Sommario: 1. Un warning - 2. La «modesta proposta» della Commissione Lattanzi in tema di controllo sulle iscrizioni - 3. La mancata risposta alle questioni più spinose - 4. Il pubblico ministero in bilico tra precetti virtuosi e concretissime remore - 5. Nascerà un complesso contenzioso sulla giusta data delle iscrizioni? - 6. Una decisione con troppi margini di opinabilità - 7. Una considerazione finale
1. Un warning
Questo articolo sarà ragionevolmente breve. Come si addice ad un warning di cui si debbano chiarire sinteticamente al pubblico le motivazioni.
Come è noto la Commissione presieduta da Giorgio Lattanzi e composta da autorevoli professori e magistrati ha redatto, su incarico della Ministra della Giustizia, un’ampia relazione ed un articolato normativo su riforme della giustizia penale finalizzate a renderla più rapida e meglio rispondente alle esigenze della società.
La Relazione è un elaborato complesso nel quale molti sono gli squarci illuminanti e le impostazioni cariche di futuro e altrettanti i punti ardui e controversi che reclamano di essere discussi e approfonditi, anche criticamente.
Ai contenuti della Relazione ed alle proposte del Governo sui temi della giurisdizione penale questa Rivista intende riservare adeguata attenzione in un prossimo numero della Trimestrale che sarà interamente focalizzato sulle iniziative riformatrici assunte dal Governo presieduto da Mario Draghi nei tre settori della giustizia civile, della giustizia penale e dell’ordinamento giudiziario.
2. La «modesta proposta» della Commissione Lattanzi in tema di controllo sulle iscrizioni
Oggi però intendiamo “estrarre” dalla Relazione della Commissione Lattanzi un passo cruciale nella complessiva economia delle indagini preliminari e per le sorti dell’intera vicenda processuale, che merita di essere approfondito e discusso.
Parliamo della sequenza iniziale di ogni procedimento nella quale il pubblico ministero iscrive sul registro delle notizie di reato una notitia criminis e il nominativo di uno o più indagati e, con tale iscrizione, fissa la data di inizio delle indagini preliminari, a partire dalla quale decorrono i termini delle investigazioni dell’ufficio inquirente.
Termini invalicabili perché tutte le acquisizioni investigative successive alla loro scadenza (ed in special modo quelle derivanti da intercettazioni di varia natura, non surrogabili in alcun modo nel corso del dibattimento) risulteranno inutilizzabili ai fini del processo.
La Commissione - riprendendo una proposta già presente nel ddl del Ministro della Giustizia del precedente Governo[1] e risalenti iniziative legislative[2] suggerisce di introdurre una verifica da parte del giudice sulla tempestività (id est: sulla correttezza e veridicità) della data di iscrizione, a seguito della “ richiesta motivata” di chi vi abbia interesse.
Al controllo sulla tempestività dell’iscrizione compiuta dal gup (o dal giudice del dibattimento nei procedimenti a citazione diretta) è connessa una rilevante catena di effetti:
a) la “retrodatazione” dell’iscrizione tardivamente effettuata dal pubblico ministero;
b) il conseguente ricalcolo dei tempi di durata delle indagini sulla base della nuova data individuata dal giudice;
c) l’«inutilizzabilità» di tutte le acquisizioni del pubblico ministero e della polizia giudiziaria che, a seguito e per effetto della retrodatazione, risultino poste in essere “dopo” la scadenza del (ricalcolato) termine di durata massima delle investigazioni.
In estrema sintesi: il pubblico ministero iscrive nel registro delle notizie di reato la notitia criminis e il nominativo di uno o più indagati in una certa data; ma il giudice, sollecitato da un interessato, può ritenere che l’iscrizione sia stata tardiva e anticiparla, rendendo inutilizzabile ciò che è stato acquisito dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria oltre il termine di durata delle indagini come ridefinito dal giudice[3].
Per la sua impietosa radicalità, questa «modesta proposta» fa tornare alla mente quella avanzata, nel celebre pamphlet del 1729, da Jonathan Swift «per evitare che i figli degli irlandesi indigenti siano di peso ai genitori o al Paese, facendone un beneficio per tutti».
Ritenendo «un serio motivo di lamentela» la presenza sulle strade di Irlanda di una enorme quantità di bambini cenciosi ed affamati, il corrosivo e misantropo pastore anglicano indicava «un metodo onesto facile e poco costoso, atto a rendere questi bambini parte sana ed utile della comunità»: metterne in vendita l’80% all’età di un anno, dopo averli resi «rotondetti e paffutelli, pronti per una buona tavola».
