Politiche di concorrenza: Aiuti di Stato
Tipo di procedimento: domanda basata sull’art. 263 TFUE
Oggetto: Aiuti di Stato – Trasporto marittimo – Compensazione di servizio pubblico – Aumento di capitale – Decisione che dichiara gli aiuti incompatibili con il mercato interno e ne dispone il recupero – Nozione di aiuto – Servizio di interesse economico generale – Criterio dell’investitore privato – Sentenza Altmark
La Saremar è una società, attualmente in fase di liquidazione, che assicurava, a far data dalla sua costituzione, un servizio pubblico di cabotaggio marittimo tra la Sardegna e le isole. L’incarico di servizio pubblico della Saremar era in origine disciplinato da una convenzione ventennale con scadenza nel 2008. Il capitale della Saremar, appartenente inizialmente al gruppo Tirrenia, fu poi trasferito, a titolo gratuito, alla Regione autonoma della Sardegna (Ras), ai fini della privatizzazione della società. Tuttavia, alla data dei fatti controversi, il processo di privatizzazione della Saremar era ancora in corso e il suo capitale era ancora detenuto al 100% dalla Ras. Gli obblighi di servizio pubblico della Saremar relativi ai collegamenti marittimi erano oggetto una convenzione stipulata tra la Saremar e la Ras.
In tale contesto, la Ras ha conferito alla Saremar anche l’incarico di effettuare, nell’ambito del servizio pubblico da quest’ultima gestito, due collegamenti navali fra la Sardegna e l’Italia continentale. Al fine di coprire le perdite subite dalla Saremar nella procedura fallimentare relativa alla Tirrenia, la Ras ha proposto di ridurre il capitale della Saremar (ridotto di oltre un terzo) e di procedere ad un aumento del capitale, conferendole circa 6,1 milioni di euro. Successivamente con legge regionale n. 15 del 2012, la Ras ha autorizzato la spesa di circa 10 milioni al fine di coprire «l’eventuale disavanzo» della Saremar derivante dai collegamenti esercitati da tale società tra la Sardegna e il continente.
In data 22 gennaio 2014, la Commissione ha adottato la decisione con cui ha statuito l’incompatibilità con il mercato interno degli aiuti di Stato concessi alla Saremar, da un lato, sotto forma della misura di compensazione e, dall’altro, sotto forma dell’aumento di capitale. Siffatta decisione è stata impugnata dalla Regione e dall’impresa dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.
a) Con riferimento alla misura di compensazione, la Saremar ha lamentato la violazione dell’art. 107, par. 1 e dell’art. 106, par. 2, TFUE, deducendo gli errori in cui sarebbe incorsa la Commissione nell’applicazione delle condizioni Altmark. Il Tribunale rileva che la Corte nella sentenza Altmark ha precisato che non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 107, par. 1, TFUE un intervento statale considerato come una compensazione rappresentante la contropartita di prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per assolvere obblighi di servizio pubblico, cosicché tali imprese non traggono, in realtà, un vantaggio finanziario e il suddetto intervento non ha quindi l’effetto di collocarle in una posizione concorrenziale più favorevole rispetto alle imprese che fanno loro concorrenza. Affinché, in un caso concreto, una siffatta compensazione possa sottrarsi alla qualificazione di aiuto di Stato, devono, tuttavia, sussistere le seguenti condizioni:
1. L’impresa beneficiaria dev’essere stata effettivamente incaricata di assolvere obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere stati definiti in modo chiaro;
2. i parametri sulla base dei quali è calcolata la compensazione devono essere stati previamente definiti in modo obiettivo e trasparente, al fine di evitare che essa comporti un vantaggio economico atto a favorire l’impresa beneficiaria rispetto a imprese concorrenti;
3. la compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire interamente o parzialmente i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di tali obblighi;
4. il livello della necessaria compensazione (…) dev’essere stato determinato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata al fine di poter soddisfare i richiesti gli obblighi di servizio pubblico, avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di detti obblighi.
Il Tribunale ha precisato che le predette condizioni hanno carattere cumulativo e che quindi è sufficiente che una compensazione sia priva anche di uno solo dei quattro requisiti per essere legittimamente qualificata come aiuto di Stato.
