Cittadinanza dell’Unione
Sentenza della CGUE (Seconda Sezione) 27 marzo 2014, causa C-322/13, Ulrike Elfriede Grauel Rüffer contro Katerina Pokorná.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Landesgericht Bozen - Italia.
Oggetto: Cittadinanza dell’Unione - Principio di non discriminazione - Regime linguistico applicabile ai processi civili.
La questione pregiudiziale, sollevata nell’ambito di una controversia per il risarcimento danni conseguente ad un incidente sciistico, verte sull’interpretazione degli articoli 18 TFUE e 21 TFUE. Nell’ambito del procedimento principale, l’atto di citazione è stato redatto in lingua tedesca. La convenuta che ha ricevuto una traduzione in ceco di tale atto di citazione ha presentato la propria comparsa di risposta in lingua tedesca senza sollevare alcuna eccezione quanto alla scelta del tedesco come lingua processuale. Tuttavia, il giudice del rinvio, in considerazione della sentenza pronunciata dalla Corte suprema di cassazione il 22 novembre 2012 (sentenza n. 20715), ha sollevato la questione della scelta della lingua processuale in cui proseguire il contenzioso (la lingua tedesca o la lingua italiana). Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede se gli articoli 18 TFUE e 21 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che riconosce il diritto di utilizzare, nei processi civili pendenti dinanzi ai giudici di uno Stato membro che abbiano sede in un ente locale determinato di tale Stato, una lingua diversa dalla lingua ufficiale di detto Stato solo ai cittadini di quest’ultimo residenti nel medesimo ente locale.
La Corte di giustizia nella sua sentenza Bickel e Franz (causa C‑274/96, in Racc. p. I- 563, punti 19 e 31), ha ammesso che un cittadino dell’Unione, appartenente ad uno Stato membro diverso dallo Stato membro interessato, nell’ambito di un procedimento penale possa avvalersi, allo stesso titolo dei cittadini di quest’ultimo Stato membro, di un regime linguistico quale quello di cui trattasi nel procedimento principale. Pertanto la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non può essere considerata giustificata.
Diritti fondamentali
Sentenza della CGUE (Seconda Sezione) 27 marzo 2014, causa C-265/13, Emiliano Torralbo Marcos contro Korota SA e Fondo de Garantía Salarial.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Juzgado de lo Social nº 2 de Terrassa - Spagna.
Oggetto: Carta dei diritti fondamentali dell’UE - Art. 47 - Diritto a un ricorso effettivo - Ambito di applicazione del diritto dell’Unione - Incompetenza della Corte.
Secondo giurisprudenza costante della Corte di giustizia, nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, la Corte può unicamente interpretare il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze che le sono attribuite (v. sentenza McB., causa C‑400/10 PPU, in Racc. p. I-582, punto 51). Si precisa che l’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’art. 51, par. 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Ove una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (v. sentenza Åkerberg Fransson, causa C-105/13, punto 22).
Considerando che l’oggetto del procedimento principale non riguarda l’interpretazione o l’applicazione di una norma di diritto dell’Unione diversa da quella figurante nella Carta, la Corte di giustizia si dichiara incompetente a statuire.
Diritti sociali
Sentenza della CGUE (Grande Sezione) 18 marzo 2014, causa C-363/12, Z. contro A Government Department e The Board of management of a community school.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Equality Tribunal - Irlanda.
Oggetto: Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata - Rifiuto di riconoscerle un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità.
La Corte di giustizia reputa che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente. Infatti, la situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Non trova inoltre applicazione la direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 per una discriminazione fondata sull’handicap. La validità di tale direttiva non può essere esaminata in riferimento alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione.
Sentenza della CGUE (Prima Sezione) 6 marzo 2014, causa C-595/12, Loredana Napoli contro Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Italia.
Oggetto: Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego - Corso di formazione per il conseguimento della nomina come dipendente pubblico di ruolo - Esclusione per assenza prolungata - Assenza dovuta a un congedo di maternità.
