Introduzione:
La sentenza n. 3907 del 2015 pronunciata dalla Sezione I – Ter del Tar del Lazio è solamente l’ultimo in ordine di tempo, degli interventi operati dalla magistratura volti ad evidenziare lo straripamento del potere del Ministro dell’Interno su una materia di competenza esclusiva del potere giudiziario.
La vicenda è nota ed è bene, al fine di coglierne la reale portata e gravità, ripercorrerla nella sua interezza.
Alcune coppie omosessuali, dopo aver contratto matrimonio all’estero, chiedevano all’ufficiale di Stato civile del Comune di residenza in Italia, di procedere alla trascrizione. Diversi sono stati i Sindaci che hanno accolto tale richiesta provvedendo alla trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri di stato civile (ricordiamo in tal senso le città di Udine, Pordenone, Milano, Bologna, Livorno, Roma e da ultimo, recentemente, Reggio Emilia).
Il 7 ottobre 2014 il Ministero dell’Interno procedeva ad emettere circolare n. 40^/ba-030/011/DAIT, a firma del Ministro, indirizzata ai Prefetti della Repubblica, al Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano, al Commissario del Governo per la Provincia di Trento e per conoscenza al Presidente della Giunta Regionale della Val d’Aosta, avente ad oggetto: “trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero” Nella circolare si afferma che “spetta al Prefetto, ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 396/2000, la vigilanza sugli uffici dello stato civile, si richiama l’attenzione delle SS.LL. sull’esigenza di garantire che la fondamentale funzione di stato civile, esercitata, in ambito territoriale, dal Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, sia svolta in piena coerenza con le norme attualmente vigenti che regolano la materia.” Il Ministro disponeva quindi che i Prefetti, ove risultassero adottate “direttive sindacali in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero” rivolgessero “ai Sindaci formale invito al ritiro di tali disposizione ed alla cancellazione, ove effettuate, delle conseguenti trascrizioni, contestualmente avvertendo che, in caso di inerzia, si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies della legge 241 del 1990 e 54 commi 3 e 11 del d.lgs 267/2001”.
Si è così assistito a quella che la miglior dottrina costituzionalista ha definito “la battaglia politica dei sindaci [che] ha il merito di testimoniare il grave ritardo della politica nazionale sulla tutela delle coppie gay” (B. Pezzini in http://27esimaora.corriere.it/articolo/nozze-gay-sentenza-importante-ma-resta-il-vuoto-di-legge/). Questo braccio di ferro tra civiltà ed insensibile prepotenza del potere esecutivo ha portato come esito alle prime cancellazioni delle trascrizioni. Il primo a muoversi in tal senso fu il Prefetto di Udine. La associazione per i diritti lgbt Rete Lenford, che si era preoccupata di inviare diverse intimazioni al Prefetto ed al Ministro evidenziando l’illegittimità della Circolare, depositava quindi un esposto presso la competente Procura della Repubblica, chiedendo che si verificasse l’eventuale commissione dei reati sub artt. 476 c.p. con l’aggravante di cui al comma II, 347 c.p., ed in subordine 323 c.p.
L’esposto originava una richiesta di archiviazione da parte della Procura di Udine la quale però così affermava: “spiace però dover riconoscere che l’intervento de quo [ossia la circolare ministeriale] non appare conforme a legge: ne deriva che i ricorrenti – per questo profilo – sembra abbiano ragione. Invero il Prefetto ha sì vigilanza sui registri dello stato civile (vds art. 9 comma 2) ma questa attività di vigilanza si sostanzia in attività di ispezione (Art. 54 comma 9) di verificazione (artt. 104 e 105) ed è quindi una attività limitata” ed ancora “il Prefetto autonomamente non ha e non aveva compiti sostanzialmente abrogativi né poteri di cancellazione che spettano ex lege alla A.G. Che lo possa fare il Prefetto direttamente al Tribunale o debba egli attivare (come appare preferibile) il Procuratore della Repubblica (ex art. 95 comma 2) poco importa nel caso di specie, atteso che entrambe queste strade sono state ingiustamente trascurate. In altre parole la Circolare del Ministro Alfano prima e l’intervento del Prefetto poi non appaiono corretti sotto il profilo giuridico perché vanno a ledere prerogative e compiti propri della Procura della Repubblica ex art. 75 ordinamento giudiziario”. Il peso specifico di questo ultimo passaggio appare senza alcun dubbio rilevante in quanto parrebbe attestare un conflitto tra poteri dello Stato.
