Magistratura democratica
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Impressioni sul progetto della Costituzione per la Terra *

di Gabriele Mazzotta
procuratore aggiunto Firenze

Sommario: 1. La Costituzione per la Terra: le suggestioni; 2. I significati della regolazione giuridica e la loro forza; 3. Il diritto internazionale e il diritto sovranazionale; 4. I contenuti problematici: proposte di approfondimento; 5. Brevissima chiusura.   

 

1. La Costituzione per la terra: le suggestioni

Perché la lettura del volume Per una Costituzione della Terra di Luigi Ferraioli, edito da Feltrinelli, desta immediato interesse?

Gli argomenti trattati, le analisi volte e le prospettive segnalate portano, in definitiva, a interrogarci su noi stessi e sulla misura del nostro impegno quotidiano nel mondo. 

Richiamano ai doveri di responsabilità e di memoria; soprattutto, sollecitano la pars construens dell’animo umano, come noto, naturalmente contraddittorio se non paradossale nel suo ondeggiare tra il bene e il male, tra le capacità edificatrici e l’ineludibile vocazione a distruggere. 

C’è un lapidario versetto nell’Antigone di Sofocle a rammentarcelo. È nella parte in cui il Coro, assistendo neutrale al profondo dolore di Antigone (la quale, pur nella consapevolezza di andare incontro alla pena di essere rinchiusa fino a morte «in sasso cavo», intende dare sepoltura al fratello Polinice, così contravvenendo all’editto del Re Creonte sul divieto di onorare i defunti nemici di Tebe) dopo avere ricordato le meravigliose cose attribuibili al genio umano, ne elenca poi le innumerevoli nefandezze, concludendo: «Molte sono le cose che fanno sgomento e niente è più terribile dell’uomo».

In una diversa declinazione il concetto si esprime nel dualismo dei tipi che caratterizzano le attività umane: l’avventuriero e il lavoratore; il primo proteso a cogliere il frutto senza piantare l’albero e, dunque, incline ad attività predatorie, il secondo, invece, impegnato a scorgere le difficoltà da superare in una lenta costruzione del prodotto finale. Si tratta di tipi che non hanno un’esistenza reale, ma entrambi partecipano, con gradi differenti, in combinazioni molteplici in ciascun uomo[1]

Se ne trae conferma nell’esperienza giudiziaria, che, con l’applicazione della legge, del diritto ai casi della vita e alle innumerevoli vicende umane coinvolte in diversi ruoli e per le più svariate ragioni nel complicato ingranaggio della giustizia, intercetta l’affiorare dei contrasti di colore, delle ombre e delle luci nelle condotte dei protagonisti, valutati nella loro dimensione individuale.

Il tema della Costituzione per la Terra in una certa misura trascende la dimensione individuale e coinvolge l’umanità, quasi fosse un unico soggetto, anch’esso destinatario di una regolamentazione normativa. Richiama al dovere riflettere sui significati di un messaggio profondamente giuridico rivolto all’umanità non in quanto frammentata in una moltitudine di paesi, ordinamenti, stati, regioni, distretti, suscettibili ciascuno di un riconoscimento amministrativo, ma all’umanità nella sua interezza, portatrice di un interesse comune a tutti e da tutti condivisibile al di là delle inevitabili individuali differenze esistenziali e ideologiche e al di là di ogni confine[2]

L’immagine che così pare potersi disegnare è quella di un’umanità riunita come comunità attorno a un fuoco, segno tangibile dell’esistenza di un nucleo essenziale, indefettibile, la cui formazione e preservazione potrebbe consentire di vivere in una Terra in pace con sé stessa, accogliente e fruttuosa, operatrice e proiettata verso il futuro.

E’ un’immagine, però, distante dalla rappresentazione realistica del presente, a descrivere la quale è quasi inevitabile evocare il moltiplicarsi degli armamenti incontrollati e incontrollabili, le piogge acide, le porzioni della terra che scompaiono o si desertificano, il buco dell’ozono, le pandemie, le enormi e incontenibili migrazioni di popoli, il proliferare delle guerre in un elenco che potrebbe allungarsi con tante altre terrifiche voci, non invenzioni fantastiche, ma sciagure vere, già consumate o ancora in atto.

A qualcuno potrebbero apparire come le sette trombe e la grandine, il mare che diventa sangue, la caduta delle stelle e le cavallette che sorgono dall’abisso, gli eserciti di Gog e Magog che avanzano minacciosi ed essere vissute con la cupa rassegnazione di un ineludibile Armageddon, ormai dietro le nostre porte.

