1) DIRITTO AL SILENZIO
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, nella causa C-481/19 del 2 febbraio 2021
BD / Consob
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Una persona fisica sottoposta ad un procedimento sanzionatorio amministrativo per abuso di informazioni privilegiate ha il diritto di mantenere il silenzio se le sue risposte possono far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
In particolare, in un procedimento relativo all’accertamento di illeciti amministrativi avente ad oggetto abuso di informazioni privilegiate, la Commissione Nazionale per le società e la Borsa italiana sanzionava una persona non solo per le violazioni di che trattavasi, ma anche per la sua mancata collaborazione nel procedimento, irrogando sanzioni per un ammontare complessivo di EUR 300 000; egli, in effetti, dapprima non si era presentato alla convocazione e successivamente, in sede di audizione personale, si era rifiutato di rispondere alle domande della Commissione.
La controversia giungeva innanzi alla Corte di cassazione la quale, dubitando della legittimità costituzionale della disposizione, investiva della questione la Corte costituzionale.
Quest’ultima, premesso, che la disposizione in questione era stata adottata in esecuzione di un obbligo specifico imposto dalla direttiva 2003/6 e dal regolamento n. 596/2014, osservava che nell’ordinamento italiano le operazioni configuranti un abuso di informazioni privilegiate costituiscono sia un illecito amministrativo che un illecito penale. Pertanto, interrogava la Corte di Giustizia affinché valutasse la compatibilità della normativa italiana (che imponeva sostanzialmente un dovere confessorio) con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e più specificamente con il diritto al silenzio.
La Corte, riunita in Grande Sezione, e richiamata la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al diritto ad un equo processo, ha sottolineato che il diritto al silenzio implica che una persona «imputata» non possa essere sanzionata per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
Da ciò consegue che la direttiva 2003/6 ed il regolamento n. 596/2014 devono essere interpretati in maniera conforme al diritto al silenzio, anche se i richiamati testi normativi non escludono di sanzionare il rifiuto di collaborazione con le autorità competenti, allorquando un siffatto rifiuto non sia espressione del diritto al silenzio, ma rappresenti un mero espediente dilatorio per ritardare l’accertamento dell’illecito.
Il diritto al silenzio (“Nemo tenetur se detegere”) non vale solo nel processo penale, ma anche in quello amministrativo per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale o nel quale le dichiarazioni confessorie della persona incolpata potrebbero far emergere nei suoi confronti profili di responsabilità penale.
2) CONSERVAZIONE DI DATI INFORMATICI ED ACCESSO A FINI PENALI
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, nella causa C-476/18del 2 marzo 2021
Procedimento penale a carico di HK
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
L’accesso, per fini penali, ad un insieme di dati di comunicazioni elettroniche relativi al traffico o all’ubicazione, che permettano di trarre precise conclusioni sulla vita privata, è autorizzato soltanto allo scopo di lottare contro gravi forme di criminalità o di prevenire gravi minacce alla sicurezza pubblica. Il diritto dell’Unione non è compatibile con la legge nazionale che consente ad un soggetto che sia direttamente coinvolto nella direzione delle indagini (nella specie, il pubblico ministero) di accedere a dati informatici sulla vita privata delle persone, a maggior ragione se l’accesso non sia funzionale alla prevenzione di gravi minacce della sicurezza pubblica, o alla lotta contro gravi forme di criminalità.
Il caso riguardava persona condannata a due anni di reclusione dal tribunale estone (sentenza confermata in appello) per furto e utilizzo abusivo di carta bancaria. All’accertamento del fatto si giungeva mediante l’accesso da parte del pubblico ministero ai dati personali dell’imputato, custoditi dal gestore dei servizi di comunicazioni elettroniche. La Corte di cassazione estone disponeva il rinvio pregiudiziale alla Corte, per valutare la conformità con il diritto dell’Unione dei presupposti in presenza dei quali gli organi inquirenti hanno avuto accesso ai dati suddetti.
Con la sentenza in commento, la Corte, riunita in Grande Sezione, ritiene che la direttiva «vita privata e comunicazioni elettroniche» non consente ad uno Stato membro di adottare una normativa nazionale che preveda l’accesso indiscriminato da parte delle autorità pubbliche a dati idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, in modo da trarre precise conclusioni sulla sua vita privata.
