Politiche di concorrenza
Intese e pratiche concordate
Sentenza della CGUE (Primaa Sezione) 4 dicembre 2014, cause riunite C-413/13, FNV Kunsten Informatie en Media c. Staat der Nederlanden.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Paesi Bassi.
Oggetto: Articolo 101 TFUE - Ambito di applicazione ratione materiae - Contratto collettivo di lavoro - Disposizione contenente tariffe minime per i prestatori autonomi di servizi - Nozione di “impresa” - Nozione di “lavoratore”.
I prestatori autonomi olandesi hanno il diritto nei Paesi Bassi di affiliarsi a una qualsiasi organizzazione sindacale, di datori di lavoro o di professionisti. Di conseguenza, secondo la legge sul contratto collettivo di lavoro, le confederazioni di datori di lavoro e le organizzazioni di lavoratori possono stipulare un contratto collettivo di lavoro in nome e per conto non soltanto dei lavoratori, ma anche dei prestatori autonomi di servizi che siano membri di tali organizzazioni.
Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che la disposizione di un contratto collettivo di lavoro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, contenente tariffe minime per i prestatori autonomi di servizi, affiliati a una delle organizzazioni di lavoratori parti del contratto, che svolgono per un datore di lavoro, in forza di un contratto d’opera, la stessa attività dei lavoratori subordinati di tale datore di lavoro, esula dall’ambito di applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE solo qualora tali prestatori siano «falsi autonomi», ossia prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di detti lavoratori. Spetta al giudice del rinvio procedere a una tale valutazione.
Inadempimento Stato membro
Sentenza della CGUE (Grande Sezione) 2 dicembre 2014, causa C-196/13, Commissione europea c. Repubblica italiana.
Tipo di procedimento: Procedura doppia condanna.
Oggetto: Gestione dei rifiuti - Sentenza della Corte che constata un inadempimento - Omessa esecuzione - Penalità - Somma forfettaria.
Nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) del 26 aprile 2007 la Corte aveva accolto il ricorso per inadempimento contro lo Stato Italiano relativo alla violazione degli obblighi per la gestione dei rifiuti. La Commissione sostiene che la Repubblica italiana avrebbe dovuto mettere in atto misure strutturali di carattere generale e durevole al fine di porre rimedio all’inadempimento generale e persistente constatato dalla Corte nel 2007. La mera chiusura di una discarica non è sufficiente per conformarsi agli obblighi della direttiva 75/442. La Corte pertanto constata che l’Italia, non avendo adottato, entro il termine impartito nel parere motivato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 260 par. l TFUE.
La Commissione chiede la condanna al versamento sia di una penalità giornaliera di EUR 256.819,20 che di una somma forfettaria, con la motivazione che la mera irrogazione di una penalità ex art. 260 TFUE non sarebbe sufficiente ad incitare gli Stati membri ad ottemperare tempestivamente ai loro obblighi in seguito alla constatazione di inadempimenti ai sensi dell’art. 258 TFUE. La Commissione propone che l’importo della penalità decresca in funzione dei progressi realizzati dalla Repubblica italiana al fine di dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia del 2007.
Il metodo di calcolo di detta penalità consisterebbe nel contare le discariche abusive esistenti, computando due volte quelle contenenti rifiuti pericolosi, e dividere poi l’importo della penalità per il numero in tal modo ottenuto. L’importo della penalità diminuirebbe, così, in funzione di ciascuna discarica messa a norma. Stante l’evoluzione costante della situazione delle discariche abusive in Italia, la Commissione propone di calcolare la penalità su base semestrale.
Spetta alla Corte, in ciascuna causa e in funzione delle circostanze del caso di cui è investita nonché del livello di persuasione e di dissuasione che le appare necessario, stabilire le sanzioni pecuniarie adeguate, in particolare per prevenire la reiterazione di analoghe infrazioni al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, EU:C:2014:316, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata). Per costante giurisprudenza spetta alla Corte, nell’esercizio del suo potere discrezionale, fissare la penalità in modo tale che essa sia, da un lato, adeguata alle circostanze e, dall’altro, commisurata all’inadempimento accertato nonché alla capacità di pagamento dello Stato membro interessato.
Pertanto, la Corte condanna la Repubblica italiana a versare alla Commissione, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», a partire dalla data di pronuncia della presente sentenza e fino all’esecuzione della sentenza Commissione/Italia del 2007, una penalità semestrale calcolata, per il primo semestre successivo alla presente sentenza, alla fine di quest’ultimo, a partire da un importo iniziale fissato in EUR 42 800 000, dal quale saranno detratti EUR 400 000 per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma conformemente a detta sentenza ed EUR 200 000 per ogni altra discarica messa a norma conformemente a detta sentenza.