Oggi l’era digitale e globalizzata ci consente una sorta di ubiquità nel mondo, così da percepirne le urla di dolore e di visualizzarne le sofferenze, al punto (ed è questo probabilmente l’aspetto più psicologico dell’analisi di Luigi Ferraioli) da portarci a nutrire un senso di colpa geografica, per essere nati e vivere in una parte più fortunata della Terra, quasi un senso di colpa speculare a quella colpa metafisica teorizzata dal Karl Jaspers, invece radicata negli abitanti dei luoghi teatro del male[3].

A noi non riguarda l’Apocalisse e la fine del tempo, ma, al contrario, il procedere di questo, ossia il suo progredire. 

Mutuando un concetto evangelico, si potrebbe dire che la Parusia svolga una funzione regolativa del processo storico, proiettandone la dimensione evolutiva con la comprensione, come scriveva il poeta Rilke, che i bracci della Croce segnino le direzioni verso le quali andare e non i rami alla cui ombra giacere, accucciati, immobili e spaventati[4].

In tale dimensione può farsi posto alla speranza, si può riuscire a rifuggire l’eresia gnostica per la quale il mondo e la storia sono frutto di un errore inemendabile, delirio che ha generato e, purtroppo, continua a generare pensieri secondo i quali solo a pochi eletti è consentito agire per redimere il mondo, superuomini e sette, pronti incendiare, a devastare, a celebrare olocausti[5]

La concezione da cui è germinato il progetto per una Costituzione della terra s’inserisce nel solco del concetto della Storia come infinitamente perfettibile, in cui sembra riaccendersi la fiducia nelle capacità dell’uomo di potere progredire verso un livello di civiltà effettivamente coerente con quanto già sancito a livello internazionale nelle Carte universali dei diritti fondamentali e già, almeno formalmente, condiviso.

Una prima puntualizzazione, dunque: ciò di cui si parla nel progetto per una Costituzione della Terra non è una proiezione immaginifica di un’elaborazione astratta, ma un’analisi giuridica di severa concretezza che pone in evidenza un veritiero contrasto tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, non sulla base d’invenzioni preconcette, ma sulla base di quanto l’umanità (nella sua globalità) ritenne necessario affermare alla fine del secondo conflitto mondiale, quando espresse, come ineludibile,  l’intento di accordarsi.

Il punto di partenza della riflessione è, dunque, una premessa storico-giuridica, che, al tempo stesso, diviene parametro di valutazione degli accadimenti che si sono succeduti e che continuano a succedersi, in forma di crimini di sistema ossia «…quelle attività che producano o minaccino di produrre danni ingenti a popoli interi o all’intera umanità, come le devastazioni ambientali, l’omesso disarmo degli Stati, l’omessa attuazione dei diritti sociali…»[6].

Il metodo proposto passa attraverso la regolazione normativa, unico strumento che consente all’uomo di ordinare il caos, trovare soluzioni pacifiche al conflitto, distribuire le risorse, fare coesistere le differenze.

Quand’anche, peraltro, si volesse più prosaicamente aderire all’idea della Grecia classica (secondo la quale la storia non progredisce, ma si ripete ciclicamente sempre eguale a sé stessa, portatrice della rottura della primigenia unità, violata dal singolo uomo appena nasce, sin da subito in conflitto con la tante altre diverse individualità, ciascuna delle quali si è resa protagonista della medesima rottura) e dunque all’ineliminabile tragicità della condizione umana, la soluzione proposta non pare così diversa dal rimedio che venne concepito per tentare di raggiungere una relativa coesistenza delle differenze: ossia il patto attraverso la regolazione giuridica e l’istituzione delle poleis. Se allora non fu concepibile l’eliminazione del conflitto tra di loro, ottenendosene solo una pacifica convivenza democratica interna, oggi i gravi rischi incombenti sul mondo spingono verso l’ineluttabilità di accordi universali, che si concretizzino in una efficace regolamentazione normativa.

 

2. I significati della regolazione giuridica e la loro forza 

Sono norme giuridiche, quelle norme la cui esecuzione (in positivo con l’assunzione del comportamento preteso, in negativo con l’astensione dal comportamento vietato) è garantita da una sanzione esterna e istituzionalizzata e, perciò, le norme giuridiche in senso proprio si definiscono “a efficacia rafforzata” e tale carattere le distinguerebbe dalle norme morali.

Tale conclusione teorica è il frutto delle esperienze storiche, che hanno portato a rilevare l’inesistenza di ordinamenti nei quali si sia potuto fare a meno della sanzione per assicurare l’osservanza della norma giuridica. Gli ordinamenti storici sono, perciò, di tipo coercitivo.