I rappresentanti del Governo nelle città di Bologna, Milano, Roma, procedevano ugualmente alla cancellazione delle trascrizioni e questo nonostante una dichiarazione così forte, proveniente dalla magistratura e volta ad evidenziare l’illegittimità dei contenuti della circolare Alfano circa il potere dei Prefetti in ordine all’intervento sui registri di stato civile. Eppure, sulla legittimità di tale ordine proveniente dal Ministero, vi erano tutte le ragioni per dubitare, sulla scorta del dettato dell’art. 51 cp. Dubbi sulla legittimità vi erano sia in relazione ai profili formali (la competenza del superiore gerarchico – cioè il Ministro – ad emanare l’ordine e quella del subordinato ad eseguirlo) sia sotto i profili sostanziali: “l’ordine è legittimo se l’ordinamento consente al soggetto di imporre a soggetti gerarchicamente sottordinati determinati comportamenti astrattamente configurabili come reato” (cfr. C. F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale di diritto penale, pag. 296, Giuffè, 2013). Come abbiamo visto però l’ordinamento configura il potere di cancellazione delle avvenute trascrizioni in termini di riserva di giurisdizione. Ovviamente, nel caso di specie, non è altresì applicabile l’ipotesi di una esimente putativa, invocando quella che può essere una erronea interpretazione della normativa applicabile, traducendosi questa come un mero errore di diritto che non vale ovviamente ad escludere la punibilità (cfr. G. Lattanzi, Codice penale, VI ed., 2008, Giuffrè, pag. 191).
E’ su questo specifico terreno quindi che si inserisce la sentenza n. 3907 del 2015 del Tar Lazio, il quale si è pronunciato sul ricorso presentato da una coppia omosessuale sposatasi in Spagna nel settembre 2010, che ha visto quindi trascrivere ad opera del Sindaco di Roma l’atto di matrimonio e poi ha patito la cancellazione dello stesso da parte del Prefetto.
Le tesi sostenute:
Le ricorrenti nell’impugnare il provvedimento prefettizio, depositavano, successivamente, istanza cautelare, chiedendo di inibire al Prefetto ed al Sindaco l’annotazione sul registro dello stato civile del decreto contestato, nel timore che, nelle more del giudizio, il Prefetto di Roma potesse disporre l’annullamento delle trascrizioni prima della proposizione del ricorso in sede giurisdizionale. Il Tribunale rigettava tuttavia, con decreto presidenziale n. 5554/2014 del 4 novembre 2014, la richiesta, in quanto riteneva insussistente il requisito del periculum in mora.
I motivi del ricorso dedotti dalla coppia sono diversi:
- anzitutto viene contestata la nullità del decreto prefettizio per difetto assoluto di attribuzione ed incompetenza assoluta, questo sulla scorta che la trascrizione degli atti di matrimonio nel registro di stato civile costituirebbe un atto pubblico formale con effetto dichiarativo e di certificazione e non un atto amministrativo. Appare pertanto inconferente il ricorso al fondamento normativo che la circolare porrebbe alla base del potere di intervento del prefetto ossia la asserita applicabilità dell’art. 21-nonies della l. 241/90
- viene poi rilevato che l’ordinamento dello stato civile rappresenta un sistema chiuso e tassativo. Ciò comporta che la cancellazione delle trascrizioni degli atti di matrimonio non possa avvenire attraverso un mero intervento autocratico della amministrazione ma prevede al contrario l’esclusiva potestas dell’autorità giudiziaria, a cui compete di accertare l’indebita trascrizione.
- ed ancora si lamenta la violazione e falsa interpretazione degli artt. 9 D.P.R. n. 396/2000 comma 3 ed 11 e d.lgs. n. 267/2000. Non è infatti previsto un potere sostitutivo in capo al Prefetto nei confronti del Sindaco nell’esercizio delle sue funzioni, ma esclusivamente in via eccezionale in caso di inerzia;
- viene chiesto altresì di accertare l’illegittimità dell’ordine di annotare il decreto di annullamento, in violazione dell’art. 453 c.c., del D.P.R. 396/2000 e del D.M. 5 aprile 2002, questo in quanto l’annotazione è un atto tipico e tassativo e non rientra tra le prerogative dell’Ufficiale di Stato Civile.