Secondo il Tribunale, caso in esame, la Commissione ha correttamente ritenuto mancante il secondo requisito (ossia, la definizione chiara e predeterminata dei criteri di calcolo della compensazione). Invero, nessuna delle delibere regionali con cui la Ras aveva attribuito alla Saremar l’incarico di effettuare i collegamenti con il continente precisando i relativi obblighi di servizio pubblico, aveva previsto, in modo esplicito o persino implicitamente, il versamento di una compensazione di servizio pubblico corrispondente agli oneri sostenuti per l’assolvimento di detti obblighi.
Saremar deduce poi l’erroneità dell’esame, da parte della Commissione, della incompatibilità con il mercato interno della misura di compensazione alla luce della decisione SIEG del 2011. Al riguardo, il Tribunale ricorda che le compensazioni di servizio pubblico che non soddisfano le condizioni Altmark e che soddisfano, peraltro, tutte le condizioni previste all’art. 107, par. 1, TFUE, possono, tuttavia, essere dichiarate compatibili con il mercato interno, segnatamente in forza delle disposizioni dell’art. 106, par. 2, TFUE, secondo cui le imprese incaricate della gestione di SIEG sono soggette alle norme in materia di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento del particolare incarico ad esse conferito, purché lo sviluppo degli scambi non sia compromesso in misura contraria all’interesse dell’Unione.
Il Tribunale sottolinea che la valutazione in merito all’incompatibilità di un simile aiuto con il mercato interno implica valutazioni complesse di ordine economico e sociale, in relazione alle quali il giudice dell'Unione, nel suo controllo di legittimità, non può sostituire il proprio apprezzamento a quello della Commissione. Il potere discrezionale degli Stati membri e quello della Commissione possono nondimeno essere limitati dalle direttive e dalle decisioni che quest’ultima istituzione è competente ad adottare sulla base dell’art. 106, par. 3, TFUE, tra cui figura la decisione SIEG del 2011, che all’art. 4, indica i requisiti che gli incarichi di servizio pubblico devono cumulativamente possedere:
«1. l’oggetto e la durata degli obblighi di servizio pubblico [art. 4, lettera a)];
2. la descrizione del sistema di compensazione e i parametri per il calcolo, il controllo e la revisione della compensazione [art. 4, lettera d)];
3. le disposizioni intese a prevenire ed eventualmente recuperare le sovracompensazioni [art. 4, lettera e)];
4. un riferimento alla decisione SIEG del 2011 [art. 4, lettera f)].
In proposito, tuttavia, il Tribunale per le ragioni già esposte rileva che le condizioni enunciate all’art. 4, lettere d) ed e) della decisione SIEG citata non erano state rispettate nel caso di specie.
b) Nell’ambito della valutazione della conformità dell’aumento di capitale rispetto al criterio dell’investitore privato in economia di mercato, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 107, par. 1 e dell’art. 106, par. 2, TFUE».
Il Tribunale ricorda che l’art. 107, par. 1, TFUE definisce gli interventi statali in funzione dei loro effetti e, quindi, al fine di valutare la sussistenza di un vantaggio economico alla luce del criterio dell’investitore privato in economia di mercato non era necessario che la Commissione si chiedesse se l’aumento di capitale corrispondesse a una delle tante attività della Saremar. Come rilevato dalla Commissione, detto aumento di capitale era per definizione tale da andare a beneficio di tutte le attività dell’impresa. Sia che esso fosse destinato alle attività di collegamento marittimo sia che esso fosse destinato a risanare le perdite connesse al deprezzamento dei crediti verso Tirrenia, si trattava pur sempre di un trasferimento di risorse pubbliche a beneficio di Saremar, e quindi di un aiuto di Stato.
Il Tribunale esclude poi che la Commissione abbia commesso errori di diritto nell’applicare il criterio dell’investitore privato in economia di mercato.