Siffatta ingerenza nella vita privata, infatti, può essere circoscritta a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, ma non può essere estesa per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di qualunque illecito.
A tali conclusioni si giunge in applicazione del generale principio di proporzionalità (cfr. anche il precedente della Corte in causa La Quadrature du Net et al.).
Ostano pertanto al diritto dell’Unione, in quanto sproporzionate rispetto agli obiettivi, le misure legislative che impongano ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, in via preventiva, una conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, anche se finalizzate alla prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale.
Secondo la Corte, inoltre, l’accesso ai dati informatici deve essere eseguito solo a seguito di un controllo preventivo eseguito da un soggetto istituzionalmente indipendente, sia esso un giudice o un’altra amministrazione che offra eguale garanzia di terzietà e che si trovi al riparo di ogni influenza esterna, in modo da tutelare i privati e contro ogni rischio di abuso.
In particolare il requisito di indipendenza nel procedimento penale implica che l’autorità di controllo non sia coinvolta nella conduzione dell’indagine penale di cui trattasi e che abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti. Conseguentemente, il pubblico ministero che dirige le indagini e esercita l’azione penale non può effettuare un siffatto controllo preventivo.
3) INDIPENDENZA DEI GIUDICI
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, nella causa C-824/18del 2 marzo 2021
AB e a.
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Sono potenzialmente suscettibili di violare il diritto dell’Unione le varie successive modifiche della legge polacca sul Consiglio nazionale della magistratura che hanno l’effetto di rimuovere il controllo giurisdizionale effettivo sulle decisioni di tale Consiglio con le quali si presentano al presidente della Repubblica candidati alle funzioni di giudice presso la Corte suprema. In caso di accertata violazione, il principio del primato del diritto dell’Unione impone al giudice nazionale di disapplicare tali modifiche.
Il caso era il seguente. Nel 2018, dovendo coprire la vacanza di un giudice della suprema corte, il Consiglio nazionale della magistratura polacca (da ora, «KRS») deliberava di escludere cinque magistrati e di proporre al Presidente della Repubblica (cui spetta la prerogativa di nominare ciascun giudice della suprema corte, tra quelli proposti dalla RKS) la nomina di altri cinque candidati.
Gli esclusi proponevano ricorso al giudice amministrativo. La legge allora in vigore, tuttavia, privava gli interessati di un ricorso effettivo perché, da una parte, non consentiva al giudice terzo di prendere in esame i requisiti di idoneità alla carica del candidato escluso, e dall’altra prevedeva che la proposta di nomina divenisse comunque definitiva se anche uno solo dei candidati esclusi non avesse presentato ricorso. Veniva pertanto investita la CGUE in ordine alla compatibilità di tali disposizioni con il diritto dell’Unione.
Prima ancora che la Corte si pronunciasse, nel 2019 veniva introdotta una modifica normativa che non solo impediva agli esclusi di presentare ricorso e privava il giudice di ogni competenza con effetto retroattivo anche rispetto ai ricorsi pendenti, ma per di più rendeva impossibile ottenere una risposta alle questioni pregiudiziali che aveva sottoposto alla Corte di giustizia. Con domanda pregiudiziale supplementare, il giudice amministrativo chiedeva alla Corte se anche tale sopravvenuto regime fosse conforme al diritto dell’Unione.
La Corte, riunita in Grande Sezione, dichiara, anzitutto, che il sistema di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, stabilito all’articolo 267 TFUE, sia il principio di leale cooperazione, enunciato all’arti. 4, par. 3, TUE, osta a modifiche legislative simili a quelle effettuate nel 2019 in Polonia, qualora abbiano avuto lo specifico effetto di impedire alla Corte di pronunciarsi su questioni pregiudiziali come quelle sollevate dal giudice del rinvio, e di escludere qualsiasi possibilità che un giudice nazionale ripresenti in futuro questioni analoghe.
Nel merito, la Corte osserva che il sistema delineato dalla normativa polacca sarebbe contrario al diritto dell’Unione se non offrisse garanzie di indipendenza e imparzialità dei giudici rispetto al potere esecutivo e legislativo. Spetta però al giudice del rinvio di valutare nel caso concreto se vi sia stata violazione dei menzionati principi.
