1. Ce lo ricordiamo tutti il mondo prima di Google, quello del vecchio millennio, con tutte quelle pagine dei risultati delle nostre ricerche sulla neonata Internet del tutto insoddisfacenti e “fuori tema” … e poi, finalmente, per magia di un algoritmo segreto, eccoli li i risultati delle nostre ricerche in ordine decrescente, dal più pertinente in giù.
L’informazione non è stata più la stessa, il mondo non è stato più lo stesso, proprio grazie a quella invenzione del secolo, il motore di ricerca Google, che permetteva a chiunque, da qualunque parte del mondo, di avere in pochi nanosecondi l’informazione cercata. In un contesto in cui l’informazione è potere, Google consentiva di rifondare l’umanità su basi aperte e democratiche, rendendo la conoscenza alla portata di tutti, senza filtri né intermediazioni.
Forti di quel motto delle origini «don’t be evil» (poi cambiato nel 2018 in «do the right thing»), i due fondatori Brin e Page da Standford conquistarono si il mondo, ma lo cambiarono decisamente in meglio.
Ma il nuovo motore di ricerca non era solo la potente invenzione del nuovo millennio, era anche un nuovo modello di business, arricchito poi con gli anni da sempre nuove funzionalità e applicativi, al servizio ed alla portata (in quanto essenzialmente gratuiti) di tutti.
Ecco perché non senza disagio vi riferisco della sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 10 novembre 2021, che ha condannato Google per abuso di posizione dominante ed ha svelato alcuni aspetti negativi del suo modello di business.
2. Per comprendere la decisione, bisogna prendere le mosse dal funzionamento e da alcuni dettagli tecnici del motore di ricerca.
Il motore di ricerca di Google, accessibile all'indirizzo www.google.com o a indirizzi analoghi con estensione di prefisso internazionale, consente di ottenere risultati di ricerca e di visualizzarli nelle pagine che compaiono sugli schermi degli utenti di internet. Tali risultati vengono o selezionati dal motore di ricerca secondo criteri generali e senza che i siti web a cui si collegano paghino Google per apparire (c.d. "risultati di ricerca generali").
Tra i risultati di ricerca vi sono quelli relativi a prodotti in commercio ("servizi di shopping comparativo"), i quali non vendono prodotti essi stessi, ma confrontano e selezionano le offerte dei venditori online che offrono il prodotto cercato. Tali venditori possono essere venditori diretti o piattaforme di vendita (eBay, Amazon, PriceMinister o Fnac tra i più noti) che raggruppano le offerte di numerosi venditori dai quali è possibile ordinare immediatamente il prodotto cercato.
Google ha anche diversificato i possibili esiti dell'azione di cliccare su un link di risultato mostrato: a seconda delle circostanze, gli internauti possono essere condotti direttamente all'apposita pagina del sito web del venditore del prodotto cercato, dove il prodotto può essere acquistato direttamente, oppure possono essere portati alla pagina dei risultati di ricerca prodotti specializzata per visualizzare più offerte dello stesso prodotto.
Ora, la fornitura dei servizi di ricerca generale online è un'attività economica perché, sebbene gli utenti di Internet utilizzino il servizio gratuitamente, essi accettano di consentire all'operatore del motore di ricerca di raccogliere dati che li riguardano, che può successivamente monetizzare, in particolare con gli inserzionisti che desiderano visualizzare annunci pubblicitari nelle pagine dei risultati. Il modello di business ha successo poiché quanto più gli utenti di Internet fanno delle ricerche sul motore e cliccano sui link dei relativi risultati (operazione di massa e gratuita), tanto più gli inserzionisti (gli altri utenti di Google) -che vogliono raggiungere il maggior numero possibile di utenti Internet- beneficiano Google in varie forme economicamente rilevanti, benché indirette.
Le pagine dei risultati di Google contengono altresì risultati che sono pagati dai siti web a cui rimandano con appositi link. Tali risultati, comunemente denominati "annunci", sono anch’essi legati alla ricerca dell'utente di Internet ed appaiono in spazi specifici nelle pagine dei risultati o tra i risultati “altri”.
La visualizzazione di tali risultati è legata agli impegni di pagamento assunti dagli inserzionisti, i quali pagano Google quando un utente di Internet “clicca” sul link e quindi attiva il collegamento ipertestuale nel loro annuncio, che conduce al loro sito Web.
3. All’esito di apposita istruttoria, la Commissione europea ha accertato che il posizionamento dei servizi di acquisti comparativi -offerti dai concorrenti di Google- è sì tra i risultati generici della ricerca fatta col motore di ricerca di Google, ma essi sono nella pratica retrocessi all'interno della classifica dei risultati generici, a causa dell'applicazione di algoritmi di "aggiustamento".
La Commissione ha altresì osservato che i detti servizi concorrenti sono visualizzati solo come risultati generici sulle pagine dei risultati generali di Google, vale a dire sotto forma di semplici link blu, e non sono visualizzati in formato ricco con immagini e informazioni aggiuntive su prodotti, prezzi e venditore.