- da ultimo le ricorrenti lamentano violazione del diritto di difesa in quanto l’adozione del decreto prefettizio avvenne senza aver sentito la parte privata.
L’Avvocatura di Stato, nell’affermare l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto, poneva a fondamento delle sue ragioni la tesi secondo cui l’attività di tenuta dei registri dello stato civile è di competenza statale e viene svolta dal Sindaco quale ufficiale del Governo. In questo il Sindaco deve uniformarsi a quelle che sono le istruzione impartite dal Ministero secondo quanto stabilito sub art. 9 d.P.R. 396/00. Da questi due elementi, ossia la competenza sui registri e l’operare quale ufficiale del Governo da parte del Sindaco, discende, a detta dell’amministrazione resistente, la tesi che vi sia una subordinazione gerarchica che permetterebbe al prefetto di annullare quegli atti che non risultano conformi al quadro normativo vigente.
…l’accoglimento del ricorso:
il Collegio, nell’accogliere il ricorso e nel disporre l’annullamento dei provvedimenti impugnati, ha richiamato, preliminarmente, il percorso normativo e giurisprudenziale che, ad oggi, ha caratterizzato il dibattito relativo alle trascrizioni dei matrimoni same sex. L’analisi delle fonti prende spunto dall’art. 27 comma 1 della l. 218/1995 che viene letto in combinato disposto con l’art. 115 del c.c. Se ne ricava, a detta del Collegio, il principio per cui la diversità di sesso dei nubendi rappresenta un requisito sostanziale necessario. Rifacendosi quindi ad una visione veteronaturalistica dell’istituto matrimoniale, riproposta non da ultimo nelle note sentenze della C.C. n. 138/2010 e 170/2014, ancorando lo stesso ad un presupposto paradigma eterosessuale, supportando tale convincimento sul contenuto normativo ricavabile dall’art. 107 c.c., il Tar conclude affermando che la normativa nazionale non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e come immediato precipitato di tale equazione ne discenderebbe anche l’impossibilità a procedere alla trascrizione degli atti di matrimonio avvenuti secondo la lex loci di uno Stato estero nei registri di stato civile nazionali. Soffermiamoci anzitutto su questo primo passaggio che, a parere di chi scrive, parte da presupposti opinabili e, se possibile, giunge a deduzioni vieppiù opinabili. Non mi dilungherò sulla possibile lettura alternativa che poteva essere fornita all’art. 29 Cost., rimandando in tal senso a chi ottimamente ha già scritto sul tema (la letteratura in materia è tale e tanta da rendere impossibile un adeguato rimando bibliografico ma si voglia comunque tenere presente: C. Cost. 15 aprile 2010, n. 138, in Famiglia e diritto, 2010, 653, con nota di M. Gattuso; B. Pezzini, Il matrimonio same-sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza 138/2010 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2010, p. 799-811 e Riconoscere, negare o giustificare la discriminazione matrimoniale delle persone omosessuali ‘A proposito dell’interpretazione sistematico-originalista del matrimonio nell’articolo 29 Cost., in GenIUS, anno I, numero 2: dicembre 2014, p. 12; G. Brunelli, Dimensione antidiscriminatoria del principio di eguaglianza e diritto fondamentale di contrarre matrimonio, in GenIUS, anno I, numero 2: dicembre 2014, p. 12; G. Brunelli in Audizioni sui disegni di legge nn. 14 e connessi [disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili] contributi degli auditi, in http://www.articolo29.it/2015/coppie-gay-lesbiche-in-senato-relazioni-udienza-conoscitiva-avanti-commissione-giustizia/).
Appare invece il caso di soffermarsi seppure brevemente e non esaustivamente sul passaggio logico che il Tar propone: ossia stante l’impossibilità a celebrare un matrimonio same sex ne discende altresì l’intrascrivibilità dello stesso.