Infine, la Corte dichiara che, se il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che l’adozione delle modifiche legislative del 2019 è avvenuta in violazione del diritto dell’Unione, il principio del primato di tale diritto impone a quest’ultimo giudice di disapplicare tali modifiche, siano esse di origine legislativa o costituzionale, e di continuare ad esercitare la competenza, di cui era titolare, a pronunciarsi sulle controversie di cui era investito prima dell’intervento di dette modifiche.
4) COVID-19 E AIUTI DI STATO
Sentenza del Tribunale di giustizia, Decima Sezione ampliata, nella causa T-238/20del 17 febbraio2021
Ryanair DAC / Commissione europea
Tipo di procedimento: principale
La compagnia di volo Ryanair ha impugnato la decisione della Commissione che riconosceva la compatibilità con il mercato interno di aiuti di Stato (consistenti in garanzie su prestiti) concessi dalla Svezia -per fronteggiare la crisi dovuta all’emergenza sanitaria in corso- alle sole compagnie di volo titolari di licenza rilasciata nel regno. Il Tribunale ha dichiarato conforme al diritto dell’Unione tale sistema di garanzie per arginare la grave crisi economica in cui versa lo Stato membro a causa della pandemia da Covid-19.
5) PROFESSIONI SANITARIE
Sentenza della Corte di giustizia, Prima Sezione, nella causa C-940/19 del 25 febbraio 2021
Les Chirurgiens-Dentistes de France e a.
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Gli Stati membri possono autorizzare l’accesso parziale ad una delle professioni che rientrano nel meccanismo di riconoscimento automatico delle qualifiche professionali, tra le quali figurano talune professioni sanitarie.
Nella specie, il Consiglio di Stato francese, investito di una controversia intrapresa dai rappresentanti di talune professioni sanitarie contro il Ministro della Solidarietà e della Sanità e il Ministro dell’insegnamento e della ricerca, chiede alla Corte se sia conforme al diritto dell’Unione, ed in particolare alla direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, la legge dello Stato francese che autorizza l’accesso parziale ad alcune delle professioni sanitarie che rientrano nel meccanismo automatico delle qualifiche professionale.
La richiamata direttiva prevede un sistema di riconoscimento automatico dei titoli di formazione (basato sul coordinamento delle condizioni minime di formazione) riguardo ai titoli di formazione di medico, infermiere generalista, dentista, veterinario, ostetrico e farmacista.
La Corte, tuttavia, precisa che il legislatore dell’Unione distingue tra i «professionisti», che beneficiano del riconoscimento automatico, e le «professioni», per le quali può essere istituito l’accesso parziale. La direttiva, che riguarda i professionisti e non anche le professioni, non osta ad una normativa che ammette la possibilità di un accesso parziale ad una delle professioni rientranti nel meccanismo del riconoscimento automatico delle qualifiche professionali previsto da tale direttiva.
6) FRAMING E DIRITTO D’AUTORE
Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, nella causa C-392/19del 9 marzo 2021
VG Bild-Kunst / Stiftung Preußischer Kulturbesitz
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Il gestore di un sito internet con funzione di <<vetrina digitale>> può utilizzare link che rimandano a contenuti digitali coperti dal diritto d’autore solo se autorizzato dal titolare; quest’ultimo, inoltre, può imporre al gestore del sito di adottare misure tecnologiche efficaci per impedire che si verifichi il framing, ossia l’incorporazione di un’opera in una pagina internet di un terzo, fenomeno che mette l’opera digitale a disposizione di un pubblico nuovo.
La Corte rileva che il titolare dei diritti che abbia imposto misure restrittive connesse alla pubblicazione delle sue opere ha inteso limitare il pubblico che ha accesso alle sue opere ai soli utilizzatori di un particolare sito Internet, sicché l’incorporazione di un’opera in una pagina Internet di un terzo, mediante la tecnica del framing, costituendo una «messa a disposizione di tale opera ad un pubblico nuovo», deve pertanto ricevere l’autorizzazione del titolari dei diritti interessati.