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Mercato interno: libera circolazione delle persone, libera circolazione merci, libera prestazione di servizi
Tipo di procedimento: Rinvio pregiudiziale dal Bundesgerichtshof
Oggetto: Pratiche commerciali sleali – Pubblicità contenuta in una pubblicazione a mezzo stampa – Omissione di informazioni rilevanti – Accesso a tali informazioni attraverso il sito Internet mediante il quale sono distribuiti i prodotti di cui trattasi – Prodotti venduti dal soggetto che ha pubblicato l’annuncio o da terzi
La DHL Paket gestisce una piattaforma di vendita on-line su cui venditori professionisti offrono in vendita prodotti. Le operazioni di vendita non danno luogo ad alcun contratto tra la DHL Paket e i compratori. La controversia di cui al procedimento principale verte su un annuncio pubblicitario pubblicato su una rivista settimanale su richiesta della DHL Paket. Il lettore interessato a un prodotto era invitato a recarsi sulla piattaforma di vendita di tale società e a inserirvi il codice corrispondente a tale prodotto, indicato nell’annuncio. Accedeva quindi a un sito dedicato al prodotto di cui trattasi, sito sul quale veniva visualizzata l’identità del venditore professionista di tale prodotto. Alla voce “Informazioni sul fornitore”, il lettore poteva inoltre prendere visione dei dati relativi alla denominazione sociale e all’indirizzo geografico della controparte contrattuale. Contro la DHL Paket è stato proposto un ricorso volto a ottenere la condanna, sulla base della legge contro la concorrenza sleale, a cessare la diffusione di una tale pubblicità, in quanto ritenuta non rispettosa dell’obbligo di indicare l’identità e l’indirizzo geografico dei fornitori che utilizzavano la piattaforma di vendita.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 7 della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali, il quale, per quel che qui più interessa, prevede che:
«1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (…);
3. Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per comunicare la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un’omissione di informazioni si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi;
4. Nel caso di un invito all’acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto: (…)
b) l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce».
Dopo avere rilevato che un annuncio pubblicitario come quello di cui al procedimento principale integra un invito all’acquisto ai sensi dell’art. 2, lettera i), della direttiva 2005/29, poiché l’informazione che esso contiene riguardo ai prodotti e al loro prezzo è sufficiente per consentire al consumatore di prendere una decisione di natura commerciale, la Corte osserva che la portata delle informazioni sull’indirizzo geografico e sull’identità del professionista (che un professionista è tenuto a comunicare nell’ambito di un invito all’acquisto) deve essere valutata a seconda del contesto di tale invito, della natura e delle caratteristiche del prodotto nonché del supporto impiegato per la comunicazione.
A detta dei giudici di Lussemburgo, nel caso in cui una piattaforma d’acquisto on-line sia pubblicizzata in una pubblicazione a mezzo stampa e in cui, in particolare, vi figuri un elevato numero di possibilità di acquisto presso diversi professionisti, possono esservi restrizioni in termini di spazio ai sensi dell’art. 7, par. 3, della direttiva 2005/29. Ne consegue che, benché le informazioni sull’indirizzo geografico e sull’identità del professionista, di cui all’art. 7, par. 4, lett. b), della direttiva 2005/29, debbano in linea di principio figurare nell’invito all’acquisto, ciò non deve tuttavia necessariamente avvenire qualora il mezzo di comunicazione impiegato per la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio, purché i consumatori che potrebbero acquistare i prodotti pubblicizzati attraverso il sito Internet, menzionato nell’annuncio pubblicitario, dell’impresa che promuove i suddetti prodotti possano reperire agevolmente tali informazioni su tale sito Internet o attraverso di esso.
Spetta al giudice del rinvio esaminare caso per caso, da un lato, se le restrizioni in termini di spazio nel testo pubblicitario giustifichino che le informazioni sul fornitore siano messe a disposizione soltanto a livello della piattaforma di vendita on-line e, dall’altro, all’occorrenza, se le informazioni richieste dall’art. 7, par. 4, lett. b), di tale direttiva riguardanti la piattaforma di vendita on-line siano comunicate semplicemente e rapidamente.
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Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
Tipo di procedimento: Rinvio pregiudiziale dal Verwaltungsgericht Berlin
Oggetto: Direttiva 2004/114/CE – Articolo 6, paragrafo 1, lettera d) – Condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi – Diniego di ammissione – Nozione di “minaccia per la sicurezza pubblica” – Discrezionalità
Fahimian è una cittadina iraniana, che dopo aver conseguito un diploma nel settore delle tecnologie dell’informazione presso la SUT, ha richiesto presso l’ambasciata tedesca a Teheran il rilascio di un visto per svolgere un dottorato di ricerca in Germania. Il progetto di ricerca era incentrato sulla “sicurezza dei sistemi mobili, ivi compreso il rilevamento degli attacchi agli smartphone, fino ai protocolli di sicurezza”. La domanda di visto è stata respinta, per il timore che la conoscenze che Fahimian avrebbe acquisito nel corso del dottorato potessero poi essere impiegate impropriamente nel suo paese di origine, considerato altresì che l’impegno dalla SUT nel settore della ricerca militare in Iran ha indotto il legislatore dell’Unione ad inserire tale università nell’elenco delle entità colpite da misure restrittive figuranti nell’allegato IX del regolamento n. 267/2012, ora regolamento di esecuzione n. 1202/2014.