L’apparato di organi e funzioni di governo delle sanzioni ha lo scopo del rafforzamento dell’efficacia delle norme. Non si esclude tuttavia che nell’ambito del medesimo ordinamento possano esistere «norme giuridiche senza sanzione»:

- norme per la cui efficacia si faccia affidamento sull’adesione spontanea (inutilità della sanzione);

- norme poste da autorità talmente in alto nella gerarchia delle fonti da rendere impossibile l’applicazione di una sanzione, in quanto più ci si avvicina alle fonti del potere tanto più diminuisce lo scarto di autorità tra chi pone la norma e chi deve applicarla e l’apparato coercitivo perde vigore ed efficienza fino al punto che arrivando alle fonti del potere costituente, la forza coercitiva diviene impraticabile. Nel passaggio dallo Stato di polizia allo Stato di diritto si assiste a una tendenziale espansione della sanzione dalla base ai vertici, quale segno tangibile di democraticità del sistema.

L’esistenza di norme giuridiche senza sanzione non mette, tuttavia, in discussione il principio secondo il quale la “sanzione organizzata” rappresenta comunque elemento costitutivo del diritto, in quanto il parametro di riferimento non è la singola norma, ma l’ordinamento nel suo complesso. Il criterio di giuridicità della norma è la sua appartenenza al sistema e afferisce, perciò, alla sua validità, piuttosto che alla sanzione, che concerne un altro indefettibile attributo della norma giuridica ossia la sua efficacia[7]

Sin qui, la struttura del funzionamento della norma giuridica prescinde dai suoi contenuti e dalle scelte di valore. Queste ultime sono condizionate dalle contingenze storiche e dalle ideologie dominanti; sono norme giuridiche quelle del regime nazista, sono norme giuridiche quelle degli ordinamenti democratici.

Se ne è desunta l’impossibilità di una «…condivisione da parte di tutti i popoli dei valori supremi ai quali riferire il senso effettivo della pace e della sicurezza internazionale[8]» e la stessa prospettiva di un ordinamento internazionale superiore, come quello disegnato nella Carta dell’ONU è stata svalutata al livello di «un esercizio di filosofia astratta»[9].

Tale posizione scettica non è però sfuggita a una sua analisi critica, imperniata sull’evidenziazione di un equivoco assiomatico presupposto, ossia l’associazione concettuale tra “costituzione” e “omogeneità sociale”.

La pretesa di ritenere che una carta costituzionale debba necessariamente fondarsi e, dunque, presupporre un’omogeneità sociale e valoriale, confligge con il paradigma funzionale della costituzione liberale, che poggia sull’indissolubile nesso tra diritti fondamentali e uguaglianza.

Se, ad esempio, si pone attenzione all’art. 3 della nostra Costituzione, il principio di uguaglianza in esso espresso, dando pari dignità alle differenze, mostra d’intervenire su un terreno socialmente e culturalmente disomogeneo. Tale disomogeneità a propria volta può determinare diseguaglianze che, attraverso il meccanismo del comma 2 del medesimo articolo 3, si aspira a ridurre. Si potrebbe, perciò, dire che il principio d’eguaglianza presuppone l’esistenza di diritti di libertà differenti. 

La sfida delle Carte Costituzionali consiste proprio nel farli coesistere pacificamente, cosicché «costituzionalismo e universalismo dei diritti costituiscono fattori assolutamente compatibili con il multiculturalismo[10]».

Sul piano storico e politico, del resto, le costituzioni in genere sono nate come reazioni a precedenti oppressioni, discriminazioni in contrapposizione alle quali sono andati affermandosi i diritti di libertà, i diritti dei lavoratori, i diritti delle donne, i diritti sociali; in definitiva ne è scaturita, come ricorda Luigi Ferraioli, la «legge del più debole[11]».

I principi illuministici prodotti dalle prime rivoluzioni liberali sono stati oggetto di più attenta considerazione in chiave di loro osservanza universale, quando, successivamente ai devastanti conflitti mondiali, all’umanità apparve con chiarezza la possibilità del rischio, per sua stessa mano, della fine della propria esistenza.

Allora, sul piano storico e politico, si volle esprimere un chiaro messaggio di non ripetere “mai più” le insensate tragedie di guerra.

Se pace, uguaglianza, tutela del più debole trovano pieno riconoscimento nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, la Costituzione italiana li ribadisce con l’affermazione non solo del principio del ripudio della guerra (art. 11 Cost.), ma anche dei principi di solidarietà ed eguaglianza sostanziale, di rispetto per la dignità umana, che con mirabile architettura giuridica rimbalza nel riferimento alla libertà dell’iniziativa economica, alla quale impone di non contrastare con l’utilità sociale, la libertà e la dignità umana (art. 41 Cost.) e nel riferimento alla proprietà privata, demandando alla legge di assicurarne la funzione sociale. 