Di particolare interesse la fattispecie nella quale la fondazione tedesca Stiftung Preußischer Kulturbesitz (SPK) gestisce la Deutsche Digitale Bibliothek, una biblioteca digitale dedicata alla cultura e alla conoscenza che mette in rete istituzioni culturali e scientifiche tedesche; il sito Internet di tale biblioteca contiene link a contenuti digitalizzati memorizzati sui portali Internet delle istituzioni partecipanti e dei quali la biblioteca offre le miniature (thumbnails), ossia versioni di immagini le cui dimensioni sono ridotte rispetto alle dimensioni originali. Nel caso, la VG Bild-Kunst, una società di gestione collettiva dei diritti d’autore nel settore delle arti visive in Germania, subordinava la stipula, con la SPK, di un contratto di licenza d’uso del proprio catalogo di opere sotto forma di immagini in miniatura all’inserimento di una clausola in base alla quale la SPK si impegna ad adottare, quando utilizza opere di cui al contratto, misure tecnologiche efficaci contro il framing da parte di terzi delle miniature di tali opere.
7) CONCORRENZA NELLE TELECOMUNICAZIONI
Sentenza della Corte di giustizia, Terza Sezione, nella causa C-152/19P, C-165/19 P del 25 marzo2021
Slovak Telekom e Deutsche Telekom / Commissione
Tipo di procedimento: Impugnazione
Nel 2005 l’autorità di regolamentazione slovacca per le telecomunicazioni designava la società Slovak Telekom a.s. (ST), quale operatore storico delle telecomunicazioni in Slovacchia avente un rilevante potere sul mercato all’ingrosso, per l’accesso disaggregato alla rete locale. In conseguenza di ciò la società è stata obbligata, in forza del quadro normativo dell’Unione, a concedere agli operatori alternativi l’accesso alla rete locale di cui è proprietaria, consentendo così a nuovi operatori che entrano nel mercato di utilizzare tale infrastruttura per offrire i loro servizi agli utenti finali.
Nel 2014 la Commissione ha adottato una decisione che sanzionava la ST e la sua società madre, la Deutsche Telekom AG (DT), per aver abusato della loro posizione dominante sul mercato slovacco dei servizi Internet a banda larga, limitando l’accesso degli operatori alternativi alla rete locale della ST tra il 2005 e il 2010. La sanzione era costituita da un’ammenda di € 38.838.000 in solido tra loro, ed un’ulteriore ammenda di € 31.070.000 alla sola DT.
La decisione è stata impugnata dalle due società innanzi al Tribunale dell’Unione, che ha parzialmente riformato la sanzione, riducendo la sola ammenda alla DT ad € 19.030.981, e confermando interamente quella inflitta in solido tra loro.
Contro la decisione del Tribunale, le società hanno proposto impugnazione alla Corte di Giustizia, la quale ha confermato la sentenza del tribunale.
8) LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Sentenza della Corte di giustizia, Seconda Sezione, nella causa C-652/19del 17 marzo2021
KO / Consulmarketing Spa
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
La clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che estende un nuovo regime di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo illegittimo ai lavoratori il cui contratto a tempo determinato, stipulato prima della data di entrata in vigore di tale normativa, è convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data; né la materia dei criteri di scelta e della eventuale sanzione, nell’ambito di un licenziamento collettivo, tocca la direttiva 98/59, per cui non può essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta di Nizza.
Nel 2017, 350 lavoratori impugnavano davanti al Tribunale del lavoro il loro licenziamento collettivo; il Tribunale, ritenuto illegittimo il licenziamento, disponeva la reintegrazione di tutti, ad eccezione di KO. Quest’ultima, infatti, era stata assunta a tempo determinato nel 2013, e solo nel 2015 il suo contratto era stato trasformato a tempo indeterminato. Nei suoi confronti, pertanto, doveva applicarsi il mero regime indennitario in quanto destinataria delle modifiche legislative di cui agli artt. 1, 3 e 10 del d.lgs. n. 23 del 2015.
Il giudice dell’opposizione interrogava la Corte sulla conformità di queste disposizioni (che creavano delle evidenti disparità di trattamento tra i lavoratori) con il diritto dell’Unione, ed in particolare con clausola 4 dell’Accordo Quadro e, per altro verso, con la Carta di Nizza.