Citando il decreto del Tribunale ordinario di Grosseto N. V.G. 113/2014 “l’intrascrivibilità degli atti stranieri costituisce un’eccezione e che, dunque, non può che essere interpretata restrittivamente, in particolar modo quando gli atti o i provvedimenti incidano sullo status o sulla capacità delle persone, stante la necessità di garantire la più ampia circolazione degli stessi al di là dei confini entro i quali sono stati formati i relativi atti o provvedimenti” (rinvenibile in http://www.articolo29.it/2015/si-tribunale-grosseto/). Appare opportuno quindi dare la dimensione del fenomeno: su 122 milioni di matrimoni censiti nell’Unione, vi sono 16 milioni (13%) di questi che presentano una dimensione transfrontaliera (dati tratti da Libro Verde Commissione Europea 14 dicembre 2010). La mobilità dei cittadini dell’Unione è una realtà concreta e ad agevolare tale mobilità contribuiscono i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione, in particolare il diritto di libera circolazione che comporta come corollario che il soggetto, nel valicare i confini di uno Stato dell’Unione, possa portare con sé il patrimonio di diritti di cui è titolare. La attuale situazione italiana, sempre più isolata nel contesto europeo, ripercorre quanto Polikoff scriveva in merito al fenomeno transfrontaliero relativo alle famiglie omosessuali: “Crossing the border can mean the difference between losing and retaining custody or being able to adopt as a gay or lesbian couple” (N.D. Polikoff, Lesbian and gay couples raising children: the law in the United States , in R. Wintemute, M. Andenaes (eds) the legal recognition of same sex partners: a study of National, European and International Law, Hart Publishing, Oxford/Portland, 2001, pag. 153). Inevitabile la constatazione che ne discende: vi sono atti di stato civile con cui l’autorità di uno Stato membro attesta i principali eventi da cui dipende lo status delle persone i quali però non producono necessariamente effetti in un altro Stato membro. Il fenomeno è vieppiù originale e difficilmente giustificabile, se non in nome di una peculiare schizofrenia o ipocrisia ordinamentale tipicamente italiana, se solo consideriamo che il nostro Stato è parte del CIEC (Commissione internazionale dello stato civile) e firmatario della convenzione n. 3 (secondo cui un ufficiale di stato civile quando redige un atto di matrimonio ne informa l’ufficiale di stato civile del luogo di nascita dei nubendi con un modulo standard). Si realizza così il consapevole ignorare una comunicazione ufficiale proveniente da un altro Stato firmatario della medesima convenzione, e ciò – si badi - a fasi per così dire alterne, considerando, in termini positivi, unicamente le comunicazioni che coinvolgono cittadini eterosessuali ma non quelle riguardanti cittadini omosessuali e generando così una – a questo punto inevitabile - discriminazione per orientamento sessuale.
Quali sono i motivi della opposizione al matrimonio same sex od alla loro trascrizione nei registri di stato civile sono oramai una cantilena troppe volte sentita e, onestamente, priva di una reale portata giuridica, espressione della più reazionaria etica cattolica che “da sempre è una morale privata che diventa pubblica solo in questioni di sesso, famiglia e bioetica, oltre che in vista delle competizioni elettorali” (cfr. M. Donini, Il diritto penale come etica pubblica, 2014, Mucchi, pag. 31). Non si può quindi non guardare con sospetto ed inquietudine a quanto dichiarato da Franco Bechis nel suo articolo apparso su Libero il 29 ottobre 2014 ove dichiarava che ad Alfano era stato suggerito dai suoi consulenti politici che “se non vuoi sparire del tutto, mettiti al centro delle battaglie a difesa della famiglia tradizionale. Lì non presidia più nessuno, nemmeno la Chiesa. Battiti contro i matrimoni gay, le unioni civili, le adozioni a coppie dello stesso sesso. Fai il difensore dei valori tradizionali come aveva fatto la chiesa fino a papa Ratzinger. Secondo noi quel terreno in politica ha uno spazio che vale almeno il sei per cento. Occupalo prima di avere concorrenti” (cfr http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11713912/I-consulenti-ad-Alfano--Se.html). E che quel terreno susciti la cupidigia elettorale di molti appare evidente dai toni con cui si tenta di occuparlo, dimenticando che dall’altra parte ci stanno delle persone con i loro diritti, drammaticamente scordando che il “matrimonio ha, anzitutto, una dimensione di diritto civile” (M. Nussbaum, Disgusto e umanità, Il Saggiatore, Milano, 201, pag. 126 ss.) e che pertanto la sacralità del matrimonio religioso non viene sicuramente minacciata dal riconoscimento del matrimonio same sex (N: Vassallo, Il matrimonio omosessuale è contro natura, falso!, Laterza, 2015, pag. 14).