E’, poi, evidente che l’estesa griglia dei diritti di libertà e dei diritti sociali reclami la creazione di appositi strumenti di garanzia, che ne curino l’osservanza e tra questi le magistrature, che molto spesso hanno l’arduo compito di ricondurre a sistema norme giuridiche da interpretarsi nei loro significati compatibili con i diritti riconosciuti nelle Costituzioni.   

Le difficoltà, dunque, per la realizzazione del progetto della costituzione per la Terra sono fondamentalmente due:

- la elaborazione di un nucleo indefettibile di regole non valicabili, oltre le quali cioè le differenze diventano dominio della sopraffazione;

- la elaborazione degli strumenti che rendano concreta, efficace e, dunque, osservata la regolazione normativa.

Il diritto positivo moderno aspira ad assumere una posizione laicale, costruita attorno a un nucleo di diritti indefettibili (inviolabili appunto).

Il mondo globalizzato, contratto e inevitabilmente ravvicinato, reclama l’individuazione di interessi comuni agli uomini non in quanto cittadini di un particolare Stato o appartenenti a un determinato popolo e, dunque, a una comunità ristretta, ma in quanto abitanti della Terra. Sono tali comuni interessi a dovere ispirare una regolamentazione universale condivisa.

Le scelte che, ad esempio, sul piano ambientale vengono intraprese in una qualsiasi porzione del mondo non produrranno i loro effetti solo a livello locale, ma riguarderanno tutto il resto del pianeta; altrettanto, sempre a titolo esemplificativo, si può dire in riferimento al potere economico, alla diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, allo sviluppo tecnologico e alle sue direzioni, alle politiche fiscali, alle modalità dei trattamenti punitivi, alle politiche industriali indirizzate alla produzione delle armi, agli stessi conflitti che pur vedendo coinvolti uno Stato contro un altro estendono i loro effetti dannosi al mondo intero. 

 

3. Il diritto internazionale e il diritto sovranazionale 

Mentre il diritto internazionale disciplina il rapporto tra gli Stati nazionali, il diritto sovranazionale è un diritto che concorre con il diritto nazionale a disciplinare i rapporti tra ciascuno Stato e i suoi cittadini (nonché, direttamente, i rapporti tra privati), creando vincoli e regole immediatamente e mediatamente applicabili a tutti gli stati che riconoscono tale diritto.

Diversamente il diritto internazionale, pur costituendo un insieme di regole concordemente accettate, non contiene un apparato adeguato di garanzie che ne presidino l’osservanza[12].

È su questo terreno che si misura la “giuridicità” e, dunque, la cogenza del diritto internazionale.

Nella Carta delle Nazioni Unite, la visionaria affermazione del preambolo («Noi Popoli delle Nazioni Unite decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra…a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne…») sembra un Credo in forma laica e, in quanto tale, non supera la dimensione operativa di una preghiera.

Le prescrizioni normative che, raggruppate nel Capitolo VII «Azione rispetto alle minacce alla Pace, alle violazioni della Pace ed agli atti di aggressione» (artt. 39-51), delineano, in un crescendo di gravità, le misure provvisorie, le sanzioni di tipo economico fino all’uso della forza con l’intervento del Consiglio di Sicurezza, raffrontate con la storia degli avvenimenti, anche drammaticamente attuali, si devono ritenere inadeguate a garantire l’effettività dei principi proclamati, cosicché “guerra” o “rappresaglia” rimangono le uniche espressioni del principio di “autotutela” delle singole sovranità degli Stati[13]

È questo il punto critico che rende il diritto internazionale poco giuridico e piuttosto imperniato su trame di carattere politico e diplomatico.

La norma della Carta delle Nazioni Unite, che, in tal senso, può apparire problematica è rintracciabile nell’art. 51, secondo il quale «Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale…». Per tal modo il principio di autotutela legittima la guerra e la commisura alla stregua di sanzione (provvisoria), per certo inadeguata a costituire una reazione giuridicamente coerente all’inosservanza della regola, perché essa elide la forza del diritto alla quale si sostituisce con la forza di chi vince.

La vittoria della guerra è la vittoria del più forte non (almeno, non necessariamente) del più giusto: in guerra non vince chi ha ragione, ma ha ragione chi vince.

Proprio in questi giorni, in cui riecheggiano forti i venti di un terzo conflitto mondiale (all’esito del quale probabilmente i superstiti e i loro discendenti si troveranno ad affrontarne un quarto a mani nude), capita di ascoltare affermazioni, secondo le quali «uno stato è Sovrano soltanto sino al momento in cui può difendere la sua sovranità…». Il senso della regolamentazione delle contese attraverso il diritto viene così messo da parte, accantonato come inutile orpello di una sorta di estetica della diplomazia, come tale trascritto nelle carte universali dei diritti dell’uomo. Si preferisce l’alimentazione dello scontro, il ricorso alle armi, con estrema facilità si vanifica la tenuta dei reciproci accordi di pace.

