1) DIRITTO UE E COSTITUZIONI
22 febbraio 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-430/21
RS (Effet des arrêts d’une cour constitutionnelle)
Diritto delle istituzioni
Il diritto dell’Unione osta a una norma nazionale, in forza della quale i giudici nazionali non sono competenti a esaminare la conformità al diritto dell’Unione di una normativa nazionale dichiarata conforme alla Costituzione da una sentenza della Corte costituzionale dello Stato membro
La Corte di giustizia, riunita in Grande Sezione, torna a ribadire che l’obbligo del giudice nazionale di applicare integralmente qualsiasi disposizione del diritto dell’Unione avente efficacia diretta ha la duplice funzione di garantire il rispetto dell’uguaglianza degli Stati membri dinanzi ai Trattati, e di applicare concretamente il principio di leale cooperazione, che impone di disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti della normativa dell’Unione.
Viola quindi il principio del primato del diritto dell’Unione una legge dello Stato membro che vieta al giudice nazionale di esaminare la conformità al diritto dell’Unione di una norma nazionale interna (prevedendo sanzioni disciplinari a carico del magistrato autore della violazione di tale divieto), anche se questa è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale dello Stato membro.
Il diritto dell’Unione non osta, in linea di principio, a una normativa o prassi che vincoli giudici ordinari di uno Stato membro al rispetto di una decisione della Corte costituzionale di tale Stato che dichiari una normativa nazionale conforme alla costituzione di tale Stato, a condizione che i giudici costituzionali godano di sufficiente indipendenza rispetto al potere legislativo ed al potere esecutivo. Tale garanzia di indipendenza non può esservi in presenza di una una legge dello Stato membro che vieta al giudice nazionale ogni forma di controllo sulla pronuncia della Corte costituzionale.
La Corte di giustizia è la sola autorità competente a fornire l’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione ed a dichiarare l’invalidità di un atto dell’Unione stessa. Pertanto, qualora la Corte costituzionale di uno Stato membro ritenga che una disposizione di diritto derivato dell’Unione, come interpretata dalla Corte di giustizia, violi l’obbligo di rispettare l’identità nazionale di detto Stato membro, ha l’onere di investire la Corte di giustizia di una domanda pregiudiziale al fine di accertare la validità di tale disposizione.
2) CONTRATTI ON LINE
7 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-249/21
Fuhrmann-2
Ravvicinamento delle legislazioni
Contratto con mezzi elettronici: per potere essere validamente vincolato da un contratto di tal genere, il consumatore deve comprendere inequivocabilmente dalla sola dicitura riportata sul pulsante di inoltro dell’ordine che egli sarà tenuto a pagare non appena avrà cliccato su tale pulsante
Nei contratti conclusi a distanza mediante accesso alla rete, il professionista ha l’obbligo di informare in modo chiaro ed inequivocabile il consumatore che, inoltrando un ordine o una prenotazione, quest’ultimo si obbliga a retribuire il professionista, indipendentemente dalla effettiva fruizione del servizio ordinato o prenotato. Siffatto obbligo informativo è soddisfatto mediante la predisposizione da parte del professionista di un pulsante (o di una funzione analoga) che riporti la dicitura «ordine con obbligo di pagare», od altra facilmente leggibile ed inequivocabile.
Nel caso che il professionista utilizzi una dicitura diversa da «ordine con obbligo di pagare», spetterà al giudice nazionale di valutare, caso per caso, se la formula usata sia idonea in concreto al raggiungimento dello scopo informativo dell’obbligo di pagare, secondo il linguaggio corrente ed il significato attribuito dal consumatore medio (nel caso trattato, un consumatore lamentava che il la dicitura «conferma la prenotazione», utilizzata da un albergatore tedesco, non fosse idonea a renderlo edotto in modo chiaro ed inequivoco che confermando la prenotazione questo si sarebbe obbligato a pagare l’albergatore).
