e il come sarà il nostro futuro. Sempre, del resto, la cultura giuridica e politica, oltre a commentare il diritto vigente, ne ha anche progettato lo sviluppo. Oggi la costruzione di un garantismo globale, a cominciare da un garantismo pacifista, è non solo prefigurata, e perciò imposta, dai principi contenuti nelle tante carte internazionali vigenti. E’ anche la sola alternativa razionale all’abisso nel quale rischia di precipitare l’umanità. Ma è chiaro che questa alternativa potrà essere attuata solo se la politica troverà l’ambizione di rappresentare gli interessi vitali del genere umano e sarà a tal fine sollecitata da un processo costituente dal basso, capace di coinvolgere il maggior numero di persone e di popoli nella progettazione di un futuro di pace e di uguaglianza.
Relazione introduttiva al convegno Promesas y garantias. Un constitucionalismo vivo organizzato dalla Corte costituzionale colombiana a Manizales il 26 e il 27 settembre 2024.