L’atto d’invasione di uno Stato da parte di un altro Stato è, però, comportamento antigiuridico, a fronte del quale la Comunità internazionale dovrebbe pretendere il ritiro dal territorio arbitrariamente conquistato con ripristino del diritto violato.  Si assiste, al contrario, a una concatenazione di azioni e reazioni, di conquiste e di arretramenti, di guerra e di atti terroristici, di occupazioni arbitrarie di territori e di rappresaglie, con operazioni che ciclicamente si reiterano, con devastazione di popoli e culture nell’inadeguatezza costante degli strumenti messi a disposizione dal vigente diritto internazionale.

Il progetto della Costituzione della Terra vorrebbe misurarsi con il tentativo di superare tali accadimenti («crimini di sistema»).

Al principio di autotutela (quale espressione delle sovranità degli Stati nazionali) occorrerebbe, perciò, allestire un super Stato al di sopra degli Stati, ossia, in definitiva, uno Stato mondiale.

È il cuore della ragione per la quale l’uomo ha saputo inventare il diritto («ne cives ad arma ruant»); anche nel diritto internazionale occorrerà perciò l’esistenza di un giudice che decida torto e ragione secondo univoci criteri, che esprimano la forza del diritto frutto di soluzioni condivise a livello globale. 

Come arrivarci non è facile enunciarlo.

Il tema richiede un approfondimento sull’intreccio tra le fonti di diritto internazionale e sulla loro incidenza sulla produzione normativa di ogni singolo Stato.

Tra le autorità sovra-nazionali campeggia l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nella quale il progetto per la Costituzione per la Terra trova il suo più concreto paradigma di riferimento e del quale parrebbe di proporsi come strumento di miglioramento. 

L’invenzione per così dire è nel valorizzare al livello globale l’idea di ordinamento giuridico, che, come s’è prima accennato, costituisce un sistema di tipo coercitivo.

Il progetto per la Costituzione per la Terra si propone di realizzare un ordinamento giuridico, che, in quanto tale, si caratterizza non soltanto per l’enunciazione di principi supremi, l’enucleazione dei diritti fondamentali, l’indicazione dei beni fondamentali e dei beni illeciti, ma anche per le istituzioni e gli strumenti di garanzia.

Per comprendere, ad esempio, come si possa neutralizzare sul nascere la guerra sarebbe sufficiente che alcune norme comprese nel Titolo quarto (I beni illeciti) della Prima Parte (I principi. Le finalità), dove si enunciano il divieto di produzione, di commercio e di detenzione dei beni micidiali (art. 52), la messa al bando delle armi e il monopolio pubblico della forza (art.  53), siano accostate alle norme comprese nella Sezione Prima (Le istituzioni e le funzioni globali di garanzia primaria) inserita nel Titolo Secondo (Le istituzioni e le funzioni globali di governo) della Parte Seconda (Le istituzioni. Gli strumenti), dove si istituisce il Comitato di stato maggiore e di sicurezza globale (art. 76) e si stabilisce il superamento degli eserciti nazionali con la loro soppressione (art. 77).

La forza davvero innovativa del progetto sembra potersi rintracciare anche (e soprattutto) nel Titolo Quarto (Le istituzioni economiche e finanziarie) della Parte Seconda (Le istituzioni. Gli strumenti), in cui s’immagina un registro globale dei grandi patrimoni (art. 93), una fiscalità globale (art.94), un’imposta globale progressiva sui redditi (art. 97).

Ne deriva la configurazione di un nuovo modello economico di sistema non necessariamente incompatibile con le economie nazionali, qualora indirizzate verso obbiettivi di perequazione sociale ed economica. 

Si tratta di una visione velleitaria e utopica tale da produrre soltanto reazioni di sbigottimento?

Ciò che desta meraviglia, in realtà, non è la ricerca del raggiungimento di un accordo pacificatore nel mondo e di un suo ritorno a confini fisici piuttosto che politici, ma la totale assenza di tali idealità nella politica praticata, priva di afflati e di immaginazioni profetiche, di elaborazioni proiettate verso il futuro.

Il giudizio, peraltro, potrebbe apparire ingiusto almeno nei confronti di quei protagonisti della politica italiana, che ebbero il coraggio e l’originalità di formulare un pensiero rivolto alla prospettiva di una cooperazione tra i popoli del mondo per combattere le varie tragedie del genere umano.