Certo, il metodo «onesto, facile e poco costoso» di cui qui discutiamo non genererebbe una strage di procedimenti penali di eguali dimensioni, ma non c’è dubbio che esso introdurrebbe un elemento di permanente incertezza e di squilibrio soprattutto nei procedimenti penali più complessi per la natura dei reati, la complessità delle indagini ed il numero degli indagati.
Un effetto legittimo e sacrosanto, si potrebbe replicare, se si fosse davanti a gravi e accertate violazioni da parte del pubblico ministero delle giuste regole sui tempi delle iscrizioni.
Ma la replica sarebbe semplicistica.
Da un lato essa ignorerebbe i molti e spinosi problemi propri di una corretta e certa individuazione dei tempi delle iscrizioni[4].
Dall’altro non misurerebbe quanto sia problematico innestare sul tronco del processo penale (che si vuole semplificare ed accelerare) l’ennesimo procedimento incidentale mirante a sanzionare con l’inutilizzabilità le valutazioni compiute del pubblico ministero sul dato fluido e opinabile della “giusta” data di iscrizione della notizia di reato.
3. La mancata risposta alle questioni più spinose
Il primo rilievo critico da muovere alla soluzione prospettata è che la Commissione “elude” la risposta ai numerosi interrogativi da tempo al centro della riflessione sui modi e sui tempi dell’iscrizione.
Quando si è di fronte ad una notizia di reato che il pubblico ministero ha il dovere di iscrivere?
Sempre? A seguito di ogni esposto, magari vago e fumoso indirizzato al pubblico ministero? O l’iscrizione deve essere compiuta in maniera più ponderata e meditata? E sulla base di quali valutazioni delle ricadute personali, professionali, sociali, economiche, politiche, istituzionali, di possibili iscrizioni a pioggia o al buio effettuate dal pubblico ministero?
Naturalmente queste domande sono ben presenti alla Commissione che nella relazione si sofferma sulla «particolare delicatezza di un passaggio troppo spesso considerato un mero atto dovuto e sul rischio che si proceda a un’iscrizione esclusivamente formale di fatti, ma soprattutto di soggetti – coinvolti, ad esempio, in organismi ed équipe di lavoro – la cui posizione sia quasi certamente estranea a profili di responsabilità penale».
Così dopo aver ricordato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che «fa discendere le garanzie dell’art. 6 CEDU dalla “soggettivizzazione” dell’indagine, quando questa si polarizzi, da un quadro ad ampio raggio, su specifici soggetti» la relazione ricorda che «gli effetti negativi indiretti, correlati all’iscrizione, possono costituire grave nocumento per soggetti comunque destinati a fuoriuscire presto dal quadro investigativo».
Dunque la Commissione mostra di ragionare in sintonia con quella corrente di pensiero che ha messo in guardia rispetto alle prassi di iscrizioni automatiche, indiscriminate, affrettate, a pioggia.
Di qui la proposta «di introdurre una definizione di notizia di reato e di precisare i presupposti per l’iscrizione, tanto di natura oggettiva, quanto soggettiva, come del resto già sottolineato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. in particolare Cass., sez. un., 21.6.2000, n. 16, Tammaro)»[5].
Ma è un fatto che la Commissione non “definisce” la notizia di reato e non “precisa” autonomamente i presupposti per l’iscrizione, limitandosi a scrivere nell’articolato normativo che essi dovranno essere formulati «in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni».
E’ una lacuna di non poco rilievo sotto il profilo concettuale, perché colmarla avrebbe significato misurarsi a fondo con il fascio di problemi propri delle iscrizioni e dei loro tempi e apprezzare la fluidità e le incertezze che accompagnano – inevitabilmente – le valutazioni e le determinazioni del pubblico ministero.
E’ dunque sulle sabbie mobili di una “definizione” che ancora non c’è e di “presupposti” non ancora precisati che si erige il congegno della possibile retrodatazione giudiziale della iscrizione e della conseguente inutilizzabilità accertata ex post delle acquisizioni investigative successive al ricalcolo dei tempi delle indagini.
4. Il pubblico ministero in bilico tra precetti virtuosi e concretissime remore
Il vero punto critico della opzione prospettata non sta però nella sua incompletezza.