31 marzo 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-96/21
CTS Eventim
Ambiente e consumatori
Acquisto online di biglietti per eventi culturali o sportivi: la Corte di giustizia precisa i casi nei quali non vi è diritto di recesso
La direttiva sui diritti dei consumatori garantisce al consumatore di recedere dal contratto a distanza concluso col professionista entro un congruo termine, senza dover fornire alcuna giustificazione. Siffatto diritto di recesso, tuttavia, non sussiste nel caso di una prestazione di servizi riguardanti le attività del tempo libero, qualora il contratto preveda una data di esecuzione specifica. Questa esclusione è giustificata dal fatto che la direttiva mira a proteggere gli organizzatori di attività del tempo libero (eventi culturali o sportivi) dal rischio legato all’accantonamento di determinate disponibilità che essi potrebbero avere difficoltà a utilizzare se fosse esercitato il diritto di recesso.
Questo stesso principio si applica anche nel caso in cui il professionista sia un intermediario (nella specie, il venditore dei biglietti) e non lo stesso organizzatore dell’evento. (Nel caso posto all’attenzione della Corte, un consumatore aveva richiesto il rimborso del biglietto di un concerto che doveva aver luogo il 24 marzo 2020 a Braunschweig, Germania, che l’organizzatore aveva dovuto annullare a causa delle restrizioni adottate dalle autorità tedesche nel contesto della pandemia di CoViD-19).
3) INTERNET E FISCALITA’
N. 66/2022 : 27 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-674/20
Airbnb Ireland
Libertà di stabilimento
Una normativa regionale belga che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare e, in particolare, ai responsabili di una piattaforma elettronica per servizi di alloggio di trasmettere all’amministrazione tributaria determinati dati relativi alle transazioni delle strutture turistiche non è contraria al diritto dell’Unione
I servizi di intermediazione immobiliare come quelli forniti dalla Airbnb Ireland (società irlandese che, attraverso un portale elettronico, mette in contatto dietro retribuzione potenziali locatari con locatori che offrono servizi di alloggio) sono servizi della società dell’informazione che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico.
Airbnb lamenta la contrarietà al diritto dell’Unione della normativa regionale belga che impone a un gestore di conservare i dati relativi alle transazioni delle strutture turistiche e di trasmetterli all’amministrazione tributaria regionale, ai fini dell’esatta riscossione delle imposte relative alla locazione dei beni di cui trattasi, poiché pregiudica gli operatori del commercio elettronico in misura maggiore rispetto agli altri.
La Corte con la sentenza in commento ha chiarito che la normativa regionale ha natura fiscale e si applica indistintamente a tutti gli operatori commerciali proporzionalmente al numero di transazioni effettuate. Il lamentato maggior pregiudizio, pertanto, non dipende dalla natura discriminatoria della normativa, bensì dal maggior volume di transazioni operate dal gestore Airbnb, Essa pertanto non è contraria alla libera prestazione dei servizi nell’Unione.
Peraltro, i considerando della direttiva sul commercio elettronico escludono espressamente la materia fiscale dal suo ambito di applicazione.
27 gennaio 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-788/19
Commissione/ Spagna (Obligation d’information en matière fiscale)
La normativa nazionale che obbliga i soggetti fiscalmente residenti in Spagna a dichiarare i loro beni o i loro diritti situati all’estero è contraria al diritto dell’Unione
In base ad una legge nazionale spagnola, i soggetti che risultano fiscalmente residenti in Spagna sono obbligati a dichiarare i beni o i diritti situati all’estero mediante la compilazione e la consegna di un modulo denominato «Modello 720». I residenti in Spagna che omettono di dichiarare o che dichiarano in modo inesatto o tardivo i beni e i diritti da essi detenuti all’estero sono esposti alla rettifica dell’imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, anche qualora questi ultimi siano stati acquistati nel corso di un periodo di imposta già prescritto, nonché all’irrogazione di una sanzione proporzionale e di sanzioni forfettarie specifiche.
