Diritti sociali
Sentenza della CGUE (Ottava Sezione) 11 aprile 2013, causa C-290/12, Oreste Della Rocca c. Poste Italiane SpA.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Tribunale Napoli - Italia.
Oggetto: Direttiva 1999/70/CE - Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - Agenzia di lavoro interinale - Successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
La direttiva 1999/70 nell’attuare l’accordo quadro stipulato ex art. 155 (2) TFUE si propone di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato nell’Unione garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione e prevenendo gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti. Nel preambolo si precisa che l’ambito di applicazione dell’accordo in questione si limita ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale poiché l’intenzione delle parti di tale accordo quadro era quella di concludere un analogo accordo relativo al lavoro interinale. Si deve rilevare che l’esclusione prevista riguarda il lavoratore interinale in quanto tale, e non l’uno o l’altro dei suoi rapporti di lavoro, con la conseguenza che tanto il suo rapporto di lavoro con l’agenzia di lavoro interinale quanto quello sorto con l’azienda utilizzatrice esulano dall’ambito di applicazione di tale accordo quadro. Il preambolo di un atto dell’Unione non ha valore giuridico vincolante e non può essere fatto valere né per derogare alle disposizioni stesse dell’atto di cui trattasi né per interpretare tali disposizioni in un senso manifestamente contrario alla loro formulazione.
Nel caso di specie il Tribunale di Napoli interroga la Corte di Giustizia circa la vincolatività dell’ambito di applicazione definito nel preambolo e la sua conseguente applicabilità al caso del sig. Della Rocca che ha prestato servizio presso le Poste Italiane come portalettere, stipulando tre contratti di lavoro a tempo determinato successivi sulla base di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso tra Obiettivo Lavoro, società di fornitura di lavoro temporaneo, e la Poste Italiane.
Constatando che l’esclusione che compare nel preambolo dell’accordo quadro è riportata nella clausola 3, punto 1 secondo la quale soltanto il rapporto di lavoro concluso direttamente con il datore di lavoro rientra nell’ambito di tale accordo quadro, la Corte reputa che sia la direttiva 1999/70 che l’accordo quadro devono essere interpretati nel senso che non si applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice.
Diritti sociali
Principi generali
Sentenza della CGUE (Terza Sezione) 25 aprile 2013, causa C-81/12, Asociaţia ACCEPT c. Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Curtea de Apel Bucureşti - Romania.
Oggetto: Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Direttiva 2000/78/CE - Divieto di discriminazione in base alle tendenze sessuali - Adattamento dell’onere della prova - Sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.
La direttiva 2000/78/CE stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
L’Accept, organizzazione non governativa avente la finalità di promuovere e tutelare i diritti degli omosessuali presentava una denuncia nei confronti del sig. Becali e della SC Fotbal Club Steaua sostenendo una discriminazione diretta fondata sulle tendenze sessuali in violazione del principio della parità di trattamento in materia di assunzioni. Nel contesto di un’intervista relativa all’eventuale trasferimento di un calciatore professionista, X, ed alle presunte tendenze sessuali di quest’ultimo, il sig. Becali aveva rilasciato dichiarazioni da cui si evincerebbe la preferenza di avvalersi di un giocatore della squadra giovanile piuttosto che ingaggiare un calciatore presentato come omosessuale. La Corte d’Appello rumena si chiede se tali dichiarazioni possano essere qualificate alla stregua di “fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione” per quanto riguarda una squadra di calcio professionistica.
La Corte di Giustizia chiarisce che nel contesto di un procedimento di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, solo il giudice nazione è competente a pronunciarsi sui fatti del procedimento principale. Non è compito della giurisdizione europea esprimersi sulle circostanze da cui è scaturita la controversia nel procedimento principale. Tuttavia, la Corte di Giustizia può fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione rientranti nel diritto dell’Unione che possano essergli utili ai fini della sua decisione.