Enrico Berlinguer almeno dai primi anni 70 ha segnalato la necessità della cooperazione tra i popoli della Terra in un governo mondiale, per superare le derive imperialiste, colonialiste, neocolonialiste, razziste, intrusive di uno Stato nella vita interna di un altro Stato, le ineguaglianze, le ingiustizie sociali[14].

L’intuizione politica aveva bisogno dell’elaborazione filosofico-giuridica, come quella formulata da Luigi Ferraioli, che, a propria volta avrebbe bisogno di una lettura e una pratica operatrice.

 

4. I contenuti problematici: proposte di approfondimento

Su tale premessa parrebbe necessaria l’articolazione di una riflessione in approfondimenti monotematici, quali parti integranti del progetto:

a. Il rapporto tra potere e progresso

Come può articolarsi un modello economico che possa preservare l’esistenza del pianeta ed eliminare le diseguaglianze?

La tecnologia è di per sé neutra; è uno strumento che può essere variamente orientato.

Sarebbe auspicabile porre la tecnologia a servizio del progresso, sul presupposto che sulla definizione di questo si riesca a pervenire a una chiara nozione, salvo a delimitarne il significato in negativo, indicando ciò che, pur caratterizzato dalla più sofisticata tecnologia, progresso non è: può, ad esempio, ritenersi progresso un’evoluzione digitale che si spinga sino all’automazione dell’intelligenza artificiale con rovinose ricadute sul mondo del lavoro, progressivamente impoverito a fronte di non significativi vantaggi della produttività dell’impresa? Se l’uomo e la sua dignità scompaiono dall’orizzonte dell’utilizzazione tecnologica, l’idea di progresso si svilisce in uno stadio di trasformazione del mondo verso orizzonti imprevedibili e distopici[15].  

In contrapposizione a tali possibili scenari, di cui peraltro vistose sono già le tracce nel presente, seppure sia difficile proporre una definitiva soluzione, si deve tentare un plausibile percorso volto a valorizzare tutto quanto è nelle possibilità umane per il miglioramento della propria specie, a cominciare dalle immediate iniziative al livello locale[16]:

-  ambiente e migrazione dei popoli[17]

-  tecnologia e informazione;

-  automazione e occupazione del lavoro.

b. Il rapporto tra politica ed economia

Esistono ancora sufficienti spazi alla regolazione? E, in particolare, è valido lo strumento normativo per limitare il potere economico o indirizzarlo verso gli obbiettivi di benessere collettivo?

c. L’efficacia del diritto internazionale

Si può coltivare il passaggio da una dimensione internazionale a una dimensione sovranazionale? Con quali modalità politiche, utilizzando quali strumenti giuridici?

È l’argomento centrale per individuare gli spazi sui quali formare pubbliche opinioni e sperimentare le modalità attraverso cui avviare un progetto di riforma della Carta delle Nazioni Unite, che, peraltro, lo prevede all’art. 102, inglobandovi i principi della Costituzione per la Terra e, dunque, lavorando su un’intelaiatura in parte già esistente e della quale occorre apprestare indicazioni più nette su principi generali, diritti fondamentali, beni fondamentali e beni illeciti e costruire istituzioni di garanzia per l’ottenimento di una normativa effettivamente cogente. 

 

5. Brevissima chiusura 

Il progetto della Costituzione della Terra è un’idea che, in definitiva, rischia di trovare nell’uomo al tempo stesso il suo sostenitore e il suo nemico, soggetto paradossale e tragico, ancora alla ricerca di risposte al mysterium iniquitatis[18], del quale è l’unico autore, rendendo la sua stessa storia un susseguirsi di episodi cruenti e di sopraffazione[19].

Leopardi nella sua prima operetta morale Sull’origine del genere umano ha provato a spiegare l’intrinseca stupidità dell’uomo nella sua interlocuzione con gli Dei, i quali, esasperati dalle continue sue capricciose contradditorie richieste ed esigenze, tra le quali anche la voglia di combattere la noia di una vita in pace, non possono fare altro che consegnargli il mondo quale esso è[20].

Che questo mondo sia necessario cambiarlo per la salvezza e anche la dignità dell’essere umano in senso moderno credo sia indubitabile.

L’imperativo di fondo è di convincerci che sia anche possibile.


 
[1] Sergio Barque de Hollanda, Radici del Brasile, Giunti, trad. it. 2000, p. 52.