A giudizio della Corte, con la predetta normativa la Spagna è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio della libera circolazione dei capitali. L’obbligo di presentazione del «Modello 720» e le sanzioni collegate all’inosservanza o all’adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo, che non hanno equivalenti per quanto riguarda i beni o i diritti situati in Spagna, istituiscono infatti una disparità di trattamento tra i residenti in Spagna a seconda del luogo in cui si trovino i loro attivi.
Poiché tale obbligo è idoneo a dissuadere, impedire o limitare le possibilità dei residenti di tale Stato membro di investire in altri Stati membri, esso costituisce una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali.
4) INTERNET PROVIDERS
N. 65/2022 : 26 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-401/19
Polonia/ Parlamento e Consiglio
Proprietà intellettuale e industriale
L’obbligo per i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online di controllare i contenuti che gli utenti intendono caricare sulle loro piattaforme prima della loro diffusione al pubblico è accompagnato dalle garanzie necessarie per assicurare la sua compatibilità con la libertà di espressione e d’informazione
L’articolo 17 della direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale stabilisce il principio in base al quale i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online (cosiddetti del «web 2.0») sono tenuti a sorvegliare attivamente i contenuti caricati dagli utenti, per prevenire la messa in rete di materiali protetti che i titolari dei diritti non desiderano rendere accessibili sui medesimi servizi. In caso di omessa o inidonea sorveglianza, essi sono direttamente responsabili quando materiali protetti (opere, ecc.) sono caricati illegalmente dagli utenti dei loro servizi.
La Polonia ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso di annullamento di tale articolo, ritenendo che esso violi la libertà di espressione e d’informazione garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La Corte ha respinto il ricorso ritenendo che l’obbligo di controllare i contenuti che gli utenti intendono caricare sulle loro piattaforme prima della loro diffusione al pubblico è stato accompagnato, dal legislatore dell’Unione, da una serie di garanzie adeguate per assicurare il rispetto del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi, nonché il giusto equilibrio tra tale diritto, da un lato, e il diritto di proprietà intellettuale, dall’altro (quali, in particolare: il divieto del fornitore di utilizzare meccanismi di filtraggio che non garantiscono il caricamento di contenuti leciti; la possibilità di caricare i contenuti ai fini, ad esempio, di parodia o pastiche; la corretta informazione da parte dei titolari dei diritti interessati in merito a tali contenuti; la presenza di varie garanzie procedurali che tutelano il diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi qualora i fornitori di detti servizi disabilitino comunque, per errore o senza alcun fondamento, contenuti leciti).
In ogni caso, gli Stati membri sono tenuti a trasporre la direttiva nelle loro legislazioni nazionali in modo da garantire un giusto equilibrio tra i contrapposti diritti tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
5 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-140/20
Commissioner of the Garda Síochána e.a.
Ravvicinamento delle legislazioni
La Corte conferma che il diritto dell’Unione osta alla conservazione generalizzata e indifferenziata, per finalità di lotta ai reati gravi, dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione riguardanti le comunicazioni elettroniche
G.D. condannato nel 2015 per omicidio in Irlanda, ha presentato appello alla Corte d’appello d’Irlanda, lamentando che il primo giudice aveva erroneamente utilizzato come prova i dati relativi al traffico e alla localizzazione di chiamate telefoniche. Parallelamente, ha intentato un’azione civile presso l’Alta Corte d’Irlanda, per far dichiarare l’invalidità di talune disposizioni della legge irlandese del 2011 sulla conservazione e acceso di tali dati, lamentandone la contrarietà al diritto dell’Unione. Nel 2018 l’Alta Corte ha accolto la domanda di G.D. L’Irlanda ha interposto appello avverso tale decisione dinanzi alla Corte suprema d’Irlanda, e quest’ultima ha investito della questione la Corte di Giustizia.
Il giudice del rinvio chiede chiarimenti sulla conservazione di detti dati per finalità di lotta ai reati gravi e sulle garanzie necessarie in materia di accesso ad essi. Chiede inoltre a quali conseguenze porterebbe un’eventuale declaratoria d’incompatibilità che dovesse essere tenuto a pronunciare, posto che la legge irlandese del 2011 che recepiva la direttiva 2006/24/CE è dichiarata invalida nel 2014 dalla Corte.