Quanto ai requisiti processuali, la Corte di Giustizia reputa pacifico riconoscere all’Accept la facoltà di avviare procedimenti giurisdizionali o amministrativi intesi a ottenere il rispetto degli obblighi che discendono dalla direttiva qualificando l’associazione come “persona interessata”. La circostanza che un datore di lavoro non abbia chiaramente preso le distanze dalle dichiarazioni controverse costituisce un elemento di cui il giudice adito può tener conto nella valutazione complessiva dei fatti, facendo presumer che egli conduca una politica di assunzione discriminatoria. La percezione del pubblico o degli ambienti interessati può costituire un indizio pertinente ai fini della valutazione complessiva delle dichiarazioni oggetto del procedimento principale. Qualora i fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione siano dimostrati dell’attore, l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento determina un’inversione dell’onere probatorio, richiedendo che siano i convenuti a dover dimostrare che non vi è stata violazione di detto principio.
Infine, quanto alle sanzioni previste dall’art. 17 della direttiva 2000/78, esse devono essere definite dagli Stati membri e caratterizzate da effettività, proporzionalità e dissuasività, criteri valutabili dal giudice del rinvio. La severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono e comportare un effetto realmente deterrente, fermo restando il rispetto del principio generale della proporzionalità. Non considerando compatibile con un’attuazione corretta ed efficace della direttiva una sanzione meramente simbolica. Si evince inoltre che il sistema di sanzioni istituito per trasporre la direttiva conformemente agli obblighi di risultato a cui sono tenuti gli Stati membri, debba garantire una tutela giuridica effettiva ed efficace dei diritti tratti dalla direttiva in oggetto.
Questioni processuali
Sentenza della CGUE (Settima Sezione) 11 aprile 2013, causa C-652/11 P, Mindo Srl c. Commissione europea.
Tipo di procedimento: Impugnazione della sentenza di primo grado del Tribunale 5 ottobre 2011, causa T-19/06.
Oggetto: Diritto della concorrenza - Intesa - Mercato italiano dell’acquisto e della prima trasformazione del tabacco greggio - Pagamento dell’ammenda da parte del codebitore solidale - Interesse ad agire - Obbligo di motivazione.
La Mindo, società italiana per la trasformazione del tabacco greggio originariamente a carattere si impresa familiare, acquistata nel 1995 da una controllata della Dimon e nel 2005 fusa con la Standard Commercial Corporation per formare una nuova entità denominata AOI, attualmente in liquidazione giudiziaria, ha sollevato a più riprese dinanzi al Tribunale il problema della prescrizione del diritto ad agire dell’AOI. Nel 2006 l’AOI ha pagato l’intero importo dell’ammenda che era stata inflitta ad essa e alla Mindo dalla Commissione per un’infrazione delle disposizioni sulla concorrenza (art. 101 TFUE). In particolare, l’argomento secondo cui l’AOI dispone, a decorrere dal pagamento dell’ammenda nel 2006, del diritto di esercitare un’azione nei confronti della Mindo per esigere una partecipazione per la sua quota dell’ammenda che, in base alle disposizioni dell’ordinamento italiano, si sarebbe prescritto solo nel termine decennale.
Nella pronuncia di primo grado il Tribunale si è limitato ad affermare che sono trascorsi più di cinque anni dal pagamento effettuato dell’ammenda e che la Mindo non aveva sufficientemente dimostrato che l’AOI era ancora in grado di recuperare tale credito, senza però verificare la prescrizione dell’azione. Pertanto il Tribunale omettendo di rispondere ad una parte centrale dell’argomentazione della Mindo, ha violato l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 81 del regolamento di procedura del Tribunale. Secondo giurisprudenza costante, la motivazione di una sentenza deve far apparire in modo chiaro e non equivoco il ragionamento del Tribunale, in modo tale da consentire agli interessati di conoscere le ragioni della decisione adottata ed alla Corte di esercitare il proprio sindacato giurisdizionale sulla decisione di primo grado. Il difetto o l’insufficienza di motivazione rientra nella violazione delle forme sostanziali e costituisce un motivo di ordine pubblico che deve essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione.
