Magistratura democratica
Pillole di CGUE

Maggio 2015

di Alice Pisapia
Prof. a contratto in Diritto dell’UE Università degli Studi dell’Insubria e Avvocato Foro di Milano
Tra le decisioni della Corte: misure restrittive nei confronti dell'Iran sulla proliferazione nucleare, politiche di concorrenza in Spagna, poteri dei giudici di uno Stato membro di negare il riconoscimento di un lodo arbitrale

Politiche di concorrenza:

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione) 12 maggio 2015, causa T-623/13, Unión de Almacenistas de Hierros de España c. Commissione europea.

                                  

Tipo di procedimento: Ricorso per annullamento

Oggetto: Accesso ai documenti - Regolamento (CE) n. 1049/2001 - Documenti riguardanti due procedimenti nazionali in materia di concorrenza - Documenti trasmessi alla Commissione da parte di un’autorità nazionale garante della concorrenza nell’ambito della cooperazione prevista dalle disposizioni del diritto dell’Unione - Diniego d’accesso - Eccezione relativa alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile - Eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali di un terzo - Mancanza di un obbligo per l’istituzione interessata di effettuare un esame concreto e specifico del contenuto dei documenti oggetto della domanda di accesso quando l’indagine in questione è definitivamente conclusa.

Il regolamento n. 1049/2001 si propone di fornire un diritto di accesso del pubblico in generale ai documenti delle istituzioni e non di stabilire norme dirette a tutelare l’interesse specifico alla consultazione di uno di questi che un qualsiasi soggetto possa avere (sentenza del 1 febbraio 2007, Sison/Consiglio, C‑266/05 P, Racc., EU:C:2007:75, punto 43). L’esame dei lavori preparatori del regolamento n. 1049/2001 mostra che era stata valutata la possibilità di ampliare la finalità di tale regolamento, prevedendo la presa in considerazione di taluni interessi specifici di cui una persona potrebbe avvalersi per ottenere la consultazione di un determinato documento. Orbene, a tale riguardo è giocoforza constatare che nessuna delle proposte è stata ripresa nelle disposizioni del regolamento n. 1049/2001 (sentenza Sison/ Consiglio, punto 86, EU:C:2007:75, punto 45).

Se il regime di eccezioni previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 si basa sulla ponderazione degli interessi che si contrappongono in una determinata situazione, vale a dire, da un lato, gli interessi che sarebbero minacciati dalla divulgazione dei documenti in questione e, dall’altro, quelli che sarebbero favoriti da tale divulgazione, relativamente a questi ultimi interessi, solamente un interesse pubblico prevalente può essere preso in considerazione.

Pertanto, l’interesse individuale di un richiedente a ricevere la comunicazione di documenti nonché la sua posizione individuale non possono essere, salvo quando si ricollegano ad un interesse pubblico prevalente, presi in considerazione dall’istituzione chiamata a decidere se la divulgazione al pubblico di detti documenti possa arrecare pregiudizio agli interessi tutelati dall’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza del 21 ottobre 2010, Umbach/Commissione, T‑474/08, EU:T:2010:443, punto 70).

Il ricorso è respinto dal Tribunale e le parti sono condannate al pagamento delle proprie spese processuali.

 

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Sentenza della CGUE (Grande Sezione) 13 maggio 2015, causa C-536/13,  Gazprom OAO.

                                  

Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Lietuvos Aukščiausiasis Teismas - Lituania.

Oggetto:Regolamento (CE) n. 44/2001 - Arbitrato -Riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali stranieri - Provvedimento inibitorio pronunciato da un collegio arbitrale situato in uno Stato membro - Potere dei giudici di uno Stato membro di negare il riconoscimento del lodo arbitrale - Convenzione di New York.

Il regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che non osta a che il giudice di uno Stato membro riconosca ed esegua, né a che si rifiuti di riconoscere ed eseguire, un lodo arbitrale che vieti ad una parte di presentare talune domande dinanzi ad un giudice di tale Stato membro, in quanto detto regolamento non disciplina il riconoscimento e l’esecuzione, in uno Stato membro, di un lodo arbitrale emesso da un collegio arbitrale in un altro Stato membro.

Nelle circostanze di cui al procedimento principale, quindi, l’eventuale limitazione dei poteri attribuiti ad un giudice di uno Stato membro investito di una controversia parallela di pronunciarsi sulla propria competenza potrebbe derivare unicamente dal riconoscimento e dall’esecuzione da parte di un giudice dello stesso Stato membro di un lodo arbitrale, come quello di cui al procedimento principale, ai sensi del diritto processuale di tale Stato membro e, se del caso, della convenzione di New York, che regolano questa materia esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001. Pertanto, la procedura di riconoscimento ed esecuzione di un lodo arbitrale quale quello di cui al procedimento principale è regolata dal diritto nazionale e dal diritto internazionale applicabili nello Stato membro in cui tale riconoscimento e tale esecuzione sono richiesti, e non dal regolamento n. 44/2001.