Come noto, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. A tal riguardo, la Corte ha rilevato che la direttiva 2004/114 ha come obiettivo quello di favorire la mobilità verso l’Unione europea degli studenti che sono cittadini di paesi terzi per motivi di istruzione e che detta mobilità ha come scopo di promuovere l’immagine dell’Europa in quanto centro mondiale di eccellenza per gli studi e per la formazione professionale. Pertanto, uno Stato membro non può introdurre, per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, requisiti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dagli artt. 6 e 7 della direttiva 2004/114, senza contravvenire agli obiettivi perseguiti dalla stessa. La direttiva in esame riconosce tuttavia alle autorità nazionali un margine discrezionale nel determinare se ricorrano i requisiti generali e specifici istituiti agli artt. 6 e 7 di tale direttiva e, segnatamente, se ragioni attinenti all’esistenza di una minaccia per la sicurezza pubblica ostino all’ammissione del cittadino di un paese terzo interessato.
Benché la direttiva non fornisca una definizione della nozione di “sicurezza pubblica,” la Corte ha già precisato che tale nozione comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna. Pertanto, la sicurezza pubblica può essere lesa da un pregiudizio tanto al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali quanto alla sopravvivenza della popolazione, oltre che dal rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora dal pregiudizio agli interessi militari. Ai sensi dell’art. 6, par. 1, lett. d), della direttiva 2004/114, letto alla luce del considerando 14 di tale direttiva, l’ammissione di un cittadino di un Paese terzo può essere rifiutata se le autorità nazionali competenti per l’esame della domanda di visto presentata da tale cittadino ritengano, basandosi su una valutazione fattuale, che questi costituisca una minaccia, quand’anche “potenziale”, per la sicurezza pubblica. Detta valutazione, quindi, può tener conto non solo del comportamento personale del richiedente, bensì anche di altri elementi relativi, segnatamente, al suo percorso professionale (con ciò differenziandosi dall’art. 27, par. 2, della direttiva 2004/38/CE che, con riferimento ai cittadini dell’Unione, postula che un provvedimento emanato in nome della sicurezza pubblica sia adottato esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale esso viene applicato e che tale comportamento rappresenti una minaccia «reale, attuale e sufficientemente grave» per detto interesse fondamentale della società).
La Corte riconosce che la valutazione della situazione individuale di una persona che richiede il visto può implicare analisi complesse e che le autorità nazionali competenti godono di un ampio margine discrezionale quando esaminano fatti rilevanti per chiarire se sussistono i motivi enunciati all’art. 6, par. 1, lett. d). Di conseguenza il sindacato giurisdizionale è limitato, per quanto attiene tale valutazione, all’assenza di errore manifesto. Tale sindacato giurisdizionale deve peraltro vertere sull’osservanza delle garanzie processuali, tra cui la Corte annovera l’obbligo di esaminare, in modo accurato ed imparziale, tutti gli elementi pertinenti della situazione di cui trattasi e l’obbligo di motivare la decisione.
Con riferimento al caso della sig.ra Fahimian, la Corte afferma che il giudice del rinvio deve tener conto del complesso degli elementi che caratterizzano la situazione di tale persona ed in particolare, la circostanza che la sig.ra Fahimian si sia laureata presso la SUT, che è stata, e rimane, inserita nell’elenco delle entità colpite da misure restrittive e che le ricerche che ella intende svolgere in Germania nell’ambito del suo dottorato vertano sul delicato settore della sicurezza delle tecnologie dell’informazione e potrebbero successivamente essere impiegate per fini abusivi. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte afferma che l’art. 6, par. 1, lett. d), della direttiva 2004/114 deve essere interpretato nel senso che non osta a che le competenti autorità nazionali si rifiutino di ammettere nel territorio dello Stato membro interessato un cittadino di un Paese terzo che si sia laureato presso un’università colpita da misure restrittive dell’Unione e che intenda svolgere, in tale Stato membro, ricerche in un ambito delicato per la sicurezza pubblica, qualora gli elementi di cui dispongono dette autorità permettano di temere che le conoscenze che tale persona acquisirebbe nel corso delle sue ricerche possano successivamente essere impiegate a fini pregiudizievoli per la sicurezza pubblica. Il giudice nazionale è tenuto a verificare che tale decisone sia sorretta da una base di fatto solida e adeguata motivazione.