La Grande sezione, in continuità con la giurisprudenza della Corte, ribadisce che il diritto dell’Unione osta a disposizioni nazionali che permettono la conservazione preventiva, generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico di comunicazioni elettroniche e alla loro localizzazione, anche se finalizzata al contrasto di reati gravi. In particolare, la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche non si limita a disciplinare l’accesso a simili dati mediante garanzie dirette a prevenire gli abusi, ma sancisce, in particolare, il principio del divieto della memorizzazione dei dati relativi al traffico e all’ubicazione. Conseguentemente, la conservazione di tali dati costituisce al tempo stesso una deroga a tale divieto e un’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta.
Le limitazioni di tali diritti, pertanto, sono consentite solo nel rispetto del principio di proporzionalità, cioè nel rispetto dei requisiti di idoneità e di necessità in relazione all’obiettivo perseguito. La lotta alla criminalità grave, per quanto fondamentale, non può di per sé giustificare il fatto che una misura di conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, come quella introdotta dalla direttiva 2006/24, sia considerata necessaria. Parimenti, anche gli obblighi positivi degli Stati membri sull’istituzione di norme che consentano una lotta effettiva ai reati non possono avere l’effetto di giustificare ingerenze tanto gravi quanto quelle che una normativa nazionale che prevede una simile conservazione comporta nei diritti fondamentali della quasi totalità della popolazione, senza che i dati degli interessati siano idonei a rivelare una connessione, almeno indiretta, con l’obiettivo perseguito.
La Corte fornisce poi una serie di precisazioni in merito alle limitazioni consentite dalle autorità nazionali, ritenendo legittima, ad esempio, la misura di conservazione mirata basata sul tasso medio di criminalità in una data zona geografica (senza necessariamente disporre di indizi concreti relativi alla preparazione o alla commissione, nelle zone interessate, di atti di criminalità grave), o sulla presenza di luoghi strategici; sulla presenza di luoghi o infrastrutture frequentati regolarmente da un numero molto elevato di persone (quali aeroporti, stazioni, porti marittimi o zone di pedaggio).
Con riferimento, infine, all’accesso ai dati conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, la Corte afferma che l’accesso da parte delle autorità nazionali competenti ai dati conservati deve essere subordinato ad un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un organo amministrativo indipendente; pertanto il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che affida il trattamento centralizzato delle domande di accesso ai dati a un funzionario di polizia, anche qualora quest’ultimo sia assistito da un’unità istituita all’interno della polizia che gode di una certa autonomia nell’esercizio della sua missione e le cui decisioni possono essere successivamente sottoposte a controllo giurisdizionale.
Ciò posto, la Corte ritiene che l’ammissibilità degli elementi di prova ottenuti mediante una siffatta conservazione rientra, conformemente al principio di autonomia procedurale degli Stati membri, nell’ambito del diritto nazionale, sempreché nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.
24 marzo 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-433/20
Austro-Mechana
Libertà di stabilimento
L’eccezione detta per «copia privata» ai sensi della direttiva sul diritto d’autore si applica alla memorizzazione nel cloud di una copia a fini privati di un’opera protetta
L’eccezione per «copia privata» è un’eccezione al diritto esclusivo degli autori di autorizzare o vietare la riproduzione delle loro opere. Essa riguarda le riproduzioni effettuate su qualsiasi supporto da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali. Gli Stati membri che attuano l’eccezione per copia privata sono tenuti a prevedere un sistema di equo compenso destinato a indennizzare i titolari dei diritti, che in linea di principio deve versare il soggetto che effettua la copia privata.
Si pone all’attenzione della Corte il quesito se la memorizzazione di contenuti nell’ambito di servizi di nuvola informatica (cloud computing) rientri nell’eccezione per copia privata, e se il il fornitore del cloud sia tenuto al pagamento dell’equo compenso.