A prescindere da ogni sforzo di definizione e precisazione, è sin troppo evidente che saranno la nuova procedura di controllo e la “sanzione” ad essa collegata a dominare il campo con la loro forza deterrente, orientando comportamenti e scelte del pubblico ministero.
All’inizio di ogni procedimento il pubblico ministero “saprà” che le sue eventuali valutazioni discrezionali sui tempi più corretti per effettuare le iscrizioni e i suoi riflessivi indugi potranno essere (e di fatto saranno molto spesso) sottoposti ad un controllo del giudice, dagli esiti incerti e difficili da prevedere.
E poiché nella fase iniziale delle indagini l’organo inquirente ignora ancora quale potrà essere la complessità e la durata delle investigazioni sarà indotto, per non dire costretto, a iscrivere “tutto e subito” per scongiurare l’esito catastrofico della parziale inutilizzabilità dei risultati investigativi acquisiti.
Con buona pace delle sagge indicazioni di segno contrario provenienti dalle elaborazioni di importanti Uffici di Procura (tra cui la circolare n. 3225/17, diffusa il 2 ottobre 2017 dall’allora Procuratore capo della Procura romana, Giuseppe Pignatone)[6] e delle stesse considerazioni svolte sul punto dalla Commissione Lattanzi e dai suoi componenti[7].
Tra i precetti virtuosi impartiti al pubblico ministero (di attenta ponderazione e di precisa ricognizione preventiva dei fatti e delle singole posizioni individuali) e il potente deterrente della inutilizzabilità conseguente a iscrizioni che potranno essere ritenute ex post “tardive”, sarà la minaccia incombente sul procedimento ad orientare (del tutto comprensibilmente) l’organo inquirente e a spingerlo verso iscrizioni il più possibile anticipate e perciò al riparo da ogni successiva contestazione.
Si realizzerà, per questa via traversa, una rinascita della formula dell’iscrizione come “atto dovuto” che si voleva relegare in soffitta?
A contatto con la realtà effettuale delle indagini più rilevanti, non di rado incandescenti e magmatiche, il nuovo congegno processuale rischia di produrre effetti opposti a quelli desiderati, dissuadendo il pubblico ministero dalle più meditate valutazioni sulle iscrizioni che a parole tutti dicono di preferire[8].
5. Nascerà un complesso contenzioso sulla giusta data delle iscrizioni?
Le ricadute negative non si fermano a questo, pur fondamentale, effetto indesiderato.
In primo luogo l’innesto dell’ennesimo procedimento incidentale sul tronco del processo penale si pone in contraddizione con l’intento di snellire, semplificare, accelerare i tempi del processo che ispira le altre proposte riformatrici e reca con sé un sovraccarico di domande a giudici già oberati di lavoro.
Per altro verso va preso atto che la Commissione ha inteso mantenere il controllo sulle iscrizioni nella fase iniziale del processo, prevedendo che l’interessato debba, a pena di inammissibilità, proporre la sua richiesta motivata in un termine «dalla data in cui» abbia avuto «facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico».
E però è evidente che la eventuale modifica della data di iscrizione costituirà - in ragione dei suoi incisivi e talora dirompenti effetti - un punto di decisione sul quale le parti potrebbero ritornare tanto nel corso del giudizio di primo grado quanto nella fase delle impugnazioni per chiedere che sia verificata la correttezza e l’aderenza al dettato normativo del decisum del primo giudice.
Né la Commissione si è data carico di affrontare un’altra questione di grande momento: la possibilità che vi siano richieste plurime e di segno discordante in ordine alla nuova datazione sia da parte degli stessi imputati (che potrebbero avere interessi divergenti in merito) sia delle parti civili e dei responsabili civili e che tali discordie si manifestino e si perpetuino, come si è accennato, durante tutto il processo.
Infine non si può sottovalutare l’impatto che gli esiti della procedura di controllo potrebbero avere su procedimenti che si svolgono necessariamente in progress in corrispondenza con il divenire delle attività criminose (si pensi al susseguirsi di scambi illeciti di droga posti in essere da una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) e che rischierebbero di essere amputati da possibili letture formalistiche dell’iscrizione della notizia di reato.
Sin qui alcune delle considerazioni più strettamente procedurali che sconsigliano la traduzione in norme della proposta avanzata dalla Commissione.
6. Una decisione con troppi margini di opinabilità
Ancora più a monte, è la stessa natura della decisione che si intende chiedere al giudice a suscitare non poche perplessità.