Questioni processuali
Sentenza della CGUE (Terza Sezione) 11 aprile 2013, causa C-645/11, Land Berlin c. Ellen Mirjam Sapir e altri.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Bundesgerichtshof - Germania.
Oggetto: Regolamento n. 44/2001 - Pagamento indebitamente effettuato da un ente statale - Domanda di restituzione di tale pagamento nell’ambito di un ricorso giurisdizionale - Determinazione del foro in caso di connessione - Stretto nesso tra le domande.
La domanda pregiudiziale in oggetto è stata presentata nell’ambito di una controversia inerente al rimborso di un eccesso di pagamento effettuato per errore a seguito di un procedimento amministrativo diretto al risarcimento del danno causato dalla perdita di un terreno durante le persecuzioni sotto il regime nazista. Il diritto al risarcimento sotteso all’azione intentata nel procedimento principale è basato su disposizioni nazionali riguardanti l’indennizzo delle vittime del regime nazionalsocialista, disposizioni identiche per tutti i proprietari di immobili gravati da diritti di restituzione. Infatti, esse impongono lo stesso obbligo di indennizzo senza distinguere tra lo status di soggetto privato oppure di ente pubblico del proprietario del bene gravato.
Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede se la nozione di “materia civile e commerciale” dell’art. 1 del regolamento n. 44/2001 debba includere l’azione di ripetizione dell’indebito nel caso in cui un ente pubblico, per errore non intenzionale, versi la totalità dell’importo del prezzo di vendita e chieda poi giudizialmente la ripetizione dell’indebito. Benché il versamento trovi la propria causa in base al diritto nazionale tedesco in un procedimento amministrativo e non in un atto giuridico, tuttavia la Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare che rientrano nell’ambito d’applicazione del regolamento n. 44/2001 talune controversie tra un’autorità pubblica e un soggetto di diritto privato quali la ripetizione dell’indebito.
Quanto poi al vincolo di connessione e alla conseguente applicazione dell’art. 6 del regolamento n. 44/2001 occorre verificare se fra le varie domande, promosse da uno stesso attore nei confronti di più convenuti, sussista un vincolo di connessione tale da rendere opportuna una decisione unica per evitare soluzioni che potrebbero essere tra di loro incompatibili se le cause fossero decise separatamente. Le domande proposte nel procedimento principale, basate sulla ripetizione dell’indebito e i mezzi di difesa invocati traggono origine da una situazione unica in diritto e in fatto.
Diritti sociali
Sentenza della CGUE (Terza Sezione) 11 aprile 2013, causa C-443/11, F. P. Jeltes e a. c. Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Rechtbank Amsterdam - Paesi Bassi.
Oggetto: Previdenza sociale dei lavoratori migranti - Lavoratore frontaliero atipico in situazione di disoccupazione completa che ha conservato legami personali e professionali nello Stato membro dell’ultima occupazione - Regolamento n. 883/2004 - Indennità di disoccupazione - Rifiuto di pagamento opposto dallo Stato membro dell’ultima occupazione.
L’entrata in vigore del regolamento n. 883/2004 costituisce un superamento della sentenza Miethe (sentenza del 12 giugno 1986, caso 1/85, Racc. pag. 1837). Nel caso di un lavoratore frontaliero che si trovi in disoccupazione completa e abbia conservato con lo Stato membro di ultima occupazione legami personali e professionali tali da fargli ivi disporre di maggiori opportunità di reinserimento professionale, l’articolo 65 del regolamento 883/2004 deve essere inteso nel senso che esso consente a un siffatto lavoratore di mettersi a disposizione degli uffici del lavoro di detto Stato in via supplementare, non già per poter ottenere da quest’ultimo indennità di disoccupazione, ma unicamente per poter ivi beneficiare dei servizi di ricollocamento. Lo Stato membro dell’ultima occupazione può rifiutare, sulla base del diritto nazionale, l’indennità di disoccupazione a un lavoratore frontaliero che si trovi in disoccupazione completa e che disponga all’interno di tale Stato membro di migliori opportunità di reinserimento professionale, per il motivo che egli non risiede nel proprio territorio.