La Corte ha affermato il principio secondo cui la realizzazione di una copia di salvataggio di un’opera nel cloud costituisce una riproduzione di tale opera (i termini «qualsiasi supporto» utilizzati dalla direttiva includono ogni supporto su cui un’opera protetta può essere riprodotta, e perciò anche i server utilizzati nell’ambito della nuvola informatica). Infatti, il caricamento (upload) di un’opera nel cloud consiste nella memorizzazione di una copia della stessa. Conseguentemente, la memorizzazione di contenuti nell’ambito di servizi di nuvola informatica (cloud computing) rientra nell’eccezione per copia privata di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29.
Quanto al pagamento dell’equo compenso, la Corte ammette che l’assoggettamento dei fornitori di servizi memorizzazione nel cloud, rientra, allo stato attuale del diritto dell’Unione, nel margine di discrezionalità riconosciuto al legislatore nazionale. Di conseguenza, la direttiva 2001/29 non osta a una normativa nazionale che non assoggetta i fornitori di servizi di memorizzazione nel cloud al pagamento di un equo compenso, a condizione che tale normativa preveda il versamento di un equo compenso in altro modo.
5) IMMIGRAZIONE E FRONTIERE
20 gennaio 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-432/20
Landeshauptmann von Wien (Perte du statut de résident de longue durée)
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
Il cittadino di paese terzo non perde il suo status di soggiornante di lungo periodo se la sua presenza nel territorio dell’Unione si limita, durante un periodo di dodici mesi consecutivi, a qualche giorno soltanto
La direttiva relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo prevede che il soggiornante di lungo periodo non ha più diritto a tale status in caso di «assenza» dal territorio dell’Unione per un periodo di dodici mesi consecutivi. Conseguentemente, una volta acquisito da parte di un cittadino di Paesi terzi lo status di soggiornante di lungo periodo, non occorre che l’interessato abbia la propria residenza abituale o il centro dei suoi interessi nel territorio dell’Unione. La Corte accoglie, infatti, l’interpretazione secondo cui, salvo il caso di abuso da parte dell’interessato, è sufficiente anche una sporadica presenza per impedire la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo.
A giudizio della Corte, infatti, i cittadini di paesi terzi che hanno conseguito tale status, hanno già dimostrato, con la durata del loro soggiorno nel territorio di un determinato Stato membro, il loro radicamento in tale Stato membro, e pertanto sono liberi, al pari dei cittadini dell’Unione, di spostarsi e di risiedere, anche per periodi più lunghi, al di fuori del territorio dell’Unione, senza che ciò comporti, per ciò stesso, la perdita del loro status di soggiornanti di lungo periodo, purché la loro assenza non si protragga per oltre dodici mesi consecutivi (Nel caso di specie, il capo del governo del Land di Vienna, Austria aveva respinto la domanda di un cittadino kazako di rinnovo del suo permesso di soggiorno di lungo periodo, in quanto nei cinque anni precedenti, egli era stato presente nel territorio dell’Unione soltanto per qualche giorno all’anno, cosicché doveva essere considerato assente dal territorio durante detto periodo, con conseguente perdita di tale status).
N. 64/2022 : 26 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nelle cause riunite C-368/20, C-369/20
Landespolizeidirektion Steiermark, Bezirkshauptmannschaft Leibnitz (Durée maximale du contrôle aux frontières intérieures)
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
In caso di minaccia grave per il suo ordine pubblico o la sua sicurezza interna, uno Stato membro può ripristinare un controllo di frontiera alle sue frontiere con altri Stati membri ma senza superare una durata massima totale di sei mesi
La creazione di un spazio di libera circolazione delle persone, senza frontiere interne è una delle più importanti conquiste dell’Unione. Il codice frontiere Schengen pone il principio secondo cui le frontiere tra gli Stati membri possono essere attraversate in qualunque punto senza che siano effettuate verifiche sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità. Pertanto, il ripristino del controllo alle frontiere interne deve costituire un’eccezione e una misura di ultima istanza.