La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 riguarda l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. La sig.ra Napoli ha superato il concorso ai fini della nomina a vice commissario del ruolo direttivo ordinario della polizia penitenziaria ed è stata ammessa a partecipare al corso di formazione. Tuttavia, la sig.ra Napoli veniva successivamente esclusa dal corso a seguito della sua assenza da detto corso per più di 30 giorni con assenza motivata da un congedo obbligatorio di maternità. La sig.ra Napoli subirebbe pertanto un pregiudizio, conseguente alla maternità, che la porrebbe in condizione deteriore rispetto ai colleghi di sesso maschile vincitori del medesimo concorso ed ammessi al corso di formazione originario. Il giudice del rinvio aggiunge inoltre che il diritto, riconosciuto alla lavoratrice esclusa da un primo corso a seguito di un congedo di maternità, di essere ammessa al corso successivo, non obbliga l’amministrazione interessata a organizzare tale corso. L’avvio del corso resterebbe, infatti, subordinato alla valutazione discrezionale di detta amministrazione circa la necessità di coprire i posti vacanti, compatibilmente con le risorse economiche a tal fine disponibili. Di conseguenza, poiché potrebbero trascorrere molti anni tra un corso e il corso successivo, la facoltà per detta lavoratrice di frequentare un altro corso sarebbe incerta, con l’effetto che il pregiudizio da lei patito rischierebbe di assumere gravi dimensioni.
Certamente, garantendo alla stessa lavoratrice la facoltà di partecipare al corso successivo, la normativa italiana intenderebbe conciliare i diritti delle lavoratrici con l’interesse pubblico ad assumere nel corpo di polizia penitenziaria, per lo svolgimento dei compiti istituzionalmente previsti, soltanto candidati adeguatamente preparati attraverso il corso di formazione considerato. Tuttavia, si porrebbe la questione se il perseguimento di tale obiettivo di interesse pubblico possa giustificare il trattamento sfavorevole di una donna risultante dalla sua esclusione da un corso a causa di un congedo obbligatorio di maternità.
La Corte di giustizia muovendo dal presupposto che l’esclusione dal corso di formazione professionale a causa del congedo di maternità ha certamente avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della sig.ra Napoli, reputa che la misura italiana controversa che prevede l’esclusione automatica dal corso di formazione e comporta l’impossibilità di presentarsi a sostenere l’esame organizzato in seguito senza tenere conto, in particolare, né della fase del corso in cui si verifica l’assenza per congedo di maternità, né della formazione già acquisita, e che si limita a riconoscere alla donna che abbia fruito di detto congedo il diritto di partecipare a un corso di formazione organizzato in data successiva ma incerta, non appare conforme al principio di proporzionalità. La violazione di tale principio è ancora più flagrante in considerazione del mancato obbligo di organizzazione delle autorità competenti.
Infine, considerato che gli artt. 14, par. 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono disposizioni sufficientemente chiare, precise e incondizionate esse producono un effetto diretto che può essere invocato dal singolo in un contenzioso contro la pubblica amministrazione.
Salute pubblica
Sentenza del Tribunale (Prima Sezione) 13 marzo 2014, causa C-512/12, Octapharma France SAS contro Agence nationale de sécurité du médicament et des produits de santé (ANSM) e Ministère des affaires sociales et de la santé.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Conseil d'État - Francia.
Oggetto: Ravvicinamento delle legislazioni - Plasma preparato secondo un procedimento industriale - Applicazione contemporanea o esclusiva delle direttive - Facoltà per uno Stato membro di prevedere un regime più restrittivo per il plasma che per i medicinali.
La direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 modificata dalla direttiva 2004/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti. Il contenzioso nazionale tra una casa farmaceutica e l’agenzia nazionale per la sicurezza dei farmaci attiene alla qualificazione del plasma destinato alla trasfusione come farmaco e conseguentemente al livello di controllo cui tale prodotto è sottoposto. Per tutela di salute pubblica, sono compatibili con il diritto dell’Unione quelle disposizioni nazionali che assoggettano il plasma nella cui produzione interviene un processo industriale a un regime più rigoroso di quello al quale sono assoggettati i medicinali.
Diritto d’autore
Sentenza della CGUE (Quarta Sezione) 27 marzo 2014, causa C-314/12, UPC Telekabel Wien GmbH contro Constantin Film Verleih GmbH e Wega Filmproducktionsgesellschaft mbH.
Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Oberster Gerichtshof - Austria.
Oggetto: Direttiva 2001/29/CE - Sito Internet che mette opere cinematografiche a disposizione del pubblico senza il consenso dei titolari di un diritto connesso al diritto d’autore - Fornitore di accesso a Internet - Provvedimento nei confronti di un fornitore di accesso ad Internet che gli vieta di consentire ai suoi abbonati l’accesso a un sito Internet - Bilanciamento fra diritti fondamentali.
Due società tedesche proprietarie dei diritti d’autore su alcune opere cinematografiche si sono accorte che tali film potevano, senza il loro consenso, essere visti, o anche scaricati, a partire dal sito Internet “kino.to”. Su istanza di queste due società, i giudici austriaci hanno vietato alla società fornitore di accesso di Internet UPC Telekabel di fornire ai suoi abbonati l’accesso a tale sito web mediante il blocco del nome del dominio e dell’indirizzo IP. Per rispondere alla questione pregiudiziale austriaca, la Corte di giustizia si trova a compiere un bilanciamento d’interessi tra il diritto d’autore degli aventi diritto e la libertà d’impresa dell’intermediario. I diritti d’autore e i diritti connessi rientrano nel diritto della proprietà intellettuale e sono pertanto tutelati dall’art. 17, par. 2, della Carta mentre i fornitori di accesso ad Internet sono tutelati dall’art. 16 della Carta e, infine, la libertà d’informazione degli utenti di Internet, la cui tutela è garantita dall’art. 11 della Carta. La Corte ha già statuito che, quando diversi diritti fondamentali sono in contrasto fra loro, gli Stati membri sono tenuti, in occasione della trasposizione di una direttiva, a fondarsi su un’interpretazione di quest’ultima tale da garantire un giusto equilibrio tra i diritti fondamentali applicabili tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione.
I diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione devono essere interpretati nel senso che non ostano a che sia vietato, con un’ingiunzione pronunciata da un giudice, a un fornitore di accesso ad Internet di concedere ai suoi abbonati l’accesso ad un sito Internet che metta in rete materiali protetti senza il consenso dei titolari dei diritti, qualora tale ingiunzione non specifichi quali misure tale fornitore d’accesso deve adottare e quest’ultimo possa evitare sanzioni per la violazione di tale ingiunzione dimostrando di avere adottato tutte le misure ragionevoli, a condizione tuttavia che, da un lato, le misure adottate privino inutilmente gli utenti di Internet della possibilità di accedere in modo lecito alle informazioni disponibili e, dall’altro, che tali misure abbiano l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di questa stessa ingiunzione dal consultare tali materiali messi a loro disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale, circostanza che spetta alle autorità e ai giudici nazionali verificare.
Mercato interno
Sentenza della CGUE (Quinta Sezione) 20 marzo 2014, causa C-61/12 e C-639/12, Commissione europea contro Lituania e Repubblica di Polonia.
Tipo di procedimento: Procedura d’infrazione
Oggetto: Inadempimento di uno Stato - Immatricolazione dei veicoli a motore - Guida a destra in uno Stato membro - Obbligo, ai fini dell’immatricolazione, di spostare sul lato sinistro il dispositivo di sterzo delle autovetture situato sul lato destro.
Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che la Lituania e la Polonia, subordinando l’immatricolazione sul proprio territorio di autovetture con dispositivo di sterzo collocato a destra, nuove o precedentemente immatricolate in altri Stati membri, allo spostamento del volante sul lato sinistro, è venuta meno agli obblighi ad esse incombenti ai sensi della direttiva 70/311/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri. Il quadro legislativo armonizzato è finalizzato all’instaurazione e al funzionamento del mercato interno, mirando nel contempo a garantire un elevato livello di sicurezza stradale assicurato dall’armonizzazione totale dei requisiti tecnici riguardanti, in particolare, la costruzione dei veicoli. La Corte di giustizia reputa che effettivamente la richiesta di Lituania e Polonia di spostare lo sterzo costituisca una restrizione alla libera circolazione di beni e persone nel mercato interno dell’Unione.