Tali elementi non si riscontrano invece per il servizio di acquisti comparativi gestito direttamente da Google, il quale è sempre posizionato e visualizzato nelle pagine dei risultati generali, ma in posizione privilegiata nei risultati; inoltre il servizio di shopping comparativo di Google è visualizzato in una "scatola", ed appare in un luogo altamente visibile; inoltre viene visualizzato con caratteristiche grafiche più ricche, comprensive di immagini e di informazioni dinamiche. Secondo la Commissione, tali caratteristiche grafiche hanno portato a percentuali di traffico e di “clic” più elevate per Google e quindi a un aumento delle sue entrate.
Due sono i profili evidenziati in particolare dalla Commissione.
In primo luogo, si è riscontrato che i risultati generici generano un traffico significativo verso un sito Web quando sono stati classificati tra i primi tre-cinque risultati nella prima pagina dei risultati generali («above the fold»), e ciò in quanto gli utenti di Internet tendono a presumere che i risultati più visibili siano i più rilevanti (indipendentemente dalla loro effettiva rilevanza), e prestano poca o nessuna attenzione ai risultati successivi, che spesso non appaiono direttamente sullo schermo, per i quali occorre scorrere il video o cambiare pagina.
Dunque, la posizione di un determinato collegamento nei risultati generici ha un impatto importante sulla percentuale di clic di tale collegamento, indipendentemente dalla pertinenza della pagina web a cui il link conduce.
In secondo luogo, quanto più il collegamento è accattivante, in relazione allo spazio assegnato, al relativo contenuto, ai colori ed alle forme utilizzate che lo rendono più visibile, tanto più l’utilizzatore è attratto ed è indotto a cliccare sul collegamento, generando in tal modo maggior traffico verso il sito richiamato.
Ora, il traffico in rete è un vero e proprio asset con valore economico. Quanto più un servizio di shopping comparativo è visitato dagli internauti, maggiore è l'utilità dei suoi servizi e più gli esercenti sono propensi a usufruirne; inoltre, quel traffico genera anche ricavi da commissioni o da pubblicità sovente utilizzata nell’offerta del servizio.
La generazione di traffico avvia un circolo virtuoso, migliorando la pertinenza dei risultati e attirando così più utenti e, in definitiva, assicurando maggiori entrate dai partner pubblicitari o dai venditori online che hanno inserito i loro prodotti sul sito web del servizio di shopping comparativo.
Al contrario, la perdita di traffico può portare a un circolo vizioso e, infine, all'uscita dal mercato per incapacità di competere su elementi essenziali come la rilevanza dei risultati e l'innovazione, che sono collegati, poiché i servizi di shopping comparativo innovano per migliorare la rilevanza dei loro risultati e quindi attirare più traffico e quindi più entrate.
La Commissione ha censurato due pratiche oggettive poste in essere da Google: il posizionamento e la visualizzazione più favorevoli dei risultati specializzati di Google all'interno delle sue pagine dei risultati generali rispetto al posizionamento ed alla visualizzazione dei risultati di servizi di shopping comparativo concorrenti; la retrocessione simultanea dei risultati di servizi di shopping comparativo concorrenti mediante l'applicazione di algoritmi di regolazione.
Tali pratiche hanno ridotto il traffico dalle pagine dei risultati generali di Google relative ai servizi di acquisto comparativo concorrenti e hanno per converso aumentato il traffico da quelle pagine al servizio di shopping comparativo di Google.
4. Con la decisione del 27 giugno 2017 la Commissione europea ha constatato l’abuso di posizione dominante da parte di Google, per aver favorito il proprio comparatore di prodotti rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti, e lo ha sanzionato - in solido con Alphabet, sua società madre - al pagamento dell’ammenda di 2,42 miliardi di euro.
5. Con la sentenza in commento, la Sezione Nona della Corte generale dell’Unione in composizione integrata ha sostanzialmente rigettato il ricorso di Google contro la decisione della Commissione, ritenendo che, favorendo il proprio comparatore di prodotti sulle sue pagine di risultati generali mediante una presentazione e un posizionamento privilegiati e retrocedendo al contempo su tali pagine i risultati dei comparatori concorrenti mediante algoritmi di classificazione, Google ha violato la concorrenza basata sui meriti.
La Corte ha ricordato che sussiste un abuso di posizione dominante quando l'impresa dominante, utilizzando mezzi diversi da quelli che regolano la concorrenza normale, ostacola il mantenimento del grado di concorrenza o il suo sviluppo, e che ciò può essere accertato mediante la mera dimostrazione che il suo comportamento ha la capacità di limitare la concorrenza. Nella specie, la Corte ha stabilito che la condotta tenuta da Google fosse anti-concorrenziale, perché produceva un effetto escludente –in vari Paesi europei, tra i quali anche l’Italia-, per ragioni avulse dalle dinamiche del normale mercato concorrenziale.
Le riscontrate pratiche anticoncorrenziali sono poi ancor più censurabili in ragione della vocazione universale del motore di ricerca generale di Google, che è concepito -e si presenta agli utenti- per indicizzare risultati che comprendono tutti i possibili contenuti, in modo che dovrebbe esser neutro e corretto.
E qui non possiamo che tornare al motto di Google ricordato in premessa.