Magistratura democratica
Pillole di CGUE

Terzo quadrimestre 2024

Le più interessanti sentenze emesse dalla Corte di Lussemburgo nel terzo quadrimestre 2024

Due sono gli ambiti oggetto della nostra selezione quadrimestrale delle sentenze della Corte europea di Lussemburgo: il diritto dell’Unione ed il ruolo dei giudici nazionali; il lavoro e la previdenza sociale.

A) IL DIRITTO DELL'UNIONE E IL RUOLO DEI GIUDICI NAZIONALI

Lussemburgo, 26 settembre 2024 Sentenza della Corte nella causa C-792/22 | Energotehnica - Diritto a un ricorso effettivo

Un giudice nazionale non è tenuto ad interpretare una legge conformemente ad una decisione della sua Corte costituzionale, qualora una siffatta interpretazione contrasti col diritto dell'Unione, né ciò può avere implicazioni sul piano disciplinare.

Un imprenditore impugnava innanzi al giudice amministrativo rumeno le sanzioni che gli erano state comminate, perché ritenuto responsabile del decesso di un suo operaio elettricista, morto per folgorazione durante il turno di lavoro.

La Corte costituzionale romena, investita dal predetto giudice amministrativo, escludeva che, secondo le legge nazionale, il fatto potesse essere qualificato come infortunio sul lavoro; conseguentemente, il giudice amministrativo annullava le sanzioni.

Per lo stesso incidente, con l’accusa di omicidio colposo, il caposquadra dell’impresa veniva sottoposto a procedimento penale, nel quale si costituivano parte civile i parenti della vittima.

Il Giudice penale chiedeva alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità tra tale legge nazionale, come interpretata dalla Corte costituzionale, e il diritto dell'Unione in materia di sicurezza dei lavoratori.

Nella sentenza in commento, la Corte ha osservato che nel procedimento innanzi alla Corte costituzionale era stato violato il diritto a un ricorso effettivo dei parenti della vittima, i quali non avevano avuto la possibilità di essere ascoltati per far valere le loro ragioni.

Conseguentemente, Corte ha autorizzato i giudici nazionali a non uniformarsi alla decisione della loro Corte costituzionale senza incorrere in sanzioni disciplinari, dal momento che la decisione del giudice nazionale era stata adottata in violazione del diritto dell'Unione. 

 

Lussemburgo, 19 novembre 2024 Sentenze della Corte nelle cause C-808/21 | Commissione/Repubblica ceca e C-814/21 | Commissione/Polonia (Eleggibilità e qualità di membro di un partito politico).

Cittadinanza dell’Unione: negare ai cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro senza esserne cittadini il diritto di divenire membri di un partito politico viola il diritto dell'Unione 

Le normative ceca e polacca riconoscono il diritto di iscriversi ad un partito politico soltanto ai cittadini nazionali.

La Commissione europea, ritenendo che questa limitazione comportasse una disparità di trattamentoin base alla cittadinanza, ha adito la Corte di giustizia proponendo ricorso per inadempimento contro le due repubbliche.

Con la sentenza in commento, la Corte ha accolto il ricorso, constatando l'inadempimento da parte dei due Stati membri degli obblighi imposti dai Trattati.

La Corte rammenta, infatti, che il diritto dell’Unione riconosce a tutti i suoi cittadini il diritto di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee, senza limitazioni, neppure se giustificate da motivi di rispetto dell’identità nazionale. 

Detto diritto non sarebbe effettivo in presenza di un divieto di iscrizione ai partiti politici, ai quali deve riconoscersi un ruolo di fondamentale importanza nel sistema di democrazia rappresentativa, su cui si fonda la stessa Unione.

 

Lussemburgo, 10 settembre 2024 Sentenza della Corte nelle cause riunite C-29/22 P | KS e KD/Consiglio e a. e C-44/22 P | Commissione/KS e a. - Politica estera e di sicurezza comune (PESC)

I giudici dell'Unione sono effettivamente competenti a valutare la legittimità degli atti o delle omissioni rientranti nella PESC che non si ricollegano direttamente a scelte politiche o strategiche o ad interpretarli. Ciò vale, in particolare, per le decisioni adottate dall'Eulex Kosovo in merito alla scelta del personale o all'attuazione di misure di controllo o di mezzi di ricorso.

Con diverse pronunce risalenti al 2017 e 2021, il Tribunale dell’Unione ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sulle cause di risarcimento intentate nei confronti del Consiglio dell'Unione europea, della Commissione europea e del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) da parte di alcuni parenti di persone scomparse o uccise in Kosovo nel 1999; questi ultimi lamentavano,in particolare: 1) che il personale della missione civile dell'Unione europea in Kosovo si era reso responsabile di una pluralità di abusi e violazione dei diritti umani; 2) che i mezzi messi a disposizione dell'Eulex Kosovo si erano rivelati inidonei allo scopo; 3) che la decisione di revocare il mandato esecutivo di tale missione si era dimostrata sbagliata.