Così si assiste al ricorso all’abusato argomento del “contra natura”, efficacemente liquidato dal citato decreto del Tribunale di Grosseto dove si afferma che l’espressione “società naturale non può ritenersi certamente riferita a medievali e discriminatorie concezioni secondo cui l’unione omosessuale sarebbe contro natura o secondo cui i diritti di famiglia possano essere riconosciuti soltanto a coniugi astrattamente idonei alla procreazione ma va correttamente intesa come formazione sociale spontanea” (sul concetto di contro natura piace richiamare quanto espresso da F. Remotti, Contro natura, 2008, Laterza). La stessa lettura storica della norma fatta propria da ultimo anche dalla sentenza Cost. 170/2014, che ci propone di contro una interpretazione dell’art. 29 Cost. non alla luce dell’art. 3 Cost. ma del titolo VI del libro I del codice civile, andrebbe vista in verità con riferimento al reale dato storico (fu lo stesso Aldo Moro nei lavori della Commissione per la Costituzione a richiamare che “Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui «naturale» sta per «razionale». D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice: «società naturale» in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare.” In tal senso sia il pensiero di Moro quanto di Togliatti, che su questo punto convenivano, era di estraniare la famiglia da possibili influenze statuali al fine di evitare il ripetersi dell’invasiva esperienza fascista non sicuramente il ricondurre un istituto di diritto civile nell’alveo del diritto divino). E’ proprio contro quel sempre più perfetto adeguamento al processo di formazione storica che si pongono i non expedit del Ministero e la elefantiaca atrofia legislativa parlamentare. La stessa Corte di Cassazione – facendo sue le deduzioni della Cedu - afferma nella sentenza 4184/12 che il matrimonio same sex esce dalla via dell’inesistenza per imboccare la strada della improduttività di effetti giuridici ed offre, così facendo, il corollario in forza del quale la diversità di sesso dei nubendi, non può considerarsi un requisito minimo indispensabile.
Se per nulla convince un medievalistico richiamo al “contro natura” ancor meno convince l’appellarsi al diverso profilo della possibile contrarietà all’ordine pubblico, nozione elastica che deve raccordarsi non con la concezione di ispirazione statualista ma necessariamente riferirsi alla comunità internazionale cui l’Italia partecipa. L’Italia si colloca al 32° posto in Europa per equiparazione dei diritti civili alla comunità lgbt (http://www.ilga-europe.org/home/publications/reports_and_other_materials/rainbow_europe) in una condizione di assoluta minoranza, essendo il solo tra gli Stati fondatori a non aver disposto alcun tipo di legislazione (ad eccezione degli interventi in materia giuslavoristica) a tutela della popolazione omosessuale. Ad oggi è sempre più difficile quindi invocare, in difesa di quella sopra citata atrofia normativa, la teoria del margine di apprezzamento formulata in sede europea, stante il mutamento politico del quadro sovranazionale dove la quasi totalità degli Stati dell’Unione hanno provveduto a riconoscere alle coppie same sex il diritto di contrarre matrimonio o unioni civili. Vi è unicamente un indiscutibile colpevole ritardo, in capo all’Italia, che stride con la dichiarazione del Parlamento europeo apparsa nella relazione annuale sui diritti umani. In tale frangente si legge che il Parlamento europeo «incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell'Unione europea a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili» inevitabile evoluzione del concetto che la relazione affettiva e sentimentale tra due persone dello stesso sesso oramai è dato assodato da doversi qualificare come vita familiare e non solo vita privata (Cedu, Schalck and Kopf vs Austria in http://www.articolo29.it/decisioni/corte-europea-dei-diritti-delluomo-prima-sezione-schalk-e-kopf-contro-austria-decisione-del-24-giugno-2010/) , posizione ribadita con maggior intensità e forza nella sentenza Cedu, X and Others vs Austria (cfr. http://www.articolo29.it/2014/corte-di-strasburgo-ed-eteronormativita-nella-sentenza-schalk-kopf-ed-x-others-contro-austria/) tanto che la Corte europea attesta che non vi è un solo modo di intendere la famiglia e la vita privata (Cedu, Vallianatos vs Grecia in http://www.articolo29.it/decisioni/corte-europea-dei-diritti-umani-vallianatos-e-altri-c-grecia-decisione-del-7-novembre-2013/; cfr. con taglio sociologico C. Saraceno, Coppie e famiglie non è questione di natura, Feltrinelli, 2012) . Se quindi il matrimonio same sex non può dirsi inesistente nè può ritenersi contrario all’ordine pubblico, rimane da comprendere quale ragione vi possa essere (se non quella discriminatoria su base dell’orientamento sessuale) per negare il riconoscimento di uno status acquisito all’estero. Come ottimamente ricorda il già citato provvedimento di Grosseto, la giurisprudenza Cedu ritiene che il mancato riconoscimento di uno status personale acquisito all’estero, appare legittimo unicamente quando risponde ad un imperativo sociale e deve essere proporzionato allo scopo che si prefigge (Negrepontis – Giannisis vs Grecia, 3 maggio 2011, application no. 56759/08, in http://hudoc.echr.coe.int/). Ne discende così che l’intrascrivibilità del matrimonio same sex si traduce in un mancato riconoscimento di uno status acquisito validamente e tale diversità di trattamento rispetto ai matrimoni transfrontalieri poi trascritti si fonderebbe unicamente su di una inaccettabile discriminazione per orientamento sessuale.
Considerazioni queste che si pongono sull’esatto opposto crinale rispetto a quelle del Tar del Lazio. Pur discordando quindi sulle premesse argomentative della sentenza del tribunale amministrativo, non si può non notare come corrette siano le deduzioni a cui il provvedimento n. 3907/2015 che qui ci occupa, giunge. La sentenza infatti al punto 4 della parte di diritto ritiene che le censure relative i poteri dell’amministrazione dello Stato circa la cancellazione delle trascrizioni siano fondate. Come correttamente evidenzia il tribunale amministrativo il sistema dello stato civile prevede puntuali possibilità di intervento sui registri dello stato civile (cfr. art. 453 c.c.) tra cui non è compresa l’azione diretta del prefetto; di contro all’art. 95 comma 1 e all’art. 109 d. P.R. 396/00 si esplicita una competenza esclusiva in capo all’autorità giudiziaria. Vengono così esclusi qualsivoglia vie in autotutela, lasciando in capo al Ministro il potere di indirizzo ed in capo al Prefetto il potere di vigilanza. Non è altresì invocabile da parte della Amministrazione centrale il sostituirsi al Sindaco in caso di sua inerzia (art. 54 commi 3 e 11 TUEL) in quanto il potere sostitutivo presuppone, per la sua epifania, per l’appunto l’inerzia e non potrebbe comunque permettere al Prefetto di esercitare poteri maggiori di quelli del Sindaco a cui come è noto è inibito annullare le trascrizioni sua sponte.
Il Tar condivide di contro l’orientamento secondo cui la trascrizione nel registro dell’atto di matrimonio debba intendersi quale atto avente natura amministrativa e non un mero atto pubblico formale avente effetto dichiarativo e di certificazione come sostenuto dai ricorrenti. Si tratta però di una prospettiva di lettura non condivisibile – e che tra l’altro lascerebbe aperta in astratto l’inquietante via applicativa dell’21-nonies della l. 241/90 in capo all’Amministrazione centrale – mentre appare preferibile rifarsi a quanto stabilito in dottrina (cfr, ex plurimis, B. Meoli, Della registrazione relativa agli atti di matrimonio, in P. Stanzione, Il nuovo ordinamento dello stato civile, Giuffrè 2001, pag. 257; N. A. Cimmino, Art. 450, in P. Cendon Commentario al codice civile, Giuffrè 2009, vol. IV, pag. 1354; I. Cevasco, art. 450, in G. Alpa e V. Mariconda, Commentario al codice civile, Wolter Kluwers 2013, Tomo I, pag. 1511).
Quanto appare certo è che esiste una espressa previsione legislativa che conferisce unicamente in capo alla magistratura la possibilità di intervenire in materia, tanto che all’art. 100 del D.P.R. 396/2000, si legge “I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia, ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti […]”.