Per tutti i semestri successivi, la penalità dovuta per ciascun semestre sarà calcolata, alla fine dello stesso, a partire dall’importo della penalità stabilita per il semestre precedente, applicando le predette detrazioni per le discariche oggetto dell’inadempimento constatato messe a norma nel corso del semestre. Inoltre, la Corte ritiene equo, per le circostanze di specie, fissare una somma forfettaria pari a EUR 40 milioni a carico della Repubblica italiana.
Sentenza della CGUE (Sesta Sezione) 18 dicembre 2014, causa C-551/13, Società Edilizia Turistica Alberghiera Residenziale (SETAR) SpA contro Comune di Quartu S. Elena.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari – Italia.
Oggetto: Gestione dei rifiuti - Possibilità per il produttore di rifiuti di provvedere personalmente al loro trattamento - Legge nazionale di trasposizione adottata, ma non ancora entrata in vigore - Scadenza del termine di trasposizione - Effetto diretto.
Il diritto dell’Unione e la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che trasponga una disposizione di tale direttiva, ma entri in vigore subordinatamente all’adozione di un atto interno successivo, qualora detta entrata in vigore intervenga dopo la scadenza del termine di trasposizione fissato dalla medesima direttiva.
Inoltre, l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, in combinato disposto con gli artt. 4 e 13 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non preveda la possibilità, per un produttore di rifiuti o un detentore di rifiuti, di provvedere personalmente allo smaltimento dei suoi rifiuti, con conseguente esonero dal pagamento di una tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti, purché detta normativa sia conforme ai requisiti del principio di proporzionalità.
Quindi, benché le autorità nazionali competenti in materia dispongano di un ampio margine di discrezionalità per la determinazione delle modalità di calcolo di una tassa come quella oggetto del procedimento principale, la tassa così stabilita non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenza Futura Immobiliare e a., EU:C:2009:479, punto 55).
Nel caso di specie spetta quindi al giudice del rinvio verificare, sulla base degli elementi di fatto e di diritto portati al suo esame, se la TARSU non comporti che a un produttore di rifiuti iniziale o a un detentore di rifiuti, come la SETAR, il quale provveda personalmente al loro smaltimento, siano imputati costi manifestamente sproporzionati rispetto alla quantità o al tipo dei rifiuti prodotti e/o conferiti nel sistema di gestione dei rifiuti.
Proprietà Industriale e diritti fondamentali
Sentenza della CGUE (Grande Sezione) 18 dicembre 2014, causa C-364/13, International Stem Cell Corporation contro Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Patents Court) - Regno Unito.
Oggetto: Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche - Attivazione partenogenetica di ovociti - Produzione di cellule staminali embrionali umane - Brevettabilità - Esclusione delle "utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali" - Nozioni di "embrione umano" e di "organismo tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano".
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6 della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. L’ISCO ha presentato due domande di registrazione di brevetti nazionali presso l’United Kingdom Intellectual Property Office (Ufficio della proprietà intellettuale del Regno Unito) per l’attivazione partenogenetica di ovociti per la produzione di cellule staminali embrionali umane e per la cornea sintetica ottenuta da cellule staminali retinali che sono state respinte nell’agosto del 2012.
Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 6 della direttiva 98/44 debba essere interpretato nel senso che un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e svilupparsi sino ad uno stadio determinato, costituisca un «embrione umano» ai sensi della suddetta disposizione. Va ricordato che la direttiva 98/44 non è intesa a disciplinare l’uso di embrioni umani nell’ambito di ricerche scientifiche e che essa ha ad oggetto esclusivamente la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche. Peraltro, «embrione umano» deve essere considerato nel senso che designa una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima (v. sentenza Brüstle, EU:C:2011:669, punto 26).
Il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di brevettabilità quando il rispetto dovuto alla dignità umana potrebbe esserne pregiudicato. Dalla menzionata sentenza Brüstle risulta che un ovulo umano non fecondato deve essere qualificato come «embrione umano» nei limiti in cui siffatto organismo sia tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui un ovulo umano non fecondato non soddisfi tale condizione, il solo fatto che tale organismo inizi un processo di sviluppo non è sufficiente per considerarlo un «embrione umano», ai sensi e ai fini dell’applicazione della direttiva 98/44.
Per contro, nell’ipotesi in cui un siffatto ovulo avesse la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, esso dovrebbe allora essere trattato allo stesso modo di un ovulo umano fecondato, in tutte le fasi del suo sviluppo. Spetta al giudice del rinvio verificare se, alla luce delle conoscenze sufficientemente comprovate e convalidate dalla scienza medica internazionale (v., per analogia, sentenza Smits e Peerbooms, C‑157/99, EU:C:2001:404, punto 94), partenoti umani, come quelli oggetto delle domande di registrazione nel procedimento principale, abbiano o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. Pertanto, l’art. 6 della direttiva 98/44 deve essere interpretato nel senso che un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi non costituisce un «embrione umano», ai sensi della suddetta disposizione, qualora, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.