Principi generali
Sentenza della CGUE (Terza Sezione) 11 aprile 2013, causa C-401/11, Blanka Soukupová c. Ministerstvo zemědělství.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Nejvyšší správní soud - Repubblica Ceca.
Oggetto: Sostegno allo sviluppo rurale - regime di aiuti per il prepensionamento - Normativa nazionale che fissa un’età di pensionamento variabile in funzione del sesso nonché, per le donne, del numero di figli allevati - Principi generali di parità di trattamento e di non discriminazione.
L’aiuto al prepensionamento costituisce un incentivo economico diretto a incoraggiare gli imprenditori agricoli anziani a cessare definitivamente la loro attività agricola prima di quanto non farebbero in circostanze normali per una migliorare la redditività delle aziende. In assenza di un’armonizzazione operata dal diritto dell’Unione circa la fissazione dell’età normale di pensionamento, sono gli Stati membri a dover definire tale età. Tuttavia, il rinvio a una nozione non armonizzata non consente l’adozione di una normativa nazionale in contrasto con i principi generali del diritto dell’Unione nonché con i diritti fondamentali. Non è conforme al diritto dell’Unione e ai suoi principi generali di parità di trattamento e di non discriminazione il fatto che, in applicazione delle disposizioni del regime pensionistico nazionale dello Stato membro in questione relative all’età necessaria per avere diritto a una pensione di vecchiaia, l’età normale di pensionamento sia determinata in maniera diversa in funzione del sesso della persona che richiede l’aiuto al prepensionamento in agricoltura e, nel caso di richiedenti di sesso femminile, in funzione del numero di figli allevati dall’interessata.
Diritti sociali
Principi generali
Sentenza della CGUE (Seconda Sezione) 11 aprile 2013, causa C-335/11, HK Danmark c. Dansk Arbejdsgiverforening.
Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale da Sø- og Handelsretten - Danimarca.
Oggetto: Politica sociale - Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Direttiva 2000/78 - Disparità di trattamento basata sull’handicap.
La nozione di handicap non è definita dalla direttiva 2000/78, tuttavia la Corte indica che debba essere interpretata nel senso di includere una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata (sentenza Chacón Navas, 11 luglio 2006, causa C13/05, in Racc. pag. I6467). Dalla definizione di handicap consegue l’applicazione delle misure di adattamento previste dall’articolo 5 della direttiva stessa, tra cui la riduzione dell’orario di lavoro. Spetta al giudice nazionale valutare se la riduzione dell’orario di lavoro quale misura di adattamento rappresenti un onere sproporzionato per i datori di lavoro.
Ordinamento giuridico dell’Unione
Sentenza del Tribunale (Prima Sezione) 19 aprile 2013, causa T-99/09, Italia c. Commissione.
Tipo di procedimento: Annullamento decisione Commissione in una procedura d’infrazione contro l’Italia.
Oggetto: Programma operativo regionale (POR) 2000-2006 per la regione Campania - Gestione e allo smaltimento dei rifiuti - Decisione di non procedere ai pagamenti intermedi.