 

 

Politica estera e sicurezza comune

Sentenza del Tribunale (Settima Sezione) 5 maggio 2015, causa T-433/13 , Petropars Iran Co. e altri contro Consiglio dell'Unione europea.

                                  

Tipo di procedimento: Impugnazione avverso decisione del Tribunale 

Oggetto: Misure restrittive adottate nei confronti dell’Iran allo scopo di impedire la proliferazione nucleare - Congelamento dei capitali - Obbligo di motivazione - Errore di valutazione - Eccezione di illegittimità - Diritto di esercitare un’attività economica - Diritto di proprietà - Principio di precauzione - Proporzionalità - Diritti della difesa.

Le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che l’inserimento dei loro nomi negli elenchi non ha alcuna base giuridica. Il Tribunale ritiene che la questione sollevata nel primo motivo sia se gli atti impugnati consentissero alle ricorrenti di individuare il criterio che costituiva la base giuridica sulla quale esse erano state inserite negli elenchi. Tale questione deve quindi essere esaminata alla luce della giurisprudenza relativa all’obbligo di motivazione cui è sottoposto il Consiglio nell’adottare misure restrittive. Gli argomenti relativi alla legittimità nel merito degli atti impugnati, in particolare quelli riguardanti la mancanza di controllo da parte della PPI sulle sue partecipate e la privatizzazione della PPL, saranno pertanto esaminati con il secondo motivo, vertente sull’errore di valutazione.

Secondo costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare un atto lesivo, obbligo che costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consenta di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro, di rendere possibile a quest’ultimo esercitare il suo controllo di legittimità dell’atto stesso (v. sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Benché fosse breve e non specificasse tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, la motivazione degli atti impugnati consentiva in ogni caso alle ricorrenti di individuare il criterio di cui all’articolo 20, paragrafo 1, lettera c), della decisione 2010/413, nonché all’articolo 23, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 267/2012, che aveva costituito la base giuridica dell’inserimento dei loro nomi negli elenchi. Di conseguenza si deve respingere il primo motivo in quanto infondato.

Infine, le ricorrenti affermano che gli atti impugnati costituiscono una violazione delle libertà e dei diritti fondamentali. Infatti, gli atti impugnati violerebbero il loro diritto di proprietà e il loro diritto di esercitare un’attività commerciale e sarebbero sproporzionati rispetto all’obiettivo perseguito. Il Tribunale ritiene di dover respingere tutti gli argomenti addotti dalle ricorrenti. In primo luogo, in merito al diritto di proprietà e al diritto di esercitare un’attività commerciale delle ricorrenti, occorre osservare, innanzitutto, che detti diritti fanno parte dei diritti fondamentali sanciti, rispettivamente, all’articolo 17 e all’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali, della quale il giudice dell’Unione garantisce il rispetto.

Tuttavia, va ricordato che i diritti fondamentali non sono prerogative assolute e che il loro esercizio può essere oggetto di restrizioni giustificate in nome di obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione (sentenza del 16 novembre 2011, Bank Melli Iran/Consiglio, C‑548/09 P, Racc., EU:C:2011:735, punto 113). Inoltre, secondo la giurisprudenza, il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, richiede che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenza del 18 novembre 1987, Maizena e a., 137/85, Racc., EU:C:1987:493, punto 15).

Nel caso di specie, il diritto di esercitare un’attività economica ed il diritto di proprietà delle ricorrenti sono limitati in maniera considerevole in seguito all’adozione degli atti impugnati, in quanto esse non possono disporre dei propri capitali situati nel territorio dell’Unione, salvo autorizzazioni specifiche, e nessun fondo e nessuna risorsa economica possono essere messi, direttamente o indirettamente, a loro disposizione in forza dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 267/2012. Tuttavia, considerata la fondamentale importanza del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, il Consiglio ha potuto correttamente ritenere che le violazioni dei summenzionati diritti che deriverebbero dall’inserimento negli elenchi delle entità detenute da un’entità sostenitrice del governo iraniano fossero appropriate e necessarie per esercitare una pressione su detto governo affinché cessasse le sue attività di proliferazione nucleare (v., in tal senso e per analogia, sentenza Melli Bank/Consiglio, punto 62 supra, EU:C:2012:137, punto 61). Pertanto, siffatte violazioni non possono essere considerate, alla luce degli obiettivi perseguiti, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza del diritto di proprietà e del diritto di esercitare un’attività commerciale (v., in tal senso, sentenza Bank Melli Iran/Consiglio, punto 92 supra, EU:C:2011:735, punti 114 e 115).

 

Brevetto unitario

Sentenza della CGUE (Grande Sezione) 5 maggio 2015, causa C-147/13,  Spagna c. Consiglio.

                                  

Tipo di procedimento: Ricorso per annullamento. 