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Quadro istituzionale dell’Unione – Principi generali – Responsabilità extracontrattuale
Tipo di procedimento: impugnazione ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea
Oggetto: Impugnazione – Responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea – Trattamento da parte del Mediatore europeo di una denuncia relativa alla gestione di un elenco di candidati idonei in esito a un concorso generale – Violazioni dell’obbligo di diligenza – Nozione di “violazione sufficientemente qualificata” di una norma di diritto dell’Unione – Danno morale – Perdita di fiducia nella funzione del Mediatore europeo
Il Mediatore europeo chiede l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale dell’Unione, con la quale quest’ultimo ha parzialmente accolto il ricorso della sig.ra Claire Staelen diretto a ottenere il risarcimento del danno subito dalla medesima a seguito del trattamento, da parte del Mediatore, della sua denuncia relativa a una cattiva gestione, da parte del Parlamento europeo, dell’elenco dei candidati idonei in esito ad un concorso generale, nel quale figurava come vincitrice. Il Mediatore addebita al Tribunale alcuni errori di diritto per quanto riguarda una delle condizioni necessarie al sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, vale a dire il requisito di una violazione “sufficientemente qualificata” di una norma del diritto dell’Unione preordinata a conferire diritti ai soggetti dell’ordinamento.
Con riferimento alla possibilità, per una persona che ha sporto denuncia dinanzi al Mediatore, di invocare la responsabilità dell’Unione in ragione del trattamento che è stato riservato alla denuncia, la Corte ha già precisato che un diritto al risarcimento è riconosciuto qualora siano soddisfatte tre condizioni: la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai soggetti dell’ordinamento; deve trattarsi di una violazione sufficientemente qualificata; deve sussistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente all’autore dell’atto e il danno subito dai soggetti lesi. A giudizio della Corte, statuendo che una mera violazione del principio di diligenza è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata, idonea a far sorgere la responsabilità dell’Unione, per il fatto che il Mediatore non dispone di un potere discrezionale per quanto attiene al rispetto di tale principio, il Tribunale è incorso in un errore di diritto. Infatti, solo una violazione sufficientemente qualificata, e non una qualsiasi violazione, di una norma del diritto dell’Unione che tutela i soggetti dell’ordinamento è idonea a far sorgere una responsabilità extracontrattuale dell’Unione. La Corte ricorda che il criterio decisivo per considerare sufficientemente qualificata una violazione del diritto dell’Unione è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Orbene, ciò vale anche nel caso di violazione dell’obbligo di diligenza da parte del Mediatore, violazione che non è automaticamente tale da costituire un comportamento illecito idoneo a far sorgere una responsabilità dell’Unione, ma che deve essere valutata, tenendo conto del fatto che, nell’esercizio della sua funzione, il Mediatore ha solo un obbligo di mezzi e gode di un ampio potere discrezionale per quanto concerne, in primo luogo, la fondatezza delle denunce ricevute e il seguito da darvi, in secondo luogo, il modo di condurre le indagini avviate e di svolgere le medesime e, in terzo luogo, l’analisi dei dati raccolti nonché le conclusioni da trarne. Il Tribunale non poteva statuire che i requisiti idonei a determinare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione sulla base di una violazione dell’obbligo di diligenza fossero soddisfatti, senza prendere in considerazione né il settore, né le condizioni, né il contesto in cui tale obbligo grava sull’istituzione o sull’organo dell’Unione interessato.