[2] C.M. Martini, La vita umana partecipa della vita di Dio, in C.M. Martini e U. Eco, In cosa crede chi non crede, Bompiani, 2014: «I confini sono sempre terreni infidi. Mi ricordo che da ragazzo, facendo qualche passeggiata sulle montagne di confine della Valle d’Aosta, mi sorprendevo a pensare quale fosse realmente il punto esatto del limite tra due nazioni. Non vedevo come fosse umanamente determinabile. Eppure, le nazioni esistevano, e ben differenti». Scrive, al riguardo, G. Vince, Il secolo nomade, Bollati-Boringhieri, 202, p. 85: «Gli stati nazionali sono quindi una struttura sociale innaturale, artificiale, emersa dalla complessità della rivoluzione industriale, e sono basati sulla mitologia che il mondo sia fatto di gruppi distinti e omogenei che occupano porzioni separate del globo…»; p. 101: «E se tornassimo a pensare al pianeta come a un patrimonio globale di umanità, come è stato per millenni, prima che in alcune parti d’Europa, qualche secolo fa, iniziassero a essere introdotti i controlli alle frontiere?».

[3] K. Jaspers, La questione della colpa (Sulla responsabilità politica della Germania), Raffaello Cortina Editore: «La colpa metafisica consiste nel venir meno a quell’assoluta solidarietà con l’uomo in quanto uomo. È una pretesa incancellabile, anche quando le esigenze ragionevoli della morale sono già cessate. Questa solidarietà viene lesa quando io mi trovo ad essere presente là dove si commettono ingiustizie e delitti. Non basta che io metta a rischio con ogni cautela la mia vita per impedirli. Una volta che quel male ha avuto luogo e io mi sono trovato presente e sopravvivo, dove un altro viene ucciso, in me parla una voce che mi dice che la mia colpa è il fatto di essere ancora vivo».

[4] Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta (Lettere a una giovane signora su Dio), Adelphi: «Invece di proseguire oltre il crocevia, dov’era innalzato ormai un indicatore nella notte del sacrificio, la cristianità si è accampata là sotto sostenendo di abitare ivi in Cristo, benché in esso non ci fosse alcuno spazio, neanche per sua madre, né per Maria Maddalena, come in ogni indicatore ch’è un gesto e non un soggiorno», p. 128.

[5] Umberto Eco, L’ossessione laica della nuova Apocalisse, in C.M. Martini e U. Eco, In cosa crede chi non crede, Bompiani, 2014.

[6] L. Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, p. 92; si tratta in particolare della nozione di crimini di sistema posta nell’art. 90 del progetto.

[7] N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Giappichelli, Torino, 1960.

[8] A. Baldassarre, La sovranità dal cielo alla terra, in G.M. Cazzaniga (a cura di), Metamorfosi della sovranità. Tra stato nazionale e ordinamenti giuridici mondiali, Edizioni Ets, Pisa, 1999.

[9] Ibidem.

[10] L. Ferraioli, Quali sono i diritti fondamentali? in T. Mazzarese (a cura di), Neocostituzionalismo e tutela (sovra)nazionale dei diritti fondamentali, Giappichelli, 2002. Dalla coesistenza pacifica dei diritti differenti derivano due importanti corollari: i) una tendenziale diminuzione della sfera del decidibile, da parte degli organi rappresentativi, soggetti dalle norme costituzionali a vincoli negativi e a vincoli positivi cui corrisponde un tendenziale allargamento dell’area del non decidibile, che riguarda l’ambito dei diritti di libertà e dei diritti sociali, dell’obbligo della pace, in quanto tali non suscettibili di essere posti in discussione; ii) un tendenziale ridimensionamento della maggioranza parlamentare e dei poteri del governo di sua derivazione.

[11] Ibidem.

[12] A. Cassese, Ripensare i diritti umani: quali prospettive per il nuovo secolo?, in P. Alston e A. Cassese, Ripensare i diritti umani nel XXI secolo, EGA, Torino, 2003: «…la comunità mondiale dovrebbe decidere di concentrare la propria attenzione su 1) un ristretto numero di diritti umani essenziali e 2) pochi ma efficaci meccanismi di supervisione o garanzia dell’attuazione di tali diritti…».

[13] In effetti le c.d. sanzioni di carattere internazionale consistono in quell’insieme delle misure diplomatiche, economiche o militari prese da uno Stato o da un’organizzazione internazionale per far cessare una violazione del diritto internazionale accertata da un’organizzazione o da uno Stato che si considera leso da detta violazione. Compete al Consiglio di sicurezza dell’ONU decretare, in nome degli Stati, le sanzioni da prendere contro uno Stato che mette in pericolo la pace internazionale. L’Organizzazione mondiale del commercio disciplina il ricorso alle sanzioni in campo economico. Negli altri campi gli Stati possono disporre sanzioni non militari da essi ritenute utili, a condizione che siano proporzionali al danno subito. L’uso della forza è vietato dallo Statuto dell’ONU. Le sanzioni devono essere annunciate prima di entrare in vigore.