Per il primo profilo, la Corte ha rammentato che la trasformazione a tempo indeterminato della lavoratrice avvenuta nel 2015 equivale ad una nuova assunzione, con la conseguenza che nei suoi confronti effettivamente trovano applicazione le misure di cui al d.lgs. 23 del 2015, salvo che non si accerti (e tale accertamento spetta in via esclusiva al giudice nazionale) che tra i due rapporti di lavoro non vi fosse sostanziale continuità, tanto da retrodatare sostanzialmente l’effettiva assunzione al 2013.
Le disposizioni interne scrutinate dalla Corte in sé non si pongono in contrasto con il diritto dell’Unione ed in particolare con la clausola 4 dell’Accordo Quadro. In particolare, rileva la corte, la differenza del regime sanzionatorio tra la lavoratrice e gli altri dipendenti non dipende da un diverso (e discriminatorio) computo dell’anzianità di servizio (punto 4 della clausola 4) bensì da una specifica previsione transitoria del d.lgs. n. 23 del 2015, sicché la differenza di trattamento può essere giustificata (ricorrendo le “ragioni oggettive” di cui al punto 1 della clausola 4), atteso che se il nuovo regime di tutela del d.lgs. n. 23 del 2015 –che ha perseguito una riforma del diritto sociale italiano volta a promuovere la creazione, attraverso l’assunzione o la conversione di un contratto a tempo determinato, di rapporti di lavoro a tempo indeterminato- non si applicasse ai contratti a tempo determinato che sono stati convertiti, sarebbe escluso sin dall’inizio qualsiasi effetto di incentivo alla conversione dei contratti in vigore al 7.3.2015.
Di particolare interesse la soluzione data dalla CGUE con riguardo al quesito ulteriore sottopostole inerente la tutela dei licenziamenti collettivi alla luce degli artt. 20 e 30 della Carta: la sentenza ha precisato che la direttiva 98/59 mira solamente ad un’armonizzazione parziale delle procedure da seguire nel caso di licenziamento collettivo (l’obiettivo principale della direttiva consiste nel far precedere i licenziamenti collettivi da una consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e dall’informazione dell’autorità pubblica competente, al fine di evitare o ridurre i licenziamenti nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati). Ne deriva che le modalità della tutela che deve essere accordata a un lavoratore che è stato oggetto di un licenziamento collettivo illegittimo (a seguito di una violazione dei criteri su cui il datore di lavoro deve basarsi per determinare i lavoratori da licenziare) sono prive di collegamento con gli obblighi di notifica e di consultazione risultanti dalla direttiva 98/59, e sono dunque di competenza esclusiva degli Stati membri; in altri termini, trattandosi di normativa nazionale che non è attuativa del diritto dell’Unione, non può essere esaminata alla luce delle garanzie della Carta e, in particolare, dei suoi articoli 20 e 30, che sono applicabili direttamente solo nell’ambito del c.d. cono d’ombra del diritto comunitario.
9) CONFISCA
Sentenza della Corte di giustizia, Prima Sezione, nella causa C-393/19 del 14 gennaio2021
OM
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Non può essere sottoposto a confisca il mezzo utilizzato per commettere un reato, se il proprietario che lo rivendica è in buona fede e dimostra che non era a conoscenza dell’utilizzo illecito fattone dall’autore del reato. Qualora tuttavia venga disposta la confisca, lo Stato membro deve comunque assicurare adeguati mezzi giudiziari a tutela del diritto del proprietario ignaro.
10) RIMPATRIO DI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
Sentenza della Corte di giustizia, Prima Sezione, nella causa C-441/19 del 14 gennaio2021
TQ / Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid
Tipo di procedimento: rinvio pregiudiziale
Prima di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore straniero non accompagnato, lo Stato membro ha l’obbligo di accertarsi che lo Stato terzo possa ricevere il minore, predisponendo adeguate misure di accoglienza.
Anche laddove la decisione di rimpatrio sia stata adottata, lo Stato membro deve astenersi dall’eseguirla se lo Stato di rimpatrio non è più in grado di assicurare che il minore sarà affidato alla famiglia di origine, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza.
photo credits: Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Francesco Buffa, consigliere della Corte di cassazione
Salvatore Centonze, avvocato del Foro di Lecce