L’iter formativo stesso dell’atto civile appare ex lege tassativamente indicato (art. 12 comma 6 D.P.R. 396/2000), tanto che gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell’ufficiale dello stato civile competente e successivamente non possono subire variazioni. Volessimo interpretare figurativamente questo passaggio potremmo immaginare che i registri dello stato civile rappresentano una cassaforte in cui viene conservato il nostro status. Si può aprire la cassaforte con le chiavi, affidate alla magistratura, o diversamente tentare di forzarla con un grimaldello.
L’intervento della magistratura secondo quanto stabilito sub art. 95 d. P.R. 396/00 è, tra l’altro, una prassi operativa ben nota alla amministrazione centrale in quanto – come evidenziato da ReteLenford nell’esposto presentato alla Procura di Udine (vds http://www.retelenford.it/761-esposto-alla-procura-di-udine-a-seguito-della-cancellazione-del-matrimonio-same-sex-trascritto.html) - nel Massimario per l’ufficiale di stato civile del Ministero dell’Interno (consultabile all’indirizzo: http://servizidemografici.interno.it/sites/ default/files/Massimario-Ufficiale-Stato-Civile_2012_0.pdf), compare al par. 15.1.1 a pag. 166,: “Cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla “cancellazione di un atto indebitamente registrato” negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli artt. 95 e 96 del DPR 396/2000 rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all’autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile”.
Brevi considerazioni di natura penale:
L’intervento del Tar, come detto in incipit, sottolinea per la seconda volta l’illegittimità del provvedimento adottato dal Ministro Alfano. Come spesso accade, andando al nocciolo della questione, i problemi risultano essere più semplici di quanto possa apparire di primo acchito. Per quanto gli sforzi del Ministro sia in sede di interrogazione parlamentare che di interviste rilasciate ai mass media fossero rivolte a spostare il baricentro del problema verso l’impossibilità a trascrivere (su cui però sono state sollevate tutte le obiezioni del caso), il puntum pruriens è ben altro. La domanda di fatto è semplice: poteva il ministro ordinare la cancellazione? Non si tratta di chiedersi se i Sindaci potevano trascrivere, si tratta di capire se il Ministro poteva disporre la cancellazione attraverso un provvedimento preso in via gerarchica. La risposta, giunta sia dal magistrato penale quanto da quello amministrativo, è negativa ed evidenzia l’abuso compiuto dal Ministro. Proprio su questo punto bisognerebbe riflettere, avendo l’inopinata azione di Alfano tutte le caratteristiche per aprire le vie ad un conflitto tra poteri dello Stato. L’amministrazione pubblica era stata più volte intimata dalle associazioni lgbt a non procedere alla cancellazione delle trascrizioni e sicuramente, dopo l’intervento del magistrato penale che qualificava sostanzialmente come illegittimo quanto accaduto a Udine, doveva sorgere, in capo ai rappresentanti dell’Esecutivo, quantomeno il dubbio sulla liceità di tale ordine e sulla competenza dell’autorità ordinante.
Di fatto abbiamo assistito ad una volontaria alterazione della realtà fattuale così come consacrata nei registri di stato civile, azione tra l’altro compiuta su di un atto regolarmente formato. L’intentio manifestata nei decreti prefettizi di evitare effetti pregiudizievoli per l’unitarietà dell’ordinamento giuridico (sull’evidente idea che il matrimonio same sex sia contrario all’ordine pubblico, preoccupazione invero inesistente stante quanto dichiarato in Schalk and Kopf vs Austria e recepito dalla giurisprudenza nazionale: Cass. Civ. 4184/12 e 601/13) fa comunque si che “Le modifiche o le aggiunte all’atto, dopo che è stato regolarmente e definitivamente formato, integrano un falso punibile anche quando il soggetto abbia agito per stabilire la verità effettuale del documento” (Cass. Pen. Sez. V 23327/04). Non può essere neppure recuperata in questa sede l’idea che la trascrizione del matrimonio same sex sia nulla come precipitato della nullità del matrimonio stesso, secondo i principi dell’ordinamento giuridico nazionale. La legge penale infatti tutela il documento non per il suo contenuto, quanto per la sua attitudine probatoria. Ecco quindi che l’invalidità del rapporto giuridico rappresentato nell’atto non esclude in alcun modo il delitto di falso previsto sub art. 476 c.p. Perché il documento sia insuscettibile di protezione penale bisogna trovarsi nella condizione che questo sia privo dei requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento del suo scopo e non che l’atto al momento della falsificazione possa ritenersi valido per istituire o provare un rapporto. In altre parole va operata la differenza tra invalidità dell’atto e sua inesistenza. Quest’ultima impedisce qualsiasi riconoscibilità dell’atto mentre la nullità o annullabilità per carenza di un requisito non escludono l’affidamento della pubblica fede. La norma cioè non tutela l’atto per la sua validità intrinseca ma per la sua funzione attestativa che è propriamente quella della annotazione nel registro di stato civile. E che di inesistenza non si possa parlare lo si ricava altresì da Cass. Pen. 4184/2012 e Schalk e Kopf v. Austria, 2010, Cedu, nella lettura quindi di fonte interposta. Come la stessa Procura udinese ha rilevato, se risulta concretizzato l’elemento oggettivo di cui all’art. 476 c.p., appare forse deficitaria la ricostruzione riguardante l’elemento psicologico. Si permetta di dissentire da questa conclusione.
