Bisogna essere grati al Tribunale di Firenze per avere investito la Corte di Giustizia su una questione “di sistema” che, ben lungi dall’apparire esclusivamente rilevante nel giudizio “risarcitorio indennitario” promosso da una vittima residente in Italia di reato intenzionale violento nei confronti dello Stato italiano ove si era consumato il delitto, non ha ceduto alla tentazione di decidere la controversia da sé. Mai come in questo caso può dirsi che la disciplina in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sia stata messa al servizio della collettività[1].
Di fronte ad un germinare di sentenze di merito che, parecchio attenzionate dai mass media, avevano ingenerato il legittimo convincimento che la strada intrapresa nei confronti dello Stato avrebbe potuto almeno alleviare i patimenti subiti da aggressioni atroci e vigliacche nei confronti di soggetti particolarmente vulnerabili – donne e minori, sopra tutti – la scelta fiorentina è stata probabimente la più lungimirante che un giudice di merito, in simili circostanze, avrebbe potuto adottare.
Pur non tenuto formalmente a investire la Corte europea, in quanto giudice non di ultima istanza quel giudice, infatti, ha dimostrato di interpretare al meglio il proprio ruolo, facendo un uso sapiente dello strumento che consente al giudice nazionale di dialogare con la Corte di Giustizia.
Si è così fatto uso sapiente e ortodosso dello strumento disciplinato dell’art.267 TFUE, dimostrando quanto la funzione giurisdizionale del giudice nazionale sia importante anche quando essa, all’apparenza, non decide il caso della vita che gli si prospetta, ma pone le basi per la soluzione di quello e di consimili vicende.
Del resto, ci era parso, da tempo, necessario un chiarimento definitivo sul principale nodo problematico emerso per effetto della mancata attuazione in Italia della dir.2004/80/CE.
Solo la Corte di Giustizia, infatti, avrebbe potuto fare chiarezza per il caso specifico ma, soprattutto, per quelli analoghi che l’accoglimento, sempre più frequente, anche se zigzagante (v. Trib.Trieste, 5 dicembre 2013, in questa Rivista), di azioni risarcitorie similari–da ultimo Trib.Roma, 8 novembre 2013- aveva determinato.
Già altra volta avevamo sottolineato come nei rapporti, sempre più complessi, fra sistemi normativi, sia fondamentale la corretta applicazione delle regole di ingaggio[2].
La cooperazione fra giudici che esce dalla decisione della Corte europea del 30 gennaio 2014 è vincente, anche se la decisione con ordinanza può suscitare, a un primo impatto, diverse considerazioni quanto al carattere realmente problematico della vicenda.
Infatti, l’art.53 par.2 del Regolamento di procedura della Corte europea prevede che “Quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda o un atto introduttivo è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.”
In realtà, la Corte di Giustizia non era tenuta a sapere che in Italia la soluzione favorevole al riconoscimento della responsabilità dello Stato per mancata attuazione della dir.2004/80 nei confronti di vittime residenti in Italia- e dunque per vicende puramente interne - non era stata vista affatto con sfavore[3].
Come che sia e archiviata la decisione del giudice eurounitario che ha escluso l’operatività diretta della normativa comunitaria per le situazioni puramente interne e fatto salvo l’approfondimento, qui non possibile, dell’eventuale discriminazione alla rovescia, rimane la ferita aperta nello Stato per effetto dell’assenza di una disciplina nazionale che preveda l’indennizzo alle vittime di reati intenzionali violenti.
Si tratta di un buco che occorre al più presto tappare, anche solo per il massimo rispetto che quelle vittime, alle quali è stato giudizialmente riconosciuto un indennizzo che sembra dissolversi per effetto della decisione qui brevemente commentata, meritano più di ogni altro.
In questa direzione diverse fonti sovranazionali attendono, da lungo tempo, di essere attuate nel nostro Paese.
La risposta della Corte di Giustizia, ben lungi dall’essere una vittoria per chi ne aveva preconizzato l’esito, deve costituire un passaggio decisivo per evitare non solo ulteriori condanne all’Italia a livello sovranazionale ma anche per ristorare, almeno in parte, le vittime che hanno subito indicibili aggressioni alla loro dignità e si trovano di fronte aggressori che non hanno nemmeno la possibilità di rimediare al torto procurato con le loro risorse finanziarie.
Occorrerà, allora, trovare nella emananda legge un punto di bilanciamento adeguato fra legittime aspettative dei danneggiati – residenti e non - e interessi, anche finanziari, dello Stato che proprio i tentativi giurisprudenziali fin qui posti in essere per sopperire all’inerzia normativa avevano tentato, con enorme difficioltà, di realizzare, riuscendovi solo in parte.
[1] Sia consentito il rinvio a Conti, Vittime di reato e obbligo di risarcimento a carico della Stato: really? in Corr.giur.,2011, 2, 248; id., Vittime di reato intenzionale violento e responsabilità dello Stato. Non è ancora tutto chiaro, in Corr.giur., 2012,5, 668 ss.; Sulle vittime di reato la parola passa alla Corte di giustizia, che forse ha già deciso, in Corr. Giur., 2013, 11, 1389 ss. e, da ultimo, in questa Rivista on line, Vittime di reato e responsabilità dello Stato, aspettando la Corte di Giustizia; Mastroianni, Un inadempimento odioso: la direttiva sulla tutela delle vittime dei reati , in Quaderni costituzionali, 2008, p. 406 ss..
[2] Conti, Magistratura,Avvocatura,Diritto eurounitario, in Giustizia insieme,2012, 2-3,114
[3] Bona, Vittime di reati violenti intenzionali e mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE: le reazioni della dottrina alle prime pronunce di condanna dello stato, in Resp.civ.prev., 2012, 1003 par.3.