Successivamente la Corte accerta se l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale si sia ripercosso sulle valutazioni con cui questi ha qualificato i diversi comportamenti del Mediatore come “violazioni sufficientemente qualificate” dell’obbligo di diligenza. In particolare, il Tribunale aveva statuito che, avendo affermato il Mediatore che l’ispezione effettuata aveva confermato quanto già indicato dal Parlamento nel suo parere, vale a dire che l’elenco dei candidati idonei era stato messo a disposizione delle altre istituzioni dell’Unione, mentre detto parere non conteneva una siffatta indicazione, il Mediatore aveva, per mancanza di diligenza, snaturato il contenuto del documento di cui trattasi. Al riguardo, la Corte richiamato il potere discrezionale del Mediatore, in particolare per quanto concerne il seguito da dare alle denunce che gli pervengono e al modo di istruirle, precisa che qualora si tratti di rendere conto del contenuto di un documento che gli è stato trasmesso al fine di suffragare, come nel caso di specie, le conclusioni a cui perviene nell’ambito di una decisione che conclude un’indagine, esso dispone solo di un margine di discrezionalità ridotto, se non addirittura inesistente. Di conseguenza, ritiene corretta la valutazione del Tribunale in merito allo snaturamento, da parte del Mediatore, del contenuto del parere del Parlamento e alla sua qualificazione come una violazione sufficientemente qualificata, tale da poter far sorgere la responsabilità dell’Unione. Il Tribunale, inoltre, dopo aver considerato che in due occasioni il Mediatore era venuto meno al proprio obbligo di rispondere alle lettere della sig.ra Staelen entro un termine ragionevole, si era limitato ad affermare lapidariamente che, avendo in tal modo ignorato il diritto della sig.ra Staelen a ottenere una risposta entro un siffatto termine, il Mediatore aveva commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma del diritto dell’Unione. In questo caso, a giudizio della Corte, il Tribunale ha assimilato ogni violazione del dovere di agire entro un termine ragionevole a una violazione sufficientemente qualificata di una norma di diritto dell’Unione, senza motivare in alcun modo il carattere “sufficientemente qualificato”. La mancanza di ogni motivazione a sostegno della qualificazione pone la Corte nell’impossibilità di valutare se il Tribunale abbia o meno commesso un errore di diritto accogliendo una siffatta qualificazione. Una tale mancanza di motivazione, che rientra nella violazione delle forme sostanziali e ostacola pertanto il controllo giurisdizionale della Corte, costituisce un motivo di ordine pubblico che può essere sollevato d’ufficio dalla Corte stessa.
Infine la Corte ritiene che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel qualificare come danno morale riparabile la perdita di fiducia nell’istituto del Mediatore asserita dalla sig.ra Staelen. Ai sensi di una giurisprudenza della Corte, il danno di cui si chiede il risarcimento deve essere reale e certo. Secondo la Corte non si può negare che, tenuto conto della missione di cui è incaricato il Mediatore, la fiducia dei cittadini dell’Unione nella sua capacità di svolgere indagini approfondite e imparziali sui presunti casi di cattiva amministrazione sia fondamentale. Tuttavia rileva, da un lato, che siffatte considerazioni valgono, in larga misura, anche per ogni istituzione, organo o organismo dell’Unione chiamato a pronunciarsi su una domanda individuale, dall’altro, che l’eventuale perdita di fiducia nella funzione del Mediatore, che può risultare da comportamenti che esso adotta nell’ambito delle proprie indagini, è tale da riguardare, indifferentemente, tutte le persone che hanno il diritto di sporgere, in ogni momento, una denuncia dinanzi al medesimo.
La Corte, nello statuire definitivamente sulla controversia ai sensi dell’art. 61 del proprio Statuto, conclude che nell’ambito dello svolgimento della sua indagine, il Mediatore ha commesso tre “violazioni sufficientemente qualificate” del suo obbligo di diligenza, cui si aggiunge quella giustamente rilevata dal Tribunale, per quanto concerne lo snaturamento, da parte del Mediatore, del contenuto del parere del Parlamento, circostanza che costituisce un insieme di violazioni qualificate tali da poter far sorgere la responsabilità dell’Unione. Nonostante la sig.ra Staelen non sia legittimata a far valere un danno morale connesso ad una perdita di fiducia della medesima nella funzione del Mediatore, la Corte le riconosce un indennizzo per il danno morale (pari a euro 7.000), derivante sulla sensazione di “trauma psicologico” che la ricorrente ha provato a causa del modo in cui è stata trattata la denuncia che aveva sporto dinanzi al Mediatore.