Per compiere correttamente la valutazione temporale in questione il giudice dovrebbe astrarsi da quanto sa dell’insieme degli atti compiuti dal pubblico ministero al momento in cui il suo giudizio viene sollecitato, ricollocandosi idealmente nella posizione nella quale si trovava l’organo inquirente al momento delle sue scelte in materia di iscrizioni.
Il giudizio dovrebbe perciò essere effettuato ex ante, non risultando influenzato dalle più ampie conoscenze di cui il decisore dispone all’atto delle sue determinazioni: una decisione di per sé non impossibile e in più casi già contemplata dall’ordinamento, in particolare nelle decisioni in tema di responsabilità, ma sempre ardua in sé e per le drastiche conseguenze che ne possono derivare.
Se si sommano le oggettive difficoltà di un siffatto giudizio con la ineliminabile labilità delle valutazioni concernenti i tempi delle iscrizioni, crescerebbe in misura inaccettabile il margine di opinabilità, di incertezza, di imprevedibilità della decisione giudiziale.
Ed ancora una volta il pubblico ministero potrebbe liberarsi dall’incertezza solo optando per iscrizioni pressoché immediate ed automatiche, cioè proprio quelle criticate dalla stessa Commissione e dalla migliore cultura giuridica.
7. Una considerazione finale
La promessa di brevità formulata all’inizio di questo articolo impone di fermarsi alle sintetiche considerazioni sin qui svolte.
Sembra a chi scrive che il punto di approdo della giurisprudenza di legittimità in materia di iscrizioni[9] debba essere tenuto fermo: il pubblico ministero deve essere chiamato a rispondere in sede disciplinare e/o penale di eventuali abusi compiuti nel ritardare arbitrariamente un’iscrizione inequivocabilmente dovuta o nel compiere, prima dell’iscrizione, significativi atti di indagine che perciò solo saranno arbitrari e inutilizzabili.
Ma se davvero si vogliono superare le cattive prassi delle iscrizioni frettolose e indiscriminate (in sostanza dell’iscrivere “tutto e tutti”, sempre e comunque) occorrerà lasciare all’organo inquirente uno spazio temporale e mentale di ricognizione, di analisi, di riflessione, di ponderazione, di selezione.
Uno spazio che il procedimento incidentale in discussione avrà l’effetto di comprimere o di annullare per via dei ragionevoli timori suscitati dal congegno della retrodatazione e della inutilizzabilità.
[1] Nel disegno di legge delega presentato il 13 marzo 2020 alla Camera dei deputati dal Ministro della Giustizia, Bonafede (AC 2435) è previsto un meccanismo di verifica giudiziale, su richiesta di parte, della tempestività nell’iscrizione delle notizie di reato, al fine di rendere ineludibile il termine di durata massima delle indagini preliminari. «L’innesto normativo» – si legge nella Relazione introduttiva al ddl – «si propone di risolvere i problemi, da tempo avvertiti, che originano dall’assenza di effettivi rimedi processuali per i ritardi nell’iscrizione nel registro delle notizie di reato. Al fine di evitare un utilizzo improprio dello strumento di controllo giurisdizionale, si pone a carico dell’interessato, che chiede l’accertamento della data di effettiva acquisizione della notizia di reato, l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta».
[2] Una norma simile a quella in esame era stata formulata, senza esito, dall’art. 6 c. 1 lett. a) n. 2 del ddl 1440/2009 inteso a novellare l’art. 405 c. 2 cpp nei seguenti termini: «Salvo quanto previsto dall’articolo 415-bis, il pubblico ministero richiede il rinvio a giudizio entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato ovvero dalla data in cui risulta il nome della persona alla quale il reato è attribuito, ai sensi dell’articolo 335, comma 1. A tale fine il giudice verifica l’iscrizione operata dal pubblico ministero e determina la data nella quale essa doveva essere effettuata, anche agli effetti dell’articolo 407, comma 3».
[3] Nell’articolato normativo della Commissione si propone che la legge delega per la riforma del processo penale contenga le seguenti direttive:
l) precisare i presupposti per l’iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esigenze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni;
l-bis) prevedere che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempestività dell’iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’iscrizione della notizia a suo carico; prevedere che, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’interessato che chiede la retrodatazione della iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta;
l-ter) prevedere che il giudice per le indagini preliminari, anche d’ufficio, quando ritiene che il reato è da attribuire a persona individuata, ne ordini l’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, se il pubblico ministero ancora non vi ha provveduto;
l-quater) prevedere che la mera iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo.