Come già detto le associazioni lgbt avevano ampiamente diffidato, con dovizia di argomentazioni, l’amministrazione centrale a praticare vie fondate su un inesistente ed illegittimo potere di autotutela; taluni prefetti avevano direttamente contattato le Procure competenti per vagliare la loro intenzione ad impugnare innanzi alla competente autorità giudiziaria tali atti (ben consapevoli quindi su chi gravasse il potere di intervenire); prudenza infine avrebbe suggerito comunque di non procedere a successive cancellazioni una volta che un organo giudiziario avesse definito “non conforme a legge” la circolare Alfano. Possiamo quindi davvero ritenere non integrato l’elemento soggettivo? L’immutatio veri, nel caso di specie, appare evidente in quanto manca la corrispondenza tra l’effettivo iter di formazione dell’atto e l’aspetto che ad oggi ci viene offerto di quell’atto. Ecco quindi che “la coscienza e volontà di operare un tale intervento non può non al realizzare una diretta, effettiva e riconoscibile lesione del bene giuridico protetto dalla norma (la pubblica fede) a nulla rilevando che, per mero errore di diritto circa la effettiva portata della norma medesima, di detta lesione il soggetto possa non avere piena consapevolezza” (Cass. Pen. Sez. V 29 maggio 2013 n. 37314).
Ulteriore profilo di diritto penale che si offre all’analisi dell’interprete è la possibile commissione del reato di cui all’art. 347 c.p. Orbene, il richiamato operare con lo scopo di garantire uniformità, coerenza e unitarietà a livello nazionale dell’esercizio della fondamentale funzione di stato civile, avviene in contrasto con il fine proprio dell’atto di trascrizione e con le meccaniche di intervento ex lege stabilite. Attraverso l’ordine del Ministro di cancellare per mano dei Prefetti le trascrizioni, operazione non consentita dalla legge, si realizza un indebito esercizio di funzioni pubbliche in assenza di una legittima investitura (Cass. Pen. Sez. VI 18 ottobre 2012 n. 4159 e conforme 31427/2012). La legge in alcun modo infatti incarica il Prefetto di poter agire direttamente sui registri modificandone – a questo punto arbitrariamente – il contenuto. Dall’assenza di un potere in capo all’Ufficiale di stato civile o dall’assenza di un potere sostitutivo in capo al Prefetto, (mera invenzione giacché non v’è nulla – come evidenzia il Tar - che possa o debba essere sostituito) a cui consegue poi la cancellazione delle trascrizioni, integrando così una alterazione dell’atto precedentemente regolarmente formato, discende, come diretto corollario, il completo stravolgimento del sistema di rettificazione degli atti dello stato civile. Questo sì, di contro, rappresenta un evidente contrasto con i fini propri della pubblica amministrazione.
La Procura di Udine prima ed il Tar del Lazio in un secondo tempo, rimettono così al centro della vicenda il diritto, non la deriva dello stesso, operata da una parte della classe politica che ha tentato di costruire quest’ultimo secondo impalcature quantomeno irrispettose della riserva di giurisdizione esplicitata nell’art. 95 d. P.R. 396/00.