Oggetto: Attuazione di una cooperazione rafforzata - Regolamento (UE) n. 1260/2012 - Regime di traduzione - Principio di non discriminazione - Articolo 291 TFUE - Delega di poteri a organismi esterni all’Unione europea - Articolo 118, secondo comma, TFUE - Base giuridica - Principio di autonomia del diritto dell’Unione.

A sostegno del suo ricorso, il Regno di Spagna deduce cinque motivi, vertenti, rispettivamente, sulla violazione del principio di non discriminazione fondata sulla lingua, sulla violazione dei principi enunciati nella sentenza Meroni/Alta Autorità (9/56, EU:C:1958:7), per aver delegato all’UEB compiti amministrativi relativi al BEEU, sulla mancanza di base giuridica, sulla violazione del principio di certezza del diritto e sulla violazione del principio di autonomia del diritto dell’Unione. Il ricorso viene respinto dalla Corte.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta che i riferimenti, presenti nei Trattati, all’impiego delle lingue nell’Unione non possono essere considerati come la manifestazione di un principio generale del diritto dell’Unione in forza del quale ogni atto che possa incidere sugli interessi di un cittadino dell’Unione debba essere redatto in ogni caso nella sua lingua (sentenze Kik/UAMI, C‑361/01 P, EU:C:2003:434, punto 82, e Polska Telefonia Cyfrowa, C‑410/09, EU:C:2011:294, punto 38). Nel caso di specie, è innegabile che nel regolamento impugnato si operi un trattamento differenziato delle lingue ufficiali dell’Unione. Infatti, l’art. 3, paragrafo 1, di tale regolamento, che definisce il regime di traduzione per il BEEU, si riferisce alla pubblicazione del fascicolo del BEEU conformemente all’art. 14, paragrafo 6, della CBE.

In applicazione di tale disposizione e dell’art. 14, paragrafo 1, della CBE, i fascicoli del brevetto europeo sono pubblicati nella lingua del procedimento, che deve essere una delle lingue ufficiali dell’UEB, segnatamente il tedesco, l’inglese o il francese, e contengono una traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue ufficiali dell’UEB. Ove siano state rispettate le condizioni prescritte da tali disposizioni della CBE, non è necessaria alcun’altra traduzione ai fini del riconoscimento dell’effetto unitario del brevetto europeo interessato. Nei limiti in cui sia possibile far valere un obiettivo legittimo di interesse generale e dimostrarne l’effettiva sussistenza, occorre ricordare che una differenza di trattamento a motivo della lingua deve altresì rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire essa deve essere idonea a realizzare l’obiettivo perseguito e non deve andare oltre quanto è necessario per raggiungerlo (v. sentenza Italia/Commissione, C‑566/10 P, EU:C:2012:752, punto 93).

Il sistema di tutela del brevetto europeo risultante dalla CBE è caratterizzato da una complessità e da costi particolarmente elevati per un richiedente che intenda ottenere la tutela della sua invenzione mediante la concessione di un brevetto che copra il territorio di tutti gli Stati membri. Tale complessità e tali costi, che risultano in particolare dalla necessità che il titolare di un brevetto europeo concesso dall’UEB ne presenti, ai fini della convalida di tale brevetto sul territorio di uno Stato membro, una traduzione nella lingua ufficiale dello Stato membro, costituiscono un ostacolo alla tutela brevettuale nell’Unione.

Il regolamento impugnato persegue l’obiettivo di istituire un regime di traduzione dei brevetti europei ai quali è conferito un effetto unitario ai sensi del regolamento n. 1257/2012. Dato che l’UEB è responsabile per la concessione dei brevetti europei, il regolamento impugnato si basa sul regime di traduzione vigente presso l’UEB, il quale prescrive l’impiego delle lingue tedesca, inglese e francese, tale regolamento non impone tuttavia la traduzione del fascicolo del brevetto europeo, o almeno delle relative rivendicazioni, nella lingua ufficiale di ciascuno degli Stati in cui il BEEU produrrà i suoi effetti, come avviene per il brevetto europeo.

Pertanto, il regime istituito dal regolamento impugnato permette effettivamente di agevolare l’accesso alla tutela brevettuale mediante la riduzione dei costi collegati agli obblighi di traduzione. Ai fini di limitare gli svantaggi per gli operatori economici che non dispongano dei mezzi per comprendere, con un certo grado di competenza, documenti redatti in lingua tedesca, inglese o francese, il Consiglio ha previsto, all’articolo 6 del regolamento impugnato, un periodo transitorio, di una durata massima di dodici anni, fino a quando sarà disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Unione un sistema di traduzione automatica di alta qualità. Durante detto periodo transitorio, ogni richiesta di effetto unitario deve essere accompagnata o da una traduzione integrale del fascicolo in inglese, se la lingua del procedimento è il francese o il tedesco, oppure da una traduzione integrale del fascicolo in un’altra lingua ufficiale dell’Unione, se la lingua del procedimento è l’inglese.

09/07/2015
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