[4] Sulle difficoltà del controllo che oggi si vuole introdurre cfr. Cass. SSUU n. 40536 del 24.9/20.10 2009 nella quale il giudice di legittimità, chiamato a risolvere il contrasto in ordine alla sussistenza o meno, in capo al giudice, in caso di tardiva iscrizione della notizia di reato, del potere di “ricollocare” il termine iniziale di decorrenza delle indagini preliminari al momento in cui l’iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata (con le ulteriori conseguenze in ordine all’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti successivamente alla scadenza dei termini), ha escluso, in adesione all’orientamento maggioritario, un tale potere, ricollegando all’inerzia o al ritardo unicamente eventuali profili di responsabilità penale o disciplinare; in mancanza, infatti, di disposizioni specifiche che una tale retrodatazione consentano, non è dato neppure individuare nel sistema, ha sottolineato la Corte, né un principio generale di sindacabilità degli atti del pubblico ministero, né un altrettanto generalizzato compito di garanzia affidato in particolare al giudice per le indagini preliminari, il quale non governa l’indagine né è chiamato a controllarla.
[5] Le citazioni nel testo sono tratte dal capitolo 2.6, Indagini preliminari e udienza preliminare, pp. 16 e ss. della Relazione della Commissione Lattanzi.
[6] Su questa circolare v. l’articolo di D. Stasio, "No a iscrizioni frettolose". Pignatone sfata la leggenda dell’"atto dovuto", in questa Rivista on line, 17.10.2017 (che reca in allegato il testo della Circolare).
[7] Per le considerazioni svolte nella Relazione della Commissione Lattanzi sembrano sufficienti le citazioni letterali contenute nel testo. Significativa inoltre la posizione di un membro della Commissione, il professor Vittorio Manes che in una intervista rilasciata al quotidiano Il Riformista del 15 giugno 2021, sottotitolata «Basta con il mito dell’atto dovuto, finire indagati rovina la vita», si sofferma ampiamente sulla necessità di preventiva ponderazione e selezione delle iscrizioni di indagati; senza però darsi carico delle controindicazioni nascenti dal forte potere di deterrenza del subprocedimento di controllo proposto dalla Commissione.
[8] Una opinione favorevole sul meccanismo di verifica presente nel ddl Bonafede e contraria a quella prospettata nel presente articolo è stata espressa da M. Gialuz, J. Della Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia penale approda alla Camera: per avere processi rapidi e giusti serve un cambio di passo, in Sistema Penale, 4/2020, 166 ss.. Scrivevano gli autori al riguardo: «Il novero degli interventi sulla fase preliminare si chiude con una direttiva di delega (art. 3, comma 1, lett. l), volta a dar vita a un meccanismo di verifica giudiziale «della tempestività nell’iscrizione delle notizie di reato, al fine di rendere ineludibile il termine di durata massima delle indagini preliminari». In altre parole, l’innesto normativo propone di attribuire al g.u.p. o al giudice del dibattimento (a seconda che vi sia o meno l’udienza preliminare) il potere di accertare, su richiesta motivata dell’interessato, la data di reale acquisizione della notizia di reato da parte della pubblica accusa; e ciò «ai fini della valutazione di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo l’[effettiva] scadenza del termine di durata massima delle» investigazioni. Si tratta di una modifica assolutamente apprezzabile, la quale – sulla scia di tante iniziative succedutesi nel corso degli anni – persegue lo scopo di colmare l’evidente lacuna di tutela, determinata dall’attuale atteggiamento di totale chiusura della Cassazione con riguardo alla tematica della sindacabilità delle scelte dei pubblici ministeri in punto di iscrizione delle notizie di reato111. Com’è ben noto, la suprema Corte afferma tralatiziamente che «l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione […] rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del p.m. ed è sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del giudice». Ebbene, l’adozione della previsione in esame consentirebbe finalmente di superare tale indirizzo pretorio e di ovviare così all’attuale mancanza di rimedi processuali per i casi in cui l’accusa ritardi in modo abusivo di adempiere all’obbligo di tempestiva iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.
[9] Il riferimento è in particolare alla sentenza delle Sezioni Unite, Lattanzi, citata alla nota n. 3 ed all’orientamento giurisprudenziale nettamente maggioritario cui essa si ricollega.