Il codice delle frontiere permette a un Paese membro di ripristinare il controllo alle frontiere interne solo in caso di minaccia grave per il suo ordine pubblico o la sua sicurezza interna, e solo per un periodo limitato, che non può superare i sei mesi; allo spirare dei sei mesi, lo Stato membro può ripristinare il controllo alla frontiera interna solo se sia sopraggiunta una nuova minaccia grave, ma non gli è consentito di ulteriormente prorogare il controllo, sulla scorta della originaria minaccia. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, a causa della crisi migratoria, l’Austria ha prorogato per oltre due anni il ripristino del controllo alle frontiere interne senza dimostrare che ciò sia dipeso dall’insorgenza di nuove e sopravvenute minacce gravi per l’ordine pubblico e la sicurezza. Un questo contesto un cittadino dell’Unione era stato sottoposto a controlli e multato per non aver esibito il passaporto. La Corte ha demandato al giudice nazionale l’accertamento sulla sussistenza delle nuove minacce sopravvenute nel caso concreto, senza tralasciare di considerare che in nessun caso, una persona può essere obbligata a esibire un passaporto o una carta d’identità al momento del suo ingresso in provenienza da un altro Stato membro, qualora il ripristino del controllo di frontiera sia contrario al codice frontiere Schengen.
6) VOLO RITARDATO
7 aprile 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-561/20
United Airlines
Trasporti
I passeggeri di un volo ritardato possono chiedere una compensazione pecuniaria a un vettore aereo non europeo quando quest’ultimo effettua l’intero volo in nome di un vettore europeo
Con la sentenza in esame, la Corte ribadisce i principi secondo cui il regolamento sui diritti dei passeggeri aerei si applica tanto nel caso che si trovi nel territorio dell’Unione il luogo di partenza iniziale, quanto che vi si trovi quello della destinazione finale. Inoltre, un volo con una o più coincidenze che abbia costituito oggetto di un’unica prenotazione deve considerarsi un tutt’uno ai fini del diritto a compensazione pecuniaria dei passeggeri previsto dal diritto dell’Unione. Questi principi trovano applicazione anche nel caso che un vettore aereo non europeo si sia limitato a effettuare il volo, senza che abbia concluso alcun contratto di trasporto con i passeggeri. Infatti, il vettore che, nell’ambito della propria attività di trasporto di passeggeri, decida di effettuare un determinato volo, fissandone l’itinerario, costituisce il vettore aereo operativo e si ritiene che abbia agito in nome del vettore contrattuale.
Nel caso di ritardo, pertanto, anche il vettore aereo operativo è tenuto alla compensazione pecuniaria in favore dei passeggeri, fermo restando il suo diritto di chiedere un risarcimento a chiunque, inclusi i terzi, conformemente al diritto nazionale applicabile. Nel caso in esame, tre passeggeri aerei avevano effettuato, tramite un’agenzia di viaggi, una prenotazione unica presso Lufthansa per un volo con partenza da Bruxelles (Belgio) e destinazione San José (Stati Uniti), con uno scalo a Newark (Stati Uniti). L’intero volo è stato effettuato dalla United Airlines, vettore con sede negli Stati Uniti, giungendo alla destinazione finale con un ritardo di 223 minuti).
7) MAGISTRATURA INDIPENDENTE
29 marzo 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-132/20
Getin Noble Bank
Ravvicinamento delle legislazioni
Il semplice fatto che un giudice sia stato nominato in un’epoca in cui lo Stato membro di sua appartenenza non costituiva ancora un regime democratico non rimette in discussione l’indipendenza e l’imparzialità di tale giudice
La Corte di giustizia, si è pronunciata sulla questione relativa all’indipendenza di tre giudici polacchi nominati prima che la Polonia improntasse il proprio ordinamento a principi di democrazia. In particolare, con riferimento a un giudice d’appello che aveva cominciato la propria carriera sotto il regime comunista, la Corte di giustizia ritiene che questo semplice fatto non rimetta di per sé in discussione l’indipendenza e l’imparzialità del giudice suddetto nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali successive; tanto più in assenza di alcun indizio idoneo a far sorgere dei dubbi al riguardo.