[14] Ha insistito sull’idea della possibilità di un nuovo ordine economico-politico internazionale per più di un decennio, fino alla sua morte (sarebbe sufficiente indagare negli annali dei suoi interventi nei congressi di partito e delle interviste rilasciate alla stampa).  

[15] D. Acemoglu, S. Johnson, Potere e progresso, Il Saggiatore, 2023.

[16] Stefano Mancuso, Fitopolis, Laterza.

[17] Gaia Vince, op. cit.

[18] S. Quinzio, Mysterium iniquitatis, Adelphi, 2009.

[19] S. Cotta, Perché la violenza, Scholé.

[20] Giacomo Leopardi, Operette morali (Storia del Genere umano), Garzanti.

[*]

Il testo riprende la relazione presentata all'incontro organizzato a Pistoia dall'associazione civica Amici per la politica per presentare il volume di Liugi Ferrajoli Una Costituzione per la Terra (11 aprile 2024)

15/05/2024
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Intelligenza artificiale e pace. Messaggio di Papa Francesco per la 57esima Giornata Mondiale della Pace
a cura di Redazione

In occasione della Giornata mondiale della Pace, pubblichiamo un documento di grande valore, il messaggio di Papa Francesco dal titolo Intelligenza artificiale e pace, con l'augurio a tutti di un nuovo anno sereno. 

01/01/2024
Contro le guerre di offesa: diritto di renitenza

Discutere dell’esistenza di un diritto individuale di renitenza rispetto ad ogni guerra di offesa può sembrare irrealistico alla luce della congiuntura storica che attraversiamo. Eppure la spontanea e vitale ripulsa della guerra, propria della grande maggioranza delle giovani generazioni, interroga oltre all’etica e alla politica, anche il diritto. Essa infatti pone le basi per smascherare l’assurdo di Stati che nelle sedi ufficiali dichiarano di volersi precludere la guerra mentre non esitano a scatenarla e per tradurre in un nuovo e fondamentale diritto umano le dichiarazioni di principio sul ripudio della guerra di offesa contenute nelle Costituzioni e nelle convenzioni internazionali. Se i detentori del potere dimostrano di non arretrare di fronte alla guerra, sono gli individui a dover rivendicare il diritto di agire con tutti i mezzi a loro disposizione. Rifiutando di essere trascinati in conflitti armati che, alla luce del diritto internazionale, sono da considerare illegittimi. Praticando ogni forma di disobbedienza possibile: l’aperta ribellione, la fuga, la richiesta di asilo in Paesi stranieri. Invocando un diritto individuale di renitenza, mai direttamente menzionato nelle leggi e nelle convenzioni, eppure iscritto nella logica del diritto internazionale sviluppatosi a partire dal secondo dopoguerra. E’ possibile che questo diritto, che oggi sembra una utopia, abbia dalla sua il futuro...

06/08/2022
Di fronte alla guerra: scrupolo di verità ed esercizio di ragione

L'editoriale al n. 1/2022 di Questione Giustizia trimestrale Il diritto della guerra, le ragioni della pace

13/05/2022
Pacifismo e costituzionalismo globale

Sommario: 1. Il dovere di trattare - 2. La necessità di coinvolgere nella trattativa i paesi della Nato. Il ruolo che dovrebbero svolgere gli organi dell’Onu, convocati in seduta permanente - 3. 3. Due visioni del futuro del mondo  - 4. Per una Costituzione della Terra

23/04/2022
La Guerra è brutta

Le molte domande, i timori, le proposte di una protagonista della cultura e della politica che, di fronte al conflitto in atto, sollecita una riflessione sulle tante guerre degli ultimi trent’anni – Iraq, Siria, Libia, Cecenia, buon ultima Afghanistan – tutte finite nel peggiore dei modi sia per gli aggressori che per gli aggrediti e chiede una sorta di “patto tra nemici” in luogo del rafforzamento del “patto tra amici” nell’ambito della NATO. 

21/04/2022
Ripudio della guerra, diritto alla difesa, ricerca di una soluzione mediata del conflitto

Una guerra è brutalità, morte, sopraffazione e nessuna aggettivazione potrà mai giustificarne l’abominio. Il diritto alla difesa è un principio scolpito nell’ordinamento internazionale e non lo si può piegare alla contingenza delle opportunità. Perseguire una soluzione mediata dei conflitti è la sola strategia che la nostra civiltà e cultura ci consente di legittimare.

20/04/2022
Occorre un nuovo accordo di convivenza internazionale

La logica imperiale delle grandi potenze, con i connessi strumenti di dominio (sfere di influenze, alleanze militari, corsa agli armamenti, minaccia nucleare, centralità del complesso militare-industriale…) costituisce un potenziale attentato alla pace e un permanente fattore di conflitti e di guerre.

13/04/2022