Pronunciandosi sull'impugnazione, la Corte ha confermato la decisione di incompetenza del Tribunale con riferimento ai punti 2) e 3), osservando che tanto la decisione in ordine ai mezzi messi a disposizione dell'Eulex Kosovo, quanto quella di revocare il mandato esecutivo di tale missione, si ricollegavano direttamente a scelte politiche o strategiche assunte nell’ambito di relazioni internazionali, in quanto tali non sindacabili dal Tribunale.

Per contro, interpretando i Trattati alla luce del diritto a un ricorso effettivo e dei principi dello Stato di diritto, la Corte ha riconosciuto la competenza del Tribunale a giudicare sull’accertamento degli abusi e sulla violazione dei diritti umani compiuti dalla missione, rimettendo a quest’ultimo gli atti per la prosecuzione del giudizio.

 

Lussemburgo, 29 luglio 2024 Sentenza della Corte nella causa C-119/23 | Valančius - Nomina dei giudici dell’Unione

Uno Stato membro può proporre, tra i candidati iscritti in un elenco stilato da un gruppo nazionale di esperti indipendenti, un candidato diverso da quello classificato al primo posto in tale elenco, purché il candidato proposto soddisfi i requisiti previsti dai Trattati.

La nomina dei giudici del Tribunale dell’Unione segue una procedura trifasica: fase nazionale di proposta di un candidato alle funzioni di giudice; intervento del comitato 255; decisione di nomina.

Nella sua sentenza, la Corte ricorda che i presupposti di merito e le modalità procedurali in ciascuna delle tre fasi devono permettere di escludere qualsiasi legittimo dubbio in ordine al fatto che tali giudici soddisfano i requisiti di indipendenza e di capacità professionale richiesti dagli articoli 19 TUE e 254 TFUE per esercitare le funzioni di giudice del Tribunale. 

Il governo di uno Stato membro, che abbia istituito un gruppo di esperti indipendenti incaricato di valutare i candidati alle funzioni di giudice del Tribunale dell’Unione europea e di redigere un elenco di merito dei candidati che soddisfano i requisiti di indipendenza e di capacità professionale previsti dai Trattati, può proporre, tra i candidati iscritti in tale elenco, un candidato diverso da quello classificato al primo posto, a condizione, però, che il candidato proposto soddisfi i suddetti requisiti.

Inoltre, ciascuno Stato membro rimane libero di prevedere o no una procedura ai fini della selezione e della proposta di un candidato. 

Le modalità procedurali non devono tuttavia far nascere, in capo ai cittadini amministrati, legittimi dubbi riguardo al rispetto, da parte del candidato proposto, dei requisiti previsti dai Trattati. 

Il fatto che dei rappresentanti del potere legislativo o esecutivo intervengano nel processo di nomina dei giudici non è di per sé idoneo a suscitare siffatti legittimi dubbi. La partecipazione di organi consultivi indipendenti, e l’esistenza, nel diritto nazionale, di un obbligo di motivazione, infatti,contribuiscono ad una maggiore obiettività del processo di nomina. 

Per fugare ogni dubbio, infine, il comitato 255 può chiedere al governo autore della proposta di trasmettergli informazioni supplementari o altri elementi che giudichi necessari.

 

Lussemburgo, 11 luglio 2024 Sentenza della Corte nelle cause riunite C-554/21 | HANN-INVEST, C-622/21 | MINERAL-SEKULINE e C727/21 | UDRUGA KHL MEDVEŠČAK ZAGREB

Un meccanismo procedurale interno a un organo giurisdizionale volto a evitare contrasti giurisprudenziali, a porvi rimedio e a garantire quindi la certezza del diritto, insita nel principio dello Stato di diritto deve anch’esso rispettare i requisiti relativi all’indipendenza dei giudici. 

La legislazione croata impone a tutti i collegi giudicanti di secondo grado di trasmettere la decisione ad un giudice della registrazione– designato dal presidente dello stesso organo giurisdizionale – prima che la decisione stessa sia pubblicata e notificata alle parti.

Il giudice della registrazione ha il compito di garantire la certezza del diritto, verificando che la decisione non contrasti con l’orientamento giurisprudenziale.

Laddove ritenga che la decisione crei un contrasto di giurisprudenza, il giudice della registrazione deve convocare una riunione di dipartimento dell’organo giurisdizionale, con il compito di formulare un principio di diritto, definito «posizione giuridica», a cui il collegio giudicante è tenuto a uniformarsi, anche modificando la propria decisione precedentemente assunta.

Il giudice della registrazione non è noto alle parti del giudizio, né queste ultime hanno il diritto di interloquire.

La Corte d’appello di commercio croata ha interrogato quindi la Corte, chiedendo se la normativa nazionale fosse conforme al diritto dell’Unione.