Alle stesse conclusioni giunge con riferimento agli altri due, che sarebbero stati nominati giudici di appello in un’epoca (tra il 2000 e il 2018) in cui, secondo la Corte costituzionale polacca, il Consiglio nazionale della magistratura (la KRS), che ha partecipato alla loro nomina, non funzionava in maniera trasparente e la sua composizione era contraria alla Costituzione. Anche in questo caso, infatti, il giudice del rinvio non aveva addotto alcun elemento concreto che potesse far sorgere dubbi in merito alla loro indipendenza.
8) LAVORATORE DISABILE
10 febbraio 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-485/20
HR Rail
Un lavoratore disabile, compreso quello che svolge un tirocinio post-assunzione, che sia dichiarato inidoneo ad esercitare le funzioni essenziali del posto da lui occupato può beneficiare della riassegnazione ad un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste
Il direttore generale della HR Rail (che gestisce il personale delle Ferrovie belghe) comunicava il licenziamento di un suo dipendente che aveva terminato il periodo di tirocinio, a causa della sua impossibilità totale e definitiva di proseguire le mansioni per le quali era stato assunto (cardiopatia incompatibile con l’ambiente di lavoro caratterizzato dalla presenza di forti campi magnetici). Infatti, secondo lo statuto e il regolamento applicabili al personale delle Ferrovie belghe, a differenza dei lavoratori assunti in via definitiva, i tirocinanti che non sono più in grado di esercitare la loro funzione a causa della loro disabilità non beneficiano di una riassegnazione all’interno dell’impresa.
Il Consiglio di Stato belga, innanzi a cui il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, interroga la Corte sulla compatibilità della normativa nazionale con la direttiva 2000/78 a favore della parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro, chiedendo in particolare se l’obbligo del datore di lavoro di cercare «soluzioni ragionevoli per i lavoratori disabili» si applichi anche in favore di tirocinanti.
La Corte nella sua sentenza ritiene che la direttiva si applichi nella sua interezza anche nei confronti del lavoratore che svolge un tirocinio post-assunzione, il quale, a causa della sua disabilità, sia stato dichiarato inidoneo ad esercitare le funzioni essenziali del posto da lui occupato; pertanto, il datore di lavoro aveva l’obbligo di destinarlo ad un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste, a meno che una tale misura non imponesse al datore di lavoro un onere sproporzionato.
Per determinare se le misure in questione diano luogo a oneri sproporzionati, è necessario tener conto in dei costi che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. Peraltro, la Corte precisa che, in ogni caso, la possibilità di assegnare una persona disabile ad un altro posto di lavoro esiste solo in presenza di almeno un posto vacante che il lavoratore interessato è in grado di occupare.
9) FORNITURA GAS
2 febbraio 2022
Sentenza del Tribunale nella causa T-616/18
Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo/ Commissione (Engagements de Gazprom)
Concorrenza
Il Tribunale rigetta il ricorso avverso la decisione della Commissione che rende obbligatori gli impegni presentati dalla Gazprom al fine di rimediare alle preoccupazioni concorrenziali della Commissione relative ai mercati nazionali di fornitura all’ingrosso di gas a monte nei paesi dell’Europa centrale ed orientale
La Commissione europea ha avviato un'indagine nei confronti della Gazprom in merito alla fornitura di gas in otto Stati membri (Bulgaria, la Repubblica ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia), all’esito della quale ha contestato la violazione dell’articolo 102 TFUE. A giudizio della Commissione, infatti, la Gazprom aveva abusato della sua posizione dominante sui mercati nazionali della fornitura all’ingrosso di gas, a monte nei paesi interessati, al fine di impedirvi la libera circolazione del gas. Più in particolare, la Commissione ha contestato tre pratiche potenzialmente anticoncorrenziali: 1) avrebbe imposto restrizioni territoriali nel quadro dei suoi contratti di fornitura di gas con grossisti e con taluni clienti industriali nei paesi interessati; 2) avrebbe condotto una politica tariffaria sleale in cinque dei paesi interessati (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia), imponendo prezzi eccessivi; 3) avrebbe subordinato le sue forniture di gas in Bulgaria e in Polonia all’ottenimento di talune garanzie, da parte dei grossisti, relative a infrastrutture di trasporto del gas.