La presente controversia instaurata dall’Italia chiedendo l’annullamento di decisioni della Commissione Europea, s’iscrive nell’ambito di un procedimento d’infrazione avviato nei confronti della Repubblica Italiana, la Commissione addebitava alla regione Campania di non aver adottato tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, per non aver creato una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento. La Commissione ha chiesto alla Corte di constatare tale violazione e la Corte ha accolto detto ricorso, constatando l’inadempimento (C297/08, sentenza del 4 marzo 2010, Commissione c. Italia, in Racc. pag. I1749). La Commissione ha criticato la situazione dello smaltimento finale dei rifiuti in diverse fasi di tale filiera. L’articolo 32 (3) del regolamento n. 1260/1999 autorizza la Commissione a effettuare pagamenti intermedi per rimborsare le spese sostenute a titolo dei fondi che soddisfano le condizioni positive e negative di ammissibilità ivi precisate: condizione negativa di ammissibilità è l’assenza di decisione della Commissione di avviare un procedimento d’infrazione. Correttamente la Commissione rifiuta il rimborso all’Italia perché già dichiarata l’infrazione sulla medesima questione seppur per un ramo distinto della procedura di smaltimento dei rifiuti.
Politiche di concorrenza:
Intese e pratiche concordate
Sentenza del Tribunale (Sesta Sezione) 12 aprile 2013, causa T-442/08, International Confederation of Societies of Authors and Composers c. Commissione.
Tipo di procedimento: Impugnazione decisione della Commissione
Oggetto: Concorrenza - Intese - Diritti d’autore relativi all’esecuzione in pubblico delle opere musicali via Internet, satellite e ritrasmissione via cavo - Decisione che accerta una violazione dell’articolo 81 CE - Ripartizione del mercato geografico - Accordi bilaterali tra le società di gestione collettiva nazionali - Pratica concordata che esclude la possibilità di concedere licenze multiterritoriali e multirepertorio - Prova - Presunzione d’innocenza.
La decisione impugnata avente ad oggetto le condizioni di gestione dei diritti di esecuzione in pubblico delle opere musicali nonché di concessione delle licenze corrispondenti, unicamente per quanto riguarda le modalità di sfruttamento via Internet, satellite e ritrasmissione via cavo è destinata alle 24 società di gestione collettiva stabilite nello Spazio economico europeo che amministrano i diritti detenuti dagli autori. Tali diritti implicano il diritto esclusivo di autorizzare o proibire lo sfruttamento delle opere protette. Ciò avviene, in particolare, per quanto attiene ai diritti di esecuzione in pubblico. Una SGC acquisisce tali diritti per cessione diretta da parte dei titolari originali o per trasmissione da parte di un’altra SGC che gestisce le stesse categorie di diritti in un altro paese, e concede, a nome dei propri membri, licenze agli utilizzatori commerciali, quali le imprese di radiodiffusione o gli organizzatori di spettacoli.
Si commenta il caso presentato da un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro, sottolineando tuttavia l’esistenza di ricorsi proposti da ogni singola società nei vari Stati.
Il Tribunale annulla la decisione sanzionatoria della Commissione ritenendo che la Commissione non abbia sufficientemente provato l’esistenza di una pratica concordata relativa alle limitazioni territoriali nazionali e non avendo né dimostrato che la ricorrente e le altre SGC si fossero concertate al riguardo né fornito elementi atti a privare di plausibilità una delle spiegazioni del parallelismo di comportamenti delle SGC dedotte dalla ricorrente. Il fenomeno delle licenze dirette non consenta di trarre conclusioni in ordine alla prova della pratica concordata. Infatti, le SGC concedono licenze dirette soltanto ai grandi utilizzatori. Pertanto, se la SGC A concede licenze dirette ai grandi utilizzatori operanti nel paese B, la SGC B resta nondimeno l’unica in grado di concedere licenze, relative, segnatamente, al repertorio A, agli altri utilizzatori operanti nel paese B. L’onere della prova incombe interamente sulla Commissione nel dimostrare che il parallelismo dei comportamenti delle SGC non è ascrivibile alle condizioni del mercato ma sia invece imputabile ad un comportamento anticoncorrenziale. Gli elementi dedotti dalla Commissione non sono sufficienti per privare di plausibilità la spiegazione del comportamento parallelo delle SGC, fornita dalla ricorrente, diversa dall’esistenza di una concertazione, fondata sulla necessità di garantire l’efficacia della lotta contro le utilizzazioni non autorizzate di opere musicali.