Nella sua sentenza, la Corte ha ritenuto ammissibile un meccanismo procedurale a garanzia del principio di nomofilachia come quello croato; tuttavia, un collegio giudicante ampliato in tal modo può essere conforme al diritto dell’Unione solo a condizione che: 1) il procedimento non sia ancora stato trattenuto in decisione dall’organo giudicante inizialmente designato, 2) le circostanze in cui un siffatto rinvio può essere effettuato siano chiaramente definite nella legislazione applicabile e 3) il rinvio di cui trattasi non privi gli interessati della possibilità di partecipare al procedimento dinanzi a tale collegio giudicante ampliato. 

 

 

B) IL LAVORO E LA PREVIDENZA SOCIALE

Lussemburgo, 19 dicembre 2024 Sentenza della Corte nella causa C-531/23 | [Loredas] - Organizzazione dell'orario di lavoro

I datori di lavoro domestico devono predisporre un sistema che consenta di misurare la durata dell'orario di lavoro giornaliero di ciascun collaboratore domestico.

La Corte si è occupata del diritto di una collaboratrice domestica ad ottenere la condanna del datore di lavoro a pagarle somme a titolo di giorni di ferie non goduti e di ore di lavoro straordinario. A fronte delle difficoltà della lavoratrice di provare l’orario di lavoro, il giudice spagnolo adito ha dubitato della normativa spagnola che esenta taluni datori di lavoro, tra i quali i nuclei familiari, dall’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dai loro dipendenti. La Corte di giustizia, richiamato il proprio precedente del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18 (ove essa aveva dichiarato contrarie alla direttiva n. 2003/88/CE sull'organizzazione dell'orario di lavoro la normativa spagnola che non prevedeva l’obbligo datoriale di istituire un sistema che consentisse di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, e ciò in quanto tali lavoratori si vedono privati della possibilità di determinare in modo obiettivo e affidabile il numero di ore di lavoro effettuate e la loro ripartizione nel tempo), ha affermato che è possibile prevedere regole particolari in ragione del settore di attività di cui si tratta o delle specificità di taluni datori di lavoro, come le loro dimensioni, purché sia effettivamente garantita la durata massima settimanale del lavoro; per i lavoratori domestici, ciò può avvenire in particolare per quanto riguarda le ore di lavoro straordinario e il lavoro a tempo parziale, purché esse non svuotino di contenuto la tutela europea e non si traducano in una discriminazione indiretta di genere.

 

Lussemburgo, 19 dicembre 2024 Sentenza della Corte nella causa C-664/23 | Caisse d’allocations familiales des Hauts-de-Seine

Uno Stato membro non può escludere dal beneficio degli assegni familiari il lavoratore straniero i cui figli, nati in un paese terzo, non dimostrino di essere entrati regolarmente nel suo territorio

Il caso riguardava il rifiuto della Cassa per gli assegni familiari (CAF) del dipartimento Hauts-de-Seine, Francia, di corrispondere ad un cittadino armeno, entrato irregolarmente nel territorio francese ma in possesso di una carta di soggiorno temporaneo che gli consentiva di lavorare, gli assegni familiari per i due figli nati al di fuori della Francia (mentre gli assegni erano stati concessi per un terzo figlio nato in Francia).

La Corte ha ritenuto il diniego contrario al diritto dell’Unione, in quanto i cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro al fine di svolgervi regolarmente un'attività lavorativa devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali. E’ contrario al diritto dell'Unione subordinare il diritto alle prestazioni familiari dei cittadini di paesi terzi che soggiornano regolarmente in Francia ad una condizione supplementare, consistente nel dover dimostrare l'ingresso regolare (per ricongiungimento o altro) nel territorio francese dei figli per i quali sono richieste le prestazioni familiari. 

 

Lussemburgo, 29 luglio 2024 Sentenza della Corte nelle cause riunite C-112/22 CU e C-223/22 ND | (Assistenza sociale – Discriminazione indiretta) Assistenza sociale

L'accesso dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale non può essere subordinato al requisito di aver risieduto per almeno dieci anni in uno Stato membro.

In una vicenda riguardante due extracomunitarie accusate di aver reso dichiarazioni false circa il possesso dei requisiti per fruire in Italia del reddito di cittadinanza, sollecitata con pregiudiziale sollevata dal tribunale di Napoli, la Corte di Lussemburgo ha precisato che uno Stato membro non può subordinare l’accesso dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in tale Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Invero, un requisito di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nel territorio di uno Stato membro è per il legislatore dell'Unione un periodo sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento con i cittadini di tale Stato membro, sicché lo Stato non può prorogare unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto dalla direttiva richiedendo una maggior durata o condizioni ulteriori, ciò che costituirebbe una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (infatti, anche se tale requisito si applica anche ai cittadini nazionali, esso interessa principalmente i cittadini stranieri, tra i quali figurano in particolare tali cittadini di paesi terzi).

La Corte ha quindi precisato anche che allo Stato membro è altresì vietato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante tale requisito illegale di residenza. 

[**]

Francesco Buffa, consigliere della Corte di cassazione
 
Salvatore Centonze, avvocato del Foro di Lecce

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