A fronte di tali rappresentate criticità, la Gazprom ha presentato alla Commissione un primo progetto di impegni e, dopo aver ricevuto le osservazioni delle parti interessate, un progetto di «impegni finali», che la Commissione ha approvato e reso vincolanti, chiudendo il procedimento amministrativo.
La società concorrente polacca Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo ricorre al Tribunale dell’Unione lamentando che la Commissione avrebbe erroneamente chiuso il procedimento amministrativo nei confronti di Gazprom, lamentando sostanzialmente la persistenza delle pratiche anticoncorrenziali poste in essere da Gazprom.
Il Tribunale ha respinto tutte le censure mosse dalla ricorrente, osservando che la decisione della Commissione non presenta vizi procedurali ed è nel merito esente da censure.
13 gennaio 2022
Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-110/20
Regione Puglia
Libertà di stabilimento
Uno Stato membro può, nei limiti geografici che ha fissato, rilasciare a uno stesso operatore più permessi di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi quali il petrolio e il gas naturale, per aree contigue, a condizione di garantire a tutti gli operatori un accesso non discriminatorio a tali attività e di valutare l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente
La normativa italiana in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi pone un limite massimo di superficie sfruttabile per tali attività in 750 Km/2. La Global Petroleum, una società australiana attiva nel settore degli idrocarburi offshore, ha presentato quattro distinte istanze alle autorità italiane per ottenere altrettanti permessi di ricerca di idrocarburi in aree contigue localizzate nel mare Adriatico, ciascuna delle quali vertente su un’area di superficie di poco inferiore a detto limite.
La Regione Puglia ha agito dinanzi al Consiglio di Stato lamentando che la Global Petroleum, con l’espediente della frammentazione in quattro distinte richieste, avrebbe di fatto aggirato il limite legale, finendo in tal modo con lo sfruttare un’area complessiva di fondali marini di circa 3.000 Km/2. Pertanto, il limite di 750 Km/2 dovrebbe essere applicato non soltanto al singolo permesso, ma anche al singolo operatore.
il Consiglio di Stato, ha proposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale. In sostanza, la questione consiste nello stabilire se la direttiva 94/22/CE, relativa alla prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, obblighi uno Stato membro a fissare un limite massimo assoluto all’estensione delle aree nelle quali un solo ed unico operatore è legittimato a svolgere tali attività.
Con la sentenza odierna la Corte osserva che i limiti all’estensione delle aree oggetto di un’autorizzazione e la durata di quest’ultima hanno la funzione essenzialmente di evitare di concentrare in un unico ente un diritto esclusivo ingiustificato. Per contro, la direttiva non prevede alcun limite al numero di autorizzazioni e/o di enti ai quali possano rilasciarsi le autorizzazioni.
Tuttavia, prendere in considerazione gli effetti cumulativi di progetti può rivelarsi necessario per evitare che la normativa dell’Unione sia aggirata tramite il frazionamento di progetti che, messi insieme, possono avere un impatto notevole sull’ambiente. Di conseguenza, se la normativa di uno Stato membro ammette che uno stesso operatore richieda più permessi di ricerca di idrocarburi, dovrà essere valutato anche l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente.
Spetta perciò alle autorità nazionali competenti tener conto di tutte le conseguenze ambientali che derivano dalle limitazioni nel tempo e nello spazio delle aree oggetto dei permessi di ricerca degli idrocarburi.
Francesco Buffa, consigliere della Corte di cassazione
Salvatore Centonze, avvocato del Foro di Lecce